Lunedì mattina
Sam
Quando tornai alla stazione di polizia di Barnstaple, a parlare con Zoe dopo il colloquio informativo con il poliziotto incaricato, la trovai esattamente nella stessa posizione della prima volta: rannicchiata nella sedia di plastica, con l’assistente sociale seduta in silenzio accanto a lei.
Zoe mi osservò entrare e sedermi, gli occhi da postumi della sbornia che mi seguivano come quelli di un gatto, sotto i capelli disseminati di schegge di vetro.
«Ciao di nuovo», dissi.
«Salve».
«Allora. Hai detto a nessuno che sei stata arrestata?»
«Hanno chiamato mia madre».
«Vuoi che venga qui con noi?»
«No».
L’assistente sociale contrasse le labbra, ma non disse nulla.
«Puoi dirmi perché?»
«Non volevo che lo sapesse».
«È qui fuori, Zoe, sa che sei qui, e sa anche perché. Non riuscirai a tenerglielo segreto».
Zoe scosse decisa la testa, così non insistetti. Un frammento di vetro cadde dai capelli sul tavolo davanti a lei e lei ci mise un dito sopra, incuriosita, quasi ipnotizzata. Sembrava un piccolo diamante.
«Ferma!», esclamai, ma era troppo tardi. Il vetro le tagliò il dito, e lei lo ritirò di scatto, mettendoselo in bocca. La minuscola scheggia schizzò via, finendo sul pavimento.
«Chiamo l’infermeria», disse l’assistente sociale.
«Va tutto bene», la rassicurò Zoe. «Non è niente». Sollevò il dito per mostrarci una piccolissima goccia di sangue che si stava formando, poi la succhiò via.
L’assistente sociale frugò nella borsa e le allungò un fazzolettino. Guardammo entrambi Zoe avvolgerlo stretto attorno al dito, finché la punta non divenne bianca.
«Be’, se cambi idea, possiamo far entrare tua madre in qualsiasi momento. Che mi dici di tuo padre?».
Scosse di nuovo la testa, ancora più decisa, questa volta.
«Ti senti abbastanza bene da parlare con me, ora?». Da vicino, aveva un aspetto ancora peggiore di quel che pensavo. Mi avevano riferito che in ospedale aveva vomitato.
«Sì».
«Il tuo benessere è importante per tutti, quindi devi informare immediatamente me o…».
«Ruth», aggiunse l’assistente sociale.
«Devi informare immediatamente me o Ruth, se stai troppo male per parlare, o se non vuoi farlo per qualsiasi altra ragione. Ruth è qui per appoggiarti e, come ti ho detto, io sono un avvocato: perciò devo assicurarmi che tu riceva i giusti consigli per affrontare questa situazione, e che tu comprenda tutto ciò che succederà questa mattina o che è accaduto ieri notte. E, cosa più importante, questa è la ragione per cui devi dirci se non ce la fai: devo assicurarmi che tu comprenda appieno quali effetti possono avere le dichiarazioni o le risposte che fornirai alla polizia».
«Sto bene».
Mi domandai da dove venisse quello stoicismo. Non sapevo ancora del pianoforte, della sua abitudine alla disciplina e all’autocontrollo, e del suo desiderio di eccellere, ma l’intelligenza stava iniziando a emergere. C’era una nitidezza incredibile, nei suoi occhi.
«Vivi qui vicino, Zoe?»
«Tra Hartland e Clovelly, a East Wildberry: è una fattoria».
«Vicino al promontorio di Hartland Point?»
«Sì. È lì che stavamo andando».
«In macchina? A Hartland Point?»
«Al faro».
«Perché?»
«Perché Jack ha detto che potevo usare l’automobile di suo padre per accompagnare a casa Gabi, ma solo a condizione che prima andassimo lì».
Pensai al faro di Hartland Point, perché lo conoscevo bene. Per arrivarci dovevi intrufolarti oltre alcuni cancelli chiusi e scendere un sentiero ripido e coperto di pietrisco lungo la scarpata fino al bagnasciuga, dove rocce nere costeggiavano la linea della marea come denti di squalo. La torre con il proiettore si ergeva su una roccia sporgente fortificata da una diga marittima, per impedire che venisse abbattuta dalle onde: non era più occupata e stava per essere completamente smantellata. Accanto al faro vero e proprio c’erano degli edifici vuoti, dove un tempo viveva il guardiano.
Quattro adolescenti ubriachi, che progettavano di recarsi laggiù in una notte buia e fredda, mi sembravano un brutto affare.
«Perché Jack voleva andare al faro?».
Prima di rispondere «Non lo so», dietro quegli occhi ponderò qualcosa.
Cambiai approccio. «Come hai imparato a guidare?»
«Me l’ha insegnato mio padre alla fattoria».
«Perché guidavi tu, visto che Jack era abbastanza grande da avere la patente?»
«Jack era sbronzo. Era troppo sbronzo per guidare».
«Ma eri ubriaca anche tu».
«Non è vero. Avevo bevuto solo uno spritz».
«Secondo la polizia, il livello di alcol nel tuo sangue era il doppio del limite».
«Non ero ubriaca».
Per il momento accettai il suo diniego. Me ne sarei occupato in seguito. Se per qualche ragione non sapeva di essere ubriaca, potevamo avere un appiglio per costruirci una difesa.
«Perché Gabi voleva lasciare la festa?»
«Perché stava male e voleva tornare a casa».
«Male per il troppo bere?»
«Credo di sì».
«Tu eri con lei?»
«È venuta a cercarmi quando si è sentita male».
«Siete amiche?»
«È la mia migliore amica».
«E dov’eri, tu, quando è venuta a cercarti?»
«Con Jack».
«Dove eravate?»
«In camera da letto».
Presi nota della risposta, con l’assistente sociale che si agitava sulla sedia, e mi domandai se fosse un tono di sfida, quello che avevo sentito nella voce di Zoe. Più tardi avrei avuto bisogno di conoscere ogni dettaglio, ma per il momento decisi che non le avrei fatto pressione, perché la vidi scolorire e pensai che fosse sul punto di vomitare.
«Credo che dovremmo fare una pausa, perché non sono convinto che tu sia nelle condizioni di essere interrogata, questa mattina. Ma prima che ci fermiamo, c’è qualcos’altro che vuoi farmi sapere, Zoe? Parleremo ancora molto, ma c’è qualcosa che vuoi che io sappia adesso?»
«Oggi è il compleanno di Gabi», replicò lei, e si mise a piangere.