V
Finanza pubblica e sicurezza nazionale
Gli oneri della difesa
Se, quindi, gli esperti militari in Gran Bretagna e in Germania sapevano di non disporre delle risorse necessarie per attuare i propri piani di guerra, perché non si cercò di risolvere queste carenze? La risposta più ovvia è che considerazioni di politica interna escludevano la possibilità di creare gli enormi eserciti sognati da uomini come Erich Ludendorff e Henry Wilson. Il 24 ottobre 1898 il marchese di Salisbury, invitato a una conferenza sul disarmo, decise di parlare del fenomeno opposto:
Quasi tutte le nazioni hanno mostrato la tendenza costante ad aumentare le proprie forze armate e a incrementare le già elevatissime spese per le attrezzature belliche. La perfezione degli strumenti in tal modo utilizzati, il loro costo esorbitante, le orribili carneficine e le distruzioni che provocherebbe il loro impiego su larga scala hanno agito senza dubbio da serio deterrente alla guerra. Ma gli oneri imposti da questo sviluppo alle popolazioni coinvolte, se prolungati nel tempo, produrranno necessariamente una sensazione di irrequietezza e scontento capace di mettere a rischio la tranquillità tanto interna quanto esterna. 1
Ma quanto erano gravosi, in concreto, gli «oneri» dell’armamento? Quanto erano «elevate» le spese? Per Sir Edward Grey, come dichiarò in un discorso pronunciato alla Camera dei Comuni nel marzo del 1911, stavano già «diventando intollerabili», talmente intollerabili che «a lungo termine potrebbero far crollare la civiltà e condurre alla guerra». 2 Alcuni storici hanno seguito le orme di Grey sostenendo che fu innanzitutto l’insopportabile livello della spesa militare a impedire alla Germania di proseguire nella corsa agli armamenti navali contro la Gran Bretagna o in quella agli armamenti di terra contro la Russia e la Francia. C’è tuttavia un apparente paradosso che richiede una spiegazione: il costo della corsa agli armamenti in realtà non era molto alto.
Com’è noto, è difficile confrontare le cifre per le spese militari a causa delle differenti definizioni che ne danno i bilanci nazionali di ciascun paese. Per fare un esempio concreto: le stime sulle spese militari tedesche negli anni 1913-1914 variano da 1.664.000 a 2.406.000 marchi a seconda del metodo di calcolo utilizzato. La cifra riportata nella tabella 12 è stata ottenuta escludendo voci di spesa non identificate nel bilancio come specificamente militari (quali le spese per la costruzione di ferrovie e canali), e includendo altre voci non comprese nei bilanci dell’esercito e della marina ma chiaramente legate alla difesa. 3 Difficoltà di questo genere sorgono per ogni paese esaminato. Gli studiosi si sono tuttavia impegnati a risolvere queste difficoltà, e oggi è possibile quantificare il costo della corsa agli armamenti con una certa precisione. 4
Prima del 1890 l’esercito e la marina erano costati relativamente poco, anche per grandi costruttori di imperi quali la Gran Bretagna. Spedizioni come quella inviata in Egitto da Gladstone nel 1882 erano in grado di mantenersi con poco dispendio di mezzi. Nei primi anni Novanta dell’Ottocento i bilanci della difesa delle maggiori potenze non erano molto più elevati di quanto lo fossero stati nei primi anni Settanta del medesimo secolo. Come mostra la tabella 12, la situazione mutò nei due decenni precedenti il 1914. Considerando insieme la Gran Bretagna, la Francia e la Russia, la spesa complessiva per la difesa (espressa in sterline) aumentò del 57 per cento. Per la Germania e l’Austria l’aumento risulta ancora maggiore, attorno al 160 per cento.
Negli anni precedenti il 1914, come mostra la figura 3, i bilanci della difesa di Germania, Francia, Russia e Gran Bretagna non erano molto diversi in termini assoluti (non tenendo conto dell’impatto provocato dalla guerra boera e dalla guerra russo-giapponese). La Germania sorpassò la Francia tra il 1900 e il 1907, ma ciò fu dovuto principalmente al costo della corsa agli armamenti navali con la Gran Bretagna. Dopo il 1909 si registrò una vistosa accelerazione nell’aumento dei bilanci di tutte le potenze tranne l’Austria-Ungheria. In termini pro capite, però, la Germania era rimasta indietro rispetto alla Gran Bretagna e alla Francia: nel 1913 la spesa pro capite per la difesa fu di 28 marchi nel Reich, in confronto a 31 marchi in Francia e 32 marchi in Gran Bretagna. Inoltre, la Germania aveva assegnato alla difesa una percentuale minore della spesa pubblica: il 29 per cento nel 1913, in confronto al 43 per cento della Francia e della Gran Bretagna. 5 Ancora più sorprendente è la differenza che si ottiene se si confrontano i bilanci complessivi di Gran Bretagna, Francia e Russia con quelli di Germania, Austria-Ungheria e Italia (cfr. fig. 4). Considerando il periodo tra il 1907 e il 1913, ogni anno le potenze della Triplice intesa spesero in media 83 milioni di sterline in più delle potenze della Triplice alleanza.
Tuttavia, per valutare correttamente il peso delle spese destinate alla difesa non ci si deve basare sulla somma totale del denaro speso e neppure sul livello di spesa pro capite, ma sulla percentuale di prodotto nazionale destinata alla difesa. 6 A differenza «delle limitazioni e delle opportunità esternamente fissate» della geografia, che tanto affascinano gli storici tedeschi più conservatori, questa percentuale non è fissa ma è determinata dalla politica. Nel 1984, in un periodo di conflittualità tra le superpotenze, la Gran Bretagna ha speso per la difesa circa il 5,3 per cento del prodotto interno lordo; al momento della stesura di questo libro, quando all’orizzonte non si profilava alcuna chiara minaccia straniera alla sicurezza britannica, la cifra è scesa al 3,7 per cento. 7 Al contrario, l’Unione Sovietica ha accelerato il proprio collasso destinando alla difesa più del 15 per cento del suo prodotto complessivo. 8 Le spese tedesche per la difesa in tempo di pace sono oscillate notevolmente nel secolo scorso, dall’1 per cento dell’epoca di Weimar (e appena l’1,9 per cento nel 1991) fino al 20 per cento prima della seconda guerra mondiale. 9
Tabella 12 – Spese per la difesa delle grandi potenze, 1894-1913 (in milioni di sterline).
|
Gran Bretagna |
Francia |
Russia |
Francia + Russia |
Triplice intesa |
Germania |
Austria |
Italia |
Germania + Austria |
Triplice alleanza |
1894 |
33,4 |
37,6 |
85,8 |
123,4 |
156,8 |
36,2 |
9,6 |
14,0 |
45,8 |
59,8 |
1913 |
72,5 |
72,0 |
101,7 |
173,7 |
246,2 |
93,4 |
25,0 |
39,6 |
118,4 |
158,0 |
Aumento in sterline |
39,1 |
34,4 |
15,9 |
50,3 |
89,4 |
57,2 |
15,4 |
25,6 |
72,6 |
98,2 |
Aumento % |
117,1 |
91,5 |
18,5 |
40,8 |
57,0 |
158,0 |
160,4 |
182,9 |
158,5 |
164,2 |
Fonte: J.M. Hobson, Wary Titan, pp. 464-465.
Figura 3 – Spese destinate alla difesa dalle potenze europee, 1890-1913 (in milioni di sterline, prezzi costanti).
Fonte: J.M. Hobson, Wary Titan, pp. 464-465.
Figura 4 – Spese destinate alla difesa dai due blocchi europei, 1890-1913 (in milioni di sterline).
Fonte: J.M. Hobson, Wary Titan, pp. 464-465.
Come mostra la tabella 13, nel periodo precedente il 1914 l’onere delle spese militari crebbe in rapporto all’economia nel suo complesso in Gran Bretagna, Francia, Russia, Germania e Italia dal 2-3 per cento del prodotto nazionale netto nel periodo precedente il 1893 al 3-5 per cento nel 1913. Queste cifre smentiscono definitivamente l’idea che l’Impero britannico avesse imposto un pesante fardello ai propri contribuenti; in realtà, la Gran Bretagna mantenne il predominio mondiale con una spesa minima. 10 Haldane aveva perfettamente ragione quando definiva le spese previste per la marina «un premio di assicurazione niente affatto straordinario» per l’immenso commercio del paese. 11 Fanno inoltre sorgere dubbi sull’idea che la corsa agli armamenti prima del 1914 imponesse un «enorme» onere finanziario su tutti i paesi coinvolti. Il fatto più sorprendente è probabilmente che, sotto questo profilo, la Germania era rimasta indietro rispetto alla Francia e alla Russia. Nel 1913 – dopo due importanti disegni di legge sugli armamenti – il Reich spendeva il 3,9 per cento del prodotto nazionale netto, ossia più della sua alleata, l’Austria-Ungheria, e più della Gran Bretagna (3,2 per cento), ma molto meno della Francia (4,8 per cento) e della Russia (5,1 per cento). Anche l’Italia sosteneva forti spese militari: il 5,1 per cento del prodotto nazionale netto alla vigilia della guerra. Il mio tentativo di calcolare le percentuali del prodotto nazionale lordo ha fornito differenziali simili, anche se non identici: Germania 3,5 per cento; Gran Bretagna 3,1 per cento; Austria-Ungheria 2,8 per cento; Francia 3,9 per cento; Russia 4,6 per cento. Per avere una sorta di «verifica», ho definito una serie di spese per la difesa servendomi dei dati forniti da The Statesman’s Yearbook per gli anni dal 1900 al 1914, da cui sono escluse le spese coloniali britanniche, ma sono incluse le sostanziose spese per la guerra russo-giapponese omesse da Gregory. Per il 1913 le percentuali del prodotto nazionale lordo sono le seguenti: Germania 3,6 per cento; Gran Bretagna 3,1 per cento; Austria-Ungheria 2,0 per cento; Francia 3,7 per cento; Russia 4,6 per cento. Anche in questo caso appare evidente che l’onere delle spese militari era più elevato nella Triplice intesa. 12
Tabella 13 – Spese per la difesa come percentuale del prodotto nazionale netto, 1887-1913.
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Gran Bretagna |
Francia |
Russia |
Germania |
Austria |
Italia |
1873 |
2,0 |
3,1 |
|
2,4 |
4,8 |
1,9 |
1883 |
2,6 |
4,0 |
|
2,7 |
3,6 |
3,6 |
1893 |
2,5 |
4,2 |
4,4 |
3,4 |
3,1 |
3,6 |
1903 |
5,9 |
4,0 |
4,1 |
3,2 |
2,8 |
2,9 |
1913 |
3,2 |
4,8 |
5,1 |
3,9 |
3,2 |
5,1 |
1870-1913 |
3,1 |
4,0 |
– |
3,2 |
3,1 |
3,3 |
Nota: La cifra
riportata da Hobson riguarda solo l’Austria. Le mie stime per
l’Austria-Ungheria sono inferiori.
Fonte: J.M.
Hobson, Wary
Titan, pp. 478-479.
Da un punto di vista storico, questi oneri non sembrano eccessivi. Anzi, se si prende come esempio la Gran Bretagna del XVIII secolo, sembrano piuttosto modesti. 13 Ma il finanziamento di tali oneri crescenti fu uno dei principali problemi politici del periodo in esame. Simbolicamente, fu proprio l’aumento delle spese militari ad affrettare le dimissioni di Randolph Churchill da ministro delle Finanze nel 1886 e quelle di Gladstone da primo ministro nel marzo del 1894. Furono tra le prime delle molte «vittime» politiche di un nuovo «complesso finanziario-militare» che segnò la fine dell’epoca dello Stato «guardiano notturno», di quell’idillio in cui, alla metà del XIX secolo, la crescita economica accelerava e lo Stato si contraeva.
