Richard
Una volta che Chris ha deciso di trattenersi un po’ più a lungo per aspettare che Grace si svegli, chiede di usare il mio computer. «Devo solo sistemare un paio di questioni di lavoro in modo che non ci scoccino nei prossimi giorni», mi spiega. Ha il viso cupo e stanco.
«Non c’è problema», gli rispondo.
Lo accompagno al piano di sopra e gli mostro il mio computer nello studio.
“È possibile che abbia qualche responsabilità?”, mi chiedo ancora una volta, mentre lo lascio solo. Devo resistere alla tentazione di sbirciare da dietro le sue spalle. Tessa ha i suoi sospetti, è chiaro, ma potrebbero essere solo il frutto di sensi di colpa, perché si è in qualche modo convinta che avrebbe potuto salvare Maria se avesse fatto qualche sforzo in più per restarle accanto dopo il matrimonio.
Attraversando il ballatoio, noto che abbiamo lasciato il bagno nelle condizioni disastrose in cui lo ha ridotto Grace, e decido di metterlo in ordine, affinché Tessa lo trovi pulito. Asciugo l’acqua dal pavimento con il copriletto già bagnato, poi lo metto nel corridoio con l’intenzione di appenderlo ad asciugare in giardino, e lavo il sapone rappreso dalla vasca da bagno.
Mentre strofino, inizio ad avvertire una certa confusione su qualcosa che ho sentito per sbaglio durante il bagno di Grace. Mi pareva di aver sentito Lucas dire qualcosa sulla morte di Maria, ma sono sicuro di sbagliarmi, altrimenti Zoe avrebbe reagito in modo diverso quando le ho parlato qualche istante più tardi.
Chissà se riuscirò a convincere Chris a lasciare che Grace resti qui fino all’ora in cui prende il tè. Sarebbe difficile per lui farlo in un albergo. Chissà se lei mangia la zuppa. Chissà quando inizierà a sentire la mancanza di sua madre.
Sembra che Grace abbia giocato con tutte le bottiglie di plastica messe ordinatamente in fila sul bordo della nostra vasca, e così inizio a recuperarle da ogni angolo della stanza e rimetterle nella loro posizione originaria. Non siamo abituati a cambiare il posto alle cose, io e Tess. La nostra è una vita tranquilla.
Mi inginocchio sul pavimento per prendere una bottiglia di shampoo che, chissà come, si è incastrata sotto l’appoggio del lavabo quando un desiderio intenso mi assale. Prima è un’ondata di spossatezza, poi una cascata di tutte le emozioni che non sono capace di sopportare.
Accanto a me, ricavata nel rivestimento della vasca, c’è una porticina. Se la spingo, si apre e dietro è nascosta una bottiglia di vodka. Vodka disgustosa e di pochi spiccioli. Vodka meravigliosa e anestetizzante. Basterebbe una spinta con un solo dito e potrei averla.
Mi sforzo di non sgarrare. Resto seduto lì, sulle ginocchia, nel nostro piccolo, grazioso bagno, e penso a quella bellissima bimba, e alla famiglia distrutta di Tessa, e al disastro che è il nostro matrimonio. E anche se devo fare appello a tutte le forze di cui dispongo, riesco a uscire dalla stanza senza toccare la bottiglia.
Andarmene è difficilissimo. Ma c’è una ricompensa, non posso negarlo perché, mentre scendo lentamente al piano di sotto, mi costringo a riconoscere che rinunciare alla bottiglia è anche una specie di vittoria, per quanto mi senta tristissimo.