Sam

È un dejà vu: Zoe Maisey è seduta di fronte a me, e anche questa volta ha il colore cadaverico dello shock. L’unica differenza è che adesso non ha pezzi di vetro tra i capelli, e non indossa gli indumenti dell’ospedale. Porta una tuta per ragazze tipo pigiama, e sopra un cardigan leggero, che tiene ben stretto addosso. Trema.

Accanto a lei è seduto suo zio. Ha il volto arrossato, sudato e puzza di alcol. Spero non abbia guidato fin qui assieme a Zoe, perché mi pare che abbia bevuto più del dovuto, ma mi conforta il pensiero che qualcuno in famiglia avrebbe sicuramente impedito un gesto del genere.

Eppure, nonostante gli occhi iniettati di sangue, i pori dilatati e grassi, e le ciocche di capelli spettinati che iniziano appena a sbiancarsi sulle tempie, è innegabilmente molto gentile e ancora affascinante. Ha dei modi cortesi ed educati, anche se è incredibilmente snob. Non sono mai riuscito a immaginare Tess con un marito snob, ma capisco benissimo perché lo abbia sposato e devo impedirmi di odiarlo per questo. Non devo fare confronti tra noi due. La gelosia sarebbe fuori luogo.

«Ha davvero bisogno di sua zia», mi dice Richard. «Mia moglie. Abbiamo provato a metterci in contatto con lei per ore, ma ieri sera è uscita e ha lasciato il cellulare a casa, e ora non sappiamo dove sia».

Io conosco il nome di quest’uomo, ma lui non lo sa, e devo fare attenzione a ciò che dico.

Gli stendo la mano. «Sam Locke», mi presento.

«Richard Downing». Mi accorgo che trema, e il palmo è sudato. Stringe entrambe le mani intorno alla mia, e la sua fede nuziale, identica a quella di Tess, mi tocca le nocche nella stretta. «Mi dispiace presentarmi in questo modo, ma so quanto sia stato di aiuto per la nostra famiglia in passato. Mia moglie, Tessa, mi ha raccontato tutto; e Zoe era disperata».

Mi chiedo perché non sia mai venuto in tribunale, perché io e lui non ci siamo mai incontrati prima. Non ho il tempo di rifletterci, però, perché lui parla in modo incessante, e quasi furtivo.

«Il punto è che sono preoccupato per Tessa», continua. «Non so proprio dove sia. Mi scusi, so che non dovrei preoccuparmi di una cosa del genere, vista la tragedia di ieri sera, ma è uno strano comportamento da parte sua. E se fosse successo qualcosa anche a mia moglie?».

Ha gli occhi spalancati ed è sinceramente preoccupato, ma non ho intenzione di continuare questa conversazione.

Guardo Zoe che mi sta fissando con uno sguardo gelido; credo non stia ascoltando nulla di ciò che diciamo.

«Sono sicuro che sua moglie si farà viva», dico a Richard piuttosto seccamente, non potendogli certo riferire che Tessa in realtà sta bene. «Magari è andata da una sua amica ieri sera».

Lui sta per replicare ma, poiché voglio troncare questo discorso, mi rivolgo a Zoe e le pongo la domanda che mi ronza per la testa da quando mi ha chiamato Jeanette: «Perché sei venuta da me?»

«Perché sembra tutto come l’altra volta», risponde. «Esattamente come l’altra volta».

E inizia a singhiozzare in modo così orribile e angoscioso da spezzare il cuore. Eppure, nonostante questa sua manifestazione di dolore, ciò che mi chiedo è se sappia qualcosa e se sia consapevole di aver bisogno di protezione.

Richard tenta di confortarla. La abbraccia e lei appoggia la testa sulla sua spalla. Lui ha un’espressione disperata, e quando lo guardo negli occhi scorgo tanta compassione e confusione, e una chiara richiesta di aiuto.

«Perché è come l’altra volta?», chiedo a Zoe quando il pianto sembra un po’ placarsi. «Ti senti responsabile, in qualche modo?».

Richard esclama: «No aspetta!».

«Devo farle questa domanda».

«Ha appena perso sua madre!». Quelle parole sembrano quasi soffocarlo.

«E io sono dalla sua parte, ma devo sapere perché ha deciso di venire qui».

Zoe è emotivamente e socialmente immatura, ma ha anche un’intelligenza fuori dall’ordinario. Tutte le perizie fatte durante il processo lo hanno evidenziato. Ha le stesse capacità di elaborazione di qualsiasi giudice che potrebbe occuparsi del suo caso e conosce anche bene il sistema. Certo, è sotto shock, ovvio, ha appena perso sua madre, ma se è venuta qui deve aver avuto un motivo e voglio sapere esattamente qual è.

