Capitolo due

Nello stesso momento in cui il pusher di Nikki veniva esaminato dall’agente di custodia, una giovane donna si faceva cautamente strada lungo la marina buia. Il sentiero era fangoso e irregolare, pieno di fosse sature d’acqua e canali di scolo, e, nonostante lo conoscesse bene e fosse dotata di una torcia molto utile, non era davvero un bel posto in cui trovarsi di notte.

Rabbrividì, avvolgendosi meglio la giacchetta di jeans intorno alla maglia sottile e attillata, e pensò che forse aveva commesso un errore a precipitarsi lì per vederlo.

Di giorno era diverso. Odiava la città, e appena possibile fuggiva in quello strano mondo d’acqua. Lì fuori, potevi lasciar spaziare lo sguardo sulla distesa di acquitrini, osservare stormi di uccelli marini migratori e lepri e conigli, senza nessun essere umano intorno. In lontananza potevi scorgere a volte le acque grigio-argentee del Wash, e vedevi sempre le nuvole. Splendidi paesaggi celesti, ricchi di nubi magiche, fluttuanti, soffici, gonfiate dal vento. Lo considerava uno spettacolo quasi mistico, con le sue luci cangianti e le nebbie sfuggenti che strisciavano simili a spettri sulle paludi delle Fens.

Quella sera, però, non aveva niente di mistico. La ragazza tremò e si chiese come fosse possibile che un luogo che amava tanto potesse apparire di colpo così minaccioso.

Si fermò e guardò la lunga linea dritta della marina. Il profilo nero della vecchia centrale di pompaggio si stagliava netto e minaccioso contro l’indaco più chiaro del cielo notturno. Avrebbe dovuto essere in grado di vederlo, ormai. Lui usava sempre una potente lanterna con schermo protettivo rosso per montare il telescopio riflettore newtoniano sul suo treppiede, e allinearlo al cielo.

Ma non riusciva a distinguere nulla, e in quel buio c’era qualcosa che la turbava. Proprio come il fatto che le avesse mandato un sms. Non era proprio da lui. Gli piaceva parlare, non mandare messaggi elettronici. In effetti, era l’unica persona che conoscesse che possedeva una penna stilografica e usava inchiostro da un boccettino.

Fin dall’istante in cui aveva ricevuto il suo messaggio, si era sentita perplessa. Prima, mentre s’infilava gli scarponi da trekking, si era interrogata su quell’insolita segretezza. Semplicemente, non era da lui. Passava a trovarla, o se proprio doveva le telefonava. Blaterava qualcosa a proposito dell’inclinazione degli anelli di Saturno, o che aveva preso qualche nuovo obiettivo fantastico e una visione del cielo profondo avrebbe mostrato delle magnifiche stelle doppie che non si poteva assolutamente lasciare sfuggire. Lei sapeva che la maggior parte della gente lo considerava uno svitato, ma dove loro vedevano un tizio goffo e introverso, lei vedeva una persona mossa dalla passione, ed era qualcosa che comprendeva bene.

Si fermò e cercò di chiamarlo, ma aveva il telefono spento. La sua ansia aumentò. A giudicare dal messaggio, sembrava fin troppo impaziente di vederla. Ma dov’era? E dov’era il suo cane? Lo seguiva quasi sempre nelle paludi. C’era qualcosa che non andava. Rabbrividì, e poi fu colta da un pensiero spaventoso. Quella sera non c’erano stelle.

Si sentì invadere dalla paura. Oh, Dio! Era stata una stupida, e adesso doveva andarsene di lì. Se lui voleva vederla, poteva benissimo…

Qualcosa di molto più scuro della notte le venne infilato brutalmente sulla testa, e un braccio le scivolò intorno al collo, costringendola a piegarsi all’indietro e togliendole il fiato. Lei agitò freneticamente braccia e gambe, tirando invano calci e pugni al suo invisibile aggressore, poi un rumore assordante le riempì le orecchie e luci fortissime esplosero dietro le sue palpebre. Di colpo, quel fragore prese il posto di ogni altra cosa, e lei sentì che le gambe smettevano di danzare e che le braccia le cadevano inerti lungo i fianchi. Respirare divenne quasi impossibile, e lei scivolò via da quella presa spietata, per precipitare in silenzio nel buio.