Nove

 

Quella notte erano lui e Pellegrini. Come al solito lo videro uscire che la mezzanotte era passata da un pezzo.

Stavano per mettersi in movimento quando si accorsero che insieme a lui c'era un altro.

«Sono in due» disse Pellegrini.

Chiti non rispose. Da quando gli stavano dietro era la prima volta che usciva in compagnia. Quella cosa non gli piacque, e insieme gli diede una scarica di eccitazione.

Non sarebbe stato capace di metterlo in parole, o di dire da quali dettagli, da cosa, nel modo di muoversi dei due, traesse la sensazione, ma sembrava che i due andassero a fare qualcosa.

Nessuna delle ragazze aveva mai parlato di due aggressori. Ma esistevano elementi per escludere che fossero stati in due?

Mentre li lasciavano allontanare per poi scendere dalla macchina e cominciare il pedinamento — difficilissimo, di notte, quando le strade sono deserte e non è possibile confondersi con i passanti — Chiti cercò di riepilogare mentalmente le deposizioni delle ragazze. Per controllare se qualcuna di loro avesse detto cose compatibili con l'ipotesi dei due aggressori. Avevano sempre dato per scontato – lui e i suoi uomini – che si trattasse di uno stupratore solitario. Quando si pensa a delitti seriali si pensa sempre a un maniaco che agisce da solo. Magari questo stereotipo li aveva condizionati. E comunque: cosa avevano detto le ragazze? Mentre scendeva dalla macchina pensò che avrebbe voluto avere i verbali sotto mano, per controllare. Avevano detto tutte di essere state colpite alle spalle. Questo ovviamente non escludeva che ci fosse più di un aggressore.

Avevano detto tutte di essere state trascinate di peso nell'androne di un palazzo vicino. Anche questo non escludeva che agissero in due. Anzi, a pensarci bene, l'ipotesi dei due aggressori rendeva più plausibile, più fluido quel passaggio dell'azione.

Ebbe una fitta lancinante fra la tempia, la fronte, l'occhio. Cercò ancora di riordinare le idee. Cosa avevano detto le ragazze, specificamente sul momento della violenza sessuale? C'era qualcosa che consentiva di escludere in modo categorico che gli aggressori fossero due? Non gli sembrava, ma la testa gli faceva sempre più male e sul suo schermo mentale si ingigantiva sempre di più la faccia del disegno.

Le facce del disegno.

La voce di Pellegrini gli fece l'effetto di una sassata che spaccava un vetro, o uno specchio. Anche se quello parlò a bassa voce.

«Signor tenente, dobbiamo andare. Sono già a tre isolati. Se aspettiamo ancora rischiamo di perderli.»

Chiti ebbe una specie di sussulto, come di uno che venga scosso nel preciso istante in cui sta per addormentarsi.

Si mise in movimento senza dire niente, guardando le due figure già molto lontane. Troppo, forse.

«Io gli vado dietro. Tu fai venire subito in zona un altro paio di macchine. Macchine nostre, non del radiomobile. Segnala esattamente i due, descrivili con precisione, di' che devono perlustrare la zona. Se li trovano devono solo tenerli d'occhio, senza fermarli e senza farsi vedere. E ci devono chiamare subito. Quando hai finito raggiungimi.»

Partì senza aspettare la risposta, con la testa che pulsava. In quel momento i due svoltarono a un angolo, duecento metri più in là. Accelerò mentre sentiva la voce di Pellegrini alla radio, senza distinguere le parole. Poi si mise proprio a correre. A qualche metro dall'angolo rallentò di nuovo e attraversò la strada lentamente, come chi se ne va per i fatti suoi. Guardò alla sua destra, da dove i due avevano girato.

La strada era deserta, a parte le auto arrampicate sui marciapiedi.

Il passato è una terra straniera
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