Capitolo trentuno
Nikki iniziò il breve tragitto fino a casa, poi si fermò di colpo. Mickey Smith! Cosa avrebbe pensato quando il suo eroe non si fosse presentato a fargli visita? Peggio ancora, e se avesse saputo che Joseph era stato gravemente ferito? Qualcuno avrebbe dovuto dirgli la verità, e sarebbe stato meglio se l’avesse saputo da lei. Non poteva fare niente per sua figlia, ma forse avrebbe potuto aiutare un ragazzino di cui non importava nulla a nessuno. Con un sospiro, si voltò, tornò all’auto e andò alla clinica.
Il personale notturno le disse che Jonas era apparso nervoso, impossibile da tranquillizzare e fin troppo spaventato, anche se gli agenti di protezione erano con lui. Mentre apriva la porta, Nikki pensò di aver fatto bene ad andare. Mickey li aveva aiutati e, per quanto fosse stanca, era giusto comportarsi correttamente con lui.
Accostò una sedia al letto e gli spiegò con dolcezza di Joseph. Ammorbidì alcune parti del racconto, ma decise di non mentirgli. Dopo un po’, il ragazzino pianse e, con suo stupore, lei pianse insieme a lui.
«È speciale», disse Jonas, asciugandosi il naso con la manica del pigiama.
«Lo so», rispose Nikki, soffiandosi il naso con un fazzoletto. «E adesso voi due avete un sacco in comune, vero? Non appena starà meglio potrete confrontare le ferite di guerra».
Il ragazzino annuì. «Guarirà, vero?».
Nikki non voleva spaventarlo con la prognosi reale, che era ben lontana dall’essere rassicurante, così disse: «Ho parlato con i dottori, e sono molto soddisfatti dei suoi progressi».
«Bene. Magari potrebbe venire qui, quando starà un po’ meglio. Potremmo condividere una stanza».
«Gli piacerebbe», disse Nikki con un sorriso. «Ma ti fregherebbe tutti i fumetti».
«Chi è stato a ferirlo?», chiese di colpo il ragazzino.
«Frankie Doyle», rispose Nikki in tono pacato.
«Allora abbiamo ancora di più in comune». Lui la guardò cauto. «Ma non ho proprio voglia di parlare di quello, d’accordo?».
Lo sapevo!, pensò lei, poi disse: «Certo. Niente domande, questa sera, lo giuro».
«E l’avete presa sul serio?». La paura offuscò il suo volto coperto di lividi.
«È chiusa a chiave in una cella».
«E il suo tipo, lo spacciatore?»
«Non ancora, ma lo prenderemo. Abbiamo tutti gli altri, compreso Fluke, quindi ora sei davvero al sicuro».
«Non mi sento al sicuro. E il tipo di Doyle è ancora libero. Forse verrà a prendermi di notte!».
«Non lo farà, non glielo permetterò!».
«Ma lei non sarà con me, no?». Gli occhi del ragazzo si riempirono nuovamente di lacrime, e Nikki si sentì partecipe del suo dolore. Joseph l’aveva fatto davvero sentire meno solo, come se ci fosse qualcuno che teneva a lui, e poi, bum, più nessuno.
«Mi è venuta un’idea», disse con dolcezza. «Un minuto e ritorno, d’accordo?».
Sgusciò fuori e trovò la suora del turno di notte e, dopo una breve conversazione, tornò dal ragazzo. «Risolto». Gli sorrise. «Tu, giovanotto, dormirai come si deve». La porta si aprì ed entrò un’infermiera con un lettino pieghevole e qualche cuscino e una coperta dai colori vivaci. «E io pure! Siamo sulla stessa barca. D’accordo, soldato Jonas, vecchio mio?».
Mickey-Jonas le rivolse un sorriso sollevato, si tirò più su le coperte, poi fece il saluto militare. «Ricevuto, ispettore Nik!».
L’infermiera del turno di notte la svegliò come stabilito, appena prima dell’alba. Dopo aver passato diverse ore su un lettino da campeggio, sdraiata accanto a un ragazzino con più lividi di un pugile, Nikki non si era aspettata di svegliarsi sentendosi meglio. In effetti, non credeva neanche di poter dormire. Ma l’aveva fatto. E stava benissimo. Aveva temuto il ritorno al suo appartamento deprimente, un posto abitato soltanto dai suoi pensieri oscuri, e le paure notturne di Mickey le avevano fornito il compromesso perfetto.
