Domenica sera
Dopo il concerto
Zoe
Non riesco a maneggiare la carne bianca cruda. È una cosa che riguarda l’incidente, quello che ho visto, e la mamma lo sa, quindi chiede a Lucas di battere i petti di pollo.
Mentre lui li colpisce con un incredibile ritmo rallentato, che immagino equivarrebbe sul metronomo a circa quaranta battiti per minuto, apparecchio il tavolo in giardino insieme a Chris. Lui lo pulisce e io dispongo le posate luccicanti e i calici da vino, e distribuisco le candele preparate da Lucas su tutta la lunghezza, in modo carino.
Sul tavolo ci sono anche larghe ciotole di terracotta, contenenti cera gialla al profumo di citronella, e Chris dà fuoco ai grossi stoppini con un lungo e grosso fiammifero che brilla nel buio. All’inizio le candele fanno un fumo nero, ma poi emanano un profumo che mi solletica le narici in modo quasi piacevole. Osservandomi dal suo lato del tavolo, Chris più o meno ripete la domanda che mi ha fatto prima, solo più lentamente, come se volesse infondere più significato alle sue parole.
«Zoe, sei assolutamente sicura di non avere mai conosciuto quell’uomo?», mi chiede. «Quello in chiesa?».
Lo guardo negli occhi: siamo entrambi illuminati dal bagliore delle candele, e dal riflesso azzurro e liquido delle luci della piscina, che qualcuno da dentro casa ha appena acceso.
«No», rispondo. «Non mi pare». Se c’è una cosa che so, è che devo fare come dice mia madre. Lei, fondamentalmente, è come uno scudo umano tra me e il mondo. Eppure sono tentata di rivelargli la verità, non posso negarlo. Una parte di me vuole che Chris sappia la verità, ma solo a patto che sia in grado di gestirla. Mio padre non ne è stato capace.
«Ne sei sicura?». La voce di Chris non è pressante, e c’è un’incoraggiante accondiscendenza nel suo tono che quasi mi tira fuori la risposta sincera, ma l’impulso svanisce nel momento in cui aggiunge: «Hai avuto una reazione molto forte», in modo decisamente più brusco.
«Ho avuto paura di lui», spiego. «Sembrava impazzito».
Nel silenzio, sento ancora i colpi regolari di Lucas che batte la carne, e non sono sicura che il respiro di Chris sia realmente udibile, ma mi sembra di poterlo sentire, forte, come se le sue labbra fossero a pochi centimetri dal mio orecchio. Per un istante, mi studia neanche fossi la Gioconda o non so cos’altro.
«Mi dici la verità, vero, Zoe?», insiste. «Lo sai che è importante che siamo onesti l’uno con l’altro, in questa famiglia?»
«Naturalmente», replico, e so che dovrei continuare a guardarlo in faccia. È il genere di cose di cui si parla in carcere: le persone si devono guardare in faccia, in modo che non pensino che sei sfuggente, ma non riesco a evitarlo, lascio che i miei occhi slittino leggermente verso l’alto, perché la voce di Chris è come caramello; e a volte vorrei sentirmi stringere da lui in un abbraccio, proprio come faceva mio padre. L’impulso di parlare può essere forte.
Ma Chris si gira e si dirige a grandi passi in cucina. «Lucas!», chiama. «Non hai ancora finito? Stai cercando di farmi venire l’emicrania?».
«Quanto deve essere sottile?», chiede Lucas a mia madre. In cucina, incorniciata dall’enorme apertura rettangolare delle porte a soffietto, la scena sembra uscita dalla finestrella di un calendario dell’Avvento: persone che preparano insieme da mangiare, chiacchierando tra loro. Lucas solleva una fetta di pollo così sottile che sembra stata investita da un camion e la mostra a mia madre, che dice: «Così va bene, tesoro. Perfetto», e io devo distogliere lo sguardo.
Non mi piace che le luci della piscina vengano accese di notte, perché diventa una trappola mortale per gli insetti. Penso alla farfalla che ho visto poco fa e mi domando se sia ancora sullo specchio, e perché non sia volata verso la luce, come stanno facendo qui fuori le falene. Scendono in picchiata come aerei kamikaze verso le fiamme delle candele e volano in circolo sulla superficie illuminata della piscina. Ci sono anche dei moscerini, li sento mordicchiarmi le braccia e farmi prurito in testa.
Mi sfilo le scarpe e mi siedo sul bordo della vasca, con i piedi che penzolano all’interno.
