Capitolo nove
«Ti ricordi di aver mai comprato dell’olio da massaggio al Mystic Thyme?», chiedo nel pomeriggio, mentre Jacob guida sulla strada principale per andare nei posti che frequentavamo. Non gli ho detto della sessione con Sylvia; è come se la mia chiacchierata con lei fosse un segreto.
«Il negozio di saponi? Ci siamo andati qualche volta», risponde guardandomi.
«Indossavo un vestito blu cobalto bellissimo. Cosa gli è successo?».
Il suo sguardo si fa triste. «Era un vestito stupendo, ma non c’è più. Ci hai rovesciato sopra del tè, eri arrabbiatissima. La macchia non è mai venuta via».
«Neanche con lo smacchiatore?»
«Era rovinato», replica. «Però, caspita, ti sei ricordata del vestito».
«È successo l’estate scorsa, eravamo qui in vacanza. Adoravo essere qui con te, l’isola era come un sogno. Ma ero anche inquieta, sentivo il bisogno di tornare sulla terraferma».
«Eri una stacanovista». Svolta a sinistra al cartello con scritto: RISERVA PALUDOSA DELL’ISOLA.
«Sembrava altro. Dovevo sistemare qualcosa».
«Come ho detto, lavoro», dice, parcheggiando. «Eri l’assistente, il professor Brimley pretendeva troppo da te».
«Il professor Brimley. Me lo ricordo vagamente».
«Ti faceva lavorare troppo, considerando quanto ti pagava: dovevi organizzare le lezioni, preparare le verifiche… Eri molto stressata. Forza, facciamo una passeggiata». Prende un binocolo dal portaoggetti e ci avviamo sul sentiero che porta alla palude. Il fruscio dell’erba mi tranquillizza. Nessuno ci seguirà fin qui, mi aveva detto tenendomi la mano.
«Chi dovrebbe seguirci?».
«Come?», chiede, guardandomi confuso.
«Avevi detto che nessuno ci avrebbe seguiti fin qui. Stavamo scappando?». Sorrido per alleggerire il senso delle parole.
Lui ride. «Dalla vita cittadina, sì».
«Mi stavo riprendendo da qualcosa?»
Mi lancia un’occhiata intensa. «Cosa te lo fa pensare?»
«Dovevo curare il mio spirito, stando a Eliza del Mystic Thyme. Mi ha dato una boccetta di olii essenziali».
«Non che mi ricordi».
«Per niente? Doveva esserci qualcosa».
«Forse problemi sul lavoro?»
«Problemi tra noi?»
«Continui a insistere», dice. «Inizio a pensare che tu voglia che avessimo problemi».
«Non sto dicendo questo». Ma forse sto cercando falle nel nostro rapporto, qualcosa che potrebbe avermi portata a voler fuggire dal matrimonio.
«E allora cosa stai dicendo? Ti ho già detto che stavamo bene».
«D’accordo, allora stavamo bene». Mentre percorriamo il sentiero, combatto l’istinto di fare altre domande e mi concentro sui merli, sui pettirossi e sulle anatre nello stagno.
In questa riserva, io e Jacob avremmo potuto essere le uniche persone sulla Terra.
Dopo l’escursione, mi porta a Windy Reef Park, dove vediamo i leoni marini che si radunando sugli scogli. Li sentiamo prima di riuscire a scorgerli. «Un punto di osservazione fantastico. Non ne avevo idea».
«Lo chiamavi il punto magico dell’orizzonte».
«È il punto mutevole in cui si incontrano cielo, terra e acqua. Mi piace che te ne ricordi».
«E come potrei dimenticarlo? È sempre stato il tuo posto preferito».
Mi si scalda il cuore davanti a quest’uomo che vuole solo farmi felice. «E tu? Qual è il tuo posto preferito?».
Mi guarda negli occhi. «Dove ci sei tu. È l’unico posto in cui voglio stare».
«Risposta perfetta», replico mentre avanziamo sul sentiero. Lo sorpasso e vado verso un dirupo delimitato da un parapetto in legno. «Dev’essere un punto di osservazione meraviglioso».
Jacob mi raggiunge, mi afferra il polso e mi tira indietro. «Non andare, potresti cadere».
«Non ho intenzione di arrivare fino al bordo». La sua presa si fa più stretta e io abbasso lo sguardo, sorpresa.
«Ti vengono i capogiri. Non ti è mai piaciuto salire fin lì, hai paura dell’altezza».
In questa zona, delle persone si sono buttate giù dai dirupi, aveva detto Nancy. Non ci vado là.
Eravamo qui con Van e Nancy. Il sole brillava sull’acqua, le rose selvatiche stavano sbocciando e dei piccoli fiori bianchi punteggiavano i rovi.
La metà della gente che è volata da qui probabilmente è stata spinta, aveva ribattuto Jacob.
Affogare qualcuno sarebbe la soluzione migliore, avevo detto io, non si può provare che è stato omicidio.
L’avevo detto davvero?
«Vedi qualche orca?», mi chiede Jacob, indicando il mare. Non sembra notare la mia espressione scioccata. Non sa che sto ricordando, avrà pensato che sto guardando le pinne che spuntano tra le onde.
«Quelli sono focenoidi», dico debolmente. «Sono molto più piccoli delle orche».
«Sei tu l’esperta».
«Ho freddo. Andiamo». Mi giro e torno velocemente sul sentiero, verso il parcheggio, inciampando per la fretta.
«Stai bene? Ti gira di nuovo la testa?»
«Mi sono ricordata che siamo stati qui con Van e Nancy», gli dico mentre saliamo sul furgone. «Tu hai detto che la maggior parte della gente che salta dai dirupi probabilmente è stata spinta».
Aggrotta la fronte. «È vero, mi ricordo».
«Io ho detto che affogare qualcuno sarebbe l’omicidio perfetto».
Ride e gira la chiave per avviare il motore. «Caspita, che cosa strana ti è tornata in mente».
«Solo quella parte della conversazione».
«Ci eravamo messi a parlare di tutti i modi per uccidere qualcuno e farlo passare per un incidente. Tu avevi accennato all’annegamento, Van aveva detto che Nancy poteva sbarazzarsi di lui solo baciandolo… dopo aver mangiato una vongola. La conversazione era diventata morbosa. Ehi, non fare quella faccia preoccupata. Stavamo scherzando».
«Non sono preoccupata», rispondo; ma per tutto il tragitto verso casa resto aggrappata alla maniglia della portiera con le spalle rigide. Le parole di Sylvia mi riecheggiano nella mente. Intende dire che potrebbe esserci una componente psicogena nella sua perdita di memoria? Cose che il cervello sceglie di dimenticare. Qualcosa di traumatico.
E se il mio cervello non stesse scegliendo di bloccare il trauma, ma qualcos’altro? Impossibile. Devo scacciare questo pensiero e devo credere a quello che dice Jacob. La conversazione era per ridere; solo perché qualcuno parla di omicidio, non vuol dire che intenda commetterne uno.