Capitolo quaranta

«Sei pallida», mi dice Jacob porgendomi la tazza di tè.

«Devo riposarmi. Sei troppo buono con me». Sono un fascio di nervi. Il vento ulula per tutta l’isola e fa sbattere le finestre.

«Hai la febbre?». La sua voce è premurosa, preoccupata. Mi tocca la fronte e devo trattenermi per non scostargli la mano. «Non sei troppo calda, forse è solo stanchezza».

«Sono esausta. Ha iniziato a piovere di colpo».

«È una tua abitudine. Durante il nostro secondo appuntamento siamo stati sorpresi dalla pioggia, ci siamo riparati sotto una tenda e poi siamo andati a cena a Belltown».

«In qualche posto romantico, immagino». No, penso, quella sera ero con Aiden, non con te.

«Se non sbaglio era Il Bistro di Pike Street. Cibo ottimo».

Io e Aiden eravamo corsi dentro Il Bistro per evitare la pioggia. Dopo avevo collegato quella storia a Jacob. «Dovremmo ritornarci», dico.

«Lo faremo. Ma adesso ti preparo un po’ di zuppa».

«Non ho molta fame». Mi alzo e mi tremano le gambe. «Penso che andrò a dormire».

Ma non riesco a dormire. Resto sveglia fino a tarda notte. Il russare di Jacob riempie la stanza. È venuto qui per stare di nuovo con me, e non ho protestato. Non voglio destare sospetti. La lucina da notte emette un debole bagliore nel corridoio. Mentre scendo silenziosamente dal letto, Jacob si muove… Il cuore sembra volermi uscire dal petto. Ti prego, non svegliarti.

Si gira dall’altra parte, il suo respiro è leggero e regolare. Vado in bagno in punta di piedi e socchiudo la porta per non fare rumore. Apro silenziosamente il flacone del sonnifero e svuoto il contenuto nella tasca del mio pigiama, poi rimetto il flacone in fondo al cassetto. Apro la porta e sobbalzo: Jacob è lì in piedi, la mano sulla maniglia.

«Che stai facendo?», chiede, grattandosi la testa.

«Dovevo fare pipì, non volevo svegliarti».

«Sono felice che l’abbia fatto», risponde, e mi infila le mani sotto la maglia del pigiama. Resto immobile. Ora il suo tocco è una tortura.

«Non sto bene», gli dico, sgusciando via e infilandomi nel letto.

«Lo so, scusami». Torna a letto e poco dopo sta di nuovo russando. Guardo l’orologio, i minuti passano. Chiudo gli occhi senza sperare di addormentarmi, ma ogni tanto mi appisolo, e la mattina mi alzo presto. Infilo vestaglia e ciabatte e vado in cucina a preparare il caffè. Le pillole sono ancora nella tasca del pigiama.

Quando Jacob si alza per accendere il fuoco, prendo due tazze e verso il caffè dandogli la schiena. Poi infilo una mano nella tasca.

«Vuoi il miele? I soliti tre cucchiaini?»

«Dovrei smettere di usarlo, non è salutare».

«Ha proprietà antibiotiche. È la tua unica debolezza, non sgarri mai con tutto il resto».

«Mi hai convinto».

Sospiro di sollievo. Metto il miele, aggiungo le pillole e giro. Mi tremano le dita. Il cucchiaino sbatte contro l’interno della tazza. Le pillole si spezzettano, ma se non si dissolvessero? Quante ne ho messe? Ho perso il conto. E se non lo mettessero KO? E se ne sentisse il sapore? Giro il caffè con vigore; lui continua ad armeggiare con il fuoco. Bevo un piccolo sorso dalla sua tazza: il caffè è leggermente amaro, quindi aggiungo altro miele. E se lo uccidessi per sbaglio? Quant’è una dose accettabile?

Mi tremano le mani mentre gli porgo il caffè, ben consapevole di quello che c’è dentro. Lui aggiunge un altro ceppo al fuoco.

Guarda la fiamma attraverso lo sportello di vetro della stufa. Poi beve un sorso, si ferma e guarda dentro la tazza.

Lo sa. Sa cos’ho fatto. Sa che so che non siamo sposati. Lancerà la tazza contro il muro. Sono morta.

«Mhh…», dice, e continua a bere.

Quasi svengo per il sollievo. Non posso parlare, non posso far trapelare niente.

Posa la tazza sul tavolino e si siede sul divano, battendo una mano accanto a sé. Non ne ha bevuto abbastanza. E se non lo finisse?

Mentre mi siedo accanto a lui, è come se le nostre tazze fossero al centro del palco con la luce puntata addosso. Sa cos’ho fatto, per forza.

«Come ti senti stamattina?», chiede.

«Un po’ meglio».

«Ieri notte… scusami. Avrei dovuto essere più comprensivo».

«È tutto a posto», rispondo.

«Davvero?»

«Mh-mh».