Zoe si stacca dall’abbraccio dello zio, che adesso ha la spalla bagnata delle sue lacrime e risponde: «Perché ho paura».

«Paura di che cosa?»

«Di Tom Barlow».

Lo ricordo dai tempi del processo.

«Perché di Tom Barlow?»

«Dicono che ieri abbia mandato a monte il concerto di Zoe, e che dopo sia andato a casa della sua famiglia», spiega Richard mentre Zoe mi fissa con gli occhi da cucciolo indifeso.

«Credi che abbia fatto del male a tua madre?»

«Non lo so. È un tipo gentile».

Lo diceva sempre in quel periodo: «Amelia Barlow è una persona orribile, anche se i suoi genitori sono molto gentili».

«La polizia ci ha assicurato che andranno a fargli qualche domanda», aggiunge Richard.

«Se la polizia sa chi è, allora non devi preoccuparti», tranquillizzo Zoe. «Non gli permetteranno di farti del male. Ma cosa c’è?».

Lei scuote forte la testa. «E se invece danno la colpa a me?».

Sospiro. La mente di Zoe si è abbondantemente plasmata e ha assunto la mentalità della vittima. Per risponderle, decido di adottare la linea dura: «Hai fatto qualcosa per cui puoi essere incolpata, Zoe?».

«Oddio, tesoro». Richard le accarezza la schiena. «Non sei obbligata a rispondere».

Dal suo sguardo, vedo che Zoe ha capito che ho dovuto farle quella domanda, e che è pronta a rispondere. Non è la prima volta che discutiamo della sua responsabilità rispetto alla morte di una persona. Io e Zoe abbiamo già affrontato questo viaggio, e non ci spaventa, anche se Richard sembra sul punto di vomitare.

«No», risponde Zoe, «dormivo. Mi sono addormentata insieme a mia sorella, la mia sorellina. Sono andata a dormire con lei nella sua cameretta. Non ho sentito nulla perché mi sono messa le cuffie».

Sono sul punto di rassicurarla che allora, in questo caso, non ha nulla da temere; di sicuro non sussiste alcun motivo per cui la polizia dovrebbe pensare che abbia fatto del male a sua madre, ma Richard mi interrompe.

«Tessa è andata al concerto!», esclama, come se quel ricordo fosse un enorme pesce che è riuscito a prendere all’amo dal lago vuoto del suo cervello imbevuto d’alcol.

«E dopo è venuta a cena da noi», gli dice Zoe. «Era lì».

«Sì, è vero», aggiunge Richard mentre Zoe gli ricorda gli spostamenti di Tess, e i suoi neuroni trovano il modo di uscire dallo stato di ebbrezza e rimettere in ordine in qualche modo gli eventi della sera precedente. «È andata al concerto, e dopo abbiamo parlato e lei ha detto che sarebbe rimasta a cena da voi, ma poi non l’ho vista».

“Io sì”, penso, ma non posso dirlo.

«Abbiamo mangiato delle bruschette», riferisce Zoe a Richard mentre le lacrime continuano a rigarle piano le guance. «Ma la polizia adesso è lì, non possiamo tornare a casa».

Sebbene spesso pensi a lei come a una ragazza con un’intelligenza molto sviluppata per la sua età, oggi mi sembra decisamente una bambina e così mi sento un po’ in colpa per il duro interrogatorio al quale la sto sottoponendo, pur sapendo di non avere altra scelta.

Mi rendo conto di agire ben oltre le mie competenze professionali. Questa conversazione sembra personale, anziché professionale, e mi fa sentire estremamente nervoso. Se ci fosse stata Tess con Zoe, non le avrebbe permesso di venire qui.

Mi alzo, guardo fuori dalla finestra. Ho bisogno di rimettere in ordine i miei pensieri.

Idee appena abbozzate corrono rapide nella mia mente: Zoe avrà bisogno di tantissimo aiuto, ma non del tipo che posso darle io. È venuta qui perché ha paura, nient’altro, e non perché ha bisogno di assistenza legale. Il mio intuito mi suggerisce che in questa storia lei non ha colpe; e di solito il mio intuito non sbaglia, tranne qualche volta.

Ma ciò che mi preoccupa più di qualsiasi altra cosa, e che mi spinge a usare la forza bruta per aprire di più la finestra, sperando in una ventata di aria fresca dal canale umido che separa il nostro piccolo edificio dagli altissimi palazzi accanto, è la consapevolezza appena giunta che, anche se lo volessi, non potrei in alcun modo aiutare Zoe in questa circostanza, né dal punto di vista professionale né dal punto di vista umano. E questo perché aver trascorso la notte con Tess ha due risvolti: innanzitutto, che sono un potenziale testimone; e poi che la nostra relazione dovrà diventare di dominio pubblico.

Devo trovare una via d’uscita.