Due

 

Lovascio si affacciò nella stanza. Siccome quella mattina aveva già portato il caffè, doveva esserci qualcos'altro.

«Signor tenente, il signor colonnello Roberti vuole parlarle. Vuole che vada subito.»

Chiti spense la sigaretta e chiuse il fascicolo. Il colonnello — ne era sicuro — voleva sapere se ci fosse qualche novità sulla faccenda degli stupri. Quella storia cominciava a sfuggire al controllo e stava rendendo nervosi tutti quanti. Novità non ce n'erano e questo non avrebbe contribuito a ridurre il nervosismo del colonnello.

Il tenente percorse i corridoi del palazzo fascista che ospitava il comando. Non aveva voglia di incontrare il colonnello e avrebbe preferito che il suo diretto superiore, il capitano Malaparte, non fosse partito per la scuola di guerra, per diventare maggiore, lasciandolo solo, a ventisei anni, a comandare il nucleo operativo.

Bussò alla porta, sentì la voce sottile del colonnello che diceva avanti, entrò. Rimase sull'attenti a tre metri dalla scrivania fino a quando Roberti, assicuratosi che il rituale militare era stato rispettato, non gli fece cenno di avvicinarsi e sedersi.

«Allora Chiti, abbiamo qualche novità su questa storia degli stupri?» Appunto.

«A dire la verità, signor colonnello, stiamo cercando di organizzare tutti gli elementi in nostro possesso. Ma naturalmente abbiamo bisogno di confrontarci anche con quelli della squadra mobile. Su cinque episodi tre sono stati denunciati nei nostri uffici e due da loro. Come sa, non è facilissimo lavorare insieme...»

«Non abbiamo niente di nuovo insomma.»

Chiti si passò la mano sul mento e sulla guancia, sentì il fruscio della barba contropelo. Prima ancora di parlare rispose con un cenno del capo, come di resa.

«No, signor colonnello. Non abbiamo niente di nuovo.»

«Il procuratore mi rompe i coglioni, il prefetto mi rompe i coglioni. I giornali mi rompono i coglioni, su questa storia. Cosa gli devo dire a questa squadra di rompicoglioni? Che cosa abbiamo fatto sinora?»

Il turpiloquio piaceva, a Roberti. Pensava che gli desse un tono virile, probabilmente. Con quella voce stridula l'effetto era tutt'altro, invece; ma lui non lo avrebbe mai saputo.

«Il solito, signor colonnello. Il primo episodio ce l'hanno denunciato dopo almeno tre ore dal fatto. La ragazza è tornata a casa, ha raccontato tutto ai genitori e loro l'hanno accompagnata in caserma. Abbiamo mandato una pattuglia sul posto, ma ovviamente hanno trovato solo la strada deserta. Per il secondo e il terzo episodio procede la squadra mobile, perché le ragazze sono andate a farsi medicare al pronto soccorso e lì c'è il posto fisso della polizia di stato. Abbiamo acquisito copia delle denunce, comunque, e i fatti si sono svolti più o meno nello stesso modo. Tutti negli androni di case popolari, dove il portone rimane sempre aperto, anche di notte. Sugli ultimi due procediamo noi. In un caso la vittima è venuta direttamente in caserma, da sola. Nell'altro, che poi è l'ultimo, due passanti hanno chiamato il 112 vedendo la ragazza che piangeva per terra, vicina al portone dove si è verificata l'aggressione...»

«Va bene, va bene. Che stiamo facendo in concreto? Intercettazioni, pedinamenti, abbiamo qualche nome? Che dicono i confidenti?»

Intercettazioni a chi se non abbiamo uno straccio di sospetto? E che cosa ci devono dire i confidenti? Questo è un maniaco, mica uno spacciatore di droga o un ricettatore.

Non disse così.

«A dire la verità, signor colonnello, ci mancano le basi minime per poter chiedere una intercettazione alla procura. E, certo, abbiamo messo sotto pressione tutti i nostri confidenti, ma nessuno ne sa qualcosa. Trattandosi di un maniaco, e non di un delinquente comune, questo è abbastanza normale.»

«Chiti, tu non mi hai capito. Dobbiamo dare una risposta su questa storia, dobbiamo arrestare qualcuno. In un modo o nell'altro. Io l'anno prossimo devo andare via da Bari e non voglio farlo con questo caso irrisolto.»

Sembrava avesse finito. Invece proseguì, dopo una breve pausa, come fosse stato sul punto di dimenticare una cosa importante.

«E del resto, anche per la tua carriera non sarebbe proprio il migliore degli inizi, caro il mio Chiti. Ricordatelo questo.»

Caro il mio Chiti.

Cercò di ignorare l'ultima battuta.

«Avrei pensato, signor colonnello, di consultare qualche psicologo esperto in criminologia. Per cercare di tracciare una specie di profilo psicologico di questo elemento. È una cosa che fanno quelli dell'FBI, ho letto qualche dispensa e...»

Il colonnello alzò la voce di un tono. Così era ancora più stridula, e molto sgradevole.

«Che cosa stai dicendo? Profilo psicologico? FBI? Chiti, i criminali non si prendono con queste cazzate americane. Le indagini si fanno con i confidenti. Confidenti, intercettazioni, controllo del territorio. Voglio che tutti gli uomini del nucleo stiano in mezzo alla strada, che parlino con i loro informatori e li mettano sotto pressione. Voglio pattuglie in borghese in giro tutta la notte. Questo maniaco lo dobbiamo fottere noi, prima che lo faccia la squadra mobile. Prendi un po' di uomini di quelli con le palle e mettili a lavorare solo su questa storia, subito. L'FBI e la CIA te li vai a vedere al cinema. È chiaro?»

Era chiaro, ovviamente. Il colonnello non aveva mai fatto una sola indagine degna di questo nome, in una carriera da raccomandato trascorsa fra comodi uffici ministeriali e comandi di battaglione e di scuole allievi.

La lezione di tecnica investigativa era finita. Non c'era altro, e il colonnello con la mano gli fece cenno che poteva andare. Come si fa con un servitore molesto.

Come per tanti anni Chiti aveva visto fare suo padre con i subalterni, con la stessa espressione ottusa di alterigia e disprezzo.

Chiti si alzò, fece tre passi indietro e batté i tacchi.

Poi finalmente si girò e andò via.

Il passato è una terra straniera
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