Epilogo

Amo le mattine, quando la giornata inizia. Quello che adoro adesso sono le cose che ho sempre adorato: il tè della colazione, di nuovo deteinato, le passeggiate sulla spiaggia con Aiden prima che esca per andare nella nuova azienda di software che ha creato qui sull’isola. Aveva smesso di lavorare per Jacob da un po’.

Io ho ripreso il mio lavoro di ricercatrice. Ho trovato l’anemone di Tompkins dove mai mi sarei aspettata: nella parte inferiore di un pontile di Friday Harbor, in bella vista. Una creatura marina rara, dalla forma allungata e luminosa, proprio sotto il mio naso.

Faccio la volontaria allo Whale Museum, e ogni tanto vado su una nave oceanografica con due biologi marini per studiare un branco di orche. Potrei prendere in considerazione l’idea di insegnare di nuovo all’università di San Juan Island. Un passo alla volta, come per il nostro matrimonio.

Ci amiamo, questo è poco ma sicuro. Ma nonostante tutti i nostri errori – l’impulsività di Aiden e la mia insicurezza – la nostra decisione di sposarci è sacra, e non mi perdonerò mai per aver pensato il contrario. E credo che neanche lui se lo perdonerà mai.

Inizia a soffiare una leggera brezza salmastra, calda per il sole primaverile. Pettirossi e cince volano tra gli alberi. I rododendri sbocciano regalandoci fiori rosa, rossi e viola. Dopo la pioggia notturna, i passeri e i picchi bevono gocce d’acqua dalle foglie fruscianti.

Tra gli alberi vedo un furgone familiare che avanza sulla strada ventosa. Quando apro la porta a Doug Ingram, sono colta di sorpresa. Se non fosse stato per quel suo furgone malandato, non l’avrei riconosciuto: ha i capelli corti, si è dato una ripulita e si è rasato barba e baffi. Ora dimostra dieci anni di meno, con il suo cappotto di flanella, i jeans stirati e gli stivali nuovi. «Buongiorno, Kyra».

Lo abbraccio, anche se il pancione mi intralcia un po’. «Sono contentissima che ce l’hai fatta». Ha anche un buon odore di pulito.

«Congratulazioni», dice, abbassando lo sguardo sulla mia camicia premaman.

«Grazie. Siamo fortunati», rispondo, posando una mano sull’addome gonfio.

«Nessuno se lo meriterebbe di più». Mi segue e ci sediamo sulle sdraio in cedro sul molo.

«Cosa ti porta qui?»

«Sto andando a Bellevue».

«Bellevue! Credevo non volessi…».

«Non ho intenzione di andare in una casa di riposo per vecchi. Proprio no. Ma mi sono reso conto che è ora di viaggiare un po’ prima di non poterlo più fare».

«Vai a trovare tua figlia».

Lui annuisce e sorride. Vedo la felicità nel suo sguardo, insieme alla trepidazione, alla preoccupazione e alla paura. Ma soprattutto la felicità. «Non posso far passare troppo tempo, la mia memoria non è proprio buona».

«Neanche la mia», replico, e scoppiamo a ridere.

Mi riparo gli occhi dal sole e poso la mano sul suo braccio. «Non ho mai avuto l’occasione di ringraziarti come si deve. Dopo tutto quello che è successo, me ne sono andata dall’isola di corsa, poi ci sono stati gli interrogatori con le autorità, è venuto Aiden…».

«Ehi, non preoccuparti».

Restiamo in silenzio per un minuto, poi dico: «Come stanno Van e Nancy?»

«Sono… Van e Nancy», risponde con una risatina. «Erano sconvolti quando hanno saputo di Jacob. Soprattutto Nancy. Lo conosceva da quando erano bambini, ed è sempre stato buono con lei. Ha detto che, con il senno di poi, avrebbe dovuto notare i segnali: il padre terribile che ha avuto, il fatto che Jacob volesse sempre che le cose andassero come voleva lui, tanto da crearsi mondi fantastici senza interessarsi se gli altri fossero d’accordo».

«Ma nessuno avrebbe mai potuto prevederlo. Non è che quando sei bambino indichi un amichetto e dici: “Lui diventerà un pazzo e rapirà una persona facendole credere che è sua moglie”».

«Con il senno di poi, tutto sembra ovvio», risponde Douglas. «Lo so per esperienza».

«Non possiamo cambiare il passato».

«Ma possiamo creare il futuro».

«Touchée», dico. Ci sorridiamo; ormai siamo legati a doppio filo: condivideremo per sempre quei terribili momenti in cima alla scogliera di Mystic Island.

Segue il mio sguardo verso la sagoma di un uomo che cammina sulla spiaggia, una figura con le spalle larghe che si dirige verso di noi. Ogni volta che vedo Aiden, il mio cuore perde un battito. Lo saluto con la mano e lui ricambia.

«Tuo marito?», chiede Douglas. «Quello vero?»

«Sì. Vorrei presentartelo prima che te ne vada».

 

Sono nella camera appena dipinta al secondo piano. Aiden arriva alle mie spalle e mi abbraccia. Mi sfiora la nuca con le labbra e si sistema meglio contro di me. I nostri corpi sono perfetti insieme. «Mi piace il colore», dice. «Giallo zafferano?»

«Più giallo paglia». Mi appoggio a lui, e riesco a sentire la morbidezza delle maniche di flanella sulle mie braccia.

«Giallo rudbeckia».

«Giallo cardellino».

«Giallo sole. Possiamo chiamarla così. Girasole».

«Col cavolo».

«E Giunchiglia?», propone posando una mano sul pancione.

«Non la chiameremo come il colore della sua cameretta».

«Come vuoi. Però Giunchiglia mi piace. Giunchi, per abbreviare».

«Non penso proprio», protesto, ridendo della sua stupidità.

«Hai idee migliori?»

«Ci penserò. Sono sicura che troverò qualcosa».

Mi prende la mano e sento il tremore delle dita. Sta ancora facendo fisioterapia. «Quand’è il prossimo appuntamento con la dottoressa?»

«Tra due settimane». Sono felicissima, anche se le ombre sono ancora con me. Potrebbero non scomparire mai, ma ho imparato a tenerle a bada. Ora sono di cinque mesi, ho superato il periodo a rischio. Speriamo che da qui in poi vada tutto bene. Non parliamo dei tempi, di cosa faremo se sul viso della nostra bambina ci fossero gli occhi di Jacob.

Io continuo a concentrarmi sulla luce, sulle possibilità, sulle cose buone e vere. Nessuno di noi è legato al passato, possiamo crearci il nostro futuro come famiglia. La nostra bambina incarnerà il meglio dei suoi genitori. Diventerà una brava persona, altruista, e sarà guidata dall’amore. È a questo che devo credere.