Zoe

Dopo aver letto questa piccola parte della sceneggiatura, sono del tutto in preda all’orrore. Mi sento sconvolta. Vorrei continuare a leggere, disperatamente, perché vedo che c’è un’altra parte, ma all’improvviso mi rendo conto che la psicologa della polizia sta sbirciando dalla porta.

«Zoe, ti va di venire al piano di sotto e stare insieme agli altri?», domanda, ma poi vede che sono al computer e attraversa la stanza con movimenti così meccanici da ricordarmi quei piccoli aspirapolveri rotondi, tozzi, ma con una certa, strana eleganza, e con un’espressione fissa sul viso.

Le parole successive che pronuncia hanno un tono preciso, tipo “Sei sotto la mia custodia”. È lo stesso tono che usavano in carcere prima di passare alle urla.

In carcere esisteva una precisa progressione nell’uso del tono di voce, ed era questa: al primo stadio, c’era la voce del “Sei sotto la mia bonaria custodia”, poi “Attento a non farmi innervosire”, poi “È l’ultimo avvertimento”, e infine le urla; a quel punto gli operatori accorrevano in massa e bloccavano fisicamente il soggetto. I ragazzi che non erano abbastanza perspicaci o che si facevano prendere dal panico, finivano per essere strozzati solo perché non si erano controllati.

Capitò a un tizio poco prima che portassero anche me dietro le sbarre. Ne parlavano tutti durante le mie prime settimane in cella.

Il tono “Sei sotto la mia custodia” della psicologa della polizia sembra abbastanza amichevole, ma non riesce a liberarsi di quella sfumatura da essere superiore e perfetto che hanno le persone quando pensano di essere più sane di mente di te.

Non posso negare di essere collegata alla rete perché probabilmente lei non è stupida, ma sono riuscita a chiudere la finestra della posta elettronica di mia madre e del copione, e persino a cancellare rapidamente una parte della cronologia delle pagine visualizzate prima che lei sia abbastanza vicina da prendersi la briga di recuperare gli occhiali da lettura da una tasca e sbirciare lo schermo. Sono rapida a coprire le mie tracce, vero? Ci sono così tante regole da seguire nella casa della seconda occasione che bisogna esserlo per forza.

«Che cosa stavi guardando, cara?», chiede.

«Solo YouTube».

Con gli occhi portiamo avanti un’altra conversazione rispetto a quella generata dalle parole. Sotto la fronte critica che si è frantumata in una serie di rughe, gli occhi di quella donna stanno dicendo: “Che diavolo stavi leggendo?”, e i miei rispondono: “Il mondo dovrà sparire nel nulla prima che io te lo dica”.

«Hai trovato qualcosa di speciale su YouTube?»

«Stavo cercando la registrazione di un brano musicale».

«Non devi smettere solo perché sono arrivata io».

«È un brano che mia madre amava molto. Non me la sento di ascoltarlo insieme a qualcuno oggi, se non le dispiace».

Nonostante, o forse a causa di tutte le raccomandazioni sul fatto di non piangere in pubblico, sin da quando ero bambina sono stata capace di trattenere le lacrime ma anche di farle uscire, e oggi è persino più facile del solito perché sono lì pronte, autentiche.

Con qualche lacrima esco dalla trappola e lei mi accompagna al piano di sotto mormorando: «Oh, piccola, non è facile, lo so», anche se sono sicura che non è una donna stupida e credo che sia un chiaro tentativo di farmi “aprire”, ma ci sono più probabilità che io diventi la settima moglie di Enrico VIII.