Anche il ragazzino aveva dormito profondamente, e la luce fioca dell’alba che filtrava dalla finestra sembrò sciogliere i suoi terrori della sera precedente. Nikki si sentì tranquilla a lasciarlo. Il suo turbamento era stato sproporzionato, ma considerando cosa gli era successo aveva tutte le ragioni per avere paura; poi c’era sempre la remota possibilità, forse una su un milione, che un membro della gang avesse scoperto l’inganno e deciso di chiudergli per sempre quella bocca chiacchierina. Nikki non pensò nemmeno per un istante che fosse quello il caso, ma era comunque felice della propria scelta.
Lo lasciò con la promessa che l’avrebbe tenuto aggiornato su Joseph, e che a fine giornata sarebbe tornata a trovarlo. Mentre usciva nel corridoio e si voltava a guardare quel bambino fasciato e patetico, si sentì invadere da un’emozione intensa. Si era creato una specie di legame, tra loro, quando avevano parlato di Joseph. Qualcosa che non riusciva a definire, ma sapeva che Mickey si era fidato di lei, e ciò la faceva sentire quasi onorata.
Lo salutò con la mano, e lui le mostrò i pollici alzati.
«L’ha davvero aiutato, sa». L’infermiera le toccò leggermente un braccio. «È stato agitato tutta la sera. Stavamo considerando un sedativo, ma preferiamo evitarlo nei bambini con lesioni alla testa». Guardò di nuovo oltre la soglia. «Adesso sembra un altro ragazzo. Lei e quel simpatico sergente sareste una bella squadra! Sembrate avere entrambi un dono per i bambini problematici».
Nel frattempo che l’infermiera si allontanava, Nikki sorrise divertita. Fino a quel momento, la sua reputazione con i giovani teppistelli era stata ben poco encomiabile, e in effetti la maggior parte dei suoi colleghi preferivano tenerla ad almeno cento metri di distanza da chiunque indossasse scarpe da ginnastica, jeans e felpa col cappuccio! Quella era proprio una novità.
Uscì dalla clinica, fece un salto in un piccolo bar e prese un caffè grande e un panino alla pancetta da portar via. Il sonno, seppur breve e dolce, le aveva fatto benissimo, e adesso aveva bisogno di sostentamento per attivare i neuroni. Le servivano sia forze sia cervello, se doveva trovare Kerry Anderson.
Mentre aspettava il suo panino, telefonò in ospedale per sentire come stesse Joseph. L’infermiera del reparto era circospetta, ma disse che era tranquillo, qualunque cosa significasse, e che erano cautamente ottimisti riguardo al fatto che non avrebbe avuto bisogno di altre operazioni. A quanto pareva, le successive ventiquattro ore sarebbero state decisive. Nikki mandò i suoi auguri più sentiti, chiuse la chiamata, prese la sua colazione e si diresse in centrale.
Al suo arrivo, il commissario Bainbridge aveva già tutto pronto e organizzato, e Nikki fu felice di scoprire che avrebbe avuto con sé Yvonne, Niall e Cat.
Le indicazioni di Doyle erano vaghe, ma lei non era mai stata da Kerry, aveva soltanto sentito quel che le diceva Stephen.
Il primo turno, quattro piccole squadre di ricerca, era in attesa d’istruzioni, e un parco di veicoli di scorta d’emergenza stava venendo inviato a un punto di ritrovo lungo la strada principale, sopra la costa paludosa.
Nikki diede un’occhiata alla cartina e ai dettagli delle aree da perlustrare, poi disse: «Io prendo questa, signore. È una zona che conosco bene».
Dieci minuti dopo, con tutti i sensi in massima allerta, uscirono.
«Siamo già passati in questa parte della palude».
«E allora ci ripassiamo! Dammi la mappa». Nikki si girò nell’auto in corsa e strappò la cartina a Niall. «Un tempo vivevo qui vicino, e ieri mattina ero soltanto a un chilometro da qui, alla marina». Fece un respiro profondo. «Dio! Potrei essere stata a pochi metri da lei senza saperlo».
«Ci sono solo tre posti plausibili sul registro di ricerca, signora: il vecchio campanile, una capanna pericolante usata ogni tanto dai birdwatcher, e una casetta fatiscente».
«Che cosa hanno detto in proposito?»
«Campanile e rustico: completamente liberi, senza niente di adatto a nascondere o occultare qualcosa». Niall girò il foglio di carta e proseguì. «Capanna degli uccelli: una sola stanza, fatiscente, completamente libera». Fece scorrere il dito sulla pagina. «E un posto che si chiama Coggin’s Cottage. Demolito. Non è più in piedi».
«Nient’altro al riguardo?», chiese Nikki in tono secco.
Niall scosse la testa. «Solo un mucchio di mattoni, a quanto pare».
