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Strategie, tattiche e il conteggio netto dei corpi

Strategie

Considerati gli enormi svantaggi economici da cui erano oberati, ma considerata anche la relativa inefficienza dei loro nemici, i tedeschi avrebbero potuto vincere la guerra? Pochi storici la pensano così. Nel libro Della guerra (pubblicato poco dopo la sua morte, nel 1831), Karl von Clausewitz la definiva «la continuazione della politica [des politischen Verkehrs] con altri mezzi [mit Einmischung anderer Mittel]». Il grande errore dei comandanti militari tedeschi, è stato detto molte volte, fu quello di avere dimenticato questo principio. Mentre la Germania diventava via via una dittatura militare, la politica divenne semplicemente uno dei tanti mezzi collegati all’attività prioritaria della guerra. Furono perciò commessi errori strategici che alla fine determinarono la sconfitta del paese.

Fin dall’inizio la strategia tedesca fu caratterizzata da una volontà eccezionalmente elevata di rischiare. Si potrebbe dire che non si sarebbe potuto fare altrimenti, dato che le probabilità erano a sfavore della Germania: convinti della propria inferiorità relativa sulla lunga durata, i tedeschi erano irresistibilmente attratti da strategie rischiose cha avrebbero potuto garantire la vittoria in tempi brevi. Tuttavia, non si può negare che almeno alcune delle scommesse strategiche della Germania furono sconsiderate, ossia basate su stime dei costi e dei benefici che erano chiaramente – e non solo a posteriori – irrealistiche.

Le critiche maggiori riguardavano la convinzione che la guerra sottomarina illimitata, diretta all’affondamento senza previo avvertimento di navi che si supponeva portassero rifornimenti bellici alla Gran Bretagna, avrebbe costretto gli inglesi alla resa prima che gli Stati Uniti potessero dare un efficace contributo militare alla guerra. Questa strategia fu tentata tre volte: dal marzo all’aprile del 1915, quando furono affondati il Lusitania e l’Arabic; dal febbraio al marzo del 1916; e infine a partire dal 1º febbraio 1917, quando lo stato maggiore dell’Ammiragliato promise che la Gran Bretagna avrebbe chiesto la pace «nel giro di cinque mesi». Per onestà nei confronti dei pianificatori navali tedeschi bisogna osservare che all’inizio gli U-Boot superarono l’obiettivo originario di affondare 600.000 tonnellate di naviglio al mese: ad aprile ne affondarono addirittura 841.118. Ma i loro calcoli erano sbagliati sotto ogni altro possibile aspetto. Avevano infatti sottovalutato:

1. la capacità della Gran Bretagna di aumentare la produzione di grano;

2. le dimensioni normali del raccolto di grano americano (il 1916 e il 1917 furono anni eccezionalmente cattivi);

3. la capacità della Gran Bretagna di spostare le scarse riserve di legname dalle costruzioni edilizie all’utilizzo nelle miniere;

4. la disponibilità britannica di navi mercantili;

5. la capacità dello Stato britannico di razionare il cibo di cui vi era scarsità;

6. l’efficacia dei convogli;

7. la capacità della Royal Navy di sviluppare una tecnologia antisommergibili.

Incredibilmente, era stato sopravvalutato anche il numero di sottomarini di cui la Germania disponeva o poteva disporre: tra il gennaio del 1917 e il gennaio del 1918 furono costruiti circa 87 nuovi U-Boot, ma ne furono perduti 78. La forza totale all’inizio della campagna finale si aggirava attorno al centinaio, di cui non più di un terzo in grado di pattugliare periodicamente le acque britanniche.  1 Nel 1918 il tasso di perdite dei convogli era sceso sotto l’1 per cento, mentre quello degli U-Boot era salito a più del 7 per cento.  2

E questo non fu l’unico modo in cui i tedeschi sprecarono le possibilità offerte dalla guerra in mare. Si è talvolta sostenuto che la guerra navale non portò a risultati concreti perché le flotte di superficie tedesche e britanniche non giunsero mai a uno scontro decisivo, visto che le battaglie di Dogger Bank e dello Jutland furono dei pareggi. Ma è una sciocchezza. La Royal Navy riuscì a confinare la flotta tedesca da battaglia nel mare del Nord, fatta eccezione per alcuni raid sulla costa orientale inglese, del tutto insignificanti dal punto di vista militare. Colui che aveva tutto da guadagnare da una grande battaglia navale era Tirpitz, non Jellicoe. Anzi, l’intera strategia prebellica di Tirpitz si fondava sul presupposto che la flotta britannica avrebbe attaccato la Germania; non gli balenò mai che, avendo già il predominio sugli oceani, i britannici potevano rimanersene tranquilli a Scapa Flow.  3 Inoltre, dopo avere perso a Coronel, la Royal Navy vinse la battaglia delle isole Falkland. Nella prima fase della guerra riuscì anche a bloccare con grande successo la flotta mercantile tedesca, colpo assai duro per la bilancia dei pagamenti della Germania. È pur vero che i sottomarini tedeschi affondarono una notevole quantità di navi britanniche e americane prima che Lloyd George riuscisse a convincere l’Ammiragliato a adottare il sistema dei convogli; ma la proporzione di unità affondate era inferiore alla proporzione del naviglio mercantile tedesco catturato o affondato dai britannici (44 per cento).

Sorprende che ben poche voci si siano levate in Germania contro il rischio di una guerra sottomarina senza restrizioni. Max Warburg fu uno dei rari importanti uomini d’affari tedeschi a opporsi all’abolizione delle restrizioni sulla guerra sottomarina, sostenendo che, per quanto profondo potesse essere il suo impatto sui rifornimenti alimentari britannici, il rischio di alienarsi gli Stati Uniti era troppo grave. «Se l’America è tagliata fuori dalla Germania», dichiarò Warburg nel febbraio del 1916, «la conseguenza è una riduzione del 50 per cento del potere finanziario della Germania per scopi di guerra e un aumento del 100 per cento di quello britannico e francese ... Bisognerebbe fare qualsiasi sforzo possibile per evitare una rottura con l’America.»  4 «La guerra è perduta se si continua [con la guerra sottomarina senza restrizioni]; finanziariamente perché i nostri prestiti non troveranno più collocazione; economicamente perché le grandi quantità di materie prime che continuiamo a importare dall’estero, e delle quali non possiamo fare a meno, cesserano di affluire.»  5 Il 26 gennaio 1917 si espresse con parole che suonano profetiche: «Se finiremo con l’entrare in guerra contro gli Stati Uniti, dovremo affrontare un nemico con una tale potenza morale, finanziaria ed economica, che non avremo più niente da sperare per il futuro; e di questo sono assolutamente convinto».  6 Warburg non fu ascoltato (anche perché, con due fratelli che vivevano negli Stati Uniti, era considerato non del tutto obiettivo); le restrizioni sulla guerra sottomarina furono abolite e poco più di due mesi più tardi gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania. Si trattava, com’è stato detto, di un classico esempio di decisione basata su una «razionalità limitata»: i tedeschi avevano fatto i loro conti sul probabile impatto di una guerra sottomarina totale senza considerare fatti e possibilità difficilmente valutabili.  7 Per questo errore furono in ultima analisi condannati alla sconfitta; perché, una volta entrati in guerra gli Stati Uniti, non potevano sperare di vincere, o almeno così sostiene la tesi tradizionale.

