Capitolo ventisei

Joseph si affrettò a tornare nell’ufficio dell’ispettore con le sue novità. Peterborough era in allarme per un’imminente consegna via nave, e il valore di mercato previsto superava i tre milioni di sterline. Una somma per cui qualunque malvagio bastardo non avrebbe esitato a uccidere.

Bussò alla porta e, non ricevendo risposta, fece capolino. La stanza era vuota e lui decise che l’ispettore doveva essere ancora con il commissario. Iniziò ad allontanarsi, poi sentì squillare il telefono. Con una piccola scrollata di spalle, rientrò e alzò il ricevitore.

«Devo parlare con l’ispettore Galena. È urgente».

La voce era femminile, e a Joseph parve decisamente strana.

«Vuole lasciare un messaggio, o posso farla richiamare?».

Ci fu una lunga pausa, e lui pensò che la donna avesse messo giù, poi la sentì dire: «Devo parlarle, e non c’è più tempo».

Joseph s’irrigidì. «Con chi sto parlando, per favore?»

«Mi chiamo Frankie Doyle, e ci sono delle cose che l’ispettore deve sapere».

Soltanto il nome gli fece scorrere un brivido lungo la schiena. Era proprio al telefono con la donna che aveva deliberatamente cercato di uccidere la figlia di Nikki?

«Ascolti, sono il sergente dell’ispettore Galena. Mi dica cosa deve sapere, e farò in modo che riceva il suo messaggio non appena la vedrò».

«Non funziona così. Deve sentirlo lei, e deve sentirlo da me».

«Allora mi dia il suo numero, andrò subito a cercarla».

Sentì una specie di strana risata vuota all’altro capo del telefono, poi avrebbe giurato che la donna iniziò a piangere.

«È ferita? Ha bisogno di aiuto?».

La risposta fu un sospiro soffocato. «Sì, ho bisogno di aiuto, ma è troppo tardi». Ci fu una pausa, poi la donna disse: «Sembra una brava persona, chiunque lei sia, le dica soltanto che si è sbagliata su tutto. Qualunque cosa abbia mai creduto sul mio conto, è sbagliata».

«Dove si trova?»

«Mi sto nascondendo».

«Perché?»

«Ci sono delle persone molto cattive, là fuori. Uccidono le belle ragazze».

Joseph si raggelò. «Che cosa sa?»

«Tutto. E devo vedere l’ispettore Galena al riguardo». Le lacrime affiorarono. «Lei non capisce, devo vederla!».

«Senta, vado a chiamarla, d’accordo? Ma lei rimanga in linea!».

«No, non posso. Non è sicuro. Ho fatto un grosso errore, e adesso…», un’altra pausa, «adesso ho paura, signor poliziotto. Lei forse non sa cosa significa, ma ho paura sul serio!».

«So cosa significa avere paura, Frankie. Davvero. Ma voglio aiutarla, mi dica solo come posso fare». Joseph saettò con lo sguardo fuori dalla porta, ma non si vedeva nessuno, e stava esaurendo le cose da dire per tenerla al telefono.

«Se ce la faccio, tra un’ora sarò al vecchio mercato del bestiame. Dove finisce il fiume. Non prometto niente, ma cercherò di esserci. Le dica di venire, ma nessun altro sbirro, chiaro? Oppure sparisco, capito?»

«Certo, certo, capisco. Ma, Frankie? Io posso andare con lei?».

Ci fu una lunga pausa. «Se proprio deve. Ma solo lei, signor poliziotto. Nessun altro».

Il suono della connessione interrotta gli ululò nell’orecchio. Frankie Doyle, se davvero si era trattato di lei, se n’era andata. Di corsa, Joseph mise il telefono sotto controllo e chiese di rintracciare la chiamata. Due minuti dopo, pronunciò una parola che sfuggiva di rado dalle sue labbra, e andò alla ricerca del suo capo.

«Joseph!». La voce di Nikki echeggiò nel corridoio. «C’è un cargo danese che attracca tra due ore, poi niente per due giorni. Dev’essere quello!». Nikki si fermò e fissò l’espressione confusa dell’uomo. «Non è felice? Avevamo ragione, a quanto pare!».

«Ne sono certo, signora. Peterborough conferma che hanno sentito le voci, solo nessuna indicazione su date o luoghi».

«E allora perché quel muso lungo?»

«Perché si è appena persa una chiamata di Frankie Doyle, da un cellulare non tracciabile, con scheda prepagata».

«Che cosa?!». Il tono di Nikki si alzò di diverse ottave. «Quando? Sicuro che fosse lei?». Con la mente in tumulto, aprì la porta dell’ufficio e gli fece cenno di entrare.