Non sono felice delle bugie che ho raccontato a Chris, ma sono solo le solite menzogne, per cui mi creano un disagio minimo, gestibile: non si avvicinano nemmeno a diventare quello che mia madre definirebbe “un incidente”.
Attorno ai miei polpacci si formano increspature che si allontanano verso i bordi della piscina, distorcendo la luce e creando ombre e forme danzanti sotto la superficie. Un uccellino scende in picchiata, ingoiando una sorsata d’acqua proprio davanti a me, o magari era un insetto annegato. L’uccellino non fa in tempo ad arrivare che è già sparito: il suo volo è elegantissimo da osservare.
«L’hai visto?», chiedo, sentendo qualcuno uscire di casa, e poi si accendono altre luci: questa volta una fila di lampadine appese sopra il pergolato sotto il quale sta il tavolo. Emettono un bagliore bianco e soffuso tra le foglie che lo ricoprono, mettendo in evidenza le delicate rose gialle che mia madre insiste per potare lei stessa due volte l’anno. Questa stagione ne è oltremodo soddisfatta, perché stanno ripetendo la fioritura dopo quello che Chris ha chiamato “uno sfoggio davvero favoloso” in giugno; e io le vedo decisamente impegnate a compiacerla.
È la mamma, alle mie spalle, con un piatto di bruschette e una pila di tovagliolini.
«Tovaglioli di carta, direi, per una cena in giardino», commenta. Non ha sentito ciò che le ho detto, e io evito di ripetermi.
Ci sediamo a tavola, e Chris versa il vino: un bicchiere pieno per lui e mamma, ma solo metà per Lucas e me. Tessa copre il proprio bicchiere. «Io credo che berrò acqua», spiega. «È molto caldo».
Penserete che preferisca tenermi alla larga, dagli alcolici, vero? Ma, vedete, Chris insiste perché Lucas e io ci abituiamo a “familiarizzare con l’alcol in modo civile”, così non è insolito che ci venga offerto un mezzo bicchiere di qualcosa di raffinato, selezionato da lui. Solo metà, badate bene, perché di più sarebbe “eccessivo”. Non è certo un concetto che debba spiegare a me, ma lui non lo sa.
«Mangiate», ci esorta mia madre, e tutte le nostre mani si precipitano sulle bruschette: tutte tranne quelle di Chris.
«A te, cara», brinda invece lui, alzando il bicchiere in direzione della mamma, «l’unica donna che possa mettere insieme un banchetto al volo come questo, la domenica sera. Che cena!». Siede a capotavola, cosicché, mentre parla, tutte le teste si girano verso di lui.
«Grazie», replica lei. «Non vuoi una bruschetta?»
«Tengo spazio per le cotolette», risponde lui. «Come ti ho detto, sono ancora pieno dal concerto».
«Ma certo», ribatte mia madre, spezzando un minuscolo tozzo di bruschetta e sbocconcellandolo. Poi solleva il proprio bicchiere. «Posso dire solamente quanto mi senta fortunata, perché possiamo essere tutti qui insieme, questa sera? È una cosa molto speciale».
Beviamo tutti. Nessuno parla. Accanto a mia madre, sul tavolo, c’è il baby monitor di Grace, la luce verde fissa come un occhio di serpente.
«Allora», esordisce zia Tess, nel breve silenzio che segue, «indovinate quale animale ho curato per la primissima volta questa settimana», e sta per raccontarcelo, quando viene interrotta dal campanello.
Ma non è solo il campanello, si sentono anche dei colpi alla porta, come se Lucas stesse ancora battendo i petti di pollo, e poi il campanello squilla di nuovo, con insistenza. Tutto quel rumore viene rilevato anche dal baby monitor di Grace, le cui lucine schizzano alle stelle e subito dopo di nuovo giù, dopodiché udiamo l’inconfondibile suono della mia sorellina che tira su con il naso.
«Chi diavolo può essere?», sbotta Chris. La sua sedia stride, sfregando contro le pietre del lastricato, lavate con l’idropulitrice. «Vado io».
Si alza anche la mamma. «Vado io», si offre lei, «tu rilassati», ma arriva troppo tardi, perché Chris sta già entrando in casa con passo deciso, mentre l’interfono sibilante ci avverte che Grace sta andando su di giri, preparandosi per un pianto a pieni polmoni, così Chris dice a mia madre: «Occupati della bambina».