I tedeschi possono inoltre essere accusati di avere corso dei rischi eccessivi anche nella guerra combattuta sulla terraferma. Nell’agosto del 1914 scommisero sulla vittoria in una guerra su due fronti, nella convinzione che attendere più a lungo avrebbe consentito alla Russia e alla Francia di ottenere una superiorità ineguagliabile. Nello stesso tempo scommisero sul fatto che l’Austria-Ungheria avrebbe dato un efficace contributo alla guerra nell’Est. Ma, in realtà, non era stato mai compiuto alcun tentativo per verificare se ciò fosse vero, o quale forma concreta avrebbe assunto l’aiuto asburgico.  8 Nessuna delle due scommesse ebbe successo. Se si ritiene che il Piano Schlieffen avrebbe dovuto garantire una rapida vittoria in Occidente, esso fu un completo fallimento; un fallimento, inoltre, già inscritto nelle carenze logistiche del piano stesso.  9 Anche la scommessa sull’alleanza con l’Austria finì male. Spesso, infatti, i tedeschi dovettero inviare uomini sul fronte orientale per salvare l’esercito austro-ungarico: nel 1915, quando l’offensiva russa in Galizia costrinse Falkenhayn a contrattaccare a Gorlice, e nuovamente dopo l’offensiva di Brusilov nel 1916.  10 Un altro azzardo sovente criticato fu la decisione, presa da Falkenhayn, di «dissanguare il nemico» in un «punto decisivo»: la fortezza «tritacarne» di Verdun. Questa decisione finì con il costare alla Germania un numero di morti quasi equivalente a quello dei francesi (rispettivamente 337.000 e 377.000), grazie all’efficace uso dell’artiglieria e alla rapida rotazione delle divisioni operata dal generale Philippe Pétain; e l’obiettivo originario fu perso di vista allorché i tedeschi si convinsero di dover catturare la fortezza a ogni costo.  11

Infine, Ludendorff è stato accusato di avere compiuto un suicidio strategico con l’Operazione Michael, nella primavera del 1918. Tatticamente brillante, l’offensiva tedesca era riuscita a risospingere indietro gli Alleati per oltre 64 chilometri e a guadagnare più di 3000 chilometri quadrati di territorio; tuttavia era destinata a fallire, dato che mancavano le riserve e le strutture di rifornimento necessarie a consolidare le conquiste. Estendendo la linea del fronte, i tedeschi allungarono la disposizione delle proprie forze fino a un punto insostenibile, tanto da far apparire praticamente certo il successo di una controffensiva alleata. Oltretutto, la successiva offensiva contro il Chemin-des-Dames e Reims, alla fine di maggio, erose le riserve tedesche senza procurare vantaggi significativi.  12

Senza dubbio, si può sostenere che i tedeschi persero la guerra proprio perché giunsero molto vicini a vincerla. Fu l’enorme portata della vittoria sulla Russia a lasciare che circa un milione di soldati girovagasse nella confusione dell’Europa orientale del dopo Brest-Litovsk, in un momento in cui sarebbero stati necessari a occidente. Fu l’incredibile distanza coperta dai tedeschi nella primavera del 1918 a renderli vulnerabili alle perdite più pesanti subite fin dal 1914: più di un quinto della forza originaria di 1,4 milioni di uomini andò perduto tra il 21 marzo e il 10 aprile.  13 Inoltre, l’offensiva a occidente lasciò gli alleati della Germania fatalmente esposti nel Sudest e nel Sud;  14 fu qui che cominciò la disfatta delle Potenze centrali, con la richiesta bulgara di un armistizio separato il 28 settembre. Così, quando quella sera stessa Ludendorff confessò a Hindenburg che era assolutamente necessario un armistizio, perché «la situazione può solo peggiorare», fu l’ammissione di una sconfitta che era almeno in parte autoinflitta.  15

A queste argomentazioni di carattere strategico è collegata una critica rivolta alla diplomazia tedesca. Stati che si trovavano in una situazione più solida di quella della Germania nel 1917 hanno cercato di negoziare la pace piuttosto che rischiare una sconfitta definitiva. Tuttavia, quanto più il conflitto si protraeva e comportava sempre maggiori sacrifici, tanto più aumentavano le aspettative per i suoi premi finali. La formulazione degli obiettivi bellici, che iniziò come un preliminare per possibili negoziati, crebbe rapidamente fino a diventare un dibattito pubblico in cui erano compresi sia interessi economici e fattori di politica interna sia – anzi, in misura ancora maggiore – l’intera strategia. Più il dibattito si prolungava, più si allontanava dalla realtà. Allo stesso tempo, i generali tedeschi interferirono ripetutamente con la diplomazia, per esempio facendo sostituire Jagow nel 1916 al ministero degli Esteri con Arthur Zimmermann, il cui nome rimarrà per sempre associato a uno dei più gravi errori diplomatici dei tempi moderni (il telegramma in cui offriva di aiutare il Messico a riprendersi il New Mexico, il Texas e l’Arizona dagli Stati Uniti). Perciò, la disfatta tedesca può essere considerata una conseguenza di fattori politici piuttosto che materiali. Era dovuta a un fallimento della politica, non della produzione.

I tedeschi, naturalmente, avevano ottenuto le loro innegabili vittorie sul fronte orientale. Già nel 1915 avevano cercato di spingere lo zar a una pace separata;  16 se ci fossero riusciti, avrebbero potuto benissimo vincere la guerra (e alla Russia sarebbe stato quasi sicuramente risparmiato il bolscevismo). Quando i russi rifiutarono le offerte della Germania, i tedeschi proseguirono la lotta sino a infliggergli una sconfitta totale. La portata di questo risultato non dovrebbe essere sottovalutata. La guerra era stata cominciata dallo stato maggiore per impedire un deterioramento della situazione strategica tedesca nei confronti della Russia. Nel 1917 l’obiettivo era stato raggiunto. E non era pura fantasia prevedere un crollo del dominio zarista nell’Europa orientale. Come ha detto Norman Stone, Brest-Litovsk era un «avrebbe potuto essere» più che una fantasia, e la Gran Bretagna avrebbe anche potuto accettare un’egemonia tedesca sull’Europa orientale come baluardo contro il bolscevismo, se questo fosse stato l’unico obiettivo della Germania. Il 5 novembre 1916 – quasi due mesi e mezzo prima che Woodrow Wilson lanciasse il suo appello per una «pace senza vincitori» sulla base dell’autodeterminazione – i tedeschi avevano preso l’iniziativa proclamando l’indipendenza della Polonia. Con la pace di Brest-Litovsk anche la Finlandia e la Lituania avevano ottenuto la propria indipendenza, sebbene la Lettonia, la Curlandia, l’Ucraina e la Georgia fossero destinate a diventare le vittime di (per citare le parole di Warburg) «un’annessione sottilmente velata, con una facciata fin troppo trasparente costituita dal diritto all’autodeterminazione nazionale».  17 Fu questo uno dei momenti in cui la Germania avrebbe fatto bene a cercare una pace negoziata sul fronte occidentale, prima che le forze americane diventassero abbastanza numerose da far pendere irreversibilmente dalla loro parte il piatto della bilancia militare.

Tuttavia, fin quasi dallo stesso momento in cui il programma di settembre di Bethmann Hollweg aveva sollevato la possibilità dell’annessione di territori francesi e belgi, quest’opportunità fu accantonata. Alcuni obiettivi tedeschi in Europa occidentale non erano, come abbiamo visto, del tutto inaccettabili per la Gran Bretagna: con l’idea di un blocco commerciale centroeuropeo, per esempio, avrebbe potuto benissimo convivere. Ma il desiderio di annettere territori tanto a occidente quanto a oriente rappresentò l’ostacolo insormontabile per una pace negoziata. Tirpitz, il suo secondo in comando, viceammiraglio Paul Behncke, e altri membri del ministero della Marina sostenevano l’annessione del Belgio già nel settembre del 1914, richiesta ripetuta in numerose occasioni dopo che Henning von Holtzendorff aveva sostituito Tirpitz nel 1916.  18 A cominciare dal memorandum di Hermann Schumacher nell’autunno del 1914, i dirigenti dell’industria pesante asserirono che la Germania doveva annettersi una parte sostanziosa del Belgio e la regione ricca di minerali di Briey-Longwy in Francia. Nel maggio del 1915 queste richieste furono incluse nell’elenco degli obiettivi bellici presentato dalle sei grandi associazioni economiche, che prevedeva anche l’annessione della regione del Pas-de-Calais, delle fortezze di Verdun e Belfort e di una striscia di territorio della costa settentrionale francese fino alla foce della Somme.  19 Erano in pochi a condividere l’opinione di Albert Ballin, secondo il quale non si sarebbe dovuta fare «nessuna annessione», dato che «la politica inglese non può sacrificare il Belgio a nostro vantaggio», sebbene lo stesso Ballin avesse preso in considerazione la possibilità di una «dipendenza militare ed economica ... specialmente per i porti».  20

