Capitolo quattro
Jacob si avvicina, allontanando il ricordo dalla mia mente. Mi viene mal di testa. Mi alzo e mi giro verso la cartina appesa al muro, dandogli le spalle. Ho paura che guardandomi in faccia scoprirebbe il mio segreto, scoprirebbe che ero attratta da Aiden. È come se avessi il senso di colpa stampato in fronte. Ma sono davvero colpevole di qualcosa?
Mi concentro sulla mappa dell’arcipelago. San Juan Island è nell’angolo a sud-ovest e Orcas Island a nord-est circondata da altre isole. Mystic Island è un puntino a nord di Patos e a est di Saturna Island. È come se stessi guardando le costellazioni e noi vivessimo su una piccola stella isolata dalle altre.
Jacob mi viene accanto. «Sulla mappa non ci sono tutte le isole», dice, «neanche quelle che hanno un nome».
«Ce ne sono altre?»
«172 hanno un nome, ma in totale sono 450».
«È facile perdersi».
«Infatti succede. Soprattutto quando la gente va in cerca di tesori sepolti».
«Sei una miniera di informazioni».
«Più che altro di curiosità inutili». Traccia una linea tra le isole, seguendo una rotta tortuosa. «Questo è il tragitto del traghetto, la barca si ferma qui e qui», spiega, indicando San Juan Island e Orcas Island. «Un piccolo traghetto arriva a Mystic Island, poi bisogna prendere la propria barca per arrivare sulle altre isole».
«E noi vogliamo mettere su famiglia in mezzo al nulla?»
«Nessuno chiude a chiave la porta, qui. Siamo al sicuro. I nostri figli saranno al sicuro».
I nostri figli. Che pensiero strano. Volevo sicurezza per loro, o volevo solo scappare dal ricordo di Aiden? Volevo mettere fine alla mia tendenza ad allontanarmi, comportandomi come farebbe un tossicomane che decide di entrare in monastero per evitare la tentazione? Ma sto correndo troppo; essere caduta tra le braccia di Aiden non significa esserci andata a letto.
«Come vi siete conosciuti tu e Aiden?»
«All’università».
«E quando me l’hai presentato?»
«Mi sembra sei mesi dopo che abbiamo iniziato a frequentarci…».
«Io e te ci siamo conosciuti al mercato di Pike Place. Mi hai comprato le rose».
«Quello è stato dopo che ho parato il pesce. Te l’ho detto». Il suo tono si fa teso.
«Scusa, hai ragione. Hai parato il pesce e poi mi hai preso un mazzo di rose».
«Ti si è illuminato il viso quando hai annusato i fiori. Mi sono innamorato di te subito, a prima vista».
«Certe cose non succedono», replico.
«Ti ho guardata e non sono più riuscito a pensare ad altro».
«Ho fatto la preziosa?»
«Eri cauta, sì. Ma sapevo che volevo sposarti. Nel momento in cui ti ho incontrata, ho deciso che avrei passato tutta la vita con te».
«Ma non conoscevi neanche il mio carattere».
«Certo che sì. Si capiva dal tuo sguardo intenso, dalla tua spontaneità. Sei scoppiata a ridere quando ti ho regalato le rose. Ma poi ti sei rattristata e hai detto che avresti preferito non fossero state recise, odiavi vederle appassire e morire. Quindi, al nostro primo appuntamento ti ho preso un vaso di ortensie».
«Che colpo di fortuna ho avuto. Sei romantico».
«Anche al matrimonio c’erano piante vive. Ortensie ovunque».
«Che bello! Linny era la mia damigella d’onore, vero? E Aiden il tuo testimone».
Si gratta la radice del naso. «Te l’avevo già detto».
«Grazie per essere tanto paziente. Sto cercando di memorizzare tutto».
Mi metterei a gridare contro il mio cervello difettoso, invece mi siedo sul divano e ostento tranquillità. «Vorrei riuscire a ricordarmi il nostro matrimonio». So che la mia incapacità di ricordare il giorno più importante della nostra storia gli pesa.
«Potremmo… sposarci di nuovo», propone.
«Intendi, rifare tutta la cerimonia?»
«Al meglio che possiamo, qui sull’isola, con i nostri amici. Un rinnovo dei voti nuziali».
«Lo faresti davvero?»
«Certo. Quando ti sentirai pronta».
«Dimmi di più su quello che ci siamo detti. Potremmo ripetere le stesse cose».
«Ho recitato una poesia di E. E. Cummings». Si siede accanto a me e mi bacia delicatamente la guancia.
«“Io porto il tuo cuore in me”», dico. L’eco di una voce mi
accarezza la memoria. Lo porto nel mio
cuore…
«Più tipo “Mi piace il mio corpo quand’è col tuo corpo”».
Avverto molto caldo al collo. «Non abbiamo recitato poesie erotiche al nostro matrimonio, vero?»
«No, ma avrei voluto», mi sussurra all’orecchio. «“Mi piace il tuo corpo. Mi piace quello che fa”».
