Capitolo dodici
Io e Jacob arriviamo al Whale Tale all’imbrunire. Il ristorante è su un alto promontorio che sovrasta il mare. Il locale è piccolo, ci sono solo dieci tavoli distanziati che garantiscono la privacy. Un’altra coppia è seduta in un angolo lontano. Il cielo è striato dagli ultimi raggi rosati del tramonto di ottobre. Jacob si sporge e mi prende la mano. Le nostre fedi brillano alla luce della candela. La fiamma guizza tra noi e accentua gli spigoli e le ombre del suo viso. Ha fatto la barba e indossa una camicia bianca.
«Com’è andata a scuola?», chiede.
«Bene. Parlare agli alunni è stato naturale. Immagino mi sia tornato in mente come si fa».
«Ottimo, no? Ma sembri pensierosa».
«Dopo io e Nancy abbiamo fatto una passeggiata».
«E ti ha tranquillizzata?»
«Più che a sufficienza. Ma… mi ha raccontato altre cose».
«Oh oh. Che cosa? Ti avevo detto di stare attenta».
«Non avevo capito che lei e Van aspettavano un figlio prima di sposarsi. Mi sono ricordata di essermi sentita triste quando ci stavamo provando, forse perché non riuscivamo?»
Mi stringe la mano per confortarmi. «Non vuol dire che non riusciremo ad avere figli in futuro».
Allontano la mano dalla sua e bevo un sorso d’acqua. «Non so se voglio figli. Era solo una sensazione, non mi sono ricordata di niente in particolare». È una bugia, e non so perché ho avuto l’impulso di non dire la verità, ma Sylvia ha detto che dovrei fidarmi del mio istinto. Vorrei parlare con lei ora, ma il messaggio nella sua segreteria avvisava che per qualche giorno non ci sarebbe stata. Non mi aveva detto che sarebbe andata via.
«Questo posto ti fa venire in mente qualcosa?», chiede Jacob.
«È romantico», rispondo, «ma no, niente».
«Allora ti do una mano. Potrei iniziare con le parti piccanti».
Avvampo. Apro il menu davanti al viso e sento Jacob ridere.
«Che c’è di divertente?»
«Sei carina», risponde, «tutta timida».
«Per quanto ne so, potresti dire la stessa cosa a tutte le tue amanti».
«Sì, mi hai scoperto. Ho amanti sparse in tutto il mondo».
«Davvero?»
«Cosa?»
«Che hai amanti sparse in tutto il mondo». Sento una strana sensazione allo stomaco.
«Cavolo, sì», risponde aprendo il menu.
«E dove sono?».
Continua a studiare il menu. «Non ricordo esattamente. Francia, Islanda, Canada…».
«Anche qui sull’isola?».
Mi sorride radioso. «Sì, ed è l’unica a cui tengo».
«E com’è?». Cerco di concentrarmi sugli antipasti: feta arrotolata in foglie d’uva… torta di mais.
«Chioma selvaggia, di quelle in cui ti rimangono impigliate le dita… occhi stupendi». Mi fissa, e io mi emoziono.
«Sembra fantastica». Continuo a leggere il menu: insalata mediterranea, lattuga romana e cavolo di Pechino in vinaigrette di limone e menta fresca… «Devo essere gelosa?»
«Per niente».
«Buonasera, signori!», ci saluta la giovane cameriera. Tutto in lei è vivace, soprattutto la coda. «Cosa vi porto?».
Io ordino un piatto vegetariano indiano, bietole con patate speziate e pinoli servite con dal di lenticchie, mentre Jacob prende capesante scottate in padella con sake allo zenzero servite con tortini di sesamo, scalogno e riso, e verdure di stagione.
«Ottima scelta!». La cameriera sparisce e torna un attimo dopo con la carta dei vini.
«No, grazie», dico in maniera automatica.
Jacob la prende. «Aspetta. Adori i vini dolci».
«Ma non dovrei…».
Sorride alla cameriera. «Uno Chardonnay Mystic Vineyard».
«Perfetto. Bottiglia o calice?»
«Calice», rispondo, «Ne bevo solo un po’».
«Due calici», aggiunge Jacob.
«Torno subito», dice la cameriera prima di sparire.
«Non dovrei», osservo.
«Un bicchiere va bene. Non sei un’alcolista».
«Hai detto che avevo smesso di bere alcol quando stavamo provando…».
«Vuol dire che smetteremo di nuovo quando ci riproveremo». Sposta la sedia e si siede più vicino a me. «Voglio farti felice, perché non me lo permetti?»
«Jacob…».
La cameriera porta il vino e ci lascia soli.
Jacob solleva il bicchiere. «Un brindisi a noi. A un nuovo inizio».
Facciamo cin cin e si sporge per baciarmi la guancia. Io torno indietro all’ultima volta che siamo stati qui. Si era chinato per baciarmi sulle labbra. Non sei in te, aveva sussurrato. Il mio cuore sanguinava. Avevo osservato la curva della sua mascella, la luce del tramonto, i suoi occhi azzurri brillanti come se volessi memorizzare il suo viso.
«Stai bene?», chiede Jacob posando il bicchiere. Ha la fronte aggrottata per la preoccupazione. «Possiamo andare via».
«No, restiamo». Il vino va giù facilmente e inizio a sentire caldo.
«Ma non sei felice», constata.
«Sto benissimo». Arriva il cibo e prendo la forchetta; la fiamma della candela si riflette sul metallo. «Sono con il mio bellissimo marito paziente e sto mangiando cibo delizioso in un bel ristorante».
«Allora ho speranze con te», replica con un sorriso. E mentre mangiamo vedo che ogni tanto mi guarda con un’espressione piena di aspettativa.
«Dolce?», chiede più tardi la cameriera, ritirando i piatti.
«Sono piena», rispondo, «non riuscirei a ingoiare altro». Sono un po’ brilla.
Jacob paga il conto con la carta di credito e mi conduce fuori verso il furgone. Si sporge dal sedile del guidatore e mi bacia. Il vino che ho in circolo offusca il mio giudizio. Quanti bicchieri ho bevuto? Più di uno. Due, tre? Non ricordo. Rispondo al bacio, come so di aver già fatto in precedenza, tante volte. Le sue labbra hanno un sapore familiare. Mi piace il suo tocco. Lo desidero, e l’avevo desiderato prima di questo momento, ma qualcosa tra noi era andato storto. E all’improvviso ricordo di aver pensato: che segreti nasconderei per salvare il mio matrimonio?