Più volte la questione del Belgio impedì che i negoziati decollassero; già nel novembre del 1914, quando Falkenhayn, dando prova di realismo, avvertì Bethmann Hollweg che la Germania non poteva sperare di ottenere una pace se insisteva a pretendere notevoli annessioni territoriali; poi nel gennaio del 1916, quando il colonnello House propose una pace basata sullo status quo ante; nel dicembre del 1916, quando Bethmann Hollweg pensò ad alcune concessioni ma Hindenburg lo obbligò a rinunciarvi; e infine nel luglio del 1917, quando papa Benedetto XV tentò una mediazione.  21 In qualità di ministro degli Esteri, nel settembre del 1917 Richard von Kühlmann si disse convinto che fosse meglio lasciar perdere il Belgio, ma i generali e gli ammiragli non ne vollero sapere. Quando, nel marzo del 1918, Max Warburg (agendo su istruzione del cancelliere Hertling) si recò in Belgio per colloqui informali con l’ambasciatore americano in Olanda, il governo tedesco insisteva ancora su «concessioni minori» di territorio belga «allo scopo di assicurarsi che il Belgio non sarebbe stato usato come un pied-à-terre dagli inglesi e dai francesi».  22 Fino alle ultime settimane di guerra Hugo Stinnes rimase irremovibile sul fatto che la Germania dovesse cercare di annettere territori all’Ovest al fine di creare un «cuscinetto» a protezione delle sue – di Stinnes più che della Germania – fonderie e acciaierie occidentali. Non si fece neppure scrupoli di proporre «l’espropriazione completa degli impianti industriali e l’eliminazione della classe dirigente belga» in ogni territorio annesso, per non dire nulla dell’idea di governare quei territori «in modo dittatoriale per qualche decennio».  23 Il fatto che rimanesse su queste posizioni anche dopo il fallimento dell’offensiva occidentale di Ludendorff illustra perfettamente come il dibattito sugli obiettivi bellici tedeschi si fosse allontanato dalle realtà strategiche e diplomatiche. E Stinnes non era certo da solo: il 21 settembre 1918 l’ufficiale superiore di marina capitano von Levetzow propose che la Germania acquisisse Costantinopoli, Valona, Alessandretta e Bengasi dopo la guerra.  24

I sostenitori delle annessioni sottovalutarono fatalmente i vantaggi che la Germania avrebbe potuto trarre se, accettando di restituire il Belgio alla propria sovranità, fosse riuscita ad assicurarsi una conclusione negoziata della guerra prima del suo stesso crollo. I piani tedeschi di acquisizioni coloniali dalla Gran Bretagna e dalla Francia – perfettamente illustrati dai numerosi elenchi di obiettivi presentati dalle associazioni commerciali di Amburgo – non avevano grande importanza, ma testimoniavano altresì la mancanza di realismo che caratterizzava il dibattito sugli obiettivi bellici, considerata l’evidente inferiorità navale della Germania.  25 La stessa cosa vale per i sogni a occhi aperti degli ammiragli tedeschi, che immaginavano basi a Valona, Dakar, Capo Verde, nelle isole Azzorre, a Tahiti e in Madagascar, per non parlare del loro fantasioso imperium africano.  26

I difetti della strategia tedesca avevano la propria origine nei difetti della struttura politica del Reich, che già prima della guerra non possedeva istituzioni in grado di coordinare una politica comune tra i diversi dipartimenti dello Stato. Com’è noto, nel corso della guerra l’autorità del cancelliere e quella del Kaiser diminuirono; furono i militari a dominare, con il Comando supremo di Hindenburg e Ludendorff che, dopo il 1916, costituì una dittatura militare «silenziosa» (ossia non dichiarata).  27 In pratica, Ludendorff divenne l’unico architetto e padrone della strategia tedesca, e di molte altre cose. In parte per questo motivo, era inevitabile che il dibattito sugli obiettivi bellici si intrecciasse inestricabilmente con il dibattito sulla struttura costituzionale della Germania. Chi riteneva che si stessero sprecando opportunità diplomatiche metteva in dubbio non soltanto l’importanza del ministero degli Esteri, ma anche il grado di subordinazione del cancelliere del Reich all’apparato militare. Chi considerava Bethmann Hollweg un «traditore» e un «criminale nei confronti della patria» voleva invece che il potere dei generali aumentasse. Gli obiettivi bellici – si trattasse delle annessioni, della Mitteleuropa, dello status quo ante o di una pace rivoluzionaria fondata sull’autodeterminazione e la solidarietà della classe operaia – finirono con l’essere identificati con gli obiettivi interni: la dittatura, un certo grado di parlamentarismo o la rivoluzione socialista. Gli eventi verificatisi tra il febbraio e il settembre del 1917 resero perfettamente chiare le alternative. Sull’onda della rivoluzione di febbraio in Russia, la fondazione del Partito socialista a Gotha diede sostanza organizzativa all’idea di «pace tramite la democratizzazione» e spinse nella stessa direzione i socialdemocratici della maggioranza. Nel Reichstag questi ultimi si allearono con il Partito del Centro e i progressisti al fine di approvare una risoluzione in cui si chiedeva una «pace senza annessioni». Ma Bethmann Hollweg, dopo avere persuaso il Kaiser ad accettare la democratizzazione della franchigia prussiana, fu cacciato da Hindenburg e Ludendorff e sostituito con l’inconsistente Michaelis, mossa appoggiata dal nuovo Partito della patria di Tirpitz e Wolfgang Kapp, che nel luglio del 1918 contava 2536 sezioni e 1,25 milioni di iscritti.  28

Ormai i dittatori militari e i loro sostenitori si erano spinti ben oltre il tradizionale conservatorismo monarchico. Un leader pangermanico, Konstantin von Gebsattel, avvertì che, se non si fossero ottenute annessioni alla fine della guerra, nel popolo si sarebbero diffusi «disappunto e amarezza»: «Il popolo, deluso dopo tutti gli sforzi compiuti, si solleverà. La monarchia sarà in pericolo, e forse persino rovesciata». La politica tedesca subì una forte polarizzazione. In simili circostanze, chi era a favore di una pace negoziata non poté fare altro che abbracciare l’idea di una qualche riforma interna, anche solo per aumentare l’autorità del cancelliere del Reich rispetto ai militari e ridurre il potere della lobby dell’industria pesante. Il problema era che questi elementi assunsero il controllo in Germania solo nell’ottobre del 1918, dopo che Ludendorff ebbe sciupato gli ultimi resti del potere contrattuale dei militari. Come si era lamentato nel luglio del 1917 il colonnello bavarese Mertz von Quirnheim:

Quale tremenda impressione farebbe se il generale Ludendorff (attraverso la voce di Hindenburg) dichiarasse: «Sì, anche l’OHL è favorevole al suffragio universale per la Prussia, perché i nostri soldati prussiani l’hanno pienamente meritato». Penso che Ludendorff sarebbe portato in trionfo, e tutti i pericoli di scioperi e altre agitazioni si dissolverebbero ... Ma il generale Ludendorff non ha l’intelligenza per capire quanta utilità avrebbe lo sfruttamento di queste idee politiche per gli scopi di guerra.  29

In questo modo, il cerchio che andava dalla politica interna alla strategia difettosa e nuovamente alla politica interna sembrava completato; e resta soltanto da trarre la rassicurante conclusione che le democrazie fanno la guerra meglio delle dittature.

