Zoe
Sdraio Grace, la copro con il parasole e abbasso lo schienale del passeggino. Poi bastano solo alcuni giri intorno al patio, e si spegne come una lampadina. Solleva le mani sopra la testa, un pugno sopra ognuna delle orecchie, ed è dolcissima. Il pancino è scoperto e va su e giù mentre respira.
Io e Lucas la portiamo fino in fondo al giardino, spingiamo piano il passeggino sul terreno accidentato e ci fermiamo all’ombra dell’albero frondoso che è diventato altissimo, proprio accanto al capanno dello zio Richard.
Dico a Lucas di seguirmi nel capanno. Dentro, la temperatura è altissima, e si sente l’odore di trucioli di legno e vernice e colla. Nonostante tutto, chiudo la porta alle nostre spalle.
Su un lato c’è un tavolo di lavoro pieno di attrezzi e materiali e sopra c’è una mensola dove sono riposti i modelli dello zio Richard. In gran parte, sono aeroplani in balsa, ma ci sono anche modelli Airfix, perfettamente colorati, e alcuni oggetti tipo Meccano dall’aspetto molto complicato, con motori e cavi. Alcuni dei modellini di aeroplano sono appesi al soffitto con fili trasparenti e ondeggiano un po’ quando entriamo.
Lucas non guarda niente, ma si accascia per terra, resta seduto e alza gli occhi su di me. «Che cosa vuoi?», chiede. «Non mi odi?».
Mi metto in ginocchio, proprio accanto a lui. Non abbiamo molto tempo prima che uno degli adulti ficcanaso ci trovi e ci chieda cosa stiamo facendo.
«Lucas», dico e gli prendo le mani tra le mie, le stringo perché voglio che si concentri su di me, completamente e soltanto su di me. «Si tratta di una cosa molto, molto importante».
«Sono pronto a raccontare tutto». Inizia di nuovo a singhiozzare. «Mi dispiace».
«No!», esclamo. «Non devi dirlo. Non ancora».
«Devo», risponde e i suoi singhiozzi sono così violenti che gli scuoto le mani per cercare di farlo smettere, ma non funziona, così alla fine gli do uno schiaffo in faccia con tutta la forza che ho. Mi fa bruciare la mano quello schiaffo, e fa girare la testa di Lucas da un lato dall’altro.
«Lucas», dico. «Ascoltami. Smettila di piangere».
Ha gli occhi rossi e il contorno delle labbra e del naso bagnato. È disperato. L’espressione del suo viso dice così tante cose, ma io sono concentratissima ed elimino tutto, tranne ciò che voglio dirgli.
«Tuo padre sa che cosa hai fatto?», gli chiedo.
«Sì».
«Che cosa ha detto?»
«Ha detto che dobbiamo proteggerci a vicenda. Dobbiamo dire che stavamo dormendo, e che non sappiamo nulla. Nessuno può provare il contrario».
«Dimmi esattamente che cosa è successo».
«Dopo essere andati a dormire ieri sera, non riuscivo a prendere sonno. Ti ho sentito venire al piano di sopra, e sono rimasto sdraiato a letto per tantissimo tempo, e a un certo punto li ho sentiti litigare in camera da letto. Sembrava che lui minacciasse tua madre, e avevo paura che fosse così arrabbiato per le bugie che voi due gli avevate detto che avrebbe finito per farle del male, così mi sono alzato dal letto, sono andato davanti alla loro porta e l’ho aperta perché volevo dire a mio padre di smetterla. Lui la teneva ferma, ma appena mi ha visto l’ha lasciata andare, e ha cominciato a venire verso di me, ma era furioso. Ho fatto qualche passo indietro verso il ballatoio per allontanarmi da lui, ma mi ha afferrato e mi ha schiacciato contro la parete, in cima alle scale. E tua madre…tua madre lo ha seguito, prendendolo di sorpresa è riuscita a staccarlo da me per un secondo soltanto. È rimasta in piedi tra noi due, e per assicurarsi che io stessi bene si è messa di spalle a mio padre. Così, ho visto che dietro di lei mio padre tornava all’attacco: il suo obiettivo era tua madre, e ho cercato di spostarla fuori dalla sua traiettoria, per terra. Ma quando l’ho spinta, ha urtato contro il pilastro della balaustra in cima alle scale, ci è rimbalzata sopra ed è caduta giù per la scalinata».
Rivedo tutta la scena dentro la mia mente; vedo mia madre ferita distesa sulle scale.