«Chiuda la porta». Girò su se stessa. «Che diavolo voleva?»

«Parlare con lei».

«Di cosa, esattamente?».

Joseph riferì la conversazione, parola per parola, poi si appoggiò di peso alla porta e la guardò dritto in faccia. «So che la odia, e con ottime ragioni, signora. Ma penso sia nei guai, guai molto grossi».

«E buona fortuna, cazzo!», sputò Nikki. «Me lo auguro di tutto cuore!».

«Sembrava terrorizzata». Joseph fissò il pavimento. «E intendo, terrorizzata».

Nikki si sentiva come se la testa le potesse esplodere da un momento all’altro, ma si sforzò di controllarsi e, a denti stretti, disse: «È un’artista della manipolazione, sergente! Perfino il suo piccolo protetto dice che non è sana di mente, per l’amor di Dio!».

Alla bestemmia, Joseph le rivolse uno sguardo sprezzante, e per l’ennesima volta la rabbia che Nikki aveva provato all’inizio nei suoi confronti tornò a manifestarsi. «Si faccia furbo, sergente Joe! Ha appena parlato con una psicopatica senza cuore e dal sangue freddo. Crede sinceramente che le stesse dicendo la verità? È così ingenuo? Perché in quel caso, non penso di volerla nella mia squadra».

Joseph serrò con forza la mascella, ma non disse nulla in sua difesa.

La pressione nella testa di Nikki stava crescendo e, senza averlo premeditato, afferrò la lampada sulla scrivania, la sollevò in aria e la scagliò contro la parete.

Lo schianto echeggiò nel piccolo ufficio, e frammenti di vetro si sparsero sul pavimento. Poi tutto divenne quieto, e la forza terribile all’interno della sua testa si ridusse lentamente.

Osservò Joseph, ancora immobile e silenzioso accanto alla porta, e disse: «Mi dispiace moltissimo. È stato imperdonabile».

«Mossa intelligente, in realtà. È quello che insegnano nei corsi di gestione della rabbia».

«E lei che diavolo ne sa della gestione della rabbia?», sussurrò Nikki, cercando ancora di capire perché quella donna crudele e terribile potesse suscitare in lei reazioni tanto violente.

«Parecchio. Neanche immagina la quantità di volte che ho urlato dentro un cuscino, o distrutto un vaso di piante, ma questa è un’altra storia». Guardò il mucchio di vetro e metallo frantumati nell’angolo. «Spero non fosse una delle sue preferite».

Nikki guardò a terra e scosse la testa. «Non penso di averla neanche mai notata, finché non l’ho afferrata». Si lasciò cadere pesantemente sulla sedia. «E quando dicevo che è stato imperdonabile, mi riferivo alle cose che ho detto a lei, e mi scuso». Alzò lo sguardo su di lui. «Che diamine faremo? La nave arriva tra meno di due ore, e adesso questo! Cosa dovremmo fare?»

«A rischio di mettere in pericolo altri oggetti d’illuminazione elettrica…», in mancanza di una bandiera bianca, Joseph alzò le mani e proseguì, «devo dire che io andrei da Doyle, anche solo per vedere cosa diavolo ha in mente».

Nikki fece un respiro profondo. «E io sostengo che sia soltanto l’ennesimo stratagemma per tenerci occupati, e lontani dalla zona del porto».

«E in quel caso, la gang sarebbe ancora più soddisfatta se ci presentassimo davvero. Si convincerebbero che non sappiamo nulla della consegna». Voltò appena la testa, poi la fissò di traverso. «E se, giusto per ipotesi, Doyle si fosse cacciata in qualcosa di troppo grosso per lei? Mi ha detto che è malvagia, ma non intelligente. E se avesse fatto incazzare le persone sbagliate? Sappiamo di cosa sono capaci, guardi Marcus e Mickey».

«Dovremmo andare al porto. Potrebbe essere la cosa più grossa in cui si è mai trovato coinvolto».

«Quegli uomini sono dei professionisti, possono farcela benissimo senza di noi». Joseph si appollaiò sul bordo della scrivania e, pensieroso, abbassò lo sguardo su di lei. «È moltissimo tempo che dà la caccia a questa donna a discapito di tutto. È la sua opportunità di scoprire cosa è successo davvero ad Hannah».

Nikki si morse con forza il labbro. Era vero. Aveva aspettato tutto quel tempo, e adesso voleva lasciarsi sfuggire l’occasione? Chiuse gli occhi e rivide sua figlia, la sua incantevole bambina, com’era prima di uscire a bere una sera, con un’amica fatale.

Quando li riaprì, i suoi occhi erano perfettamente concentrati, e freddi come il ghiaccio. «Quindi, dov’è di preciso che abbiamo appuntamento con lei?».