Una terza e forse più sorprendente carenza tedesca fu la lentezza con cui il Reich sfruttò le nuove tecnologie militari. Senza dubbio, i tedeschi furono i primi a utilizzare fortificazioni trincerate di alta qualità, pallottole con l’anima in acciaio capaci di perforare i parapetti nemici e proiettili incendiari per abbattere i palloni aerostatici da ricognizione. L’esercito tedesco fu anche il primo, com’è tristemente noto, a usare gas asfissianti a base di clorina e fosgene sui campi di battaglia (a Ypres il 22 aprile 1915), benché i francesi avessero usato granate riempite di acetato bromoetilenico (in sostanza, un gas lacrimogeno) fin dall’inizio della guerra e gli stessi tedeschi avessero già sperimentato in Polonia «proiettili tossici» contenenti bromuro di xilolo.  30 Anche i lanciafiamme erano un’innovazione tedesca (usati per la prima volta a Hooge nel luglio del 1915), come lo erano i mortai da trincea (la temuta Minenwerfer) e gli elmetti d’acciaio.  31 Ma in tre aspetti di fondamentale importanza la Germania era rimasta indietro. Come ha sostenuto Herwig, i tedeschi avevano poca potenza aerea, sebbene il semplice conteggio del numero di velivoli disponibili nella primavera del 1918 (da 3670 a 4500) potrebbe far sottovalutare i risultati ottenuti dalla flotta degli Zeppelin e dei bombardieri Gotha nell’uccidere, ferire e terrorizzare la popolazione civile britannica, nonché nel distruggere proprietà.  32 La stessa cosa vale per i trasporti motorizzati. Nel 1918 i tedeschi possedevano circa 30.000 veicoli, la maggior parte dei quali con ruote d’acciaio o di legno, in confronto ai 100.000 veicoli degli Alleati, la maggior parte dei quali dotati di pneumatici. Infine, i tedeschi non costruirono un numero sufficiente di carri armati: nel 1918 ne produssero appena 20, molti dei quali andarono presto distrutti. A quell’epoca gli Alleati ne avevano 800.  33 La paradossale conseguenza è che il paese che prima della guerra aveva la più rinomata esperienza tecnica e la migliore industria pesante non riuscì a vincere la Materialschlacht. Un altro difetto tecnologico fu l’incapacità tedesca di controbattere lo spionaggio britannico: in particolare, i tedeschi non sapevano che la maggior parte delle loro trasmissioni alla flotta era intercettata dall’Ammiragliato e decifrata nella Room 40.  34

Intesa e strategia alleata

Queste critiche alla strategia e alla diplomazia tedesche, tuttavia, vanno incontro ad alcune difficoltà. In primo luogo, si può sostenere che anche la strategia delle potenze dell’Intesa non fosse molto migliore di quella degli Imperi centrali.  35 Liddell Hart, per esempio, asseriva che la Germania avrebbe potuto essere sconfitta senza coinvolgere la Gran Bretagna in un prolungato e sanguinoso stallo continentale se fossero state disponibili più truppe per approcci indiretti come quello dell’invasione dei Dardanelli.  36 In I somari, Alan Clark affermava che la Gran Bretagna avrebbe potuto evitare l’utilizzo di forze di terra, affidandosi esclusivamente alla sua potenza navale per costringere la Germania alla resa per fame.  37

Nessun autore, fin dai tempi di James Edmonds, lo storico ufficiale della guerra, si è impegnato a confutare questi giudizi più di John Terraine, che ha coerentemente sostenuto per quasi quarant’anni che la Gran Bretagna combatté la guerra esattamente come ci si sarebbe dovuto aspettare in quelle circostanze. Secondo Terraine, non c’era alternativa all’invio della BEF, così come non c’era alternativa al lancio delle offensive sulla Somme e a Passchendaele, ed è pertanto «inutile cercare le cause delle [elevate] perdite [britanniche] molto al di là delle qualità del nemico ... e del carattere tecnico della guerra stessa».  38 Correlli Barnett è stato un sostenitore di questa tesi, sebbene anch’egli ritenga che la vittoria non servì in alcun modo ad arrestare il declino strategico ed economico a lungo termine della Gran Bretagna, che era almeno in parte dovuto (per una davvero singolare ironia) alla sua incapacità di diventare più simile alla Germania.  39

È certamente difficile individuare un’alternativa plausibile alla vittoria della guerra sul fronte occidentale. In primo luogo, nulla avrebbe potuto assicurare con più probabilità una vittoria tedesca in Francia dell’invio di un maggior numero di soldati britannici in una campagna protratta contro la Turchia. Sul piano strategico, ne avrebbe beneficiato principalmente la Russia, che si sarebbe ulteriormente avvicinata alla realizzazione del suo vecchio obiettivo di controllare Costantinopoli. La Gran Bretagna avrebbe semplicemente ottenuto il diritto di fornire a proprie spese ancora più armi alla Russia attraverso gli Stretti; è tutt’altro che certo che questo sarebbe stato un utilizzo ottimale delle risorse britanniche. Nel frattempo i francesi avrebbero capitolato in mancanza di un numero di soldati britannici sufficiente a salvarli.  40 Anzi, si potrebbe persino sostenere che qualsiasi importante dispiegamento di forze britanniche altrove sarebbe stato strategicamente rischioso: non solo a Gallipoli, ma anche in Mesopotamia, a Salonicco e in Palestina. Le conquiste compiute in teatri non europei si dimostrarono indubbiamente utili quando si trattò di ampliare l’impero nel corso dei negoziati di pace; ma se i tedeschi avessero vinto la guerra nelle Fiandre e in Francia, tutte le conquiste in Medio Oriente sarebbero svanite nel nulla.

Per quanto riguarda la strategia puramente navalista, anche questa non avrebbe consentito una vittoria sulla Germania. Nonostante i tedeschi avessero perduto la guerra sui mari, non ci sono dubbi sul fatto che la strategia navale britannica non riuscì a ridurre i tedeschi alla resa per fame, come si pensava che sarebbe dovuto accadere. Come abbiamo visto, le principali vittime tedesche del blocco appartenevano a gruppi sociali non fondamentali per lo sforzo bellico. Se la Gran Bretagna avesse combattuto la guerra esclusivamente sui mari, si sarebbe ritrovata in possesso solo delle acque che circondano l’Europa; senza le armate create da Kitchener, la Germania avrebbe vinto il conflitto sulla terraferma.

La guerra doveva quindi essere vinta sul fronte occidentale. Ma ciò non significa che la strategia principale qui adottata – combattere una guerra di logoramento – debba essere ritenuta corretta senza alcuna riserva.

Le origini della guerra di logoramento si possono rintracciare già nell’ottobre del 1914, quando Kitchener disse a Esher che «la Germania, prima di abbandonare la lotta, esaurirà ogni possibile fonte di rifornimento di uomini». Inizialmente Kitchener sperava di poter giocare una comoda partita, costruendo il «nuovo esercito» in vista di un intervento decisivo (à la Wellington) una volta che i francesi avessero compiuto il ben più faticoso lavoro di stancare i tedeschi. Sir Charles Callwell, il direttore delle operazioni militari, fece contenti tutti quando, nel gennaio del 1915, scrisse un rapporto in cui si dimostrava che i tedeschi sarebbero rimasti a corto di uomini «nel giro di pochi mesi». Cinque mesi dopo il brigadiere Frederick Maurice, successore di Callwell alla direzione delle operazioni militari, previde con immutata fiducia che se l’esercito fosse riuscito a «continuare a martellare ... esauriremo le forze dei tedeschi e la guerra sarà vinta in sei mesi». Secondo Kitchener, il «logoramento» non avrebbe esaurito le riserve tedesche di manodopera fino a «circa l’inizio del 1917»; ciononostante, preferiva lasciare che i tedeschi «si logorassero con attacchi dispendiosi per spezzare le nostre linee»; il che spiega il colloquio tra Balfour e Churchill nel luglio del 1915 a proposito di una «difesa attiva, in grado di infliggere al nemico il maggior numero possibile di perdite, rosicchiando e smangiucchiando lungo l’intero fronte». Il nemico doveva essere «ridotto ... a un punto tale che qualsiasi ulteriore resistenza risultasse impossibile» (Selborne); doveva essere «portato all’esaurimento» e «fiaccato» (Robertson e Murray); le sue riserve dovevano essere «logorate» (Robertson). I generali cominciarono addirittura a definire gli obiettivi, uno dei quali (dicembre 1915) prevedeva 200.000 perdite tedesche al mese.  41 I francesi ragionavano più o meno nello stesso modo. Nel maggio del 1915 il loro stato maggiore generale concluse che «lo sfondamento seguito dallo sfruttamento» non sarebbe stato possibile «fin quando il nemico non fosse stato realmente indebolito al punto da non avere più riserve a disposizione per chiudere il varco».  42

