Lunedì mattina
Sam
Zoe e io non parlammo a lungo, la prima volta che ci incontrammo alla stazione di polizia di Barnstaple. Io volevo principalmente presentarmi, rassicurarla il più possibile e spiegarle che ero lì per aiutarla. Volevo cercare di guadagnarmi la sua fiducia, e solo in seguito iniziare a fare domande dettagliate. E non volevo cominciare a interrogarla prima del colloquio informativo con il poliziotto che si occupava del caso.
Lo incontrai nella reception dell’area di custodia. Dopo una breve stretta di mano, ci sedemmo in una stanza simile a quella in cui Zoe stava aspettando. Aveva un volto largo, con le basette e gote rosse come quelle di un burattino. L’uniforme gli stringeva sulla pancia.
Mi consegnò il foglio delle accuse e mi disse che avrebbe registrato la sua dichiarazione. Aveva senso: avrebbe documentato l’incontro, così in seguito nessuno avrebbe avuto niente da ridire; perché il mio lavoro è proprio quello, trovare delle falle tra le prove: procedurali o reali, non importa, al mio cliente possono essere tutte ugualmente utili.
Il poliziotto mi riferì tutte le informazioni che avevano. Non era tenuto a farlo, poteva essere evasivo e rivelare i particolari un po’ alla volta, prolungando il procedimento, se voleva. Mi è capitato di dover penare ore, prima di ricevere tutte le notizie, dispensate con il contagocce, frammezzate da estenuanti interrogatori ai clienti, durante i quali eravamo costretti a mettere in atto una difesa basata sull’avvalersi della facoltà di non rispondere, perché non sapevamo che cosa avrebbero tirato fuori dal cappello.
Nel caso di Zoe, il colloquio informativo fu diretto e succinto, e il suo contenuto altamente deprimente.
Quando, in una situazione come questa, ti capita di avere con un poliziotto uno scambio onesto e soddisfacente, la cosa di solito ti restituisce fiducia nella tua professione, ti dà energia per il tran tran quotidiano di criminalità che devi affrontare, perché quel garbato scambio professionale sembra un atto nobile: spazza via i pensieri di avvocati corrotti a caccia di tragedie, agenti che si ingozzano di ciambelle e dispensano manganellate. Avvocato e poliziotto diventano due uomini in una stanza, che difendono la legge; e c’è una certa purezza in questo, una sorta di eccellenza, che nella quotidianità è una cosa molto rara.
Parlando di Zoe, questo scambio civile rese le cose solo un po’ più sopportabili, perché gli elementi che avevano portato all’arresto erano uno più serio dell’altro.
«Quando siamo arrivati, era uscita dall’automobile», cominciò il poliziotto. «Ma era decisamente lei alla guida. Le abbiamo fatto la prova del palloncino sul posto: settantacinque milligrammi».
Mi scoraggiai, perché il valore era ben oltre il limite consentito. Pur essendo così minuta, doveva aver consumato una grande quantità di alcol per essere tanto ubriaca.
«Nell’auto c’erano tre passeggeri», proseguì l’agente impassibile, nonostante fossero cose pesanti da leggere, anche per un professionista. «Il passeggero che viaggiava davanti è morto sul posto; la ragazza seduta dietro di lui, lo stesso; quella sul sedile posteriore, dietro il conducente, è stata trasferita all’ospedale di Barnstaple».
Il poliziotto colse la domanda nel mio sguardo, ma scosse la testa.
«È morta mezz’ora fa. Massiccia emorragia cerebrale. La famiglia ha acconsentito a lasciarla andare».
«Cristo».
«Ho visto diverse scene di incidenti, ma questa era davvero orribile. Dall’auto usciva della musica a gran volume, la si sentiva avvicinandosi: rendeva tutto strano, spettrale».
Immaginai la notte buia, le luci delle stelle in cielo, i fari dell’auto fermi a un’angolazione insolita, un motore fumante, la carrozzeria contorta, i vetri rotti e lo stereo che ancora diffondeva a tutta potenza musica da viaggio per i corpi spezzati all’interno, solo due dei quali su quattro producevano sfilacciate nuvole di respiro nella fredda oscurità.
«All’ospedale, la ragazza ha acconsentito a un esame del sangue», continuò il poliziotto. «Che ha confermato che era ben oltre il limite».
«Zoe ha accettato?»
«E il medico».
Se fosse stata soltanto Zoe ad acconsentire all’esame del sangue, avrei forse avuto qualcosa su cui lavorare, a causa della sua età. Era un’altra di quelle situazioni in cui doveva esserci un adulto a consigliarla. Ero piuttosto sicuro che la polizia avesse registrato il consenso, ma mi ripromisi comunque di controllare.
«Il rapporto sul traffico?»
«Richiesto».
«Quanto ci vorrà?»
«Faremo il prima possibile… Lo avremo alla fine della settimana, probabilmente».
In quelle fasi preliminari del procedimento, parte del mio lavoro consisteva nell’assicurami che la polizia avesse le prove necessarie per sostenere ogni singolo elemento del reato che la procura avrebbe presentato in tribunale. Avrei avuto bisogno di ricevere tutti i risultati degli esami e i documenti prima di potermi fare un’opinione, ma la gravità della voce del poliziotto e l’apparente rigida adesione al protocollo mi suggerivano che, almeno per quanto riguardava quell’ambito dell’indagine, le cose per Zoe non si mettevano affatto bene. Se fossi mai riuscito a trovarle una linea di difesa, ritenevo improbabile che si nascondesse nei dettagli procedurali, nei fatti relativi all’incidente o nella qualità del trattamento riservatole in seguito perché, fino a quel momento, la polizia sembrava aver fatto tutto da manuale.
«Dovrete rilasciarla su cauzione. Non potete tenerla dentro, è troppo giovane».
Mi domandavo se avrebbe avuto da ridire, a causa della gravità di ciò che Zoe aveva fatto, ma non fu così.
«Non credo che ci saranno problemi, naturalmente a determinate condizioni».
«Bene. Ne possiamo discutere. Quindi la accusate di “omicidio per guida pericolosa sotto l’effetto di sostanze alcoliche”».
«Mi dispiace», mormorò lui, ma in realtà voleva dire “Sì”.
Ci alzammo in piedi. Le sedie non si mossero, perché erano fissate al pavimento. Con una forte stretta di mano, il poliziotto aggiunse: «È una brutta storia. È un peccato. È solo una bambina».
Annuii. Ero d’accordo con lui, ma mi domandai se le famiglie dei ragazzini morti l’avrebbero pensata alla stessa maniera.
Prima di lasciare la stanza, chiesi: «Lei lo sa? Dei morti?»
«Sa dei primi due, ma non della ragazza morta in ospedale. Mi dispiace».
Di nuovo quelle parole.