Domenica sera
Dopo il concerto
Tessa
È Tom Barlow, alla porta. Mi tengo in disparte nel corridoio, vicino al guardaroba, da dove osservo Chris salutarlo con circospezione.
Tom Barlow è molto agitato, proprio come in chiesa: volto e collo paonazzi, le emozioni che gli bruciano dentro con l’intensità di un incendio boschivo. Chris è sulla porta, blocca quasi del tutto il passaggio, gli dice gentilmente di calmarsi. Di certo deve aver fatto un errore e ha suonato alla casa sbagliata. La sua voce è calma e misurata: è molto controllato.
Rimango a osservare nell’ombra e sento Maria, di sopra, che cerca di ascoltare mentre tranquillizza la bambina. Sono schiacciata contro le canne da pesca di Chris e i suoi cappotti da lavoro invernali: tonnellate di cachemire che odorano leggermente con il caldo, nonostante siano avvolte nella plastica del lavasecco.
Chris mantiene la pazienza anche quando Tom Barlow si rifiuta di ascoltare ciò che gli viene detto. Chris non lo invita a entrare, ma gli chiede se vuole sedersi sulla panchina che sta giusto a lato del portico riccamente ornato, di fronte al vialetto.
«Forse», azzarda Chris a Tom Barlow in un tono pacato, che potrebbe anche sembrare pericolosamente paternalistico, «posso offrirle un bicchiere di acqua e ghiaccio?».
Tom Barlow non ne vuole sapere.
«Deve rispondere di ciò che ha fatto», grida a Chris. E poi, proprio come in chiesa, le sue frasi sembrano girare vorticosamente, come se l’energia che lo spinge a questi atti disperati lo stesse consumando al punto che non riesce a fare nient’altro. «Deve rispondere», ripete, «deve rispondere di ciò che mi ha portato via».
«Chi?», chiede Chris. «Di chi sta parlando?».
E il signor Barlow si mette a dondolare avanti e indietro sui piedi, l’incredulità scolpita sul suo viso con maggiore intensità ogni volta che riesco a vederlo di sfuggita. Sputa fuori, in pratica, la sua risposta. Dice: «Zoe Guerin, sto parlando di Zoe Guerin. Di chi diavolo sto parlando, allora?».
Quelle due frasi sembrano paralizzare l’aria attorno ai due uomini, che rimangono in piedi, faccia a faccia, senza dire una parola. Immagino che il signor Barlow stia osservando sul volto di Chris una varietà di emozioni e, cosa più importante, anche lampi di comprensione perché, in questo preciso momento, Chris deve essere giunto alla conclusione che il signor Barlow, in realtà, ha suonato alla casa giusta, e quindi Maria gli ha mentito.
Al piano di sopra, il silenzio è assoluto. Maria ha smesso di cercare di far tacere la bambina, e mi domando se anche lei abbia sentito: se è così, saprà che il gioco è finito.
Quando Chris si riprende, i suoi movimenti sono rapidi. Spinge indietro con violenza Tom Barlow con entrambe le mani e, mentre l’altro barcolla sulla ghiaia, facendo scricchiolare i sassi, gli ringhia contro: «Come osa?».
A quel punto, esco dal mio nascondiglio. Attraverso di corsa il corridoio per raggiungerli, ed esco sul vialetto.
«Ehi», intervengo, il più gentilmente possibile. Tom Barlow ha ritrovato l’equilibrio e sta fissando Chris con odio intenso e non poca incredulità. Appoggio una mano sul braccio di mio cognato.
«Ehi», ripeto, «Chris, fermati, va tutto bene».
La mascella di Chris è tesa e rigida; e il suo braccio duro, il muscolo tirato. Tom Barlow respira con il naso, le narici allargate e la mascella serrata: reagisce a quella minaccia di violenza, a quell’ulteriore oltraggio, ed è pronto a saltare addosso a Chris. È una situazione spaventosa, primitiva, cani che drizzano il pelo: a un soffio dal trasformarsi in un brutto scontro. Mi intrometto fra loro, volto la schiena a Chris, e a Tom Barlow propongo: «Le va di parlare?».
I suoi occhi scrutano il mio volto, e credo che mi riconosca.
Alle mie spalle, sento Chris farsi avanti; e allungo indietro un braccio, finché le mie dita non lo toccano, comunicandogli che non deve muoversi. «Parlare con me?», preciso a Tom Barlow con un tono pacato.
Per un istante, guarda in cagnesco dietro di me, sollevando il petto, incapace di allontanare lo sguardo indignato da Chris; ma poi nei suoi occhi avviene una sorta di collasso. Si gonfiano di lacrime, enormi lacrime che gli si sciolgono sulle guance, rigandole. «Venga con me», lo esorto, «parliamone».
Lo prendo per il braccio, lentamente, perché i cani possono mordere anche dopo aver abbassato il pelo. Guardo Chris. «Entra in casa», gli suggerisco, e sono scioccata dalla rabbia che vedo sul suo volto, ma la mia priorità è portare via Tom Barlow, impedirgli di affrontare Maria o Zoe e di peggiorare ulteriormente le cose.
Chris non si muove.
«Entra in casa», gli ripeto.
Lui fa un piccolo passo indietro, lo sguardo ancora fisso su Tom Barlow, e minaccia: «Se la rivedo sulla mia proprietà, chiamo la polizia». Ma non rientra in casa nemmeno a quel punto. Rimane lì, con le braccia lungo i fianchi, al centro dell’elegante cerchio di ghiaia del suo vialetto, incorniciato da aiuole fiorite piene di cespugli sagomati e arbusti curati, sotto i quali l’erba sempre all’ombra sibila a causa del discreto sistema di irrigazione, che assicura che niente si secchi.
Sopra di lui, a una finestra del primo piano, vedo Maria, con Grace tra le braccia. Tiene scostata la tenda oscurante per guardare giù, ma poi, quando suo marito alla fine si gira per entrare in casa, lascia andare la tenda rendendosi di nuovo invisibile ai miei occhi.