La «difesa attiva» sfociò ben presto nell’attacco. La bozza di piano preparata da Sir Henry Rawlinson per l’attacco sulla Somme prevedeva «l’eliminazione del maggior numero possibile di tedeschi con il minimo di perdite per noi stessi» attraverso la conquista di punti strategicamente importanti e aspettando il contrattacco tedesco.  43 «Combattiamo innanzitutto per indebolire l’esercito e il popolo tedesco», scrisse il 30 giugno il brigadiere generale Sir John Charteris nel suo diario. Senza dubbio, Haig continuava ad attenersi all’idea che uno sfondamento fosse possibile, temendo che in una battaglia di «logoramento» le «nostre truppe risulterebbero non meno fiaccate, e forse ancor di più, di quelle del nemico».  44 Era vero, ma l’opzione preferita da Haig – quella di un massiccio attacco contro le linee tedesche – era ancora più costosa: il primo giorno della battaglia della Somme l’esercito britannico subì 60.000 perdite, com’è noto; l’autentico significato di questa cifra apparve chiaro quando si constatò che i difensori tedeschi avevano perso solo 8000 uomini. Dato che lo sfondamento non era possibile, tutti tornarono alla tesi del logoramento, fantasticando sul fatto che «i tedeschi sono ormai alle strette, con poche riserve, e dubitano – persino gli ufficiali prigionieri – di poter evitare la sconfitta».  45 In realtà, se si accetta per buona la cifra ufficiale britannica di 680.000 perdite tedesche, la Somme fu al massimo un pareggio (i britannici persero 419.654 uomini, i francesi 204.253). Se invece, com’è più probabile, era corretta la cifra tedesca delle perdite (450.000 uomini), allora la strategia del logoramento risultava controproducente. Persino Haig cominciò a presagire che, rimanendo sulla difensiva, erano i tedeschi «a fiaccare le nostre truppe».  46 Nulla lo dimostra più chiaramente dell’offensiva suicida lanciata da Nivelle nell’aprile del 1917, che non avrebbe mai dovuto essere ordinata dopo che i tedeschi si erano ritirati sulla linea Hindenburg. Nel maggio del 1915 i francesi avevano subìto 187.000 perdite, i tedeschi 163.000.

Ciononostante, quando i francesi si ammutinarono, Haig ordinò di insistere con la tattica del logoramento: qualunque vantaggio avessero ottenuto i britannici nell’offensiva di Arras (aprile-maggio 1917), non valeva la perdita di 159.000 uomini in soli trentanove giorni. A maggio Robertson e Haig sostenevano ancora all’unisono la necessità di «indebolire ed esaurire la resistenza nemica»; ma l’attacco di Messines, il mese successivo, costò ancora 25.000 perdite britanniche in confronto alle 23.000 tedesche. Il logoramento fu invocato anche per giustificare la terza battaglia di Ypres.  47 Haig sognava ancora uno sfondamento, ma ora persino Robertson ammetteva di «attenersi» a quella strategia «perché non vedo niente di meglio, e perché il mio istinto mi spinge a proseguirla» e non perché avesse «qualche argomento convincente con il quale sostenerla».  48 In quella battaglia, entrambi i contendenti subirono circa 250.000 perdite. È difficile non essere d’accordo con il verdetto di Lloyd George: «A Haig non importa quanti uomini perda. Non fa altro che sprecare le vite di quei ragazzi».  49 L’amara battuta del primo ministro – «Quando guardo gli sconvolgenti elenchi delle perdite a volte vorrei che non fosse stato necessario ottenere tante [grandi vittorie]» – coglieva perfettamente nel segno.  50 L’esercito tedesco subì le perdite più pesanti nella primavera del 1918, quando Ludendorff lanciò la propria offensiva. Le perdite complessive tedesche alla fine dell’Operazione Michael furono di 250.000 uomini contro i 178.000 britannici e i 77.000 francesi; alla fine di aprile le cifre erano rispettivamente di 348.000 contro 240.000 e 92.000. In termini di perdite complessive, si trattava di un altro «pareggio»; ma l’Intesa poté sopportarle meglio perché ora poteva contare sui rinforzi americani. Solo nel giugno del 1918 i comandanti britannici riconobbero che «impegnare e fiaccare» il nemico aveva senso solo se c’erano «sufficiente determinazione e un’adeguata preparazione dell’artiglieria per garantire un risparmio di uomini».  51

Quindi, sulla base dei loro stessi criteri, i generali britannici fallirono. Come mostra la tabella 32, il più grande paradosso della prima guerra mondiale sta nel fatto che, pur essendo disastrosamente svantaggiate in termini economici, le Potenze centrali ebbero molto più successo nell’infliggere perdite ai loro nemici. Secondo le cifre totali più attendibili di cui disponiamo per le morti di soldati in tempo di guerra, circa 5,4 milioni di uomini combattenti per le potenze dell’Intesa e dei suoi alleati persero la vita, la stragrande maggioranza dei quali uccisa dal nemico. Il totale equivalente per le Potenze centrali è solo poco più di 4 milioni. La superiorità degli Imperi centrali nell’uccidere il nemico fu quindi di circa il 35 per cento. Le statistiche ufficiali britanniche pubblicate poco dopo la fine della guerra danno un margine ancora più alto, attorno al 50 per cento, come anche quelle riportate su un folto numero di testi moderni.  52 In altre parole, le Potenze centrali furono di almeno un terzo più efficienti nelle carneficine di massa. Come ha detto Elias Canetti a proposito della strategia del logoramento: «Ogni parte vuole formare una schiera più folta di combattenti viventi e vuole che la parte opposta crei il mucchio più alto di morti».  53 Sulla base di questo parametro, furono le Potenze centrali a «vincere» la guerra.

Tabella 32 – Perdite complessive nella prima guerra mondiale.

 

Cifre britanniche ufficiali dei morti

Cifre rivedute dei morti

Prigionieri alla fine della guerra

Feriti

Totale perdite

Francia

1.345.300

1.398.000

   446.300

2.000.000

3.844.300

Belgio

    13.716

    38.000

    10.203

    44.686

    92.889

Italia

   460.000

   578.000

   530.000

   947.000

2.055.000

Portogallo

       7222

       7000

    12.318

    13.751

    33.069

Gran Bretagna

   702.410

   723.000

   170.389

1.662.625

2.556.014

Impero britannico

   205.961

   198.000

    21.263

   427.587

   646.850

Romania

   335.706

   250.000

    80.000

   120.000

   450.000

Serbia

    45.000

   278.000

    70.423

   133.148

   481.571

Grecia

       5000

    26.000

       1000

    21.000

    48.000

Russia

1.700.000

1.811.000

3.500.000

1.450.000

6.761.000

Stati Uniti

   115.660

   114.000

       4480

   205.690

   324.170

Totale Alleati

4.935.975

5.421.000

4.846.376

7.025.487

17.292.863  

Bulgaria

     87.500

    88.000

    10.623

   152.390

   251.013

Germania

1.676.696

2.037.000

   617.922

4.207.028

6.861.950

Austria-Ungheria

1.200.000

1.100.000

2.200.000

3.620.000

6.920.000

Turchia

   325.000

   804.000

   250.000

   400.000

1.454.000

Totale Potenze centrali

3.289.196

4.029.000

3.078.545

8.379.418

15.486.963  

Totale complessivo

8.225.171

9.450.000

7.924.921

15.404.905  

32.779.826  

«Conteggio netto dei corpi»

1.646.779

1.392.000

1.767.831

– 1.353.931  

1.805.900

Differenza in percentuale

             50

             35

             57

          – 16

             12

Nota: Le cifre dei caduti comprendono le morti in combattimento, ma anche quelle per malattie, il che aumenta i totali, in particolare nei teatri periferici del conflitto. Per il Portogallo non si hanno cifre di feriti del Mozambico o dell’Angola. Il numero dei prigionieri greci comprende anche i dispersi, perciò è probabilmente troppo elevato.
Fonti: War Office, Statistics of the Military Effort, pp. 237, 352-357; Terraine, Smoke and the Fire, p. 44; J. Winter, Great War, p. 75.

