Zoe

Sam fissa il palazzo oltre la finestra del suo studio per molto tempo, e intanto resto seduta appoggiandomi allo zio Richard che ha un odore stranamente dolce. Penso agli uomini che probabilmente in questo momento girano nella casa della seconda occasione alla ricerca di indizi. Immagino la scena proprio come il rottame dell’auto nel Devon: circondata dal nastro adesivo, proprietà della polizia.

Mi chiedo se la farfalla sia ancora acquattata in un angolo del soffitto del pianerottolo nella casa della seconda occasione oppure se, nel buio, le ali si siano aperte e chiuse così tante volte da consumare le sue riserve di energia, lasciandola cadere a terra. Mi chiedo se gli uomini con la tuta bianca troveranno un minuscolo cumulo di squame impolverate e una carcassa con le zampe lunghe e sottili sul tappeto beige del nostro pianerottolo.

Dopo un po’, Sam si schiarisce la gola, ci annuncia che deve fare una telefonata ed esce dalla stanza. Io e Richard restiamo al nostro posto; lui prima cerca qualcosa sul cellulare, poi lo appoggia sul tavolo, ma poi lo riprende e ricomincia a cercare, e allora capisco che sta aspettando la telefonata di Tess.

Non mi resta che fissare il panorama che stava guardando Sam.

Le finestre del palazzo di fronte sono come piccole scatole, ognuna mostra un pezzettino della vita di uno sconosciuto. Vedo una donna alla scrivania che apre con cautela delle buste usando un coltellino, poi tira fuori le lettere e le dispiega, quindi con un grosso timbro sferra un colpo sulla carta. Non sento i rumori, ovviamente, ma ci pensa la mia immaginazione a fornire la colonna sonora, e il botto del timbro quando colpisce la carta è forte dentro la mia testa, come il rumore tagliente del coltellino che apre la busta, e la sorsata ogni volta che la donna beve il caffè dalla tazza. I rumori si alternano nella mia mente, in un crescendo simile al panico che avverto, finché non rientra Sam.

Avevo ragione ad aver paura, perché mi ha tradito.

«Ho chiamato tuo padre», mi comunica. «Sta arrivando».

«No!». Non voglio vedere mio padre per nessun motivo al mondo. Non si è occupato di me la volta scorsa, come potrebbe farlo adesso che è persino peggio?

«Non arrabbiarti, Zoe», dice Sam. «Hai bisogno di qualcuno che si prenda cura di te».

«Che cosa ne sai?»

«Lo so».

Fa cenno di sì con la testa, come per confermare che ha ragione, ma è falso. Vorrei continuare a discutere di questo argomento perché sono molto spaventata all’idea di come mi tratterà mio padre.

Fisso Sam con uno sguardo duro, pensando a cosa potrei dire, quando il telefono di Richard squilla e lui per afferrarlo si lancia verso il tavolo, sulla cui superficie lucente sta vibrando con un movimento persino più rapido del tremore delle mani di mio zio.

Sullo schermo sono visualizzate le parole “Tess cellulare”.

«Oddio, sei tu!», dice, praticamente urlando, dopo aver pestato lo schermo per rispondere. «Grazie a Dio! Grazie a Dio! Dove diavolo sei stata?».

Lei parla con agitazione; attraverso il telefono si sente la sua voce, ma è impossibile distinguerne le parole. Il viso di Richard perde vigore mentre si concentra sulle risposte di Tess.

«Mi dispiace, tesoro», dice alla fine. «Mi dispiace tanto per Maria, non riesco a crederci e pensavo che tu… no, non preoccuparti, pensavo che fosse successo qualcosa di brutto anche a te», mormora, e si mette una mano sul petto, ma mente quando aggiunge: «Oddio, Tessa, no, non sto piangendo, no. Va bene, sì», e poi riprende il controllo quando spiega: «Siamo dall’avvocato, l’avvocato di Zoe, te lo ricordi? Lei ha voluto che l’accompagnassi qui… Naturalmente abbiamo detto alla polizia dove saremmo andati, a dire il vero erano immersi nel caos, non ispiravano certo sicurezza… No, non ho pensato questo… No, scusa, no, forse avrei dovuto, ma non c’è stato il tempo di pensare… Sì, lei sì… va bene…».