Nikki si sentì attraversare da un’ondata di speranza. «Allora è lì che andremo! Yvonne! Tra circa cinquecento metri, svolta a destra al bivio. Fai attenzione, è una stradina a senso unico e le canne sono alte su entrambi i lati. Dirigiti verso l’estuario».
«Ma perché?», chiese Cat, guardando ansiosamente dal finestrino mentre Yvonne faceva girare con abilità il veicolo seguendo la curva cieca.
«Perché anche se il rapporto ha ragione, è più di una canna fumaria e un paio di mura crollate: un tempo aveva una cantina». Nikki sussurrò: «Sono anni che non penso a quel posto! Era proibito, e una calamita per noi ragazzini. Era pericoloso già allora, quindi oggi dev’essere una trappola mortale, ma la cantina era ben costruita». Per un momento le parve di rivedersi, una ragazzina che faceva ciò che non doveva, che sgusciava oltre la porta e scendeva gli scalini di pietra consumata fino alla vecchia cantina spaventosa.
«Adesso dove, signora?», chiese Yvonne, frenando di colpo. «Sembra che non si possa andare da nessuna parte».
«C’è un sentiero che porta giù al ponte. Vedete, laggiù», indicò Nikki. «È pieno di erbacce, ma qualcuno c’è stato da poco, guardate! L’erba è appiattita!».
«Se il posto è questo, buona fortuna all’ambulanza che cercherà di trovarci!», borbottò Cat. «Forse dovremmo fare l’ultima parte a piedi».
«Faremo probabilmente prima. Andiamo». Nikki aprì la portiera dell’auto e iniziò a correre appena scesa. «Niall!», urlò, voltando appena la testa. «Porta una coperta termica, giusto in caso!». Ogni fibra del suo corpo le stava dicendo che erano nel posto giusto.
Ignorando i pantaloni che restavano impigliati nelle ortiche e nelle cannucce di paludi, corse come una lepre. Nella mente si rivide alla marina, mentre guardava un cagnolino bianco e marrone correre per i sentieri della palude, diretto verso l’estuario! Verso quel posto!
Lo scheletro disastrato di un cancello a cinque sbarre le bloccò la strada, ma lei lo scalò in fretta, continuando a pensare al cane. Era quello di Kris Brown? Uno springer spaniel. Swampy, l’aveva chiamato lui. Ma quella parte di costa era distante chilometri da Barnby Eaudyke. Poteva trattarsi dello stesso animale? E in quel caso, quale altra ragione avrebbe avuto per andare così lontano, a parte trovare una persona amata?
«È qui, lo so!», urlò agli altri, senza quasi sapere se riuscivano a starle dietro.
Si sentiva così sicura perché le era sovvenuta un’altra cosa. Stevie Cox conosceva senza dubbio il Coggin’s Cottage. In passato la famiglia Cox viveva vicino alla sua, ma questo prima che Stevie facesse soldi con il calcio e si trasferissero in qualche località raffinata in collina.
«Kerry!». La sua voce echeggiò per le vaste distese del paesaggio acquitrinoso. «Kerry!».
La canna fumaria battuta dalle intemperie divenne improvvisamente visibile e, anche se gli uccelli marini strillavano e urlavano, Nikki non avvertì alcun suono in risposta. «Kerry! È la polizia! Siamo qui per aiutarti! Riesci a sentirmi?».
Non udì altro che il rumore dei suoi colleghi che sbattevano contro gli arbusti, imprecando e inciampando dietro di lei.
Di colpo, Niall la superò. «Dove dovrebbe essere questa cantina?»
«Vicino alla riva, sotto quella che era la parete di fondo. Questa era la casa di un pescatore di anguille, il fiume scorreva proprio qui dietro».
«Sì! C’è una porta!», urlò Niall. «Kerry!».
«Diavolo, non proprio un approccio discreto, eh?», rantolò Cat, raggiungendo il fianco di Nikki. «E se trovassimo Cox lì seduto?»
«Gli spingerei quel brutto muso nel torrente, e annegherei il cazzo di bastardo! Ecco cosa farei».
«D’accordo. Chiedevo soltanto».
«È bloccata! Datemi una mano!». Niall stava lottando contro una porta di legno, vecchia ma ancora solida. «Non riesco a spostarla!».
«Ci serve qualcosa per fare leva», disse Yvonne, frugando tra i calcinacci della casa abbandonata. «Forse questo funzionerà». Estrasse una stanga piatta di metallo da un mucchio di macerie.
«Dammi qui». Niall la incastrò fermamente tra la porta e la cornice, e fece forza con tutto il suo peso.
Sentirono lo schianto del legno che si rompeva, e la porta si aprì di scatto.
«Bravissima. Entriamo».
Nikki lo seguì giù per i gradini umidi e scivolosi, poi andò quasi a sbattergli sulla schiena quando lui si fermò di scatto.