Una discrepanza ancora maggiore caratterizzava l’altro mezzo più efficace per indebolire il nemico: la cattura di prigionieri. Nel corso della guerra furono presi prigionieri dai 3,1 ai (come massimo) 3,7 milioni di soldati che combattevano per le Potenze centrali, in confronto ai 3,8 e come massimo 5,1 milioni di soldati dell’Intesa e dei suoi alleati (si veda infra, cap. XIII per una discussione di queste cifre). Anche in questo caso il «conteggio netto dei corpi» è decisamente a favore degli Imperi centrali, che riuscirono a catturare tra il 28 e il 35 per cento di uomini in più di quelli che essi stessi persero in quanto catturati dal nemico. Solo per un aspetto il piatto della bilancia sembra pendere a favore delle potenze dell’Intesa e dei loro alleati: le statistiche disponibili indicano che oltre 1,3 milioni di soldati delle Potenze centrali furono feriti in seguito ad azioni del nemico. Ciononostante, di tutte le cifre disponibili queste sono le meno attendibili (i tedeschi, per esempio, non registravano le ferite meno gravi nelle loro statistiche ufficiali, mentre i britannici sì). In ogni caso, ferire il nemico era il metodo meno efficace di infliggere danni, in quanto una sostanziosa percentuale di soldati feriti – il 55,5 per cento nel caso dei britannici  54 – fu in grado di ritornare in servizio attivo (a meno che non fosse morta in seguito alle ferite riportate). In parte per questo motivo, il tentativo di stabilire una cifra delle perdite totali risulta alquanto complesso. Per essere accurata, tale cifra dovrebbe essere valutata tenendo conto del fatto che uccidere il nemico era la cosa migliore, prenderlo prigioniero era quasi altrettanto efficace e forse persino meglio (un prigioniero doveva essere nutrito e alloggiato, il che pesava sulle risorse, ma poteva essere costretto a lavorare), mentre ferirlo era la cosa meno dannosa per il nemico. La tabella 33 riassume le stime minime e massime disponibili e fornisce quelle che sembrano essere le cifre più corrette delle perdite.

Si noterà che nel complesso le Potenze centrali ebbero un margine di vantaggio di più del 10 per cento. Se si escludono le cifre dei feriti, il margine sale a uno stupefacente 44 per cento. In altre parole, gli Imperi centrali invalidarono in modo permanente 10,3 milioni di soldati nemici, mentre ne persero allo stesso modo solo 7,1 milioni. Sono cifre davvero sorprendenti.

Tabella 33 – Stime delle perdite totali (uccisi, presi prigionieri e feriti).

 

Massime

Minime

Ottimali

 

Francia

6.100.00

3.791.600

3.844.300

 

Belgio

92.889

68.605

92.889

 

Italia

2.190.000

1.937.000

2.055.000

 

Portogallo

33.291

33.069

33.291

 

Gran Bretagna e Impero

3.305.000

3.190.235

3.202.864

 

Romania

535.706

450.000

450.000

 

Serbia

481.571

248.571

481.571

 

Grecia

48.000

27.000

48.000

 

Russia

9.100.000

6.650.000

6.761.000

 

Stati Uniti

325.830

324.170

324.170

 

Totale Alleati

22.212.287

16.720.250

17.293.085

 

Bulgaria

250.513

250.513

251.013

 

Germania

7.437.000

6.501.646

6.861.950

 

Austria-Ungheria

7.000.000

6.920.000

6.920.000

 

Turchia

2.290.000

970.000

1.454.000

 

Totale Potenze centrali

16.977.513

14.642.159

15.486.963

 

Totale complessivo

39.189.800

31.362.409

32.780.048

 

«Conteggio netto dei corpi»

5.234.774

2.078.091

1.806.122

 

Differenza in percentuale

30,8

14,2

11,7

 

Fonti: Le stesse della tabella 32.

Com’è noto, il semplice calcolo del «conteggio netto dei corpi» è un modo alquanto rozzo di misurare l’efficacia militare; Michael Howard ha perfino sostenuto che «ridurre i criteri del successo militare a questo tipo di conteggio dei corpi è una reductio ad absurdum».  55 Ma non è facile individuare un altro modo per valutare la prestazione degli eserciti nella prima guerra mondiale. Se si cerca di stabilire il successo di un’offensiva in termini di territorio conquistato, si dimostra soltanto ciò che ogni studente di scuola già sa: ossia che per la maggior parte del periodo che va dal 1915 al 1917 la guerra sul fronte occidentale fu una partita a somma zero.

Inoltre, come sottolinea Charles Maier, per tutta la durata del conflitto la Gran Bretagna e i suoi alleati non riuscirono mai a uccidere un numero di tedeschi maggiore di quello dei giovani tedeschi che avevano compiuto i diciotto anni d’età (cfr. tab. 34). Se il logoramento fosse stato davvero il metodo migliore per vincere la guerra, sarebbe stato ancora molto efficace nel 1919, con le schiere di nuove reclute tedesche a livelli quantitativi mai più raggiunti fin dal 1914. Per dirlo con le parole di Norman Stone, «la manodopera era, sotto ogni aspetto e per ogni scopo, inesauribile».  56

Naturalmente, si potrebbe ribattere che, in termini relativi, la strategia del logoramento ebbe successo a causa della quantità assai maggiore di manodopera a disposizione dei generali dell’Intesa. Detto in termini crudi, si potevano permettere di affrontare perdite maggiori di quelle delle Potenze centrali: quel che contava non era il numero assoluto di soldati nemici uccisi o catturati, ma la percentuale di manodopera disponibile. La tabella 35 confronta le cifre dei morti con la manodopera a disposizione dei paesi belligeranti. Si nota immediatamente che, in termini relativi, le Potenze centrali furono senz’altro colpite più duramente dalla guerra, perdendo l’11,5 per cento degli uomini adulti, mentre lo schieramento avversario ne perdette solo il 2,7 per cento. Qualcuno potrebbe sostenere che basterebbe questo a spiegare la vittoria alleata. Ma le cifre alleate sono gravemente distorte dall’enorme numero di quanti non prestarono servizio: in tutto, solo il 5 per cento della popolazione complessiva fu mobilitato dalle potenze dell’Intesa, in confronto al 17 per cento degli Imperi centrali. Ci si potrebbe chiedere quanto volentieri avrebbero combattuto questi uomini non utilizzati, se gli fosse stato chiesto di farlo. Questo vale soprattutto per ampie zone dell’Impero britannico, ma ci si potrebbe anche domandare quanti più uomini sarebbero stati capaci di mobilitare gli americani se la guerra si fosse prolungata; di fatto, negli Stati Uniti la renitenza alla leva ammontò all’11 per cento (337.649 casi in tutto).  57 Se si considera il differenziale che appare nella prima colonna della tabella 35 (uccisi in percentuale degli uomini effettivamente mobilitati), il divario si restringe al 15,7 per cento per le Potenze centrali in confronto al 12 per cento dello schieramento avversario.

Tabella 34 – Manodopera disponibile in Germania, 1914-1918.

 

Maschi giunti a 18 anni d’età (approssimativamente)

Morti in guerra

Surplus

1914

670.000

241.000

429.000

1915

674.000

434.000

240.000

1916

688.000

340.000

348.000

1917

693.000

282.000

411.000

1918

699.000

380.000

319.000

1919

711.000

 

 

Fonte: Maier, Wargames, p. 266.

Inoltre, se si considera quello che era il paese strategicamente più importante – vale a dire la Francia – appare chiaro che la Germania riuscì a infliggergli perdite relative più pesanti sotto ogni aspetto. I francesi e i tedeschi mobilitarono grossomodo la stessa proporzione di popolazione, ma i tedeschi uccisero più francesi di quanti tedeschi riuscirono a uccidere i francesi. Fatto ancora più grave, i francesi avevano meno uomini giovani a disposizione ogni anno per combattere rispetto alla più fertile Germania. L’esercito francese, però, non crollò (anche se nel 1917 fu colpito da una devastante crisi del morale). Fu l’esercito russo – le cui perdite erano relativamente basse in proporzione al numero degli uomini mobilitati e molto più basse in proporzione al numero totale dei maschi adulti – a crollare per primo. Come abbiamo già visto, gli scozzesi furono (dopo i serbi e i turchi) i soldati che subirono il più alto tasso di morti in guerra, ma i reggimenti scozzesi combatterono fino alla fine. Perciò una spiegazione meccanicistica della sconfitta delle Potenze centrali, come quella avanzata dai sostenitori del logoramento, non regge a un esame obiettivo. Anzi, i differenziali riportati nelle tabelle, come per esempio il conteggio netto dei corpi, rendono molto più difficile capire perché la Germania e i suoi alleati abbiano potuto perdere la prima guerra mondiale.