«Piedi», dice solo. Il mio cuore batte contemporaneamente alle lancette dell’orologio appeso al muro. Il frigo è troppo rumoroso. E se non toccasse più la tazza?

Poso la mia sul tavolo. È blu, la sua è bianca: non posso scambiarle.

Metto i piedi sulle sue gambe e lui inizia a massaggiarli.

Resisto all’impulso di dargli un calcio in faccia e mantengo il respiro costante. Dài, bevi il caffè. Alla fine si appoggia allo schienale e riprende la tazza dal tavolino, guardando la fiamma soffocare.

«È bello lasciar perdere, vero?», chiede.

«Lasciar perdere cosa?»

«Il passato. È meglio lasciar perdere certe cose».

Non ho intenzione di litigare, non ora. L’ultima volta che siamo stati qui sull’isola, avevo deciso di tornare sulla terraferma per ricominciare con Aiden. Jacob era furioso.

Quando gliel’avevo detto, aveva lanciato il sapone contro la porta del bagno. Era stato lui a fare quella crepa. Ma un paio di mesi dopo, mi aveva chiamata. Mi manchi, aveva detto. Mi accontento di un’amicizia, se è quello che c’è tra noi.

Ci eravamo visti per bere una cosa insieme. Ero sorpresa da quanto fosse stato comprensivo. Kyra, aveva detto, spero tu sappia che ovviamente tengo a te, che voglio solo che tu sia felice, che tu stia con una persona che ti ama e che ti metta al primo posto. Gli avevo risposto che gli auguravo tutta la felicità possibile. Quando mi stavo alzando, aveva detto che Aiden gli aveva chiesto di noi. Allora mi ero fermata, mi ero seduta e gli avevo preso la mano. Ricordo di aver supplicato. Ti prego, non dirgli niente, Jacob. Sa che ci sei stato per me, ma non gli ho detto che eri tu l’uomo con cui ho passato l’estate.

Aveva abbassato lo sguardo sulla mia mano. Lo sai che farei tutto per te. Aiden non sarà uno che nota certe cose, ma gli verranno dei sospetti se non passiamo del tempo insieme, come abbiamo sempre fatto.

Lo so. Diamoci un po’ di tempo.

Qualche settimana dopo, Aiden aveva detto di aver parlato con Jacob di un’immersione, e sapevo che non potevo più rimandare.

Avevo deciso che avremmo fatto questa escursione tutti insieme.

Dopo saremmo tornati alle nostre dinamiche familiari, oppure avrei raccontato tutto a Aiden.

Forse lo sa già, avevo pensato. Forse Aiden sa cos’ho fatto e capisce. E forse mi ha perdonata.

Quindi avevamo organizzato l’immersione, tutti e tre. Sul tragitto per Deception Pass, avevamo fatto l’escursione a Ebey’s Landing. Quando ero inciampata ed ero finita tra le braccia di Aiden, avevo di nuovo la fede, quella con l’orca, non l’anello impostore che ho adesso.

L’anello di Jacob brilla alla luce, mentre solleva la tazza per bere il caffè. «Oggi ha un sapore strano».

Il tempo si ferma. Mi ha scoperto. «L’ho notato», rispondo senza fare una piega. La mia voce non riflette il panico che sento dentro. «Devo pulire la caffettiera. Ci metto un po’ di aceto».

Lui annuisce, distratto, e beve un altro sorso. Poi posa la tazza sul tavolo e si accovaccia contro di me. «Ho bisogno di un pisolino», dice sbadigliando. «Cavolo, è prestissimo».

«Ieri notte non hai dormito abbastanza». Cerco di sbirciare nella sua tazza. Ha finito il caffè? Quanto ne ha bevuto?

«Torna a letto con me». Mi attira a sé.

Quanto ci vorrà? E se le pillole non funzionassero? Restiamo seduti così per un po’, per troppo.

Poi, finalmente, si alza e barcolla. «Cavolo, forse mi sto ammalando anch’io».

«Non stai bene? Come ti senti?». All’improvviso sono travolta dal senso di colpa. Sembra in qualche modo vulnerabile. E se si addormentasse e non si svegliasse più? Ma quest’uomo mi ha mentito da quando siamo arrivati qui. Ogni secondo.

Mi guarda, curioso. Quanto ancora resterà cosciente? Lo seguo in camera da letto. Sta vacillando. Cade sul letto di pancia; ha gli occhi chiusi e il respiro pesante.

Lo pungolo. Non si muove. Respira ancora, ma sembra privo di sensi.

Frugo nelle sue tasche: le chiavi del furgone non ci sono, eppure l’ho sempre visto metterle lì. Non sono neanche nel piattino sul mobile del corridoio. Non sono in cucina, vicino al portafoglio. Non sono da nessuna parte. Controllo la sua tazza: ha bevuto meno della metà del caffè. Le pillole devono essere più forti di quanto pensassi. Ma quanto tempo ho prima che si svegli?