Capitolo trentacinque
Nelle foto, il sole del tardo pomeriggio fa comparire aloni di luce intorno a me e Aiden. Ma certo che ci eravamo sposati tre anni fa. L’ho sempre saputo. La verità aspettava pazientemente tra le ombre, sperando di essere ritrovata. Io e Aiden eravamo profondamente innamorati. Avevamo deciso di passare il resto della nostra vita insieme. Eccoci, seduti su una roccia con le mani intrecciate, che ci guardiamo intensamente negli occhi.
Il fotografo non aveva trascurato nessuno scenario: corriamo sulla spiaggia, nel bosco, mano nella mano; ci baciamo stretti in un abbraccio appassionato, incorniciati dalla luce del tramonto; siamo in piedi, uno di fronte all’altra, con la vegetazione sullo sfondo. Aiden solleva la mia mano e vi posa le labbra. Io gli sorrido. Ho qualche chilo in più, le ciglia folte e le guance rosate.
In un altro scatto artistico, c’è una stella marina su una tovaglia con le fedi su due delle punte. Sugli anelli è inciso il simbolo dell’orca dei nativi dell’America nord-occidentale. Ora mi ricordo: avevamo scelto quegli anelli insieme. Avevamo scritto i nostri voti nuziali. Non volevamo essere convenzionali. Aiden mi aveva guardata, il sole del pomeriggio gli illuminava i capelli. Le sue dita tremavano mentre mi teneva la mano. Speravo che nessuno notasse quant’ero nervosa. Era una giornata calda; percepivo gli sguardi dei nostri amici seduti ai loro posti, sorpresi dalla nostra decisione di sposarci, ma comunque felici per noi. L’officiante, un uomo con pochi capelli e degli occhiali con lenti spesse, aveva annuito gentilmente a Aiden, sollecitandolo a iniziare. Aiden si era schiarito la voce e aveva detto: «Sono felice di essere su questo pianeta, di occupare il tuo stesso spazio e di celebrare ogni attimo del nostro amore. Non vedo l’ora di scoprire cosa ci porterà il domani. Passerò tutto il resto della mia vita con te…».
Sullo schermo compare tutto il testo della cerimonia, ma le parole sono confuse a causa delle lacrime. Come ho potuto dimenticare? Quel giorno mi sentivo come se fossi su una nuvola. Avevo pensato che non sarei mai stata più felice.
Ma appena sotto la gioia, c’era la malinconia: i miei genitori non avevano potuto condividere la mia felicità; mio padre non mi aveva potuta accompagnare all’altare e mia madre non aveva potuto aiutarmi a scegliere il vestito. Però avevo sentito la loro presenza nell’aria salmastra dell’oceano, nelle onde che sussurravano i nostri nomi. Il mio cuore era colmo di adorazione, di amore.
Le bellissime foto successive mostrano me e Aiden scambiarci le fedi. Avevo detto: «Sarò sempre buona con te, fedele e indulgente…». E Aiden: «Questi sono solo anelli, due pezzi di metallo. Quello che ti sto dando è la mia totale devozione, il mio amore eterno».
Avevo risposto: «Il nostro amore non può perdersi, cambiare né essere rubato. Al contrario di questi anelli, non possiamo togliere la devozione l’uno dall’altra, né ora né mai».
Quando avevo detto «né ora né mai», avevo notato che Jacob, seduto in prima fila, mi fissava. Gli altri ospiti sorridevano e Linny si era asciugata una lacrima. Ma il viso di Jacob era teso, le labbra serrate. Non sembrava felice per noi, nemmeno un po’. E quando gli ospiti ci avevano tirato germogli di lavanda per salutarci, lui era rimasto immobile sul marciapiede. Aiden aveva avviato il motore della decapottabile e io mi ero girata per salutare i nostri amici. Jacob era l’unico che non aveva risposto al saluto. Aveva buttato la lavanda per terra, si era girato ed era andato via.