Il problema di come pagare i crescenti costi dell’apparato militare fu aggravato dall’incremento generale della spesa pubblica. Il suo aumento era percepito come una tendenza di tutta l’Europa fin dalla fine del XIX secolo: «La legge della crescita delle spese statali», come la definiva Adolph Wagner. 14 Che fosse per placare gruppi sociali politicamente potenti (o potenzialmente pericolosi) oppure per aumentare l’«efficienza nazionale», i governi cominciarono a spendere somme sempre maggiori nelle infrastrutture, nell’istruzione e nell’assistenza ai malati, ai disoccupati, ai poveri e agli anziani. Sebbene rispetto agli standard contemporanei si tratti di somme estremamente ridotte, l’aumento delle spese, quando combinato con i crescenti costi militari, era di norma più elevato della crescita economica complessiva. Come Bethmann Hollweg spiegò pazientemente alla baronessa Spitzemberg: «Per allestire [una flotta ci vogliono] molti soldi, che solo un paese ricco può permettersi; perciò, la Germania deve diventare ricca». 15 E la Germania, come abbiamo visto, divenne ricca. Ma nemmeno l’economia tedesca riuscì a crescere più rapidamente del bilancio dello Stato tedesco (cfr. fig. 5).
I bilanci britannici erano espressi in modo relativamente rigoroso, in virtù del fatto che il Primo Lord del Tesoro e il Cancelliere dello Scacchiere potevano di norma esercitare un controllo efficace sugli altri dipartimenti del governo, mentre la politica fiscale era sottoposta all’esame piuttosto severo del parlamento. Le dottrine di Robert Peel sul pareggio di bilancio, la solidità della moneta e la diminuzione delle tasse spiegano perché, come percentuale del prodotto nazionale lordo, la spesa pubblica lorda tendesse a ridursi per gran parte del XIX secolo, aumentando solo leggermente dopo il 1890. Ma nel periodo successivo al 1870 si registrò una crescita costante della spesa pubblica in termini nominali, salita da circa 70 milioni di sterline alla vigilia della guerra fino a circa 180 milioni. La spesa pubblica totale aumentò con un tasso del 3,8 per cento fra il 1890 e il 1913, con un aumento dal 9,4 al 13,1 per cento rispetto al prodotto nazionale lordo. Ciò era dovuto non solo ai costi crescenti della difesa imperiale (in particolare la guerra boera e il programma Dreadnought), ma anche alla proliferazione delle spese non militari. I consigli di contea creati da Salisbury nel 1899, che acquisirono progressivamente la responsabilità degli alloggi e dell’istruzione; il nuovo sistema d’istruzione elementare gratuita; la riforma terriera irlandese (che introduceva sussidi per i contadini intenzionati ad acquistare); il sistema delle pensioni d’anzianità senza contributi introdotto nel 1907-1908; il sistema sovvenzionato di assicurazione nazionale per la sanità e la disoccupazione: tutto questo determinava un sostanzioso aumento della spesa pubblica non militare, soprattutto a livello locale, che fino ad allora aveva contribuito in misura quasi insignificante. Tuttavia, alla vigilia della guerra, il governo centrale era ancora responsabile del 55 per cento della spesa pubblica complessiva, mentre le spese per la difesa, a propria volta, ammontavano al 43 per cento del totale delle spese del governo centrale. In altre parole, anche se le pressioni politiche provocavano un aumento della spesa sociale, ciò non avveniva a detrimento delle spese militari. 16
Figura 5
– Stime della spesa pubblica totale come
percentuale
del prodotto nazionale lordo delle cinque
grandi potenze, 1890-1913.
Fonte: Ferguson, Public Finance and National Security, p. 159.
Questo spiega perché i preventivi navali definiti da Winston Churchill nel 1913 gli procurarono notevoli difficoltà politiche. Nel 1909 i liberali non avevano esitato a rinnegare le loro promesse elettorali di un taglio alle spese militari, in larga misura grazie all’allarmismo della stampa. 17 Ma nel 1913 la minaccia navale tedesca non faceva più notizia; ciononostante Churchill, sebbene fosse perfettamente consapevole che «il Partito liberale era animato da un forte sentimento contro l’aumento degli impegni e delle responsabilità», chiese un aumento di 50 milioni di sterline e l’allestimento di quattro navi da guerra per il 1914-1915. 18 L’annuncio dei nuovi preventivi di spesa, dato dallo stesso Churchill, scatenò una rivolta generalizzata nel partito di governo e nel gabinetto. Secondo Churchill, tale aumento era necessario per costringere i tedeschi ad accettare un «accordo navale» in cui egli stesso continuava ostinatamente a credere. 19 Ma, come fece notare Lloyd George, le richieste di Churchill erano incompatibili con quelle dei servizi sociali e dell’istruzione pubblica in assenza di nuove imposte: i soldi che Churchill voleva per le corazzate erano gli stessi che dovevano servire per coprire la spesa sociale. 20 Per citare le parole di Norman Angell, le «enormi somme ora destinate agli armamenti» erano denaro che non poteva essere utilizzato per le politiche sociali. 21 Alla fine si raggiunse un compromesso, anche se di difficilissima attuazione, nel quale Churchill prometteva di moderare le richieste dell’Ammiragliato per il 1915 e il 1916. Ma la crisi portò quasi alle sue dimissioni (e forse anche degli alti ufficiali e dei due sottosegretari di Churchill) e a quelle di Lloyd George. 22 Fu una svolta storica mancata: infatti – come vedremo in seguito – se Churchill o Lloyd George avessero rassegnato le dimissioni, il governo avrebbe potuto benissimo agire diversamente nell’agosto dell’anno successivo. L’altra possibilità era lo scioglimento del parlamento e il ricorso alle elezioni, che i liberali avrebbero quasi sicuramente perso. 23
In Francia lo scarto fra la spesa militare e i mezzi con cui finanziarla era meno evidente e problematico. Fra tutte le potenze, la Francia era quella che era riuscita a rallentare l’aumento della spesa pubblica complessiva, con un incremento di appena l’1,9 per cento annuo tra il 1890 e il 1913, permettendo in questo modo che la quota del prodotto nazionale lordo destinata al settore pubblico scendesse dai livelli relativamente alti del 1890 (19 per cento) al 17 per cento nel 1913. 24 La sola voce del bilancio che non era stata sottoposta a limitazioni era la difesa: tra il 1873 e il 1913 era aumentata, rispetto alle spese generali del governo, dal 25 al 42 per cento. 25 Il sistema fiscale francese, è opportuno ricordarlo, era più centralizzato di quello inglese. I bilanci dei dipartimenti e dei comuni erano sottoposti all’approvazione del governo centrale e ammontavano a meno di un quarto della spesa pubblica complessiva. 26
Di tutte le grandi potenze, la Russia era quella con il sistema fiscale in più rapida espansione: la spesa pubblica complessiva era cresciuta a un tasso medio annuo del 6,1 per cento tra il 1890 e il 1913, quasi quadruplicandosi in termini nominali da appena poco più di un miliardo a quattro miliardi di rubli. Ma come percentuale del reddito nazionale questo significava un aumento relativamente modesto, che andava da circa il 17 al 20 per cento, riflettendo la rapida crescita dell’economia russa nel suo complesso. 27 È difficile quantificare l’esatta portata della spesa militare. Secondo le statistiche di bilancio per il 1900-1913, l’esercito e la marina contavano solo per il 20,5 per cento delle spese, ma queste cifre non tengono conto di varie spese militari fuori bilancio, classificate come «straordinarie». In realtà, circa il 33 per cento della spesa complessiva del governo centrale era destinato a scopi militari: 28 una cifra non molto più alta di quelle delle altre grandi potenze. La differenza principale tra la Russia e gli altri paesi era l’elevato grado di centralizzazione finanziaria, maggiore persino di quello francese. Le spese del governo locale ammontavano ad appena il 13 per cento delle spese governative totali.
Quindi le potenze della Triplice intesa, anche se in misura diversa, erano Stati centralizzati dotati, per quanto riguarda il prelievo fiscale, di due soli livelli amministrativi. Inoltre, nei quindici anni precedenti il 1914 tanto la Gran Bretagna quanto la Russia avevano combattuto guerre e subìto, di conseguenza, una contrazione delle loro entrate finanziarie. Alla Gran Bretagna la guerra contro i boeri era costata circa 217 milioni di sterline, vale a dire il 12 per cento del prodotto nazionale lordo del 1900; alla Russia la guerra russo-giapponese era costata circa 2,6 miliardi di rubli, ossia attorno al 20 per cento del prodotto nazionale netto del 1904. 29
La situazione delle Potenze centrali era molto diversa, per l’importantissima ragione che sia la Germania sia l’Austria-Ungheria erano sistemi federali. Com’è stato riconosciuto da tempo, il tentativo con cui Bismarck, elaborando la costituzione del Reich, aveva cercato di «attenersi al modello di una confederazione di Stati [Staatenbund] e nello stesso tempo di conferirgli in pratica il carattere di uno Stato federale [Bundesstaat]», 30 fece del Reich un’entità significativamente minore della somma delle sue parti, soprattutto sotto l’aspetto finanziario. I singoli Stati mantenevano il controllo in molti ambiti dell’attività governativa, dall’istruzione alla polizia, dalla sanità pubblica alla riscossione delle imposte. Come mostra la figura 5, in nessuno Stato sovrano la crescita della spesa pubblica era così costante come in Germania (dal 13 al 18 per cento del prodotto nazionale lordo). 31 Il punto critico, tuttavia, era la crescita della spesa non militare, che, a sua volta, era il riflesso dell’equilibrio del potere tributario all’interno del sistema federale. Conformemente a una consolidata tradizione d’imprenditoria pubblica, gli Stati tedeschi spendevano somme sostanziose in ferrovie e altre infrastrutture; nel 1913 tali spese ammontarono a quasi metà dell’intero bilancio prussiano. Per di più, la spesa statale e comunale per le strutture sociali e scolastiche crebbe costantemente, e nel 1913 ammontò al 28 per cento della spesa pubblica totale. Al contrario, le spese per la difesa, considerate come percentuale della spesa pubblica totale, erano scese dal 25 al 20 per cento. Questo rifletteva chiaramente l’accesso degli Stati a fonti di reddito più elastiche. Il rapporto tra prelievo diretto e indiretto sul reddito pubblico complessivo era di 57 a 43; ma per il solo Reich appena il 14 per cento degli introiti proveniva dalla tassazione diretta, in virtù di tasse di successione e di altre tasse minori sulla proprietà introdotte dopo il 1903; mentre nel 1913 gli Stati più importanti derivavano dal 40 al 75 per cento delle proprie entrate dalle imposte sul reddito. 32
Persino nel centro stesso del paese vi erano problemi istituzionali. Il ministero del Tesoro del Reich non era adeguatamente attrezzato per controllare le finanze tedesche: nel 1880 disponeva soltanto di cinquantacinque funzionari, era responsabile solo del 30 per cento della spesa pubblica complessiva e aveva un’autorità limitata sui dipartimenti della difesa. 33 Cosa ancora più controversa, non era chiaro quanto controllo esercitasse la Camera bassa del parlamento (il Reichstag) sul processo di definizione del bilancio. Gli storici si dividono fra coloro che considerano estremamente limitato il potere del Reichstag – come parte del «finto costituzionalismo» del Reich – e coloro che riconoscono un graduale processo di parlamentarizzazione prima del 1914, seppur privo del concetto tipicamente inglese di responsabilità ministeriale davanti al parlamento. 34 Certo, sarebbe stato strano se Bismarck, incaricato da Guglielmo II di opporsi a qualsiasi genere di restrizione imposta all’organico dell’esercito dalla dieta prussiana negli anni Sessanta dell’Ottocento, avesse concesso nel decennio successivo il controllo assoluto del bilancio militare al Reichstag. Ma gli storici, seguendo i critici di Bismarck appartenenti alla sinistra liberale, hanno spesso esagerato l’efficacia dei vincoli che il cancelliere riuscì a far apporre al diritto di controllo sul bilancio di cui godeva il Reichstag. È vero che, in base all’art. 63 della Costituzione, l’imperatore stabiliva «la forza in tempo di pace, la struttura e la distribuzione dell’esercito». Ma il problema di finanziare ciò che l’imperatore stabiliva era più complesso. Tra il 1867 e il 1874 la questione fu differita in base a una norma temporanea che imponeva all’esercito di avere una dimensione equivalente all’1 per cento della popolazione del Reich. Ma l’art. 62 della Costituzione sanciva inequivocabilmente che ogni cambiamento nel bilancio militare avrebbe dovuto essere approvato dal governo. La soluzione finale fu abbastanza vicina all’ideale della monarchia prussiana di un bilancio della difesa «eterno»: bilanci militari settennali (in seguito quinquennali) che sottraevano le spese per la difesa dal bilancio annuale, ma non dal controllo del Reichstag. Quindi il parlamento poteva emendare le leggi finanziarie del governo (e lo fece più volte); nonostante occasionali e rumorose minacce, la massima reazione dell’esecutivo a questi interventi del Reichstag fu quella di indire le elezioni generali (come nel dicembre del 1906). 35 In pratica, quindi, se il governo voleva spendere di più per la difesa – o per le sue funzioni civili – era necessaria l’approvazione del parlamento sia per le spese stesse sia, se queste superavano le entrate esistenti, per i mezzi con cui finanziarle.