Mi passa il telefono. «La zia Tess vuole parlare con te. Sta bene».

All’inizio non riesco a parlarle. Il suono della sua voce, così strozzata e strana, mi fa ricominciare a piangere.

«Che cosa è successo?», chiede.

Ci metto qualche secondo per riprendere a respirare normalmente, intanto Richard mi mette un braccio sulle spalle. «Non lo so. Era nella rimessa. Lei non va mai nella rimessa».

«Quando? A che ora?»

«Noi siamo andati a letto. Siamo andati tutti a letto e Katya ci ha svegliato, quando è tornata».

«È stata Katya a trovare mamma?»

«Sì».

«Zoe, non hai fatto nulla di male, quindi non comportarti come se fossi colpevole, in nessun caso. Credo che dovresti andare via dallo studio di Sam e tornare alla stazione di polizia insieme agli altri».

«Non voglio stare nella stazione di polizia». Come i tribunali, le stazioni di polizia sono nidi di vespe, un posto dove posso commettere errori, dire la cosa sbagliata, scavarmi la fossa da sola, aprirmi le porte della prigione.

«Lo so, capisco, ma sto arrivando, ci vediamo lì, così cercheremo di capire che cosa è successo e cosa possiamo fare. Non hai bisogno di un avvocato. Non hai fatto nulla di male».

«Non voglio stare insieme ai poliziotti».

«Ma non vuoi nemmeno che sospettino che hai fatto qualcosa, vero?».

A volte le persone ti dicono qualcosa senza mezzi termini, e mi piace. Non avevo pensato che andare da Sam potesse mettermi in cattiva luce, ma all’improvviso mi rendo conto che Tess forse ha ragione.

Approfitto del suo silenzio e le chiedo: «Dove sei?»

«Sono stata con un amico. Ho lasciato il telefono a casa. Mi dispiace non averti raggiunto prima».

«Dovrò vivere con papà, adesso?».

Lei sospira prima di rispondere, ed è un suono cupo. «Onestamente, non so cosa potremo fare. Un passo alla volta, per il momento. Zoe? Ci sei?»

«Sì».

«Non preoccuparti di questo, adesso. Ci prenderemo cura di te, va bene? Te lo prometto».

Sam è gentile con me mentre ci accompagna fuori dall’edificio, i nostri piedi calpestano pesantemente le scale per diversi piani.

«Non credo di aver mai avuto un cliente per due volte di seguito in così breve tempo», osserva. «È davvero un caso raro».

“Forse nessuno ha mai avuto bisogno di te come ne ho bisogno io”, penso. Siamo davanti ai gradini dell’edificio adesso, e le lievi ombre del mattino diventano già più corte e più nette, mentre il sole si alza e inizia a infuocare la città, rendendo accecanti le superfici.

«Non temere, Zoe», mi rassicura. «La polizia ti proteggerà fino a quando non scoprirà quel che è accaduto. Si occuperanno di questa storia meglio di quanto saprei fare io».

Sono davvero allibita dal fatto che Sam, che ha visto con quanta ingiustizia sia stata trattata in passato, possa pensare una cosa del genere, e addirittura dirmela chiaramente. Fino a questo momento, non è mai entrato nella categoria degli “adulti che non capiscono”, ma si guadagna il suo tesserino da membro iscritto al club proprio lì, sul marciapiede, e la delusione mi fa male al cuore.

Mentre torniamo in taxi verso la stazione di polizia, la mia mente è così vuota che riesco solo a pensare al fatto che l’aria condizionata in quest’auto sia rotta, e il sudore sta disegnando una mezza luna sotto ognuna delle ascelle dello zio Richard.