Capitolo ventidue
Siamo di nuovo nello stretto – il sogno mi riporta al muro di roccia, con gli anemoni che oscillano dolcemente nella corrente. C’è un altro sub, qualche metro più in alto, che sta riprendendo un gruppo di ricci. La corrente è forte, molto più forte di quanto dovrebbe. Possibile che non avessimo calcolato il momento giusto per immergerci? Possibile che avessimo sbagliato? Vengo sopraffatta da un’ondata di ansia e vado in iperventilazione. Inizio a contare: uno, inspiro, due, espiro, tre. Perché sono qui? Non sono ancora pronta per immergermi qui, il mare è troppo agitato. Dove siamo? A Deception Pass? Da qualche altra parte?
Andrà tutto bene, mi aveva detto Jacob. Ci sarò anch’io, mi prenderò cura di te. Ma qui la corrente non è mai davvero debole: va in una direzione, si ferma un attimo e poi cambia. La mia maschera è sempre più stretta, la muta pesante. Ho freddo, troppo freddo. Non riesco a respirare a fondo. Non siamo soli. Un terzo sub passa dietro di noi. Un altro uomo? E dietro di lui c’è un quarto sub? Altri due, o solo uno? Ora l’acqua è torbida, melmosa, piena di ombre.
In un attimo, la corrente ci porta via. La risacca ha rimescolato il fondo del mare. Una nuvola passa davanti al sole e tutto si fa scuro. Dove sono? A che profondità? Dieci metri? Venti? Sento solo il mio respiro affannoso. Ho l’impulso di strapparmi via la maschera, raggiungere la superficie velocemente e respirare aria fresca. Niente panico. Il panico è quello che uccide la maggior parte dei sub. Se risalgo troppo velocemente rischio la decompressione a causa delle bolle di azoto nel flusso sanguigno. Un altro sub nuota sotto di me. I suoi occhi sono spalancati per la confusione, o per la paura, o per entrambe le cose. Devo aiutarlo, ma la risacca è troppo forte. La corrente lo trascina via. Mi sveglio boccheggiando, il battito del cuore mi pulsa nelle orecchie.
Mi siedo e mi gratto la fronte, cercando di schiarirmi le idee. L’orologio sul comodino segna le otto. Ho dormito più del solito. Jacob sta già canticchiando in cucina.
Mi metto la vestaglia e le ciabatte e vado nel mio studio. Accendo il computer e cerco di nuovo su Google “Kyra Winthrop”, “incidente subacqueo” e “Deception Pass”, poi clicco sui risultati della categoria “notizie”. Compaiono le stesse storie: due sub salvati nello stretto, entrambi vivi per miracolo, la mia commozione cerebrale. Cosa mi aspettavo di trovare? Un articolo nuovo, sbucato dal mio sogno, che diceva: Errata corrige: il nostro pezzo precedente riportava erroneamente che solo due sub avevano rischiato la vita a Deception Pass. In realtà, una coppia fantasma di sub è sopravvissuta alle insidiose correnti… Per gentile concessione della fervida immaginazione di Kyra Winthrop.
Alla faccia del potere rivelatore dei sogni.
Nella mia casella di posta trovo un messaggio di Linny.
Kyra,
è successo qualcosa? Tu e Jacob avete discusso? Perché mi hai chiesto se avete litigato? Dimmi cosa succede! È sempre stato attento e gentile con te. A volte si arrabbierà anche lui, come tutti.
Baci,
Linny
Be’, è un sollievo.
Mi disconnetto e vado in cucina. Jacob è seduto al tavolo con gli occhiali da lettura sul naso e sta scrivendo su un foglio a righe.
Sbircio da dietro la sua spalla la lista scritta nella sua calligrafia indecifrabile:
Patate dolci, sciroppo d’acero, cannella, zucca violina, noci pecan…
«Una ricetta?», gli chiedo.
«Pasticcio di zucca e noci pecan», risponde lui.
«Non mi fido della parola “pasticcio”», affermo, versandomi una tazza di caffè. «È quello che faceva mio padre quando voleva mascherare gli avanzi».
Jacob si toglie gli occhiali e sorride. «Almeno tuo padre cucinava. Il mio non distingueva neanche uno scolapasta da una pentola».
«Non eravamo una famiglia normale», rispondo. «Pasticci a parte. Per qualche motivo a tutti sconosciuto, mio padre si considerava la versione maschile di Martha Stewart».
«Questo non è un pasticcio normale», dice Jacob. «Vegano, croccante e dolce, proprio come te».
«Un pasticcio dolce? Bleah».
«Fidati, è buono».
«Se lo dici tu», rispondo sbadigliando.
«Non hai dormito bene», osserva con una punta di preoccupazione.
«Ho fatto di nuovo quel sogno». Mi siedo anch’io, con la tazza calda tra le mani. «Solo che faceva paura. La corrente è cambiata e ci ha sballottati…».
«Aspetta, pensi che questo sogno ricorrente sia un ricordo?»
«Non ne sono sicura, ma stavolta c’era qualcun altro. Almeno un altro sub».
Inarca le sopracciglia, ha uno sguardo confuso. «Un altro sub? Chi?»
«Non lo so. Ci eravamo immersi da soli?»
«Sì, solo noi due», risponde, aggrottando la fronte. «Perché avresti sognato un’altra persona?»
«È possibile che qualcun altro si fosse immerso con noi?»
«Non con noi, ma quando le condizioni sono ottimali nello stretto possono esserci più sub».
«Abbiamo visto altre persone?»
«Forse. Aspetta… sì, ora mi ricordo. Un sub esperto con uno meno esperto che lo seguiva. Ma non eravamo con loro, li abbiamo solo salutati. Ci stavamo immergendo vicino alla diga marina e li abbiamo superati».
«E andavamo nella stessa direzione?»
«Per forza. Non si può andare controcorrente. Prima ci si fa trasportare dalla corrente da una parte e poi dall’altra».
Fisso la tazza. Ho finito il caffè senza neanche accorgermene. «In questo sogno non c’erano le classiche stranezze… sai, quando succedono cose impossibili. Sembrava vero».
«Forse il sogno riguardava un’altra immersione».
«Sembrava lo stretto».
«Ci siamo immersi in altri posti».
«Ma il sogno…».
Alza lo sguardo su di me. «Hai già fatto sogni su altre immersioni e mi hai già fatto questa domanda. La mia risposta è sempre la stessa».
Mi tiro indietro, scioccata. «Non…».
«Non ti ricordi, lo so». Strappa il foglio dal blocco. «Devo comprare gli ingredienti per la cena, vado in città». Mentre si mette il cappotto, mi verso un’altra tazza di caffè per avviare il mio cervello annebbiato. Vorrei poter rivedere il sogno, come un film, per sapere esattamente quello che ho visto.