Il fatto che il Reichstag fosse l’assemblea rappresentativa più democratica della Germania imperiale, mentre i diversi Stati conservavano varie forme di concessioni limitate, provocò una singolare impasse. Un’assemblea democratica aveva la capacità di influenzare il livello delle tasse indirette destinate innanzitutto al finanziamento delle spese militari; assemblee più esclusive prelevavano invece tasse sul reddito e la proprietà destinate principalmente a finanziare attività di carattere sociale. Progettata da Bismarck per indebolire il liberalismo contando sul presupposto che «sotto il livello dei tre talleri [limite di franchigia] i nove decimi della popolazione sono conservatori», l’introduzione del suffragio maschile universale per le elezioni al Reichstag andò in realtà a tutto vantaggio dei partiti del cattolicesimo politico e del socialismo, i quali incrementarono sempre più il proprio capitale politico con una critica serrata alla politica finanziaria del Reich, chiedendo un trattamento speciale per i contadini della Germania meridionale e per i piccoli imprenditori, 36 o denunciando l’imposta regressiva sui consumi della classe operaia. 37 I governi che desideravano spendere di più per la difesa si ritrovarono quindi intrappolati fra l’incudine di governi locali particolaristi e il martello dei partiti più populisti del Reichstag, il Partito del Centro e i socialdemocratici. Bismarck e i suoi successori escogitarono geniali strategie per indebolire i partiti «anti-Reich» e rafforzare i partiti conservatori e liberalnazionali più propensi a sostenere lo Stato. Ma l’elemento comune che collegava l’allestimento della flotta e l’acquisizione di colonie – presunti «atti nazionali» che avrebbero risvegliato sentimenti patriottici e ridotto il malcontento economico – a più diretti regali elettorali come la riduzione delle imposte e le assicurazioni sociali, era che la flotta e le colonie costavano ancora di più. Lungi dal rafforzare la posizione del governo, i successivi dibattiti sull’aumento delle spese tendevano in realtà a ribadire la posizione decisiva del Partito del Centro all’interno del Reichstag e a dare credibilità agli slogan elettorali dei socialdemocratici, mentre la scelta di aumentare le imposte tendeva a dividere anziché a unire i partiti di governo. Erano queste le contraddizioni della Sammlungspolitik, la politica della concentrazione. 38
Il sistema dualistico dell’Austria-Ungheria presentava problemi analoghi. In sostanza, l’accordo del 1867 tra Austria e Ungheria creò una politica estera e di difesa comune; e questo fu più o meno tutto ciò che fecero congiuntamente, dato che il bilancio delle spese militari ammontava a circa il 96 per cento del bilancio comune complessivo. 39 Come percentuale del prodotto nazionale lordo, la spesa statale totale in Austria e Ungheria (cioè spese comuni e separate messe insieme) crebbe da circa l’11 per cento (1895-1902) al 19 per cento (1913): un aumento costante di circa il 3,2 per cento annuo. Tuttavia, la spesa statale crebbe molto più rapidamente della spesa «comune»: tra il 1868 e il 1913 il bilancio comune aumentò di un fattore di 4,3, ma il bilancio ungherese aumentò di un fattore di 7,9 e quello austriaco di 10,6. La conseguenza fu che la spesa militare, la voce principale del bilancio comune, rimase bassa: come abbiamo visto, nel 1913 ammontava ad appena il 2,8 per cento del prodotto nazionale lordo congiunto, malgrado l’aumento dei costi delle costruzioni navali e l’annessione della Bosnia-Erzegovina. La percentuale del bilancio austriaco di spesa per la difesa scese dal 24 per cento delle spese di stato (1870) al 16 per cento (1910), mentre le spese per le ferrovie aumentarono dal 4 al 27 per cento. Solo il 12 per cento del bilancio ungherese era destinato alla difesa. Nel maggio del 1914, sulla base di calcoli di massima, il quotidiano socialista austriaco «Arbeiter Zeitung» si lamentava senza mezzi termini:
Spendiamo per gli armamenti la metà di quello che spende la Germania, ma il prodotto lordo dell’Austria è solo un sesto di quello tedesco. In altre parole, in proporzione spendiamo per la guerra il triplo di quanto spende il Kaiser Guglielmo. Dobbiamo recitare la parte della grande potenza al prezzo di fame e povertà? 40
La verità, tuttavia, era che l’Austria-Ungheria cercava soltanto di giocare alla grande potenza. Come scrisse Robert Musil in L’uomo senza qualità, era questa la realtà: «Si spendono somme enormi negli armamenti; ma soltanto quanto basta per garantirci il posto di seconda potenza più debole tra le grandi potenze».
Le tasse
C’erano due modi di affrontare questo aumento delle spese, ognuno dei quali aveva profonde implicazioni politiche. Un modo per garantire l’incremento delle entrate pubbliche era, naturalmente, quello di aumentare le tasse; il grande problema era decidere se farlo con imposte indirette (principalmente sotto forma di tasse su articoli di consumo che andavano dal pane alla birra) oppure con imposte dirette (tasse su redditi elevati o proprietà).
In Gran Bretagna la rottura con il protezionismo era avvenuta diversi anni addietro (1846) e si era dimostrata più solida e duratura che altrove. Ancora una volta, le imposte sugli alimenti d’importazione furono rifiutate dall’elettorato nel 1906, nonostante gli sforzi compiuti da Chamberlain e da altri per dare alle tariffe una giustificazione di natura imperialista. Questo faceva inevitabilmente ricadere l’onere sui ricchi: il problema era quale forma dare alle imposte dirette e con quale tipo di tasso riscuoterle (uniforme, differenziato o progressivo). A differenza della maggior parte degli Stati europei, alla fine del XIX secolo la Gran Bretagna aveva già un’imposta sul reddito, la grande innovazione di William Pitt il Giovane per finanziare le guerre contro la Francia, che nel 1842 Peel aveva convertito in una fonte di introiti in tempo di pace. (L’economista Gustav Schmoller non scherzava affatto quando osservava che i tedeschi avrebbero «gioito» se avessero avuto «un fattore di introiti così versatile».) Ma nel 1892 l’imposta sui redditi era stata ridotta a soli 6,5 penny per sterlina, e i liberali classici più puri (come Gladstone) ne sognavano ancora la totale abrogazione. Per coprire il disavanzo di 1,9 milioni di sterline causato innanzitutto dal disegno di legge del 1889 sulla difesa navale, Sir William Goschen decise di non aumentare l’imposta sul reddito ma di introdurre un 1 per cento di imposte su tutti i beni immobili con un valore superiore a 10.000 sterline. Successivamente, Sir William Harcourt formalizzò le «imposte sulla morte» introducendo nel 1894 un’apposita tassa di successione.
Ma fu il costo inaspettato della guerra boera a provocare i maggiori aumenti prebellici delle imposte dirette. Nel 1907, per esempio, Asquith aumentò l’imposta sui profitti «non guadagnati» (da investimenti) a 1 scellino per sterlina, in confronto ai 9 penny per gli introiti «guadagnati». Due anni più tardi il «Bilancio popolare» di Lloyd George aspirava ad aumentare le entrate complessive dell’8 per cento con la riscossione di una «supertassa» (una tassa sul reddito extra) sui redditi superiori alle 5000 sterline, aggiungendo 2 penny per sterlina all’imposta sui redditi dovuta per i redditi non guadagnati e introducendo un’imposta sulle plusvalenze terriere. 41 Come conseguenza dei bilanci del 1907 e del 1909-1910, la percentuale delle entrate del governo centrale proveniente da imposte dirette salì al 39 per cento. Nel 1913 l’imposta diretta, i dazi doganali e le accise ammontavano quasi esattamente alle quote delle entrate governative totali, e l’imposta sui redditi fruttava oltre 40 milioni di sterline l’anno. L’ultimo bilancio prima della Grande guerra di Lloyd George prevedeva ulteriori aumenti, in particolare altri 2 penny per sterlina per l’imposta sul reddito, una nuova supertassa sui redditi superiori alle 3000 sterline, con aliquote che aumentavano in modo più progressivo fino all’aliquota massima di 2 scellini e 8 penny per sterlina, e tasse di successione fino al 20 per cento su proprietà con un valore superiore a un milione di sterline. 42 I liberali del periodo prebellico sembravano avere elaborato una geniale linea di condotta politica che combinava i cannoni (sotto forma di corazzate) e il burro (sotto forma di un’imposta più progressiva e di alcune spese di natura sociale).