«C’era sangue», aggiunge Lucas. «Cadendo aveva battuto la testa, e c’era sangue».
E mentre accade tutto questo io sono a letto a dormire, la musica di Chopin trasmessa dal mio iPod, e Grace tra le braccia. Quel pensiero quasi mi costringe a rinunciare al mio piano, mi priva quasi del mio coraggio.
«Lui mi ha costretto a ripulire il sangue», spiega Lucas, e il ricordo gli fa venire conati di vomito. «Mi ha costretto a pulire tutto mentre trascinava fuori il corpo. Non sapevo che l’avrebbe messa vicino alla spazzatura. Mi dispiace. Lei meritava molto di meglio».
Mi ci vuole un bel po’ per trovare le parole per la domanda successiva perché è la prova di controllo emotivo più difficile che abbia mai sostenuto. Ma devo farlo per la mamma.
«Perché volevi che cancellassi la sceneggiatura?»
«Perché papà ha detto che dobbiamo coprirci a vicenda. Lui non sapeva dell’esistenza della sceneggiatura, ma ho pensato che se l’avesse vista la polizia avrebbe potuto avere dei sospetti su di lui, e lui avrebbe incolpato me. Ma adesso voglio raccontare tutto ai poliziotti, perché non ce la faccio più a sopportare il segreto».
Sono così vicina a Lucas che esamino il suo viso quasi come per un’autopsia: posso studiarne ogni linea e ogni curva. Osservo ogni singolo poro, vedo l’arco delle sue sopracciglia umide e raggruppate in ciocche e riconosco il suo odore: è lo stesso che impregnava l’aria in carcere, a volte.
È l’odore della paura.
«Ha fatto del male anche a tua madre».
«Sì».
«L’ha uccisa?»
«No».
«Ma è morta a causa sua?»
«Si è uccisa perché lui la faceva sentire inutile».
Conosco quella sensazione; abita in ogni cellula del mio corpo.
«Sarebbe morta in ogni caso, giusto?»
«Non ha mai combattuto contro la malattia. Avrebbe combattuto se la sua vita non fosse stata tanto schifosa. Non aveva nessun motivo per continuare a vivere. Te l’ho detto già».
Appoggio un dito sulle labbra di Lucas. «Sst», mormoro.
Non replico: «Ma aveva te», perché a volte capisco che è meglio non rivelare i pensieri se sei sicura al cento percento che feriranno qualcuno.
Lucas ha il fiato pesante, ma non mi dà fastidio. Mi rendo conto di amare il fatto di essere l’unica in grado di leggere la sua anima. Lucas si è portato dentro un segreto, proprio come me, e questo pensiero è potente. Mi fa battere il cuore un po’ più forte.
Premo una guancia contro la sua, in un punto in cui le sue lacrime riescono a sigillarci insieme, e poi appoggio la testa sulla sua spalla mentre lui piange, e piange, come se la sua tristezza non dovesse finire mai; e per tutto il tempo la mia mente corre, e i miei pensieri si fanno molto, molto chiari.
Poi lui dice: «Ho fatto un video con il mio telefono. Dopo aver aperto la porta della loro camera da letto, ho registrato la scena dell’aggressione, perché volevo farti vedere che razza di uomo è».
«È ancora sul tuo telefono?».
La polizia lo troverà di sicuro, se c’è.
«L’ho cancellato insieme alla sceneggiatura».
Potranno metterci un po’ di più, ma lo troveranno. Il punto è che voglio muovermi in fretta.
«Ma l’ho scaricato», aggiunge Lucas, «prima di cancellarlo. Nel caso avessi dovuto provare che stavo cercando di aiutarla perché papà le stava facendo del male».
Mi descrive il video e, mentre parla, i miei pensieri si definiscono. Perfettamente.
Prendo le mani di Lucas tra le mie, ancora una volta, e faccio un sospiro profondo.
Poi gli dico: «Ti perdono», perché sono le parole che avrei sempre voluto sentirmi dire. Le dono a lui in questo momento perché so, anche se lui ancora lo ignora, che sono il regalo più grande che possa fargli: spero solo che siano sufficienti.
Perché, in realtà, ho improvvisamente capito una cosa persino più importante del fatto di sapere cosa abbia fatto Lucas a mia madre: ho capito che Lucas è la mia unica opportunità di tenermi Grace.
Perché altrimenti Chris se la porterà via.
E le farà del male.
Lo so con assoluta certezza.