Ventisei
«Cocaina?»
Sei impazzito? Stavo per aggiungere, ma mi sembrò una cosa banale. Inadeguata all'enormità di quello che mi aveva appena detto. Allora lasciai quella parola da sola, appesa al mio stupefatto punto di domanda.
«Sì. Di ottima qualità a un prezzo buonissimo. Possiamo averne un chilo a quaranta milioni. Rivenduta a Bari, così, senza neanche dividerla in dosi, ci frutta più del doppio. Ho io una persona che se la prende tutta e ci dà novanta, forse cento milioni.»
«E dove li prendi quaranta milioni?»
«Ce li ho.»
«Cosa vuoi dire che ce li hai? Ti sei portato quaranta milioni così, in contanti per le piccole spese? O vuoi pagare un chilo di cocaina con un assegno?»
«Ho i contanti.»
Lo guardai per qualche istante. Aveva i contanti. Cioè si era portato quaranta milioni — almeno quaranta milioni — da Bari, attraverso tutta l'Italia, tutta la Francia e fino a quel posto sulla costa orientale della Spagna. Cioè era partito con la precisa intenzione di venire qui in Spagna e comperare un chilo di cocaina. Forse era partito solo per questo motivo.
«Già da Bari avevi deciso di venire qua a comprare droga.»
Rimase in silenzio per una ventina di secondi. Poi si strofinò il naso con indice e pollice e mi rispose a modo suo. Con una domanda.
«Qual è il tuo problema? Voglio dire: qual è il tuo vero problema?»
«Come sarebbe a dire qual è il mio problema. Un bel pomeriggio d'estate mi dici: facciamo una vacanza, partiamo domani così, senza una meta precisa. Io sono d'accordo, facciamo questo cazzo di viaggio e quando siamo qui scopro che era tutto organizzato.» Mi interruppi, perché avevo difficoltà a dire le parole che mi si erano formate in testa. Deglutii.
«Scopro che era tutto organizzato per un traffico di droga. Cazzo.»
«Hai ragione, per questo. Ho fatto male a non dirtelo, ma ero sicuro che non avresti accettato e non saresti voluto partire.»
«Puoi giurarci che non sarei partito.»
«Va bene, ho sbagliato a non essere sincero con te. Ma adesso qual è il tuo problema? Voglio dire: sei contrario moralmente a comprare questa roba, oppure pensi ai rischi?»
«Ovviamente tutte e due le cose. Ma insomma ti rendi conto di cosa stiamo parlando? Parliamo di comprare droga per spacciarla. Parliamo di una cosa che se ci prendono finiamo dentro per un tempo che non mi voglio nemmeno immaginare.»
«Sei contrario all'uso delle droghe?»
«Sono contrario allo spaccio delle droghe. Sono contrario a farlo io, lo spaccio della cocaina, o di qualsiasi altra cosa del genere.»
«C'è gente che consuma la cocaina. Come c'è gente che fuma, o beve. Anche noi fumiamo e beviamo.»
«L'ho già sentita questa storia. Che il tabacco e l'alcol sono molto più letali della droga, e guardate le statistiche, e sarebbe meglio liberalizzarla eccetera, eccetera, eccetera.»
«E tu sei contrario?»
«Non ha nessuna importanza. È vietato. È un reato...»
Mi interruppi. Guardai in faccia Francesco. Aveva una strana espressione. Stavamo pensando tutti e due la stessa cosa. O meglio io capivo quello che lui stava pensando, e che non ebbe bisogno di dire. A proposito di reati, da commettere e già commessi.
«Ascolta, Giorgio, lasciamo perdere per un secondo questa faccenda del reato e tutto il resto. Guardiamo la cosa da un altro punto di vista. Immagina una persona che ha l'abitudine di consumare cocaina. Magari gli piace offrirla ai suoi amici, se lo può permettere e, insomma, vuole evitare di andare una volta alla settimana da uno spacciatore di strada, con tutti i rischi e gli aspetti spiacevoli che questo comporta. Cosa hai, cosa avresti contro una persona del genere? Magari è un artista – che ne so: un pittore, un regista di teatro – e la cocaina lo aiuta a essere più creativo. O semplicemente gli piace e vorrebbe fare un rifornimento che gli consenta di stare tranquillo per – faccio per dire – un anno. Senza rischi e senza creare problemi a nessuno. Immaginati uno del genere.»