Hobson ha sostenuto che, in termini puramente fiscali, la Gran Bretagna avrebbe potuto permettersi la creazione di un esercito di leva di uno o due milioni di uomini con un semplice aumento delle imposte. 43 Ma questo significa trascurare i profondi conflitti politici scatenati dalla politica fiscale dei liberali. Come abbiamo visto, i liberali erano saliti al potere promettendo tagli alle spese per gli armamenti, e non potevano far accettare facilmente nuovi aumenti delle somme destinate alla marina ai loro sostenitori in parlamento e alla stampa radicale. Sebbene la tassazione progressiva fosse accolta di buon grado in quegli ambienti, i bilanci di Lloyd George contribuirono decisamente a far riconfluire sui conservatori i voti dei più ricchi: non erano solo i Lord a detestare il «Bilancio popolare». Nel dicembre del 1910, nelle ultime elezioni generali prebelliche, i liberali e i conservatori avevano ottenuto 272 seggi ciascuno, sicché il governo dovette contare sui 42 parlamentari laburisti per avere la maggioranza. Poiché i conservatori vinsero sedici delle venti elezioni straordinarie che seguirono, nel 1914 la maggioranza si era ridotta a solo 12 parlamentari, facendo aumentare l’influenza dei circa 80 nazionalisti irlandesi. 44 Questo aiuta a spiegare perché il bilancio del 1914 dovette essere sottoposto a una votazione governativa (con 22 liberali astenuti e un voto contrario) e il disegno separato di legge sui redditi contenente i provvedimenti più controversi essere completamente abbandonato. In particolare, ci fu una rumorosa opposizione a una proposta di Lloyd George, secondo la quale gli introiti provenienti dall’aumento dell’imposta sui redditi avrebbero dovuto essere utilizzati per sovvenzionare le autorità locali, compensandole in questo modo delle perdite dovute ai cambiamenti delle aliquote fiscali. 45 Perciò, tutto quel che si può dire della Gran Bretagna è che i conflitti politici suscitati dall’aumento delle spese per gli armamenti erano meno aspri di quelli sorti nel continente, e che non ci sono prove che una crisi politica interna (di questo o di altro tipo) avesse incoraggiato il governo a optare per la guerra nel 1914. 46
In Francia, al confronto, la tassazione rimase sorprendentemente regressiva nella sua incidenza fino alla vigilia della guerra. Ciò era almeno in parte il riflesso della tradizione rivoluzionaria, che proteggeva il reddito e le proprietà del cittadino dall’indagine di Stato, preferendo riscuotere le cosiddette contributions sulla base di presunte valutazioni «obiettive» della capacità media di pagare, nonché sul principio di uguaglianza (di incidenza) che escludeva le aliquote progressive d’imposta. La conseguenza fu che le «quattro vecchie signore» – l’imposta sui terreni, l’imposta sul commercio, l’imposta sui beni mobili e l’imposta sui beni immobili – iniziarono a fruttare somme che rispecchiavano sempre di meno la realtà dei redditi e della ricchezza. Nel 1872 l’introduzione di una nuova imposta sulle obbligazioni fu una rarissima innovazione: per gran parte del XIX secolo la borghesia francese rimase sottotassata. Perciò le spese prebelliche furono finanziate innanzitutto con imposte indirette. Alla vigilia della guerra i dazi (reintrodotti nel 1872 dopo solo dodici anni di libero scambio) ammontavano a circa il 18 per cento del «prelievo» impositivo del governo, mentre l’imposta sui consumi (soprattutto sulle bevande alcoliche, il sale e il tabacco, tutti monopoli governativi) ammontava a circa un terzo. La seconda maggiore fonte di introiti erano le varie forme di marche da bollo pagate sulle transazioni legali minori (circa un quarto degli introiti impositivi nel 1913). Nel 1913 le imposte dirette portarono nelle casse dello Stato solo il 14 per cento degli introiti totali ordinari. 47 Tutti i tentativi di introdurre una moderna imposta sui redditi furono fatti naufragare dall’opposizione parlamentare (nel 1896, nel 1907 e nuovamente nel 1911). Solo alla vigilia della guerra questa opposizione fu sconfitta. Nel marzo del 1914 vennero rimesse in vigore le vecchie tasse sul reddito, e nel luglio dello stesso anno fu finalmente introdotta una tassa generale sui redditi superiori a 7000 franchi l’anno. Sebbene avesse un’aliquota standard del 2 per cento, questa tassa era di fatto progressiva. Furono inoltre introdotte cinque tasse parziali sul reddito (impôts cédulaires sur les revenus), simili alle categorie d’imposta del sistema britannico (ossia con incidenza differenziata per diversi tipi di reddito). 48 L’approvazione di questa riforma fu ottenuta non solo grazie all’introduzione, per volere di Poincaré, della rappresentatività proporzionale e al conseguente indebolimento del Partito radicale, ma anche grazie al deterioramento della situazione internazionale. Lo scoppio della guerra, però, ne fece rinviare l’applicazione fino al gennaio del 1916.
Il sistema russo si fondava in misura ancora maggiore sulle entrate derivanti dalla tassazione indiretta: solo una piccola quota delle entrate (circa il 7 per cento fra il 1900 e il 1913) proveniva dalla tassazione diretta. A causa dell’opposizione degli uomini d’affari all’interno della Duma non era stato possibile introdurre un’imposta sul reddito. Di conseguenza, il governo era finanziato in massima parte dai redditi delle imprese di Stato (nel 1913 i ricavi netti della rete ferroviaria si aggirarono intorno ai 270 milioni di rubli) e dalle imposte sui consumi di prodotti essenziali, come il cherosene, i fiammiferi, lo zucchero e la vodka. La più importante di queste imposte sui consumi era indubbiamente quella riscossa sulla vendita della vodka, sulla quale lo Stato aveva imposto il monopolio alla fine degli anni Novanta dell’Ottocento. Il guadagno netto del monopolio sulla vodka era circa due volte e mezzo più alto di quello prodotto dalle ferrovie di Stato, e il suo fatturato lordo (900 milioni di rubli nel 1913) ammontava a oltre un quarto di tutte le entrate statali. Come ha giustamente osservato lo storico dell’economia Alexander Gerschenkron, l’onere impositivo totale passò dal 12,4 per cento del reddito nazionale pro capite nel 1860 al 16,9 per cento nel 1913. Ma lo stesso Gerschenkron si sbaglia quando ritiene che ciò ebbe come effetto una riduzione del tenore di vita, come dimostra l’aumento delle entrate provenienti dalle imposte sui consumi. 49
In Germania la situazione era ancora una volta resa più complessa dal sistema federale. Gli Stati federali godevano di un monopolio effettivo sulla tassazione diretta; e i tentativi compiuti da Bismarck per spostare l’ago della bilancia in favore del Reich furono continuamente vanificati. 50 Anzi, in alcuni anni si ebbero trasferimenti netti dal Reich agli Stati, in media 350 milioni di marchi all’anno nel corso dell’ultimo decennio dell’Ottocento. Perciò, mentre gli Stati (e i comuni locali) riuscirono, negli anni Novanta del XIX secolo, a modernizzare i propri sistemi fiscali introducendo imposte sul reddito, 51 il Reich, in questo medesimo periodo, rimase quasi interamente dipendente (per il 90 per cento delle sue entrate) dalle vecchie tasse sui consumi e le importazioni. Come disse Bülow, riecheggiando Bismarck, la Germania rimaneva «un povero pellegrino, che bussa ostinatamente alla porta dei singoli Stati, ospite assolutamente indesiderato in cerca di sostentamento». 52 Quindi il Reich era sostanzialmente costretto a finanziare se stesso (e di conseguenza anche l’esercito e la marina tedeschi) con le imposte indirette. La tendenza era pertanto quella di aumentare i dazi di pari passo con l’aumento delle spese militari; ma il malcontento popolare per la combinazione di «pane caro» e «militarismo» venne sfruttato con tale successo dai socialdemocratici che il governo fu costretto a prevedere l’introduzione di imposte sulla proprietà a livello imperiale. Contrariamente a quanto pensavano molti membri della destra, l’aumento delle spese per l’esercito e la marina tendeva a favorire la SPD, che divenne in effetti il partito di coloro che erano più colpiti dalla tassazione regressiva. 53 Nella destra, invece, gli interessi economici tagliavano trasversalmente le correnti di partito, e le coalizioni fondate su tali interessi tendevano a variare a seconda della questione trattata, cosicché, per esempio, molti gruppi affaristici (come la Lega degli industriali) che nel 1912 avevano sostenuto un’imposta diretta, nel 1913 la denunciarono come troppo progressiva. Cosa ancora più importante, qui erano in discussione anche diverse concezioni costituzionali (quelle dei particolaristi contro quelle dei sostenitori di un Reich più centralizzato, così come quelle dei difensori delle prerogative reali contro quelle dei propositori di un maggiore potere parlamentare). In questo dibattito, gli interessi economici furono spesso ingigantiti per sostenere una determinata concezione costituzionale. Infine, si trattò di un dibattito in cui le posizioni storiche fondamentali dei vari partiti – l’antiprussianesimo del Partito del Centro, l’antimilitarismo dei socialdemocratici, l’antisocialismo dei liberalnazionali e il filogovernativismo dei conservatori – si ritrovarono tutte quasi simultaneamente compromesse.
La storia della politica interna tedesca prima del 1912 fu quindi in larga misura la storia di uno stallo del bilancio: gli Stati si opponevano alla richiesta del Reich di avere una quota nelle imposte dirette sul reddito, il ministero del Tesoro si sforzava invano di tenere sotto controllo le spese dei dipartimenti rivali, il governo era sempre più costretto a discutere di questioni finanziarie con il Reichstag e gli stessi partiti del Reichstag erano in disaccordo sul problema delle tasse. La schiacciante vittoria dei socialdemocratici nelle elezioni del 1912 e la successiva introduzione di due nuove imposte dirette per finanziare il disegno di legge sull’esercito del 1913 sono state spesso interpretate dagli storici come il momento culminante di questa impasse, sebbene vi siano opinioni divergenti a proposito del fatto che il Reich si trovasse a «un punto di svolta», lungo «un vicolo cieco» o in una «crisi latente». 54 Senza dubbio, l’atmosfera mutò con le elezioni del 1912, efficacemente descritte da un deputato socialdemocratico come una «grande dimostrazione popolare contro l’estensione delle imposte indirette». 55 Con un sorprendente riallineamento, i liberalnazionali si unirono con il Centro, con la sinistra liberale e con i socialdemocratici per chiedere, nell’aprile del 1913, l’introduzione di una «tassa generale sulla proprietà» a livello imperiale (la cosiddetta «risoluzione Bassermann-Erzberger», dal nome dei leader del Partito liberalnazionale e del Partito del Centro). Anzi, i liberalnazionali arrivarono addirittura ad appoggiare non soltanto una risoluzione dei socialdemocratici in cui si stabiliva che la nuova imposta doveva essere definita annualmente, ma anche una dei progressisti con la quale si ripristinava la riduzione dell’imposta sullo zucchero e si chiedeva l’approvazione del disegno di legge sull’estensione della tassa di successione del 1909. 56 Un altro cambiamento significativo fu la nuova disponibilità del Partito del Centro e dei socialdemocratici ad appoggiare un aumento delle spese militari. Nel caso del Centro cattolico, questo si riflesse nella trasformazione di Erzberger da avversario delle spese coloniali a sostenitore delle spese navali; nel caso dei socialdemocratici, si espresse nella dichiarazione accuratamente studiata del 1912: «Come già in precedenza, noi socialdemocratici non voteremo a favore di un solo uomo o di un solo centesimo per il militarismo. Ma se ... possiamo fare in modo che un’imposta indiretta sia sostituita da una diretta, allora siamo pronti a votare per una tale imposta». Gli eventi del 1913 possono anche essere visti come il momento culminante della battaglia per ridurre l’inferiorità finanziaria del Reich rispetto agli Stati che lo componevano. Certamente, Bethmann Hollweg non dubitava che la posta in gioco politica fosse stata innalzata dalla risoluzione Bassermann-Erzberger. Per gli Stati la scelta era tra accettare l’imposta del Reich sui redditi da capitale (Vermögenszuwachssteuer) ora proposta dal governo, oppure
spingere la politica del Reich – e quindi anche degli Stati federali – a compiere una svolta che approfondirebbe in modo irreparabile la spaccatura tra i partiti della borghesia e che potrebbe portare a una soluzione positiva soltanto se fosse concesso agli elementi radicali un certo grado di influenza sul governo e sulla sua politica – cosa che romperebbe con le tradizioni politiche del Reich e di tutti i singoli Stati.