Tabella 35 – Morti militari in percentuale di manodopera.

Paese

Totale uccisi in percentuale del totale mobilitato

Totale uccisi in percentuale dei maschi fra i 15 e i 49 anni

Totale uccisi in percentuale della popolazione

Scozia

26,4

10,9

3,1

Gran Bretagna e Irlanda

11,8

  6,3

1,6

Canada

  9,7

  2,6

0,8

Australia

14,5

  4,4

1,2

Nuova Zelanda

12,4

  5,0

1,5

Sudafrica

  5,1

  0,4

0,1

India

  5,7

  0,1

0,0

Impero britannico (Gran Bretagna esclusa)

  8,8

  0,2

0,1

Francia

16,8

13,3

3,4

Colonie francesi

15,8

  0,5

0,1

Belgio

10,4

  2,0

0,5

Italia

10,3

  7,4

1,6

Portogallo

  7,0

  0,5

0,1

Grecia

  7,4

  2,1

0,5

Serbia

37,1

22,7

5,7

Romania

25,0

13,2

3,3

Russia

11,5

  4,5

1,1

Stati Uniti

  2,7

  0,4

0,1

Totale Alleati

12,0

  2,7

0,7

Germania

15,4

12,5

3,0

Austria-Ungheria

12,2

  9,0

1,9

Turchia

26,8

14,8

3,7

Bulgaria

22,0

  8,0

1,9

Totale Potenze centrali

15,7

11,5

2,6

Totale complessivo

13,4

  4,0

1,0

Fonte: J. Winter, Great War, p. 75.

Lo studio più accurato sulle cifre delle perdite per entrambe le guerre mondiali, condotto da Trevor Nevitt Dupuy, dimostra che, in media, i tedeschi furono del 20 per cento più efficaci delle truppe britanniche o americane. Dupuy esamina quindici battaglie della prima guerra mondiale e assegna «punteggi» per le «perdite giornaliere come percentuale della forza che infligge le perdite»; poi le corregge, in modo da tenere conto del «noto vantaggio operativo offerto dalla posizione difensiva» (1,3 per la difesa improvvisata, 1,5 per la difesa preparata e 1,6 per la difesa fortificata). Il «punteggio di efficacia» medio delle forze tedesche è di 5,51, o di 2,61 se si omettono i prigionieri russi (sebbene non ci sia alcun motivo per farlo); per i russi è di 1,5 e per gli alleati occidentali è ancora più basso: 1,1.  58

Relativamente al fronte occidentale, di cruciale importanza, disponiamo di ulteriori dettagli per poter approfondire il discorso. Forse le cifre ufficiali mensili delle perdite non sono la più affidabile delle fonti storiche, ma non sono così inutili da dover essere ignorate (come hanno fatto generalmente gli storici): esse mostrano chiaramente che, fatta eccezione per soltanto otto dei sessantaquattro mesi che intercorrono fra il febbraio 1915 e l’ottobre 1918, i tedeschi riuscirono a infliggere perdite più pesanti alla Gran Bretagna nel settore britannico della linea – e tre di questi otto mesi si collocano proprio alla fine della guerra (agosto-ottobre 1918) (cfr. fig. 12). Si dovrebbe anche osservare che per quasi tutto il corso della guerra le perdite tra gli ufficiali furono molto più alte nelle file britanniche che in quelle tedesche: in ogni anno di guerra i tedeschi uccisero o catturarono più ufficiali del settore britannico di quanti ne persero essi stessi.  59 La figura 13 combina le cifre francesi, britanniche e tedesche disponibili allo scopo di dimostrare che dall’agosto 1914 al giugno 1918 non ci fu un solo mese in cui i tedeschi non riuscirono a uccidere o catturare più soldati dell’Intesa di quanti ne persero. È vero che in tutto questo periodo l’esercito britannico sul fronte occidentale continuò ad aumentare di consistenza e che di conseguenza il tasso proporzionale delle perdite, tanto di ufficiali che di soldati, si ridusse indubbiamente. Se si combinano le cifre britanniche a quelle francesi e le si confrontano con le perdite complessive tedesche sul fronte occidentale, si ricava l’impressione che gli eserciti dell’Intesa avessero migliorato la propria efficienza. Tuttavia, solo nell’estate del 1918 il conteggio netto dei corpi si volse a loro favore, e ciò era innanzitutto la conseguenza del brusco aumento dei tedeschi che si arrendevano, anziché di un miglioramento degli Alleati nel numero netto delle uccisioni di nemici (cfr. infra, cap. XIII). Anzi, se si considerano le cifre delle perdite del settore britannico (che sono evidentemente incomplete, dato che molti degli uomini elencati come dispersi risultarono in seguito essere stati uccisi), si ha l’impressione che la guerra fosse terminata con il conteggio netto dei corpi nuovamente a favore dei tedeschi dopo le terribili perdite dell’offensiva di primavera. Queste cifre indicano che nell’agosto, settembre e ottobre del 1918 i tedeschi ottennero un surplus nelle uccisioni rispetto ai britannici pari solo a quello ottenuto durante la battaglia della Somme.

John Edward Bernard Seely, comandante della brigata di cavalleria canadese, riassunse perfettamente l’assurdità della teoria del logoramento quando, nel 1950, osservò: «Alcuni sciocchi nello schieramento alleato pensavano che la guerra sul fronte occidentale sarebbe finita facendo fuori tutti i tedeschi. Ovviamente, questo metodo avrebbe avuto successo solo se fossimo riusciti a ucciderne una quantità molto maggiore di quella che perdevamo noi stessi».  60 Cosa che si dimostrò semplicemente impossibile quando, in seguito all’offensiva di Ludendorff, i britannici furono costretti a difendersi. A parte qualche notevole eccezione, le loro operazioni offensive tendevano a provocare una quantità di perdite permanenti alle proprie forze pari a quella che infliggevano al nemico, se non di più. In breve, i tedeschi raggiunsero e mantennero un alto livello di efficacia militare nel teatro più importante per quasi tutto il corso della guerra. Questo fa apparire molto meno fantasiosa l’eventualità che avrebbero potuto vincere la guerra, nonostante la situazione economica fosse loro sfavorevole.

Figura 12 – «Conteggio netto dei corpi»: perdite britanniche meno perdite tedesche nel settore britannico del fronte occidentale, 1915-1918.

Nota: Le cifre non sono sempre disponibili per ogni mese, per cui in alcuni casi si hanno cifre mensili medie, che possono non tenere conto con precisione dell’impatto di certi eventi militari in mesi particolari.
Fonte: War Office, Statistics of the Military Effort, pp. 358-362.

Figura 13 – «Conteggio netto dei corpi»: soldati britannici e francesi invalidi permanenti meno quelli tedeschi, agosto 1914 - luglio 1918 (fronte occidentale).

Nota: Per il periodo agosto-ottobre 1918 le cifre degli invalidi permanenti tedeschi valgono solo per il settore britannico, perciò l’ampiezza delle perdite tedesche risulta sottostimata. Caratteristicamente, le statistiche ufficiali tedesche degli anni Trenta omettono i mesi successivi a luglio. Deist, Military Collapse, p. 203, fornisce un totale di morti e feriti da metà luglio all’11 novembre di 420.000, più 340.000 prigionieri e dispersi, il che comporta un tasso di perdite di circa 245.000 uomini al mese (da agosto a ottobre) più 15.000 in novembre. Ma le cifre qui riportate non tengono conto delle perdite permanenti americane, che ammontavano a un totale di 110.000 morti e 11.480 prigionieri, la maggior parte delle quali subite proprio in questo periodo. Se fossero incluse, il conteggio netto dei corpi, sfavorevole ai tedeschi verso la fine del 1918, si ridurrebbe.
Fonti: War Office, Statistics of the Military Effort, pp. 253-265; Reichswehrministerium, Sanitätsbericht, vol. I, pp. 140-143; Guinard et al., Inventaire, vol. I, p. 213.

