Quattro

 

Con Giulia ci lasciammo all'inizio di aprile. Un paio di settimane prima io ero stato con un'altra.

Me l'aveva presentata Francesco un sabato mattina.

Oramai ci vedevamo quasi tutti i giorni, Francesco e io, anche indipendentemente dal poker. Eravamo amici. Lo diceva lui, mettendo una strana enfasi nel pronunciare quella parola. Amici. Diceva di averne avuti pochissimi, forse due, prima di me. Quando capitava gli chiedessi di loro, però, diventava evasivo e sfuggente. In realtà diventava evasivo e sfuggente ogni volta che la conversazione si spostava in modo più intimo su di lui.

Conosceva un sacco di gente, Francesco; cosa che peraltro avevo capito già dalla prima sera. Conosceva persone diversissime fra loro, con le quali, a volte, non riuscivo nemmeno a immaginare come avesse stabilito un contatto.

La cosiddetta Bari bene dei professionisti, delle solide ricchezze familiari e delle ragazze più belle; gli ambienti dei commercianti e degli arricchiti, dove andava a caccia per recuperare le nostre vittime; i gruppetti alternativi che si incontravano nei circoli e nei locali underground. E i malavitosi; quelli delle bische soprattutto, ma anche quelli che si occupavano di altri traffici.

Aveva una straordinaria capacità mimetica. A seconda della compagnia modificava il suo modo di comportarsi, di parlare, persino di muoversi. Era – sembrava – sempre a suo agio, qualunque fosse la compagnia.

Quel sabato mattina avevamo appuntamento per l'aperitivo. Quando arrivai era già dentro il bar, seduto a un tavolino con due ragazze che non avevo mai visto prima.

Erano tutte e due appariscenti, truccate in modo troppo accurato, troppo profumate, vestite troppo alla moda.

Troppo tutto.

«Loro sono Mara e Antonella. Lui è il mio amico Giorgio» disse Francesco. Aveva un sorriso che ormai conoscevo bene. Il sorriso di quando si stava divertendo alle spalle di qualcuno.

Strinsi la mano a Mara e Antonella, mi sedetti e ordinammo i nostri aperitivi.

Mara era impiegata in un'agenzia di assicurazioni. Antonella frequentava un corso per diventare odontotecnica.

Avevano tutte e due poco più di vent'anni, e un accento micidiale; fumavano sigarette kim e masticavano chewing gum alla clorofilla.

Parlammo di molte cose, tutte interessanti. Di oroscopo, per esempio. Di quale fosse il giorno migliore per andare in discoteca, se il venerdì o il sabato. Del fatto che loro avevano lasciato da poco i rispettivi fidanzati – due pallosi – e adesso volevano divertirsi. Questo in particolare lo disse Mara e poi tutte e due ci guardarono bene in faccia, per vedere se il concetto era stato espresso con sufficiente chiarezza.

Era una bella giornata e a un certo punto Francesco propose di andare tutti insieme a mangiare in un ristorante sul mare. Le due non opposero resistenza e uscimmo dal bar per raggiungere la macchina. Camminando, Francesco e io le precedevamo di qualche metro.

«Oggi pomeriggio queste due ce le facciamo» disse Francesco, a voce bassa.

«Che stai dicendo?» domandai, parlando anch'io sottovoce. Lui proseguì come se io non avessi aperto bocca.

«Le facciamo bere un poco e poi ce le scopiamo. Anche se non sarebbe necessario farle bere. Muoiono già dalla voglia.»

Aveva ragione e mi venne da ridere. Non che ci fosse qualcosa di divertente, ma mi venne da ridere in modo nervoso. Dovetti fare uno sforzo per trattenermi, e così tirai fuori una specie di sorriso stolido. Lo sentivo sulle labbra, come una smorfia. Allora dissi la prima cosa che mi veniva in mente; per cancellarla, quella smorfia.

«E poi dove andiamo?»

«Non ti preoccupare, ce l'ho io un posto. Prendiamo la tua macchina, che con queste due la BMW fa colpo.»

Così prendemmo la mia BMW nera che effettivamente fece colpo, su quelle due. Andammo in un ristorante sul mare, fuori città, e mangiammo ricci, frutti di mare crudi e gamberoni grigliati. Bevemmo vino bianco freddo e man mano che i bicchieri e le bottiglie si svuotavano, la conversazione si infittiva di allusioni sessuali, sempre meno implicite. Sempre meno eleganti.

Quel giorno scoprii che Francesco aveva una specie di pied-à-terre. Era un due vani più cucina, con mobili nuovi e un aspetto anonimo, da stanza di albergo.

Erano le quattro, quando entrammo lì dentro con Mara e Antonella alquanto ubriache. Non ci furono formalità, preliminari o problemi di smistamento. Antonella e io finimmo nella camera da letto mentre Francesco e Mara si fermarono nel soggiorno, che era attrezzato con un grande divano nero.

Il mio sguardo e quello di Francesco si incrociarono, mentre io entravo nella camera da letto. Mi strizzò un occhio.

Era un gesto osceno, quello strizzare l'occhio, ma allora non me ne resi conto. Non potevo e non volevo rendermene conto. Così, ancora una volta, risposi con un sorriso beota.

Subito dopo rovinai sul letto abbarbicato ad Antonella.

Ho il ricordo soprattutto del suo alito, che dava di vino e di fumo freddo. Mentre facevamo sesso — lo facemmo diverse volte, a lungo — mi chiamava amore e io mi dicevo, mentalmente: amore? chi ti conosce? chi sei? E di nuovo mi veniva da ridere come un coglione. Pensavo che ero lì a scopare con quella ragazza — una bella ragazza — e non la conoscevo. In qualche momento dovetti quasi fermarmi e fare uno sforzo per ricordare il suo nome.

Avrei dovuto provare disagio, e invece ero percorso da una specie di esultanza ottusa.

In una pausa accendemmo una sigaretta, la fumammo insieme, lei ridacchiò dandomi di gomito per i rumori che arrivavano dall'altra stanza. Cominciò anche a dire qualcosa sull'argomento ma si interruppe bruscamente. Rimase un attimo immobile con una strana aria assorta.

Poi lasciò andare un peto.

Fu un rumore sottile e prolungato; una specie di trombetta di carnevale, nella penombra di quella stanza sconosciuta.

Si mise una mano sulla bocca per un istante, prima di parlare.

«Madonna, scusa. Dopo che ho fatto una bella scopata, qualche volta mi viene. Non riesco a trattenermi. Deve essere perché sono così rilassata.»

Io ero allibito, e non sapevo cosa dire.

E del resto, come si risponde in modo educato a una frase del genere?

Non preoccuparti, anche a me quando sono in relax piace allentare qualche bel peto rumoroso? A seconda dell'umore e di quello che ho mangiato sparo anche un paio di rutti? Così, tanto per farla sentire a suo agio.

Non dissi nulla e peraltro lei era già di nuovo perfettamente a suo agio, anche senza il mio aiuto.

Mi fece scivolare la mano sulla pancia e poi fra le gambe. Io lasciai fare.

Quando andammo via, la sera, mi resi conto che non avevo pensato a Giulia nemmeno per un secondo.

Il passato è una terra straniera
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