A questo il ministro delle Finanze prussiano, dopo essersi consultato con i leader conservatori, replicò che porre fine al monopolio degli Stati sulle imposte dirette avrebbe costituito «un passo disastroso sulla via di un governo parlamentare»: il punto cruciale era che «la Prussia rimanesse la Prussia». Ancora più deciso si mostrò il monarca sassone Federico Augusto, che considerava l’imposta sui redditi da capitale lo strumento dell’«unitarismo». Quando il provvedimento venne finalmente approvato, nonostante il voto contrario sassone, al Bundesrat, e al Reichstag con i voti liberalnazionali e socialdemocratici, le reazioni si fecero ancora più forti. Secondo il conservatore conte Kuno Westarp, ora il Reich era sul punto di diventare «uno Stato unitario governato democraticamente». I partiti di opposizione proclamarono «la giornata di Filippi» e (con greve ironia) «la fine del mondo». 57
È stato spesso sostenuto che sia stata proprio questa crisi politica interna a persuadere le élite governative del Reich della necessità di una guerra, di una «fuga in avanti» per sottrarsi alla marea montante della socialdemocrazia. 58 Come abbiamo visto, questo non rientrava nei calcoli di Bethmann Hollweg. Ciò non vuol dire però che le dispute finanziarie del 1908-1914 non abbiano avuto alcun significato per le origini della guerra. Un esame più approfondito mostra che la loro autentica importanza sta proprio nella loro irrilevanza finanziaria, perché, sotto questo aspetto, non era stato realizzato nulla di concreto. Il disegno di legge sull’esercito prevedeva uno stanziamento una tantum di 996 milioni di marchi e un incremento medio annuo di 194 milioni di marchi, con un aggravio addizionale sul bilancio del 1913 pari a 512 milioni di marchi. Il disegno originario del governo stabiliva che fosse finanziato con nuove marche da bollo sui certificati d’assicurazione e sugli atti costitutivi societari (aumentandole da 22 a 64 milioni di marchi), con l’estensione del diritto statale di manomorta (5-15 milioni di marchi l’anno), con un contributo una tantum alla difesa – un prelievo dello 0,5 per cento su tutte le proprietà con un valore superiore a 10.000 marchi e del 2 per cento su tutti i redditi superiori ai 50.000 marchi – da riscuotersi in tre tranche (la prima di 374 milioni di marchi e le altre due di 324,5 milioni) e con un’imposta sui redditi da capitale riscossa progressivamente in dieci aliquote che andavano dallo 0,6 per cento sui redditi tra i 25.000 e i 50.000 marchi fino all’1,5 per cento sui redditi superiori a un milione di marchi (entrate previste: 82 milioni all’anno). Dopo tutto quello che era stato detto e fatto, questa non fu assolutamente una rivoluzione delle finanze del Reich. 59 Il dibattito alla Commissione bilancio riguardò innanzitutto il trattamento differenziato di specifici gruppi economici, non i livelli assoluti di entrate e spese. Inoltre, il risultato fu un pasticcio politico. Anziché determinare la vittoria definitiva di una coalizione progressista contro le forze della reazione, l’approvazione dei disegni di legge sulla difesa e le finanze rivelò in primo luogo l’estensione delle divisioni all’interno dei partiti. 60 Semmai, la modesta conquista politica rappresentata dall’approvazione di un’imposta diretta del Reich (o meglio, di tre imposte dirette, visto che il contributo per la difesa poteva in teoria essere ripetuto) sembrava destinata a provocare una reazione in quanto gli elementi conservatori si erano ricompattati (sebbene il significato di questo nuovo ricompattamento sia stato talvolta esagerato dagli storici). 61 Kehr dunque sbagliava quando sosteneva che le entrate del Reich erano in rapida crescita nel 1912-1913 e che, se avessero potuto, i membri «militarizzati e feudalizzati» del Reichstag avrebbero approvato il programma del «Grande memorandum» di Ludendorff. 62 È alquanto dubbio che il governo sarebbe riuscito a ottenere la maggioranza in parlamento per l’aumento delle imposte che avrebbe dovuto chiedere.
Sul terreno delle entrate l’Austria-Ungheria aveva problemi simili a quelli del Reich. Il bilancio comune (destinato in massima parte alla difesa) era finanziato dalle entrate congiunte delle dogane e da altri contributi dei due regni separati, mentre altre attività governative erano finanziate o dai regni separati o dagli Stati e dai comuni a essi subordinati. Si dice spesso che gli ungheresi non pagavano una quota corretta della spesa comune. Questo è vero solo in parte. Innanzitutto, le Königreiche e i Länder austriaci pagavano circa il 70 per cento, mentre i Länder ungheresi pagavano il 30 per cento; in base a un nuovo trattato stipulato nel 1907, però, la quota austriaca scese al 63,6 per cento, mentre quella ungherese salì al 36,4 per cento. Questa suddivisione non era poi così lontana dalle dimensioni delle rispettive popolazioni (gli ungheresi costituivano il 40 per cento della popolazione complessiva dell’Austria-Ungheria). Ma allora la sensazione era che l’Austria fosse eccessivamente oberata. Secondo una stima, nel 1900 circa il 14,6 per cento del bilancio statale austriaco era devoluto al tesoro comune, mentre la quota ungherese era solo del 9,5 per cento. Assai più importante era il fatto che entrambi i paesi, sia separatamente sia in comune, si basavano sulle imposte indirette. La fonte principale di entrate comuni erano i dazi doganali, che ammontavano al 25 per cento degli introiti comuni complessivi nel 1913. Per l’Austria-Ungheria nel suo complesso solo il 13 per cento degli introiti pubblici complessivi proveniva da imposte dirette.
In altre parole, tutti i paesi del continente soffrivano la mancanza di una moderna imposta sui redditi e quindi dovevano basarsi sostanzialmente su tasse regressive per finanziare i loro programmi di armamento e altre spese. Ma in Germania e in Austria-Ungheria il sistema politico creava numerosi ostacoli al miglioramento della situazione, soprattutto a causa delle tensioni tra il governo centrale e quelli regionali all’interno del sistema federale.
I debiti
L’altro modo per pagare i costi sempre maggiori della politica interna ed estera era naturalmente quello di ricorrere ai prestiti. Come mostra la tabella 14, era una scelta che alcuni paesi privilegiavano in misura maggiore rispetto ad altri. Germania e Russia, per esempio, vi ricorsero massicciamente nel periodo successivo al 1887; tuttavia, quando si operò una correzione per la rivalutazione del rublo rispetto alla sterlina dopo l’ingresso della Russia nel Gold Standard, ne risultò che il peso del debito russo aumentò soltanto di due terzi tra il 1890 e il 1913, mentre il debito tedesco aumentò più del doppio. In termini assoluti, anche la Francia ricorreva pesantemente al prestito, benché partisse da un indebitamento maggiore rispetto alla Germania (ciò che spiega il minore aumento in percentuale). La Gran Bretagna costituiva un’eccezione tra le grandi potenze, avendo ridotto il livello del suo debito nazionale tra il 1887 e il 1913. Questo risultato appare ancora più sorprendente se si tiene presente che il costo della guerra boera fece aumentare il ricorso al prestito – 132 milioni di sterline in totale – negli anni tra il 1900 e il 1903.
Ancora una volta, non si trattava di oneri insostenibili in un’epoca caratterizzata da una crescita economica straordinaria. Anzi, in tutti e quattro i casi considerati, il debito totale mostrava la tendenza a diminuire in rapporto al prodotto nazionale netto, come risulta dalla tabella 15.
Il governo britannico vantava un sistema di prestito pubblico straordinariamente efficiente, che risaliva addirittura al XVIII secolo. A differenza dei principali paesi del Vecchio continente, la Gran Bretagna era uscita dalle guerre culminate nella battaglia di Waterloo senza venire meno agli impegni presi nei confronti dei titolari di obbligazioni e senza defraudarli con l’inflazione (fu questo il vero significato della decisione, presa nel 1819, di tornare alla parità aurea). Per gran parte del secolo (per la precisione fino al 1873) il debito nazionale britannico era quindi stato significativamente più elevato di quello delle potenze continentali. Ammontava a più di dieci volte le entrate complessive delle imposte, mentre l’onere debitorio ammontava a circa il 50 per cento della spesa lorda dal 1818 fino al 1855. 63 Ciò rendeva i politici britannici estremamente cauti nei confronti di nuovi prestiti: quando furono costretti a ricorrervi, come durante la guerra boera, lo fecero con disagio e preoccupazione. Nel 1907 Edward Hamilton, la massima autorità nel ministero del Tesoro, disse ad Asquith: «Lo Stato non può racimolare una quantità indefinita di denaro. Noi tutti lo credevamo durante la guerra boera, ma ora sappiamo che abbiamo danneggiato gravemente il nostro credito con le somme che abbiamo preso in prestito durante la guerra». 64
Tabella 14 – Debiti nazionali in milioni di valuta nazionale (e sterline), 1887-1913.
|
Francia (franchi) |
Gran Bretagna (sterline) |
Germania (marchi) |
Russia (rubli) |
1887 |
23.723 (941 milioni di sterline) |
655 |
8566 (419 milioni di sterline) |
4418 (395 milioni di sterline) |
1913 |
32.976 (1308 milioni di sterline) |
625 |
21.679 (1061 milioni di sterline) |
8858 (937 milioni di sterline) |
Aumento in percentuale* |
39 |
– 5 |
153 |
137 |
Nota: Germania =
Reich più Stati federali. * = Aumenti in
sterline.
Fonti:
Schremmer, Taxation Public Finance, p.
398; Mitchell e Deane, British Historical Statistics, pp. 402-403; Hoffmann, Grumbach e Hesse,
Das Wachstum der
deutschen Wirtschaft, pp.
789-780; Apostol, Bernatzky e Michelson, Russian Public
Finances, pp. 234 e
239.
La verità, tuttavia, era che fino a quel momento il mercato dei consols (ossia le obbligazioni orlate d’oro del XIX secolo) non si era ampliato granché dagli anni Venti dell’Ottocento. I politici vittoriani erano riusciti a limitare il prestito pubblico con tale efficacia che l’ammontare nominale del debito era sceso da 800 milioni di sterline nel 1815 ad appena poco più di 600 milioni un centinaio di anni più tardi, un risultato davvero unico nella storia tributaria del XIX secolo. Come proporzione delle entrate nazionali, alla vigilia della guerra il debito pubblico della Gran Bretagna era al minimo storico: appena il 28 per cento, molto meno di quello delle altre grandi potenze. Il debito complessivo era solo di tre volte superiore alle entrate totali e l’onere debitorio ammontava ad appena il 10 per cento delle spese complessive. Inoltre, la Gran Bretagna aveva il mercato monetario più vasto e sofisticato del mondo, gestito dalla Banca d’Inghilterra e da un’élite non ufficiale di banche private e azionarie, cosicché anche il prestito a breve termine risultava un’operazione relativamente semplice e diretta.
Tabella 15 – Debiti nazionali in percentuale del prodotto nazionale netto, 1887-1913.
|
Francia |
Gran Bretagna |
Germania |
Russia |
1887 |
119,3 |
55,3 |
50,0 |
65,0 |
1913 |
86,5 |
27,6 |
44,4 |
47,3 |
Nota: Germania =
Reich più Stati federali.
Fonte: Come
nella tabella 14
e J.M. Hobson, Wary
Titan, pp. 505-506.
In base agli standard moderni la Francia era caratterizzata da un debito pubblico particolarmente elevato, pari a circa l’86 per cento del reddito nazionale nel 1913, avendo registrato un aumento di quasi il 40 per cento rispetto al 1887. Era anche il più elevato tra quelli delle grandi potenze, e pertanto la gestione del debito era responsabile della più alta proporzione di spese del governo centrale. 65 Ciò rifletteva la tendenza dello Stato francese (indipendentemente dalla composizione politica) ad avere deficit di bilancio; il bilancio fu riequilibrato nel giro di pochi anni nel XX secolo, con il risultato che il debito aumentò inesorabilmente rispetto ai livelli relativamente bassi del 1815. Un grosso debito pubblico stuzzicava inoltre l’appetito dei risparmiatori francesi, che avevano per le rentes perpétuelles (l’obbligazione principale del governo francese che, come indica la definizione, era irredimibile) un affetto persino maggiore di quello, già proverbiale, delle vedove e degli orfani britannici per i consols. Le riduzioni delle tasse incoraggiarono l’abitudine di chiedere prestiti a lungo termine al governo in cambio di interessi bassi ma sicuri. Non è un caso che gli economisti continuino a chiamare rentier chi vive di investimenti: questa «specie» era nata nella Francia del XIX secolo.
