Quattro
Una mattina un brigadiere della narcotici, appena rientrato a Bari dopo tre mesi di aggregazione in Calabria, vide il disegno sulla scrivania di Pellegrini.
«Io lo conosco, questo. L'ho visto una sera, l'anno scorso, in una bisca dove ci eravamo infiltrati quando stavamo lavorando su quel gruppo che spacciava a Madonnella. Giocava a poker. E perdeva, perdeva come un dannato, ma con calma come se non fosse un problema suo. Mi è rimasta impressa quella faccia. Quegli occhi. Aspetta, mi ricordo che a un certo punto ebbi l'impressione che si fosse reso conto di chi eravamo. Da come ci guardò. C'ero io e c'era Popolizio, quello di Altamura che è stato trasferito; e tutti e due avemmo la stessa impressione, tanto che ce ne andammo e tornammo solo diverse sere dopo. E lui non c'era più.»
Si interruppe e prese in mano la fotocopia del disegno.
La osservò per qualche secondo senza dire niente.
«È lui, sono quasi sicuro.»
Poi tornò a guardare Pellegrini.
«Forte questo disegno. Chi lo ha fatto?»
Entrarono nella bisca mentre i giocatori cercavano di far sparire dai tavoli carte e fiches. Li ignorarono. Chiti si rivolse al brigadiere della narcotici.
«Chi è il gestore?»
Il brigadiere indicò col capo verso un uomo sui cinquanta, calvo, con la carnagione scura che si stava avvicinando a loro.
«Ehi, che cazzo...»
La frase fu spezzata da un ceffone. Secco, a mano piena; tranquillo, quasi. Un modo per risparmiare tempo.
«Carabinieri. Dobbiamo parlare. Tu comportati bene e noi ce ne andiamo senza scrivere una parola di verbale su quello che succede in questa fogna. C'è un posto dove possiamo stare in pace per cinque minuti?»
Il calvo li guardò in faccia, prima uno, poi l'altro, poi l'altro. Non disse niente e poi fece cenno di seguirlo.
Entrarono in una specie di ufficio lurido, che puzzava di fumo ancora di più della sala da gioco. Il calvo li guardò con faccia interrogativa. Il brigadiere gli mise davanti alla faccia l'identikit, gli chiese se lo avesse mai visto, gli disse di stare attento a come rispondeva.
Stette attento, e disse che sì, lo aveva visto e lo conosceva.
Da quel momento in poi le cose si mossero rapidamente. Molto rapidamente.
In un paio di giorni lo identificarono. Stando all'anagrafe abitava con la madre, vedova. Ma a quell'indirizzo non lo si vedeva mai. Provarono a suonare al citofono, più volte, ma non rispondeva mai nessuno.
Allora provarono a chiedere a qualche vicino che usciva dal palazzo. La signora Carducci? Era morta una ventina di giorni prima. E dunque il certificato di morte non era stato ancora registrato all'anagrafe, pensò Chiti. Il ragazzo? Volevano dire Francesco? Dopo la morte della mamma non lo si era più visto. Nessuno ne sapeva niente.
Forse era andato in qualche altra città, da qualche parente. No, non è che lo sapessero, era solo una ipotesi, non sapevano se avesse parenti in altre città. A dire il vero non ne sapevano niente di niente. Né lui né la madre erano mai stati troppo loquaci e, insomma, buio totale.
Fu a quel punto che Cardinale, ancora una volta, ebbe un'idea.
«Signor tenente, proviamo a entrare in casa.»
«Entrare come, Cardinale? Nessun pubblico ministero ci darà mai un decreto di perquisizione. Al momento non abbiamo niente. Niente di niente. Solo congetture su congetture. E magari questo tipo non ha nulla a che fare con questa storia. Cosa gli racconto al pubblico ministero?»
«Veramente io non pensavo al decreto di perquisizione...»
«E a cosa pensava? Andiamo con un piede di porco, entriamo di nascosto in casa, magari qualche vicino ci nota, chiama il 113 e ci facciamo arrestare dalla polizia?»
Cardinale non fece commenti. Pellegrini sembrava intento a osservare la punta delle sue scarpe. Martinelli stava fermo, con lo sguardo assente. Il tenente li guardò, uno a uno, con la faccia di chi finalmente capisce quello che gli sta succedendo intorno.
«Allora è questo. Volete fare un'effrazione. Volete sfondare la porta e...»
«Non c'è bisogno di sfondarla, la porta» fece Cardinale. «Ho un mazzo di chiavi che prendemmo a un topo di appartamento.» Poi, quasi per giustificarsi: «Lo arrestammo almeno per dieci colpi. Prima che lei arrivasse a Bari, e credo sia ancora dentro».
«Mi sta dicendo che si è preso un mazzo di grimaldelli, evidentemente senza annotarli nel verbale di sequestro – cioè li ha rubati– e li conserva per suo uso personale?»
Cardinale fece le labbra a fessura, rimase zitto.
Chiti stava per aggiungere qualche altra cosa, ma poi ci ripensò. Prese una sigaretta, l'accese e se la fumò tutta.
Mentre aspettavano, l'ufficio era immobile. Alla fine spense la sigaretta, tirò un respiro, profondo e stanco, appoggiò la guancia destra sulla mano chiusa a pugno, il gomito sul piano della scrivania. Li guardò di nuovo a uno a uno.
«Spiegatemi esattamente cosa volete fare.»