«E allora?»
«E allora cosa ci sarebbe di male a procurare un chilo di cocaina a uno così. E a guadagnarci qualche decina di milioni. Senza fare del male a nessuno. Non stiamo mica parlando di spacciare eroina a qualche tossico disgraziato che si buca in un vicolo lercio e scippa per procurarsi i soldi per la dose.»
«Fammi capire bene una cosa. Stai facendo delle ipotesi per amore della discussione o mi stai dicendo che, oltre ad avere organizzato questo viaggio – a mia insaputa – per un bel traffico di droga, avevi già pronto l'acquirente? Spiegami, per piacere.»
«Ti ho detto che mi dispiace. Ho sbagliato. Tu sei mio amico e io volevo fare con te questo viaggio, e non solo per comprare quella roba. Se stiamo discutendo del fatto che in qualche modo ti ho ingannato, va bene. Se mi stai dicendo che non ti fidi più di me, va bene lo stesso. Forse anch'io non mi fiderei, a parti invertite. Se è così dimmelo e chiudiamo la discussione.»
Rimanemmo in silenzio. Aveva ragione. Io ero furibondo per il fatto di essere stato preso in giro. Anzi ero furibondo per il fatto che lui avesse preso una decisione del genere, praticamente dando per scontato che mi avrebbe convinto, al momento opportuno. Il fatto che lo avesse detto così direttamente ed esplicitamente però mi disarmava. Il silenzio si prolungò tanto che cominciai a pensare altre cose. Che avevo voglia di un caffè. Che bisognava ricordarsi di controllare l'olio e la pressione delle ruote, a momento di ripartire.
Che avevo voglia di una sigaretta, e quella la accesi subito. Francesco prese il mio pacchetto e ne tirò fuori una per sé.
«Non c'è niente di male. E non c'è nemmeno nessun rischio.»
«Questa è la migliore di tutte. Non c'è nessun rischio.
Dobbiamo solo attraversare la Spagna, la Francia e tutta l'Italia con un bel chilo di cocaina pura in macchina. Dobbiamo solo passare due frontiere con doganieri, finanzieri, carabinieri e chissà che altro. Nessun rischio.» Avevo un tono beffardo, credevo. In realtà, avevo semplicemente abboccato.
«È semplice. Andiamo – anzi vado io da solo, visto che quel coglione gioca a fare il grande criminale – a prendere la cosa. La impacchettiamo come si deve e la spediamo a Bari. La spediamo a una casella postale sicura, al ritorno facciamo la consegna, prendiamo i soldi e dividiamo.»
«Perché dovremmo dividere se i soldi per comprarla li hai portati tutti tu?»
«Dividiamo i rischi. Se succede qualcosa nella spedizione, se – ipotesi remota – dobbiamo disfarcene, insomma per ogni imprevisto siamo soci. Se perdiamo la fornitura tu mi dai la tua quota, cioè venti milioni. Se va tutto bene, come è quasi certo, da quello che ci dà l'acquirente decurtiamo i miei quaranta e dividiamo il guadagno. Esattamente a metà, come al solito.»
«E se ci beccano quando stiamo andando a spedire il pacco?»
«E se ci cade un cornicione in testa, passeggiando per via Sparano, in un tranquillo pomeriggio di primavera? Dài, perché ci dovrebbero beccare?»
Già, perché ci avrebbero dovuto beccare? Ed effettivamente: a chi facevamo del male, se le cose stavano come aveva detto lui? Un singolo, ricco acquirente che voleva avere la sua provvista e in fondo erano solo affari suoi. Accesi un'altra sigaretta con il mozzicone della precedente,
Francesco mi strinse il braccio all'altezza della spalla e mi scosse in segno di approvazione.
Da quel momento in poi parlammo di particolari logistici. La cocaina veniva dal Venezuela. Migliore di quella colombiana, disse Francesco. L'avremmo messa in una scatola di scarpe e tutto intorno avremmo versato del caffè in polvere. Imparai che confonde l'olfatto dei cani, just in case. Avremmo confezionato il tutto con molta carta da pacco, nastro da imballaggio e avremmo spedito. Facile, innocuo, pulito.
Fui certo, in quel momento, che per Francesco non era la prima volta.