Anche il debito pubblico complessivo della Russia aumentò bruscamente in termini nominali nella seconda metà dell’Ottocento: raddoppiò tra il 1886 e il 1913, passando da 4,4 a 8,8 miliardi di rubli. Tuttavia, e contrariamente a quanto sostenuto da Arcadius Kahan, secondo il quale alti livelli di prestiti statali per finanziarie lo sviluppo dell’industria pesante conducevano al «sovraffollamento» dell’investimento nel settore privato, questo non rappresentò un aggravio paralizzante. 66 La crescita economica della Russia era talmente rapida che l’onere debitorio diminuì da circa il 65 per cento del reddito nazionale ad appena il 47 per cento alla vigilia della guerra. Inoltre, il rapporto fra debito complessivo e introiti impositivi era più basso in Russia (2,6 a 1) che in Francia (6,5 a 1) o in Gran Bretagna (3,3 a 1). La gestione del debito equivaleva a circa il 13 per cento delle spese del governo centrale tra il 1900 e il 1913, leggermente meno che in Gran Bretagna. 67 Non ci sono prove di sovraffollamento: la percentuale di emissioni totali del mercato finanziario russo garantite da obbligazioni governative passò dall’88 per cento nel 1893 al 78 per cento nel 1914. In ogni caso, una parte molto sostanziosa del debito statale era finanziata da stranieri che non sarebbero stati disposti a investire in compagnie private russe. 68
In Germania vigeva il già ben consolidato principio della Finanzwissenschaft, in base al quale non solo le spese straordinarie, come i costi della guerra, ma anche quelle «produttive», come gli investimenti in imprese di Stato, dovevano essere finanziate da prestiti anziché dalle entrate correnti. La convinzione che la costruzione di una flotta tedesca in tempo di pace avrebbe «fruttato interessi» giustificò il finanziamento del programma di Tirpitz appunto tramite un prestito. 69 Poiché le spese navali balzarono da 86 milioni di marchi all’anno nel quinquennio 1891-1895 a 228 milioni di marchi nel 1901-1905, anche il debito del Reich aumentò parallelamente da 1,1 miliardi a 2,3 miliardi di marchi. 70 Tra il 1901 e il 1907 una media di circa il 15 per cento delle entrate complessive (ordinarie e straordinarie) del Reich proveniva da prestiti; nel 1905 più di un quinto delle entrate arrivò da questa fonte. 71 Il costo della gestione del debito crebbe proporzionalmente come percentuale delle spese complessive del Reich, suscitando proteste politiche per l’«asservimento delle masse al pagamento degli interessi per il bene dei creditori dello Stato». 72 Inoltre, il persistere del deficit a livello imperiale provocò un aumento dal 4 al 9 per cento dei prestiti a breve termine considerati come percentuale dell’indebitamento complessivo.
La situazione della Germania era complicata perché il prestito del Reich coincideva con un enorme aumento dei prestiti contratti dagli altri livelli del governo, vale a dire gli Stati federali e i comuni. In effetti, questi tre livelli erano in reciproca concorrenza sul mercato dei capitali. Nel 1890 il debito complessivo del Reich ammontava a 1,3 miliardi di marchi, solo leggermente di più di quello dei comuni (1 miliardo). Il debito combinato degli Stati era di 9,2 miliardi di marchi, circa due terzi dei quali accumulati dalla sola Prussia. Qui può esservi stato un certo grado di sovraffollamento. Tra il 1896 e il 1913 il volume dell’emissione di obbligazioni del settore pubblico aumentò del 166 per cento, rispetto al 26 per cento dell’emissione nel settore privato, e dopo il 1901 le emissioni del settore pubblico oscillarono in media dal 45 al 50 per cento del valore nominale di tutte le emissioni del mercato azionario. 73 Nel 1913 il debito complessivo del settore pubblico era arrivato a 32,8 miliardi di marchi, dei quali poco più della metà era debito statale, in confronto al 16 per cento emesso dal Reich e dal resto dei comuni. 74 A differenza della Gran Bretagna e della Francia, la Germania aveva bisogno dell’assistenza straniera per finanziare le richieste di prestito del suo settore pubblico. Quasi il 20 per cento del debito pubblico complessivo del 1913 era in mano a investitori stranieri.
Come vedremo, i contemporanei erano preoccupati da questa situazione. Ma è importante collocare l’onere debitorio della Germania nella giusta prospettiva. Il debito pubblico complessivo alla vigilia della guerra equivaleva a circa il 60 per cento del prodotto nazionale lordo. Il peso crescente della gestione del debito ammontava all’11 per cento della spesa pubblica nel 1913. Se si confrontano i debiti del governo centrale delle tre potenze dell’Intesa con i debiti combinati del Reich e dei suoi Stati (cfr. tab. 15), questi ultimi risultano in effetti inferiori a quelli di Russia e Francia.
Anche in Austria-Ungheria era diffuso il timore di un incombente disastro fiscale. Come dichiarò Friedrich von Holstein a Berlino alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento: «Nonostante tutte le nuove tasse, il pareggio di bilancio è attualmente null’altro che un pio desiderio. Nel frattempo si continua allegramente a chiedere prestiti». 75 L’economista Eugen von Böhm-Bawerk sosteneva che la duplice monarchia «vivesse al di sopra dei suoi mezzi». Inutile dirlo, gli austriaci borbottavano che gli ungheresi non pagavano il dovuto: il loro contributo alla gestione del debito comune era fissato all’importo di 2,9 milioni di fiorini l’anno, lasciando alla metà occidentale dell’impero il compito di assumersi il peso di ogni nuovo prestito. Ma, ancora una volta, le ansie dei contemporanei erano eccessive. In realtà, nel 1913 il debito pubblico complessivo era inferiore al 40 per cento del reddito nazionale. Rispetto al periodo precedente il 1867, era il segno di una straordinaria morigeratezza fiscale. La gestione del debito ammontava soltanto al 14 per cento della spesa austriaca nel 1907, contro circa il 33 per cento negli anni Cinquanta e Sessanta dell’Ottocento. 76
In breve, gli effetti della corsa agli armamenti sul prestito pubblico furono poco significativi: in termini reali l’onere debitorio, malgrado la corsa agli armamenti, di fatto diminuì. Eppure i contemporanei erano preoccupati soprattutto dall’aumento assoluto dei prestiti governativi. Un’importante ragione di questa preoccupazione era che sembrava provocare un aumento del costo dei prestiti governativi, valutato in base al prezzo (o al rendimento) delle obbligazioni emesse.
Nel corso dell’Ottocento il mercato internazionale delle obbligazioni era diventato un barometro straordinariamente sensibile della visione economica e politica del capitalismo. All’inizio del Novecento si ebbe un gigantesco movimento di fondi d’investimento, in larga misura i risparmi delle élite proprietarie del mondo occidentale; considerando l’ancora sproporzionata influenza politica che esse esercitavano a quell’epoca, le sue fluttuazioni meritano un’attenzione molto maggiore di quella che gli storici vi hanno normalmente dedicato. Si trattava di un mercato relativamente efficiente, in quanto nel 1914 il numero degli individui e delle istituzioni che compravano e vendevano era decisamente alto, e i costi delle transazioni erano relativamente bassi. Inoltre, grazie alle innovazioni nel campo delle comunicazioni internazionali (soprattutto il telegrafo), era un mercato che reagiva rapidamente alle vicende della politica. Il declino dei prezzi delle obbligazioni – o l’aumento dei rendimenti – che si verificò poco dopo il 1890 (si veda la tab. 16) era considerato da molti la prova di una «iperelasticità» fiscale.
Tabella 16 – Prezzi delle principali obbligazioni europee, ca. 1896-1914.
|
Prezzo massimo |
Data |
Prezzo minimo |
Data |
Differenza in percentuale |
Consols inglesi al 2,75 per cento* |
113,50 |
luglio 1896 |
78,96 |
dicembre 1913 |
– 30,4 |
Rentes francesi al 3 per cento |
105,00 |
agosto 1897 |
80,00 |
luglio 1914 |
– 23,8 |
Obbligazioni russe al 4 per cento |
105,00 |
agosto 1898 |
71,50 |
agosto 1906 |
– 31,9 |
Imperiali tedesche al 3 per cento |
99,38 |
settembre 1896 |
73,00 |
luglio 1913 |
– 26,5 |
*
= Per il 1913 prezzo al 2,5 per cento
ricalcolato su un dividendo al 2,75 per cento.
Fonte: «The
Economist», prezzi di chiusura settimanali.
La causa principale di questa diminuzione era infatti l’accelerazione dell’inflazione, un fenomeno monetario provocato dall’aumento della produzione dell’oro e, elemento ancora più importante, dal rapido sviluppo dell’intermediazione bancaria, che incrementava l’uso di banconote e di metodi di transazione senza liquidi (in particolare il giroconto bancario). Ma i contemporanei considerarono l’aumento dei rendimenti una forma di protesta del mercato contro le fiacche politiche fiscali. Ciò era effettivamente vero solo nella misura in cui le emissioni di obbligazioni del settore pubblico tendevano a spingere verso l’alto il costo indiscriminato del prestito in concorrenza con le rivendicazioni del settore privato sul mercato dei capitali: questo era sicuramente il caso della Germania. Tuttavia, l’accusa d’incontinenza fiscale fu ripetutamente rivolta a quasi tutti i governi – compreso quello britannico – dai critici sia di sinistra sia di destra. La tabella 17 indica che l’aumento dei rendimenti era un fenomeno universale; più interessante è però il fatto che ci fossero differenze marcate o persino grandi «divari» tra le obbligazioni dei vari paesi. Questi divari nei rendimenti erano la reale espressione della valutazione dei mercati non solo sulla politica fiscale ma anche, più in generale, sulla stabilità politica e sulla politica estera, visto il rapporto tradizionalmente stretto fra i pericoli di una rivoluzione, di una guerra e dell’insolvenza. Forse prevedibilmente, la Russia, data l’esperienza del 1904-1907 e tenuto conto dei suoi problemi economici più generali e della sua «arretratezza» politica, era considerata il rischio creditizio maggiore fra le grandi potenze. Più sorprendente appare l’ampia differenza tra i rendimenti tedeschi e quelli delle obbligazioni britanniche e francesi, che erano pressoché uguali. Questo non si può spiegare facendo perno sulle maggiori richieste da parte del settore privato tedesco sul mercato finanziario di Berlino, dato che questi sono i prezzi di Londra (e in ogni caso gli investitori sceglievano in genere tra le obbligazioni di diversi governi, non tra azioni e obbligazioni). Insomma, gli investitori credevano che la Germania guglielmina fosse finanziariamente meno forte delle sue rivali occidentali.
Tabella 17 – Dividendi delle obbligazioni delle potenze maggiori, 1911-1914.
|
Consols inglesi |
Rentes francesi |
Tedesche al 3 per cento |
Russe al 4 per cento |
Differenziale anglo-tedesco |
Differenziale anglo-russo |
Marzo 1911 |
3,08 |
3,13 |
3,56 |
4,21 |
0,48 |
1,13 |
Luglio 1914 |
3,34 |
3,81 |
4,06 |
4,66 |
0,72 |
1,32 |
Media |
3,29 |
3,36 |
3,84 |
4,36 |
0,55 |
1,07 |
Fonte: «The Economist», prezzi medi mensili di Londra.