Vedo le parole così com’erano sulla pagina. Vedo Jacob porgermi una copia delle poesie erotiche di E. E. Cummings. Un regalo di compleanno anticipato, dice nel mio ricordo. Quel regalo era carico di significato. Avvampo di nuovo; sono accaldata e agitata. Mi sporgo verso il tavolino in cerca di un diversivo, e prendo l’album blu cobalto per bambini. Sfoglio le pagine intitolate: “Prime parole”, “Primi passi”, “Peso”, “Personalità”, “Impronta della mano”, “Impronta del piede” e così via. Pagine vuote, in attesa di essere riempite. Nella seconda di copertina, Jacob ha scritto con la sua calligrafia ordinata: “La storia del nostro bambino”. Posa una mano calda sulla mia.
«Non dobbiamo guardarlo ora. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo».
Sento un’ondata di panico attraversarmi. «Voglio sapere cosa stavamo pianificando. Per la famiglia. Hai detto che abbiamo provato ad avere un bambino».
Le labbra gli si piegano all’ingiù e guarda lontano. «Per diversi mesi».
«Ma non ci siamo riusciti. Non potevo io o non potevi tu?»
«Non abbiamo niente che non va fisicamente, se è quello che intendi». Abbiamo, come se fossimo una persona sola.
«Quando abbiamo deciso di provare?»
«Un paio di anni fa. Ne abbiamo parlato molto». Sorride e una deliziosa fossetta gli si forma sulla guancia destra. «Avevamo parlato di tutto. Entrambi adoravamo il nostro lavoro, quindi abbiamo raggiunto un compromesso, e io avrei lavorato da casa almeno tre giorni a settimana».
«E come avresti fatto?»
«Sono il capo, posso fare tutto».
«Non ne dubito».
«Ero prontissimo a fare il padre casalingo. Adoro i bambini. Ero prontissimo a…».
«Cosa?»
«Ad avere un figlio da te».
Non posso negare che ogni volta che mi tocca sento una scossa elettrica. Ma ero anche attratta da Aiden. Non capisco ancora le implicazioni o dove quell’attrazione abbia portato, se ha portato da qualche parte, ma la foto è marchiata a fuoco nella mia mente.
«Non mi ricordo». Ho il respiro corto e affannoso, e mi formicolano di nuovo le dita.
«Ehi, respira». Prende l’album e lo mette via. «Lo sapevo che stavamo affrettando le cose».
«Starò bene». Continuo a fare respiri profondi.
«Dovresti riprendere a fare yoga, eri brava».
«Yoga». Vieni, ti faccio vedere il cane a testa in giù, avevo detto a Jacob. Aveva cercato di imitarmi, ma non era riuscito a tenere giù i talloni. «Ricordo di averti insegnato una posizione».
Mi stringe la mano. «Fantastico. Dovremmo festeggiare. Cos’altro ricordi?»
«Al momento nient’altro».
Mi lascia la mano. «Ti preparo l’omelette di funghi, che ne dici? Vai a farti una doccia calda e dimenticati le preoccupazioni». Ce ne andremo e dimenticheremo tutto, mi aveva sussurrato tanto tempo fa. Ma dimenticare cosa?
Nella mia camera, il mio rifugio, il respiro torna regolare. Le
conchiglie che ho raccolto sulla spiaggia sono allineate sul
davanzale. Mi danno conforto. Patelle, il guscio allungato di una
bivalve – la entodesma navicula –
e una crepidula, che sembra una pantofola quand’è capovolta. Questi
sono gli esoscheletri di esseri viventi, residui composti
principalmente da carbonato di calcio e un po’ di proteine. Sono
silenziosi promemoria del mio passato, così come le conchiglie
colorate stampate sulla mia borsa di cotone.
Come ho già fatto altre volte, rovescio il contenuto della borsa sul letto. A tratti dimentico cosa ci ho trovato dentro. Forse scoprirò un nuovo indizio sul mio passato. Gli oggetti che una donna ha nella borsa rivelano chi è. Dove l’avevo sentito, o letto? Trovo un rossetto, una piccola spazzola, un tubetto di crema, un igienizzante per le mani, una penna, un portachiavi senza chiavi con la scritta “Non tutte le stelle sono nel cielo” e l’immagine di una stella marina, e un pezzo di carta con una lista: “parrucchiera, biancheria, stampare il biglietto, prendere quella cosa…”.
Perché sono stata così criptica?
Nel portafoglio trovo la patente, tre banconote da venti dollari, il bancomat, qualche moneta, la tessera della biblioteca locale e la tessera di certificazione Open Water Diver della PADI. Nel logo in basso a destra c’è un globo blu con un subacqueo rosso che nuota, e sulla tessera sono riportati data di nascita, data del rilascio del brevetto e numero PADI. Ho completato con successo il corso per diventare sub; Jacob, invece, è un Divemaster e può insegnare.
Infilo le dita nello scomparto dietro le tessere; c’è un’altra tasca, nascosta dietro la prima, che mi ero persa. Dentro sento che c’è qualcosa di quadrato e piatto. È difficile da tirare fuori, ma quando ci riesco rimango a fissarlo per un minuto, confusa. Non lo riconosco, eppure è lì: la bustina blu brillate di un preservativo ultrasottile della Durex.