«Che c’è? Non vedo niente con te davanti!».
«È qui, signora, ma…».
Nikki lo spinse da parte e scese d’un balzo gli ultimi due gradini.
Kerry Anderson giaceva su alcune vecchie coperte di pile, di quelle che compravi nei negozi di discount a due per cinque sterline. E accanto a lei, rannicchiato al suo fianco, come nel tentativo di tenerla al caldo, c’era lo springer spaniel di Kris Brown. Neanche il rumore della porta distrutta l’aveva svegliata e, per un momento, Nikki temette il peggio.
Con un grido soffocato, si gettò accanto alla ragazza e le tastò freneticamente il collo alla ricerca del battito. «Ti prego! Ti prego! Oh, tesoro! Sei al sicuro, adesso, ci siamo noi. Forza, Kerry!». Si voltò e sollevò lo sguardo. «Chiamate l’ambulanza. Dite ai paramedici che ha il battito irregolare, è fredda al tatto e non reagisce, sembra ipotermia. Yvonne, ti ricordi come si fa a tornare sulla strada?»
«Certo, signora».
«Allora vai loro incontro, e accompagnali fin dove arriverà il veicolo, poi portali qui a piedi».
Mentre Yvonne saltava in piedi e saliva la scala di corsa, Nikki le gridò: «E di’ di portare dell’ossigeno e tutti i macchinari che riescono: la poverina è messa male». Tornò a girarsi verso la figura immobile raggomitolata sul pavimento freddo. «Niall, vieni qui con quella coperta termica. Il cane ha fatto del suo meglio, ma ora le serve qualcosa di più». Si strappò la giacca, ricordando quando aveva fatto lo stesso per Joseph, solo il giorno prima, e gliela posò addosso. «Anche la tua, Niall, e la tua, Cat. Dobbiamo sollevarle la temperatura corporea». Nel frattempo che rimboccava la giacca intorno alle spalle strette di Kerry, si sentì leccare delicatamente la mano dallo spaniel.
«Sei stavo bravo, Swampy», gli grattò il pelo sul collo, «e se avessi la metà della tua intelligenza, sarei venuta qui un giorno fa, quando ti ho visto correre nella palude».
«Qualche cambiamento, signora?», chiese Cat.
«No, dannazione! Ci servono quei paramedici».
«Dovremmo provare a tirarla fuori da questo buco umido, cosa dice?».
Nikki si mordicchiò l’interno della guancia. «Mi piacerebbe, ma no, non penso che sia il caso di spostarla. Non sappiamo quali lesioni potrebbe avere. Meglio lasciarla ai medici».
«Peccato non poter usare l’elicottero», disse Niall con un luccichio fanciullesco negli occhi.
«Bella questa, stupidone!», disse Cat con espressione sconsolata. «Siamo nel bel mezzo di una palude, senza nessun posto dove atterrare, e le eliche ci farebbero crollare addosso quel che resta di questa topaia peggio di un mazzo di carte».
«Ah, giusto».
«Zitti, voi due, e fate un po’ di lavoro di polizia mentre aspettiamo». Nikki si guardò intorno. «Il bastardo che l’ha portata qui ha lasciato qualcosa da bere o da mangiare?»
«Ci sono delle bottigliette d’acqua, signora», disse Cat. «E qualche confezione vuota di tramezzini. Niente dalla tua parte, Niall?»
«Un ago e una siringa. Forse l’ha drogata, lo stronzo schifoso».
«Impacchettatele». Nikki controllò i polsi e le caviglie di Kerry. «Per lo meno non è stata legata. Solo imprigionata».
«Quindi com’è entrato un muso peloso?». Cat si guardò intorno.
«Da qui». Niall indicò un piccolo canale dove qualche tubo portava un tempo al ruscello. «Non sarebbe bastato per far passare neanche un bambino, ed è di cemento, quindi lei non avrebbe potuto allargare il buco in nessun modo».
«Quanto ci vorrà ancora?», inveì Nikki. «Se non arrivano presto i soccorsi, avremo bisogno soltanto di una sacca per cadaveri con cui portarla fuori».
«Arriveranno, signora», disse Cat calma. «E anche presto, nessuno batte la nostra Vonnie al volante».
Qualche minuto dopo, udirono l’urlo delle sirene risuonare per la palude tetra e minacciosa.
«Grazie a Dio». Nikki sentì che l’angoscia iniziava a sciogliersi. «E lei è ancora con noi, quindi ha una possibilità».
Mentre i camici verdi scendevano gli scalini, Nikki pensò che forse, per la prima volta in assoluto, aveva qualcosa di cui ringraziare Frankie Doyle.