I prezzi settimanali e mensili delle obbligazioni, pubblicati su giornali finanziari come l’«Economist», ci permettono di seguire in modo più approfondito le fluttuazioni. Per ragioni storiche, l’interesse nominale sulle obbligazioni emesse dalle grandi potenze era variabile: i consols britannici fruttarono il 3 per cento per la maggior parte del XIX secolo, ma si ridussero al 2,75 per cento nel 1888 e al 2,5 per cento nel 1903. Negli anni Novanta dello stesso secolo le obbligazioni tedesche e francesi fruttavano il 3 per cento, ma quelle russe garantivano il 4 per cento, e nuove emissioni dopo la rivoluzione del 1905 arrivavano fino al 5 per cento. Ovviamente, gli investitori erano di norma più interessati al rendimento delle obbligazioni e offrivano prezzi oscillanti, principalmente in base alle aspettative che nutrivano nei confronti della capacità di solvenza dei rispettivi Stati. Per facilitare il confronto, ho deciso di ricalcolare, utilizzando i tassi di rendimento, i prezzi delle obbligazioni delle principali potenze postulando che avessero tutte un tasso di interesse del 3 per cento. La figura 6 mostra il prezzo mensile medio delle obbligazioni britanniche tra il 1900 e il 1914 ricalcolato in questo modo; la figura 7 mostra il prezzo di chiusura settimanale delle obbligazioni francesi, tedesche e russe per lo stesso periodo, con il prezzo delle obbligazioni russe ricalcolato nel medesimo modo.
Anche in questo caso si può osservare che le obbligazioni tedesche avevano un valore nettamente inferiore – in media circa il 10 per cento in meno – rispetto a quelle britanniche e francesi. Sebbene alcune differenze tecniche possano avervi influito, il divario nel prezzo delle obbligazioni era soprattutto il riflesso della rischiosità delle obbligazioni tedesche rispetto a quelle britanniche. Anche il divario tra i prezzi delle obbligazioni tedesche e russe è particolarmente istruttivo: cosa niente affatto sorprendente, si era notevolmente ampliato durante la guerra russo-giapponese e la successiva rivoluzione, ma nel 1910 si era nuovamente ridotto fino a risultare significativamente minore di quello esistente tra le obbligazioni francesi e tedesche. E non erano solo la Gran Bretagna e la Francia a essere considerate meno rischiose della Germania dal punto di vista creditizio. A un certo punto, poco dopo la caduta di Bülow, il prezzo delle obbligazioni al 4 per cento del Reich scese di fatto al di sotto di quello delle obbligazioni italiane al 3-5 per cento. 77
Figura 6 – Prezzo medio mensile dei consols britannici, calcolato sulla base di un dividendo del 3 per cento, 1900-1914.
Fonte: Accounts and Papers of the House of Commons, voll. LI, XXI.
Figura 7 – Prezzo di chiusura settimanale di azioni francesi (in alto), tedesche (in mezzo) e russe (in basso), calcolati sulla base di un dividendo del 3 per cento, 1900-1914.
Fonte: «The Economist».
La cosa non passò inosservata. Quando le emissioni di obbligazioni prussiane e del Reich per un totale di 1,28 miliardi di marchi furono accolte con scarso entusiasmo dalle Borse nel 1909-1910, molti osservatori giunsero alla stessa conclusione del segretario di Stato al Tesoro, Adolf Wermuth, secondo il quale «l’armamentario finanziario» della Germania non era all’altezza del suo «armamentario bellico». 78 Il problema di incrementare i rendimenti tedeschi preoccupava soprattutto banchieri internazionali come Max Warburg. 79 Nel 1903, su istigazione di Bülow, cercò di sollevare la questione con il Kaiser dopo una cena; ma l’imperatore la liquidò bruscamente affermando con fiduciosa sicurezza che «i russi finiranno prima in bancarotta». 80 Nel 1912 Warburg scrisse un documento per il congresso generale dei banchieri tedeschi intitolato «Modi adeguati e inadeguati per rialzare il prezzo delle obbligazioni di Stato»; 81 e l’anno seguente l’economista Otto Schwartz replicò criticamente alle asserzioni di Guglielmo II sostenendo che le finanze tedesche erano in quel momento più deboli di quelle russe. 82 Ciò fu notato anche all’estero: il fatto che le obbligazioni «tedesche al 3 per cento [stessero] a 82» mentre quelle «belghe a 96» fornì a Angell uno dei suoi migliori argomenti contro la razionalità economica del militarismo. 83 Analogamente, l’elevato rendimento del nuovo prestito tedesco emesso nel 1908 spinse alcuni commentatori della City a sospettare che fosse un «prestito di guerra». 84
Dall’impasse fiscale alla disperazione strategica
La percezione della relativa debolezza della Germania e dell’Austria-Ungheria era destinata ad avere profonde conseguenze storiche a causa delle sue implicazioni per le future spese militari. Come abbiamo visto, la rapidità con cui si espandeva l’esercito tedesco era stata frenata dall’influenza esercitata dai conservatori all’interno del ministero della Guerra. Ma anche se Ludendorff avesse avuto carta bianca per l’istituzione di un servizio militare quasi universale, non è affatto certo che lo si sarebbe potuto realizzare. Infatti, anche il bilancio della difesa tedesco era limitato da parecchi fattori: la resistenza, all’interno del sistema federale, ad aumentare la centralizzazione fiscale; la resistenza, all’interno del Reichstag, ad aumentare le imposte; e l’impossibilità di ottenere prestiti senza approfondire il divario di rendimento delle obbligazioni tra la Germania e le sue rivali occidentali. Incapace di ridurre le enormi percentuali di entrate complessive degli Stati e dei governi locali, incapace di riscuotere una cifra pari a quella della Gran Bretagna in imposte dirette o pari a quella della Russia in imposte indirette, e incapace di contrarre prestiti vantaggiosi con la Gran Bretagna e la Francia, il Reich sembrava destinato a perdere la corsa finanziaria agli armamenti.
I contemporanei riconobbero spesso questo problema. «A che cosa serve un esercito pronto a entrare in azione o una marina pronta alla battaglia, se le nostre finanze ci abbandonano?», chiedeva Wilhelm Gerloff, la massima autorità del sistema finanziario del Reich; 85 mentre Bülow parlava della necessità di «convincere il popolo tedesco che moralmente e materialmente la riforma [finanziaria] è una questione di vita o di morte». 86 Il giornale della Lega dell’esercito, «Die Wehr», era d’accordo: «Se si vuole vivere in pace, si devono anche sopportare degli oneri, ossia pagare le tasse: senza questo, non lo si può semplicemente fare». 87 Era anche la tesi di fondo del libro di Friedrich von Bernhardi Deutschland und der Nächste Krieg (La Germania e la prossima guerra), di fatto – come rivela un’analisi più approfondita – un appello alla riforma finanziaria pubblicato giusto in tempo per influenzare i dibattiti politici del 1912:
Sarebbe un atto folle e fatale di debolezza politica trascurare il punto di vista militare e strategico e far dipendere praticamente tutti i preparativi di guerra dai mezzi finanziari al momento disponibili. «Nessuna spesa senza sicurezza», recita la formula di cui si riveste questa politica. È giustificata solo quando la sicurezza è fissata dalle spese. In un grande Stato civilizzato sono i doveri ai quali si deve adempiere a determinare la spesa, e il grande ministro delle Finanze non è un uomo che bilanci i conti nazionali risparmiando sulle forze nazionali, rinunciando al tempo stesso all’esborso politicamente indispensabile. 88
Ma non erano solo i militari a pensarla in questo modo. Il presidente della Reichsbank, Rudolf Havenstein, si espresse in modo altrettanto esplicito sulla base finanziaria della deterrenza: «Saremo in grado di mantenere la pace», dichiarò il 18 giugno 1914, «soltanto se saremo forti sia finanziariamente che militarmente». Queste parole devono essere intese non come un indizio che la Germania fosse pronta alla guerra, bensì nel suo contrario: Havenstein pensava che la Germania non fosse finanziariamente forte. 89
Tuttavia sembravano esserci ostacoli politici insormontabili. «Abbiamo il popolo e il denaro», osservava frustrato il leader della Lega dell’esercito, August Keim. «Ci manca soltanto la determinazione per metterli entrambi al servizio della patria.» 90 Lo stesso problema poteva essere considerato dalla prospettiva dei socialdemocratici: «Alcuni chiedono più navi, altri reclamano più soldati», commentava Daniel Stücklein; «ma bisogna ancora trovare altre organizzazioni capaci di procurare il denaro necessario per soddisfare queste richieste». 91 Il dilemma del governo era molto semplice: «Gli attuali oneri finanziari [sono] troppo pesanti perché l’economia sia in grado di sopportarli», scriveva un funzionario del ministero della Guerra prussiano nel 1913, «e qualsiasi [ulteriore] agitazione non farebbe altro che aggiungere acqua al mulino dei socialdemocratici». 92 Forse era proprio ciò che aveva in mente Warburg quando, nel novembre del 1908, fece la seguente dichiarazione: «Se continuiamo a condurre la nostra politica fiscale nello stesso modo ... un bel giorno scopriremo che potremo rimediare al danno solo con il massimo sacrificio possibile, se mai potremo porvi rimedio». 93 L’anno successivo il suo amico Albert Ballin espresse il timore che «una nuova riforma delle finanze» potesse condurre a «una svolta molto grave» nella politica interna. 94 Ma, ironicamente, la vera causa dell’intoppo tributario era il partito conservatore prussiano: un’ironia incarnata dalla figura del barone Ottomar von der Osten-Sacken und vom Rhein, che da un lato sosteneva il servizio militare universale, dall’altro però si opponeva all’imborghesimento del corpo ufficiali e alla tassazione delle grandi proprietà a est dell’Elba. 95
L’impasse fiscale sfociò nella disperazione strategica. Nel 1912 la «Ostdeutsche Buchdrückerei und Verlagsanstalt» pubblicò un opuscolo dal titolo rivelatore: «La situazione finanziaria impedisce alla Germania di sfruttare appieno la sua intera forza nazionale nel proprio esercito?». 96 La risposta era: sì. «Semplicemente, non possiamo permetterci di fare una corsa agli armamenti navali contro una Gran Bretagna molto più ricca», si lamentava Ballin. 97 Nel 1909 anche il Kaiser dovette ammettere che «sotto le inesorabili costrizioni della ristrettezza di fondi ... le giustificate richieste del “Fronte” non potevano essere soddisfatte». 98 Persino Moltke riconobbe il problema nel dicembre del 1912, commentando: «I nostri nemici si armano con maggior decisione, perché noi siamo a corto di denaro». 99 Lo stesso mese l’imperatore Guglielmo aveva dichiarato: «Il popolo tedesco [è] pronto a fare qualsiasi sacrificio ... Il popolo comprende che perdere una guerra costa molto più caro che pagare questa o quella tassa». Non aveva il minimo dubbio sulla «volontà del popolo di garantire tutto quanto [gli veniva richiesto] per scopi militari». 100 È un paradosso fondamentale dell’epoca guglielmina che, malgrado tutti i segni esteriori mostrassero una Germania dominata da una cultura militarista, il Kaiser si sbagliasse.
La debolezza finanziaria della Germania non era un segreto. Sebbene la stampa popolare inglese agitasse periodicamente lo spauracchio della crescente potenza commerciale e industriale tedesca prima del 1914, i contemporanei più informati sapevano perfettamente che la potenza finanziaria del Reich non era così impressionante. Nel novembre del 1909 Churchill (allora titolare del dicastero del Commercio) sostenne che le sempre maggiori difficoltà di ottenere denaro ostacolavano efficacemente l’espansione navale tedesca. Il suo memorandum contiene una valutazione così accurata della situazione interna della Germania da meritare una lunga citazione:
L’eccessivo volume di spese dell’Impero tedesco minaccia e pone sotto grande pressione tutti gli argini che preservano l’unità sociale e politica della Germania. Gli elevati dazi doganali sono stati in larga misura resi inflessibili da trattati commerciali ... I pesanti balzelli sulle derrate alimentari, attraverso i quali si riscuote la parte maggiore delle entrate doganali, hanno aperto un profonda spaccatura fra gli agrari e gli industriali, e questi ultimi ritengono di non avere ricevuto compensi adeguati per l’alto prezzo delle derrate alimentari, malgrado i più sofisticati meccanismi di protezione delle manifatture. Lo splendido sistema delle ferrovie di Stato si trova sotto pressione perché è continuamente degradato a semplice strumento di tassazione. Il settore dell’imposizione diretta è già in gran parte occupato dagli Stati e dai sistemi locali di governo. Il probabile intervento del parlamento a suffragio universale dell’impero in questi settori già esauriti unisce le classi proprietarie, siano esse imperialiste o stataliste, in un comune timore, al quale le autorità governative non sono insensibili. Dall’altro lato, nuove tasse o nuovi aumenti delle tasse su ogni forma di svago popolare rafforzano moltissimo i partiti della sinistra, che si oppongono alla corsa agli armamenti e a molte altre cose.
