Richard
Keep calm & Carry On.
“Mantieniti calmo e va’ avanti”. Ultimamente, è uno slogan che si vede ovunque, è stampato persino sopra uno degli strofinacci che teniamo sul termosifone in cucina. Anche se ormai è entrato a far parte di una certa cultura popolare, è stato coniato ai tempi della resistenza e dell’autarchia durante la guerra, mentre oggi mi consacro a diventarne l’incarnazione vivente perché la morte di Maria è una tragedia che ha gettato la nostra famiglia nella disperazione, e qualcuno deve pur tenere la testa sulle spalle.
In questo momento sento la testa stretta in una morsa di dolore bianco, il tipo peggiore di quasi-emicrania da postumi di una sbronza, e mi sento disidratato come se avessi attraversato il deserto del Kalahari, tuttavia l’azione per me è sempre stata un rimedio per il dolore, un rimedio più efficace di qualsiasi prodotto disponibile in farmacia. Aiuta anche a tenere a bada la vergogna.
La famiglia in lutto è in casa nostra soltanto da un’ora circa ed è già chiaro che è la bambina l’elemento più difficile da gestire, quindi ho deciso di farmene carico personalmente.
È una bimba meravigliosa, di una bellezza incontestabile, e ammetto di essermi già molto affezionato a lei. La ragazza alla pari se ne stava occupando, ma poi è andata piuttosto incomprensibilmente a letto, benché la poveraccia sembri più che esausta, e ho la sensazione che io e lei forse soffriamo degli stessi sintomi da postumi di uso eccessivo di alcol, anche se io ho il vantaggio di aver dormito.
Tess non è tornata a casa ieri sera. È un pensiero duro, perché solo uno nato ieri non capirebbe che con molta probabilità ha passato la notte con un altro uomo. Se non si fosse messa subito sulla difensiva, avrei potuto credere che si era sistemata per la notte a casa di un’amica. È sotto shock, naturalmente, e questo può avere influito sul suo comportamento, ma io e lei giochiamo così spesso al gioco delle accuse e delle recriminazioni che so distinguere il senso di colpa dall’autodifesa, quando li vedo. Sono un esperto anche nel riconoscerli in me stesso, del resto.
Mentre cullo la sua bambina, i miei pensieri continuano ad andare a Maria, e alla segreta consapevolezza di non essermi mai sentito affezionato a lei. Era una donna bellissima, come le sue due figlie, ma la trovavo permalosa e, a essere onesto, superficiale.
Tessa non era assolutamente d’accordo con me, e quindi non ne parlavamo per il timore di finire in un litigio, ma non mi piaceva il modo in cui Maria e Philip spingevano così tanto Zoe a studiare pianoforte. Da quanto vedevo io, quella povera ragazza non aveva mai la possibilità di arrampicarsi su un albero o dar da mangiare ai polli della fattoria, perché doveva esercitarsi con gli arpeggi. Philip non era severo come Maria, ma aveva anche lui le sue responsabilità. Non so perché Tess perdonasse sia a Maria sia a Philip questo tipo di comportamento. La mia ipotesi è che Tess si portasse dentro il senso di colpa per essere quella che aveva raggiunto gli obiettivi più alti, quella brava, ed era felice che Maria avesse finalmente la possibilità di fare altrettanto, anche se attraverso sua figlia.
L’invasione di casa nostra è strana. Anche se ieri ho perso la mia battaglia con l’istinto, spinto dal silenzio della casa, oggi vedo che il mio autocontrollo funziona piuttosto bene. Bizzarro, considerando le circostanze, e i livelli di tensione che circolano, anche se naturalmente mi fa piacere.
Quando porto la bambina al piano di sopra per cercare di cambiarle il pannolino, ne spreco tre prima di riuscire a mettergliene uno. Non è facile sistemare un capo pulito sopra quel corpo irrequieto, ma mi piace tanto il modo in cui mi afferra le dita mentre ci provo. Ferma quel maledetto tremore.
Mentre vado al piano di sotto, mi fermo davanti alla porta del bagno. Ho nascosto una o due bottiglie di vodka sotto la vasca, le ho infilate in un nascondiglio sotto il rivestimento. La mia gola le desidera, la bocca le desidera, la testa le desidera. Mi hanno rubato persino il cuore.
Mentre continuo a tergiversare, la bambina mi infila le dita in bocca, è un gesto che fa in modo ossessivo, per un motivo che non riesco a immaginare; le allontano la mano e mi lecco le labbra secche. “Andiamo, Richard”, mi dico. “Fatti forza”. In un certo senso, mi sembra orribile bere mentre ho la bambina in braccio. Lei rappresenta l’antitesi del mio sporco percorso di vita di seconda mano. Lei è fresca, nuova e immacolata, e non ho intenzione di insudiciarla.
Mi allontano dalla porta e comincio a fare le scale.
Più tardi, quando Tess se la sentirà, dovremo parlare, lei e io soltanto, di dove ha trascorso la notte, e la conversazione sarà sicuramente triste e amara come tante altre che abbiamo già avuto, forse anche peggio.
Nel frattempo, cercherò di dare un aiuto concreto.
«Mia graziosissima Grace», le dico, «ti degneresti di mangiare qualcosa?».
Quando arriviamo in cucina, mi sento forte all’idea di aver resistito al desiderio di bere, e faccio propositi serissimi. Mi prenderò cura di questa bambina, in modo da sollevare gli altri almeno da questo compito. Cercherò di non cedere all’impulso di chiedere a mia moglie dove abbia passato la notte, perché ha appena perso sua sorella.
Non abbandonerò questa famiglia messa a dura prova dalla sorte, e non abbandonerò mia moglie.
Ottengo il mio primo, piccolo successo quando Grace sembra apprezzare la banana frullata.