Capitolo diciannove
«Stavo per arrendermi», dice quando arrivo al giardino. Mi porge una scatola di uova. Indossa un paio di pantaloni con i tasconi, la giacca a vento e stivali da pioggia. Quella sensazione familiare ritorna; avevamo già fatto conversazione prima e ricordo quello che avevo pensato di lui: un uomo serio, rustico, un sub coraggioso. Sembra una persona semplice, ma l’apparenza può ingannare.
«Grazie. Jacob non c’è?». Quanto tempo ho camminato sulla spiaggia? Ho perso la cognizione del tempo. Riesco ancora a vedere il viso di Nancy, la sua espressione sorpresa con una punta di gelosia.
«Qui non c’è, e non è neanche nella dépendance».
«Non so dove sia. Mi dispiace che tu abbia dovuto aspettare. Entri?»
«Non mi dispiacerebbe un caffè». Mi segue all’interno, al caldo. Jacob, come al solito, ha fatto il caffè. La caffettiera è piena, e si sente il fuoco scoppiettare nella stufa. Forse è andato in città, o sta facendo una corsetta sulla spiaggia verso nord.
«Come sta Nancy?», chiedo allegramente.
«Come sempre».
«Cioè, sta bene?»
«Cioè, è Nancy».
Vado verso la credenza per prendere due tazze, e quando mi giro Van è alle mie spalle.
Fa un passo indietro. «Volevo prendertele io». Lascia che lo prenda io, dice nella mia testa.
«Grazie, ma ci arrivo se mi metto in punta di piedi».
«Sì, vedo».
Versa il caffè a entrambi e mi porge la tazza. Il suo sguardo si sposta sulla lista di cose da fare di Jacob che è sul bancone.
Spazzare il pontile, controllare le grondaie, matrimonio.
Comprare sale e olio d’oliva.
«Latte?», gli chiedo aprendo il frigo. È ancora troppo vicino.
«Prendo il caffè senza niente». Non si sposta né va a sedersi.
Metto le uova in frigo.
Lui si appoggia al bancone e con la tazza in mano indica la cicatrice che ho sulla fronte. «Fa ancora male? Sembra una brutta ferita».
«Non sento più niente, solo le ripercussioni».
«Ripercussioni». Rigira la parola sulla lingua, come se stesse assaporando del vino. «Che vuol dire? Dolore fantasma o qualcosa del genere?»
«Ogni tanto mi si annebbia la vista e ho capogiri, vuoti di memoria. È seccante».
«Io sarei seccato da matti se non ricordassi le cose».
«Però è strano, alcune cose mi stanno tornando in mente. Anche qualcosa su di te».
Inarca le sopracciglia. «Che cosa? Ti ricordi di essere venuta alla barca?».
Per poco non mi cade la tazza dalle mani, e le ginocchia mi tremano. «Siamo stati sulla tua barca?»
«Non eri con Jacob».
I suoi occhi si fanno scuri e gli si formano delle rughe sulla fronte.
«Ci sono venuta da sola. Perché non me l’hai detto prima?»
«Jacob mi ha detto di non dirtelo».
«Quindi lo sa. Perché vuole che tu me lo nasconda?»
«Ha detto di non parlare con te del passato, di lasciare che ricordi da sola».
«E se non ce la facessi, senza aiuto? Ha detto che non avrei mai ricordato».
«Forse è quello che vuole». Mi guarda attentamente, studiandomi il viso: la pelle arrossata dal freddo, i capelli in disordine per il vento e la sabbia. È come se riuscisse a vedere il mio ricordo in cui Nancy becca me e Jacob in flagrante nel fortino di legno. Se Van avesse visto la gelosia nello sguardo di lei, il suo rimpianto, cos’avrebbe fatto?
«Stai dicendo che non vuole che recuperi la memoria». Mi viene la pelle d’oca. «Che cosa… stupida».
«Ha detto che ti saresti agitata. Ma, sinceramente, speravo di trovarti qui da sola».