Nel frattempo il debito imperiale tedesco è più che raddoppiato negli ultimi tredici anni di pace ininterrotta ... Gli effetti dei prestiti ricorrenti per far fronte alla normale spesa annua hanno ostacolato un vantaggioso sviluppo degli investimenti e frantumato l’illusione ... che Berlino possa soppiantare Londra come centro nevralgico dell’attività creditizia mondiale. Il credito dell’Impero tedesco è sceso al livello di quello italiano.
Queste circostanze ci inducono a concludere che la Germania si appresta a vivere una fase di gravi tensioni interne. 101
Non era solo Churchill a riconoscere la debolezza delle finanze tedesche. Già nell’aprile del 1908 lo stesso Grey aveva «sottolineato che la situazione finanziaria avrebbe potuto diventare nel giro di pochi anni un problema molto serio per la Germania ed esercitare un’influenza negativa sul paese». L’anno successivo l’ambasciatore tedesco a Londra, conte Metternich, aveva in effetti richiamato l’attenzione di Grey sulla «resistenza» interna alle spese navali. 102 Goschen, il suo omologo britannico a Berlino, aveva accennato a «mormorii» pubblici contro le spese navali nel 1911 e si era mostrato scettico quando il Kaiser aveva cercato di confutare «l’idea diffusa all’estero che la Germania non abbia soldi». 103 All’epoca del disegno di legge sull’esercito, nel 1913, aveva notato che «ciascuna classe sarebbe ... felice di vedere il proprio fardello finanziario gravare sulle spalle di qualcun altro». 104 Nel marzo del 1914 Sir Arthur Nicolson predisse addirittura che «se la Germania non sarà disposta a fare ulteriori sacrifici finanziari a scopi militari, i giorni della sua egemonia in Europa sono contati». 105
Pareri analoghi furono espressi da chi, nella City, conosceva bene la Germania. Lord Rothschild riconobbe subito quali fossero i limiti della potenza tedesca. «Il governo tedesco non ha più un marco», osservò nell’aprile del 1906, mentre veniva collocato sul mercato un nuovo prestito del Reich. 106 Né gli sfuggirono le difficoltà incontrate dalla Reichsbank durante la crisi finanziaria internazionale del 1907, per molti versi ben più gravi di qualsiasi cosa si fosse mai vissuta a Londra ed esacerbate dal prestito a breve termine del settore pubblico. 107 Rothschild rimase particolarmente impressionato dalla necessità che avevano i tedeschi di vendere obbligazioni sui mercati finanziari stranieri, un espediente al quale né la Gran Bretagna né la Francia avevano mai dovuto ricorrere in tempo di pace. 108 L’impressione di un Reich in difficoltà fu ulteriormente confermata dalla grande emissione di obbligazioni prussiane nel 1908 e dal deficit del bilancio del Reich. 109 Non stupisce che i Rothschild, esattamente come i Warburg ad Amburgo, si aspettassero che il governo tedesco cercasse qualche forma di accordo per limitare le costruzioni navali. 110 La seconda crisi marocchina del 1911 ribadì la vulnerabilità del mercato di Berlino al ritiro dei capitali stranieri. 111 Agli occhi dei banchieri, quindi, la Germania non era forte ma debole.
Il diplomatico americano John Leishman era un altro osservatore straniero che aveva compreso perfettamente il significato del disegno di legge sull’esercito del 1913:
Sebbene convinto che l’atteggiamento della Germania non sia stato provocato da segrete intenzioni di far guerra a una nazione, esattamente come è opinione prevalente nelle alte sfere che persino una vittoria in guerra riporterebbe indietro di cinquant’anni lo sviluppo commerciale della Germania, l’azione dell’imperatore susciterà certamente sospettosi dubbi nella mente delle altre potenze; e poiché l’aumento delle forze tedesche sarà sicuramente seguito da un parallelo aumento degli eserciti francese e russo, appare difficile capire come il governo tedesco possa immaginarsi di ottenere un concreto vantaggio se si tiene conto del gigantesco aumento degli oneri, e ancora più difficile capire come un popolo già sovratassato possa sottoporsi così supinamente a un onere di tali proporzioni.
Sebbene la Germania, in virtù della sua posizione geografica, sia naturalmente costretta a mantenere una certa forza militare, essendo circondata da potenze militari, questa difesa, o cosiddetta assicurazione, non può essere spinta fino all’estremo senza cadere nel rischio di gravi problemi economici.
Ma Leishman temeva che un «potente partito militare» potesse «far precipitare il paese in una guerra nonostante gli sforzi pacifici del governo, e un monarca meno capace e lungimirante dell’attuale imperatore tedesco potrebbe, in parecchie occasioni, non essere in grado di resistere alle pressioni del partito favorevole alla guerra». 112 Nel febbraio del 1912 l’ambasciatore americano, Walter Page, diede questo avvertimento al Dipartimento di Stato: «Un qualche governo (probabilmente quello tedesco) si vedrà la bancarotta davanti agli occhi e il modo migliore di evitarla sembrerà quello di scatenare una grande guerra. La bancarotta prima di una guerra sarebbe ignominiosa; ma dopo una guerra potrebbe essere attribuita alla “Gloria”». In questo stesso periodo la sua attenzione fu attirata da un articolo del «“Berlin Post” in cui si esortava a una guerra immediata, perché la Germania si trova oggi in una posizione migliore di quella in cui si ritroverà fra poco tempo». 113
E non mancavano le critiche. Il pericolo era che il governo tedesco, per citare le parole di Churchill, anziché cercare di «tranquillizzare la situazione internazionale», potesse «trovare una via di uscita in un’avventura esterna». Anche i Rothschild erano convinti che le restrizioni finanziarie avrebbero potuto incoraggiare il governo tedesco a perseguire una politica estera aggressiva, persino a rischio di «incorrere in nuove spese navali e militari su vasta scala». 114 Il leader socialdemocratico August Bebel disse in sostanza la stessa cosa in un memorabile discorso pronunciato al Reichstag nel dicembre del 1911:
Ci saranno ovunque armamenti e riarmi fino a un determinato giorno: meglio finire nell’orrore che un orrore senza fine ... Potrebbero anche dire: ascoltate, se aspettiamo ancora, noi diventeremo lo schieramento più debole anziché il più forte ... Si profila all’orizzonte il crepuscolo degli dèi del mondo borghese. 115
Era un’analisi fin troppo acuta. Non per nulla, nel marzo del 1913 Moltke dichiarò che era necessario creare una situazione tale da far considerare la guerra «una liberazione dai grandi armamenti, dagli oneri finanziari e dalle tensioni politiche». 116
Non è certamente più di moda parlare delle origini interne della prima guerra mondiale. 117 Ciononostante, sembra legittimo continuare a parlare delle origini interne della guerra (se non del primato della politica interna) in un altro senso: infatti, i limiti finanziari interni sulla capacità militare della Germania erano un (o forse il) fattore cruciale nei calcoli dello stato maggiore generale nel 1914.
La controprova di Ludendorff
La Germania avrebbe potuto essere meno «tirata» con i soldi? Un paio di calcoli indicano che, se non fosse stato per l’impasse politica, sarebbe stato economicamente possibile. Il disegno di legge sull’esercito del 1913 prevedeva un aumento di 117.000 uomini, per un costo di 1,9 miliardi di marchi nel corso di cinque anni, con un onere aggiuntivo sul bilancio del 1913 pari a 512 milioni di marchi. In base alla legge di proporzionalità, il piano di massima delineato da Ludendorff nel «Grande memorandum» per un incremento di 300.000 uomini sarebbe costato 4,9 miliardi di marchi in cinque anni, cosa che, per l’anno fiscale 1913-1914, avrebbe comportato un aumento di 864 milioni di marchi in spese militari. Questo avrebbe fatto salire il bilancio tedesco per la difesa di circa il 33 per cento in termini assoluti rispetto a quello della Russia; ma in termini relativi – vale a dire sia come percentuale del prodotto nazionale lordo (che sarebbe passato al 5,1 per cento) sia in rapporto alle spese pubbliche complessive – le spese tedesche non sarebbero state molto più elevate di quelle delle altre potenze.
È anche possibile definire i modi in cui lo si sarebbe finanziato. Se l’aumento fosse stato pagato esclusivamente attraverso un prestito, il debito tedesco, come percentuale sul prodotto interno lordo, sarebbe rimasto ancora inferiore rispetto a quello francese e russo; e la gestione del debito, come percentuale sulle spese non locali, sarebbe rimasta inferiore a quella della Francia e della Gran Bretagna. Viceversa, se il Wehrbeitrag fosse aumentato da 996 milioni di marchi a 2554 milioni, e il rendimento annuo dell’imposta sui redditi da 100 milioni a 469 milioni di marchi – o se si fossero introdotte altre imposte dirette – si sarebbe potuto finanziare l’aumento esclusivamente con le imposte dirette. Ciò avrebbe semplicemente portato i livelli di imposizione diretta della Germania in linea con quelli britannici se considerati come quota del prodotto interno lordo (3,3 per cento), e addirittura meno se considerati come percentuale della spesa pubblica. In altre parole, benché politicamente impossibile, l’aumento delle spese militari previsto dal «Grande memorandum» di Ludendorff risultava economicamente fattibile, se valutato in funzione dei bilanci dei paesi rivali della Germania. Si può aggiungere ancora una considerazione, e precisamente che una politica monetaria più espansiva da parte della Reichsbank avrebbe potuto alleviare l’onere del finanziamento dell’aumento delle spese militari, almeno a breve termine. La Reichsbank tesaurizzava l’oro in un periodo di regressione economica; avrebbe potuto facilmente acquistare una sostanziosa emissione di buoni del Tesoro senza mettere a rischio la sua quota di riserva minima. 118
Questo tipo di ipotesi «controfattuali» non sono considerate unanimemente legittime dagli storici. Tuttavia, si può giungere alla medesima conclusione esaminando ciò che effettivamente avvenne dopo il luglio del 1914. Come vedremo, non appena scoppiata la guerra, i limiti fiscali e monetari sulle spese per la difesa vennero rapidamente rimossi, mostrando quello di cui il Reich sarebbe stato capace anche prima. Nel 1917 la spesa pubblica complessiva era arrivata a più del 70 per cento del prodotto nazionale lordo, il Reich aveva drasticamente aumentato la sua quota di entrate e di spese, e la Reichsbank sosteneva lo sforzo bellico con elevati livelli di prestiti a breve termine al governo. 119 Ovviamente, il calo della produzione e l’aumento dell’inflazione cominciavano ormai a mostrare i limiti della potenza economica tedesca. Ma il fatto che il Reich fosse riuscito a sostenere i costi di una guerra totale su tre fronti per più di tre anni indica che avrebbe potuto facilmente sopportare i costi nettamente inferiori per evitare la guerra senza alcuna difficoltà. E il fatto che questo sia risultato politicamente impossibile senza l’atmosfera di solidarietà nazionale suscitata dalla guerra conferma la debolezza pratica del tanto criticato militarismo della Germania guglielmina. La conclusione paradossale è che una maggiore spesa militare prima del 1914 – in altre parole, una Germania più militarista – avrebbe evitato la prima guerra mondiale invece di provocarla.