Capitolo ventisei

Sono sulla bici e sto andando alla barca di Van per incontrarlo. È tornato dall’ospedale stamattina e si è subito rimesso al lavoro. Ha la barca ormeggiata a un chilometro e mezzo a sud del porto, in un’insenatura isolata. Seguo la stradina stretta fino alla battigia. I campi e le foreste mi scorrono accanto, le nuvole autunnali si spostano nel cielo. Ci sono tronchi sparsi sulla spiaggia che intralciano il passaggio che conduce a un pontile eroso. La barca di Van oscilla delicatamente sulle onde, con una grande nave da recupero rossa e grigia dipinta sopra. Non ci sono altre barche e non si vedono abitazioni; su quella spiaggia stretta non c’è anima viva.

Van emerge dalla cabina con un maglione a righe, un berretto, un paio di jeans e gli stivali; ha gli occhi socchiusi nonostante sia nuvoloso. «Kyra!».

«Van». Sto stringendo il manubrio talmente forte che mi fanno male le dita. Allento la presa e vado a piedi fino al molo.

«Sali pure».

Metto giù la bici e lui mi prende la mano per aiutarmi a salire. Sono già stata qui, su questo ponte sbiadito con l’odore salmastro e di vernice fresca.

«Mi fa piacere che stai bene».

«Non è stata esattamente un’esperienza piacevole».

«Com’è successo? Sai cos’hai mangiato?»

«È un mistero, ma ora sono un uomo diverso. Ogni volta che ci immergiamo per un naufragio rischio la vita, ma stavolta ho guardato la morte in faccia durante una cena».

«Non scherzare. Non si può mai sapere quello che succederà, la vita può cambiare in un attimo».

«E noi due lo sappiamo bene». Van mi conduce in cabina. Sui tavoli ci sono resti arrugginiti di navi naufragate – vecchie scarpe, bottiglie di vino e oggetti in ceramica. Lo spazio è colmo di equipaggiamenti – attrezzi di metallo e macchine fotografiche, attrezzature per le immersioni, mute appese, salvagenti, funi, un canotto. «Cosa posso fare per te?», mi chiede.

«Cosa sai del mio incidente?»

«Solo quello che ci ha detto Jacob».

«Ho la sensazione che ci fosse qualcun altro. Eri tu?»

«Io?», domanda allarmato. Poi cambia espressione, come a nascondere… che cosa? «Perché lo pensi?»

«C’era qualcun altro».

Mi guarda di traverso. «Non ero io».

«Mi chiedo chi fosse».

«Come sai che c’era qualcun altro? Te l’ha detto Jacob?»

«Lui ha detto che non c’era nessuno, ma continuo a vedere immagini di un terzo sub. E sono sicura che stesse facendo fatica a respirare. Quale può essere la causa della mancanza d’aria durante un’immersione? Il nitrox di cui mi hai parlato?»

«Può essere per la tossicità dell’ossigeno, se non tieni d’occhio la quantità».

«Ma si può sopravvivere».

«Sì, credo di sì».

«Cos’altro può andare storto?»

«Molte cose: si può perdere la bombola se non è agganciata bene al GAV, il giubbotto ad assetto variabile. La cinghia in acqua si espande, e se si sgancia sono guai. Oppure se il regolatore non funziona bene. Una volta mi è capitato».

«È stato un incidente?»

«Sì. Perché me lo chiedi? Tu e Jacob siete sopravvissuti. Lui è un sub esperto, ha fatto il corso per usare il rebreather».

Mi sembra di ricordare il termine. «E se si tratta di qualche scienziato che documenta la vita marina?»

«Dipende. Un sub inesperto e fuori forma si può stancare e può consumare troppa aria, o può andare nel panico e salire in superficie troppo velocemente: questo porta a un’embolia a causa di bolle di azoto nel sangue».

«E se il sub è in salute ed esperto e non risale troppo velocemente?»

«Agli esperti non succede, perché controllano l’attrezzatura prima dell’immersione. È più comune che un sub faccia un errore, vada nel panico. Se hai un raffreddore o qualche allergia, può venirti una congestione; non rifletti a mente lucida e finisci il gas – l’ossigeno, come dici tu. Respiri profondamente ma senti che non ti arriva l’aria e il corpo è sottoposto a un forte stress».

«Jacob è un sub esperto, mi ha insegnato a immergermi. Eppure…».

«I sub vanno nel panico nelle acque agitate. Uno su dieci muore per le correnti troppo forti. In quel caso non c’è niente da fare».

«Uno su dieci. È tanto».

«Probabilmente è stata colpa della corrente. Hai lottato e ti sei salvata».

«Hai ragione… ma c’è qualcosa che mi tormenta, qualcosa che devo ricordare».

«Se hai ancora bisogno di aiuto, sono qui fino a domani. Poi vado in Colombia, mi hanno offerto un lavoro al largo della costa. Tornerò tra un mese circa».

«Ti sei rimesso al lavoro subito, considerando che sei quasi morto».

«Sì, devo sbarcare il lunario», dice, facendo un respiro profondo. «Per Nancy. Vuole che facciamo più cose insieme, che facciamo gite romantiche. L’ultima cosa romantica che abbiamo fatto è stata passare una notte al bed & breakfast».

Mi viene in mente una cosa e mi giro verso di lui: «Lo stesso in cui siamo stati quando siamo arrivati qui, l’estate scorsa?»

«Sì, nella zona nord della città. Ce n’è solo uno. Vuoi andare?»

«Solo per vedere se mi torna in mente qualcosa».

«Allora devi sbrigarti, potrebbero chiudere per la stagione».