«Perché?». Forse non avrei dovuto invitarlo a entrare. Ora mi rendo conto della sua stazza, della sua presenza imponente, del modo in cui sposta l’aria come un’ondata di maltempo.
La sua voce si fa tesa. «Questa cosa mi innervosisce, dovresti
sapere la verità: eri venuta da me in cerca
d’aiuto».
In cerca d’aiuto? «Che tipo di aiuto? Per aggiustare qualcosa?».
Lui ridacchia. «Cavolo, no. Non era un problema tipo il pannello solare».
«E allora cosa? Quando è successo?».
Si gratta il labbro superiore e poi si passa una mano tra i capelli. «Lo scorso settembre. Sei venuta alla barca per chiedermi aiuto».
«Cosa stava succedendo?».
Beve un sorso di caffè e batte un dito sulla tazza. «Ho promesso a Jacob che non avrei incasinato le cose tra voi».
«Incasinato cosa?».
Fa un gesto con la mano. «State cercando di sistemare le cose, non posso mettermi in mezzo».
«Vuoi dire che avevamo una relazione? In mezzo in questo senso?»
«Non esattamente».
«E allora come?»
«Senti, non avevamo una relazione». Va alla finestra e guarda il mare. «Giurami che non dirai a Jacob quello che sto per dirti, visto che siete tornati insieme».
«Non stavamo insieme a settembre?». Mi appoggio al bancone per prepararmi. Potrei svenire.
«Sì, ma volevi andartene senza di lui. Il traghetto era rotto e mi hai chiesto di portarti sulla terraferma, ma non potevo perché Nancy stava avendo una crisi di nervi».
«E perché ti ho chiesto di portarmi via dall’isola?».
Finisce il caffè, torna in cucina e mette la tazza nel lavello. «Non l’hai detto, ma eri agitata. Ho odiato non potermene andare. Nancy se la prendeva con me in continuazione, diceva che uscivo troppo. Cerco solo di darle quello che vuole, la vita che vuole».
Sta partendo per la tangente, ma ora non posso stargli dietro. «Jacob sapeva che volevo andarmene?»
«Sapeva che eri venuta da me, ma non gliel’avevo detto io. Ti aveva seguita fin lì per riportarti a casa».
«Quindi poi sono tornata con lui».
«Sì. Il giorno dopo, il traghetto ha ripreso a funzionare e tu te ne sei andata».
«Da sola, con i bagagli», dico. Ho superato la biblioteca trascinando la valigia…
«Evidentemente avete risolto i vostri problemi, visto che stai di nuovo con lui».
«Evidentemente», rispondo. La stanza si sta rimpicciolendo sempre di più.
«Spero tu sappia cosa stai facendo. Eri pronta ad andartene da qui».
«Be’, ora non più».
«Lo vedo». Tamburella le dita sul bancone.
«Glielo devo dire che abbiamo avuto questa conversazione».
«Sì, immaginavo. Mi prendo la responsabilità».
«Non puoi prenderti la responsabilità per qualcosa di cui non hai colpa. Jacob avrebbe dovuto dirmi che avevamo litigato. Sei sicuro che non ti avevo detto perché volevo andarmene?»
«Eri sempre molto cauta, su tante cose. Quando ci siamo conosciuti, ho pensato che avessi dei segreti. Segreti che ti eri portata dietro dalla città».
«Che segreti? Perché l’hai pensato?»
«Ogni volta che Jacob iniziava a parlare di te, di come vi eravate conosciuti o del matrimonio, restavi zitta. A volte gli dicevi di non annoiarci con i dettagli, oppure ti alzavi e andavi via. Sembrava che la cosa ti mettesse a disagio». Guarda fuori dalla finestra della cucina e aggrotta le sopracciglia. «Parli del diavolo… Eccolo, è arrivato. Senti, dimentica quello che ti ho detto. Sembra che ora tra voi vada tutto bene. Grazie per il caffè». Se ne va passando dal portico e scendendo i gradini a due a due.
«Aspetta!», gli grido, ma è già salito sul furgone quando Jacob parcheggia nel vialetto.