Tredici

 

Francesco non mi accusò. Non disse niente di me. Non disse niente. Si avvalse, come si dice, della facoltà di non rispondere in tutti gli interrogatori.

Quattro mesi dopo quella sera fu rinviato a giudizio per tutti gli episodi di violenza carnale.

Nessuna delle vittime però fu in grado di riconoscerlo.

Una disse che poteva anche essere lui e un'altra che le sembrava di riconoscere la voce.

Il presidente del tribunale le chiese se poteva affermarlo con certezza e lei disse che si, «Mi sembra la sua voce. E lo ripeté, mentre si torceva le mani, cercando di scacciare i fantasmi.

Le altre non seppero dire proprio niente sulla voce, sulla faccia, sull'aspetto dell'aggressore.

Quello, chiunque fosse, era sempre stato molto attento a non farsi guardare in faccia.

Insomma, l'accusa, per tutti gli episodi tranne l'ultimo, si basava praticamente solo sulla identità del modus operandi.

Il pubblico ministero, nel tentativo di colmare la mancanza di prove specifiche, aveva affidato una consulenza congiunta a un criminologo e a uno psichiatra. Ai due consulenti erano stati posti due quesiti. Il primo riguardava la eventuale incapacità di intendere e di volere dell'indagato-Francesco. Il secondo era sulla compatibilità del tipo psicologico dell'indagato con la commissione degli stupri seriali.

I due professori conclusero così la loro lunga relazione:

"L'indagato ha quoziente intellettivo notevolmente superiore alla media (135/140), con picchi elevatissimi nell'ambito dell'intelligenza spaziale; tendenze maniaco-depressive; disturbo di personalità antisociale con tratti di disturbo narcisistico. Propensione all'uso sistematico della menzogna e dell'inganno; forte tendenza alla manipolazione relazionale. Per il DSM III (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) gli individui con disturbo antisociale di personalità non riescono a conformarsi alle norme sociali secondo un comportamento legale. Possono compiere ripetutamente atti passibili di arresto e sistematicamente non rispettano i desideri, i diritti o i sentimenti degli altri. Sono frequentemente manipolativi per trarre profitto o piacere personale. Possono ripetutamente mentire, usare false identità, simulare, truffare, barare al gioco. Il disturbo antisociale, anche denominato sociopatia o psicopatia, non implica di regola l'abolizione o anche solo la riduzione delle capacità di intendere e di volere. In particolare nel caso in specie l'indagato è soggetto affetto da disturbo di personalità ma sicuramente capace di intendere e di volere.

"Il quadro psicologico fin qui delineato è caratteristico degli autori di delitti seriali comportanti l'uso della violenza o dell'inganno nella sfera patrimoniale e sessuale. Le situazioni più gravi sono quelle che trovano esito nella commissione degli omicidi seriali".


Nella sentenza i giudici scrissero che non bastava. Avevano ragione, naturalmente. Un conto è dire che qualcuno corrisponde al tipo dello stupratore seriale; un altro conto è dire che ha commesso una serie di specifici stupri, se mancano le prove e l'accusa si basa solo su congetture.

Ragionevoli, plausibili ma pur sempre congetture. Con le congetture, anche con quelle molto ragionevoli, si va poco lontano nei processi.

Così Francesco fu condannato solo per il tentativo di stupro nei confronti di A.C.

Io dovetti testimoniare, naturalmente. La notte prima non dormii e quando l'ufficiale giudiziario mi chiamò ebbi un urto di nausea.

Entrai in aula e percorsi lo spazio fra l'ingresso e il posto dei testimoni, guardando per terra. Risposi alle domande del pubblico ministero, dell'avvocato, dei giudici, fissando sempre un punto davanti a me, sul muro grigio.

Parlavo meccanicamente, dando le spalle alla gabbia nella quale era rinchiuso Francesco. Riuscii a non guardare dalla sua parte nemmeno per un momento.

Quando uscii, vomitai in un'aiuola, davanti alla statua della giustizia. Poi scappai via, barcollando. Qualcuno mi guardò, per qualche istante, senza interesse.

Francesco fu condannato a quattro anni di carcere e la pena fu confermata anche in appello e in cassazione. Non so per quanto tempo sia rimasto dentro. Non so quando uscì, né dove andò. Non credo sia rimasto a Bari, ma dico così solo perché non l'ho più visto.

Non ne ho mai più saputo niente.

  

Io passai molti mesi allo sbando. Di quei mesi non ricordo quasi nulla. A parte la nausea e i risvegli angosciosi la mattina presto, quando era ancora buio.

Poi, senza una ragione precisa ripresi a studiare. Come un automa. Esattamente due anni dopo quella sera, mi laureai. Alla seduta di laurea c'erano solo i miei genitori, mia sorella e una zia. Non ci fu nessuna festa. Non era rimasto nessun amico da invitare.

Dopo continuai a studiare, come un automa. Andai a fare il concorso per diventare magistrato e lo vinsi.

Adesso faccio il pubblico ministero. Contribuisco a mandare in carcere quelli che commettono reati. Come le estorsioni, il gioco d'azzardo, le truffe, il traffico di droga.

A volte mi vergogno, per questo.

A volte penso che dal passato salti fuori qualcosa – o qualcuno – e mi risucchi. Per farmi pagare il conto.

A volte faccio un sogno. Sempre lo stesso.

Sono su quella spiaggia, in Spagna. È l'alba, come allora; e come allora c'è quella sensazione struggente di un momento perfetto, di giovinezza tremenda e invincibile.

Sono solo e guardo il mare, in attesa. Poi arriva il mio amico Francesco, anche se non riesco a vedere la sua faccia.

Allora, insieme, entriamo in acqua. Quando abbiamo nuotato fino al largo mi accorgo che lui è scomparso. In quel momento mi ricordo che proprio quel giorno è fissata la mia seduta di laurea. Non ce la potrò fare, perché sono in Spagna. Il cielo è pieno di nuvole scure e, se il sole sta sorgendo, io non riesco a vederlo. Così rimango in acqua mentre cominciano ad alzarsi le onde. Con un senso ineluttabile della fine di tutto. Con una nostalgia infinita.

  

Antonia fa la psichiatra, mi racconta. Lavora in un centro specializzato nell'assistenza alle vittime della violenza.

Ognuno dà la caccia ai suoi fantasmi come può, penso.

Qualcuno ci riesce meglio degli altri.

Mi dice che tante volte ha pensato di cercarmi. Non mi ha mai detto grazie, spiega.

Grazie. La parola mi appare scritta nella testa. Strano.

Non mi capitava da tanto tempo.

Grazie non solo per averla salvata dalla violenza, quella sera.

Grazie per la dignità.

Sto con la testa bassa e penso che non è vero. Voglio dirle che ero un vigliacco. Sono un vigliacco. Ho sempre avuto paura, penso. Ce l'avrò sempre.

Poi la guardo in faccia e mi viene un brivido forte. E capisco che invece, in qualche strano modo, ha ragione lei.

Allora non dico niente. E anche lei rimane in silenzio.

Ma non se ne va. Penso che anch'io vorrei dirle grazie, ma non sono capace.

Così restiamo seduti nel bar.

In un silenzio sospeso, mentre fuori fa freddo.

Il passato è una terra straniera
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