Giustificazioni

Come possiamo spiegare l’enorme divario tanto nell’efficienza quanto nell’efficacia tra le potenze dell’Intesa e gli Imperi centrali nella decisiva lotta sulla terraferma?

La spiegazione più diffusa rimane ancora quella secondo la quale i generali dell’Intesa erano dei «somari», caratterizzati, nel caso dei britannici, da «una capziosa e sospettosa rigidità di atteggiamento, una psicologia ottusa ... conseguenza della loro limitata cultura».  61 Come disse Thomas Edward Lawrence con parole memorabili: «Gli uomini erano spesso combattenti valorosi, ma altrettanto spesso i loro generali sprecavano per stupidità ciò che avevano ottenuto per ignoranza».  62 Anche Lloyd George derideva i generali, con i loro «cervelli pieni di inutili cianfrusaglie, imbottiti in ogni nicchia e angolino. Buona parte di questo ammasso non fu sgombrato fino alla fine della guerra ... Non sapevano nulla, se non per sentito dire, su come si combattesse veramente una battaglia di tipo moderno».  63 Simili opinioni continuano a influenzare autori contemporanei come John Laffin, secondo il quale i generali britannici erano dei pedanti «macellai e pasticcioni».  64 Altri autori hanno recentemente cercato di affinare le critiche. Si sostiene così che i generali faticavano a capire la natura della guerra di trincea; ordinavano attacchi senza un’adeguata preparazione, senza un sufficiente sostegno dell’artiglieria e privi di un chiaro obiettivo; insistevano nell’attacco anche dopo che ogni possibilità di successo era svanita; cercavano di sfondare le linee tedesche invece di infliggere il massimo di perdite; e tentavano di conquistare terreno indipendentemente dal suo valore tattico, mentre allo stesso tempo non erano in grado di valutare in modo adeguato il valore di un terreno adatto per l’osservazione dell’artiglieria. Secondo Shelford Bidwell e Dominick Graham, prima dello scoppio del conflitto l’esercito non disponeva di un’autentica dottrina di guerra e non sapeva adeguare le proprie tattiche alle nuove tecnologie belliche;  65 giudizio condiviso anche da Tim Travers.  66

In difesa dei tanto disprezzati «gallonati» sono state proposte alcune spiegazioni riguardo al numero relativamente elevato delle perdite britanniche.:

1) L’esercito britannico doveva attaccare mentre i tedeschi (e i turchi a Gallipoli) potevano mantenere una posizione difensiva. La moderna potenza di fuoco aveva sospinto i soldati lontano dal campo di battaglia e dentro le trincee e i camminamenti. Con un sufficiente fuoco di artiglieria e un sufficiente numero di proiettili si potevano aprire dei varchi in queste difese; ma tali varchi non potevano essere sfruttati. Proprio l’artiglieria, ossia la stessa arma che aveva creato l’opportunità, la rendeva inutile in quanto i suoi colpi sconvolgevano il terreno rendendo estremamente difficile spingere in avanti i cannoni per riprendere l’avanzata sotto il loro fuoco protettivo. Mentre gli attacchi tendevano quindi a impantanarsi, le riserve nemiche potevano essere rapidamente trasferite al fronte per ferrovia. John Terraine ha paragonato l’esercito che muove all’attacco a un peso massimo con una gamba ingessata: forte ma lento.  67 Accadeva lo stesso pressoché ovunque; per dirlo con le parole di John Fuller: «Erano le pallottole, le vanghe e il fil di ferro i veri nemici su ogni fronte».  68

Un altro problema tecnico era rappresentato dalla debolezza del comando, dalla mancanza di controllo e dalla difficoltà delle comunicazioni.  69 Nel 1914 la BEF non si era ancora dotata di adeguati mezzi di osservazione, fotografia aerea e comunicazioni radio. Le mappe erano imprecise. La rete di comunicazioni si interrompeva sulla linea del fronte, cosicché non appena le truppe lasciavano quel punto la loro posizione diventava ignota. In battaglia, nonostante complicate precauzioni (interrare i cavi in tre punti diversi lungo differenti direttrici, per esempio), era molto facile che le comunicazioni venissero interrotte dal fuoco dell’artiglieria nemica. I generali dovevano quindi basarsi sui frammentari rapporti delle staffette.  70 Solo nel 1918 gli eserciti svilupparono sofisticati servizi di comunicazione ed ebbero la possibilità di utilizzare apparecchi senza fili. Queste carenze nella tecnologia delle comunicazioni non possono essere considerate una spiegazione sufficiente per le elevate perdite degli attaccanti.  71 Come ha scritto Richard Holmes:

Non fu affatto l’aumentata capacità di uccidere a dare al fronte occidentale il suo peculiare carattere; fu invece il fatto che le comunicazioni erano decisamente inferiori agli armamenti. Era sempre più facile per i difensori, risospinti verso le loro linee di comunicazione, rimediare alle carenze; per gli attaccanti, invece, con le loro comunicazioni estese lungo tutto il bordo abrasivo del campo di battaglia, era molto più difficile consolidare il successo.  72

2) I britannici furono anche ripetutamente costretti a lanciare offensive premature a causa delle esigenze belliche complessive della coalizione. La BEF non avrebbe iniziato la prematura offensiva del 1915 se non fosse apparso (per dirlo con le parole di Kitchener) «incerto per quanto a lungo [l’esercito russo] avrebbe ancora retto agli attacchi dei tedeschi».  73 Kitchener avvertì inoltre il gabinetto di «non poter rifiutare la cooperazione che Joffre si aspettava senza procurare un colpo molto grave e forse persino fatale all’alleanza».  74 Ecco come si espresse Esher nel gennaio del 1915: «I francesi sono magnifici, ma non sono in grado di reggere oltre una certa pressione».  75 Appare emblematico che, nel marzo del 1915, quando i francesi annullarono un attacco contro il crinale di Vimy, che avrebbe dovuto coincidere con l’attacco britannico a Neuve-Chapelle, Sir John French proseguì comunque, per dimostrare la sua volontà di «collaborare lealmente e nel modo più cordiale».  76 Analogamente, furono i francesi a decidere la data, il momento e il luogo dell’offensiva della Somme, e non Haig, che avrebbe preferito attaccare nelle Fiandre.

La stessa situazione si ebbe nel 1917. La terza battaglia di Ypres fu giustificata dal generale di brigata Sir John Charteris sulla base del fatto che la Francia avrebbe potuto «mollare» se le truppe britanniche fossero state spostate in un teatro di importanza secondaria (nella fattispecie, nel mar Adriatico per appoggiare gli italiani in difficoltà), come avrebbe voluto Lloyd George.  77 Solo a Messines (giugno 1917) l’esercito britannico poté assumere l’iniziativa strategica, ossia decidere quando e dove attaccare. Ma l’autonomia di azione non era davvero il modo migliore per vincere la guerra. C’era invece bisogno di coordinare più efficacemente degli sforzi alleati. Solo di fronte alle offensive tedesche del 1918 l’esercito britannico accettò le conseguenze del suo impegno continentale: unità di comando sotto i francesi.  78 Ma anche allora non mancarono i problemi: per esempio, gli americani comandati da Pershing rifiutarono tenacemente di porsi sotto il comando di Pétain, opponendosi alla possibilità di essere guidati da comandanti più esperti.  79

3) A differenza di quello tedesco, l’esercito britannico non era stato pensato per combattere una guerra continentale. Nel giugno del 1919 Haig ricordava che «eravamo entrati in guerra senza una preparazione adeguata ... Per tutto il corso del conflitto abbiamo fatto sforzi disperati per metterci al passo».  80 Ecco un esempio: durante il periodo di pace era stato mantenuto solo uno stato maggiore divisionale, in parte a causa di ristrettezze finanziarie, ma soprattutto perché non si voleva nessun anello di comando tra il quartier generale e la BEF.  81 Allenby, allora comandante della divisione di cavalleria, scoprì di non avere a propria disposizione alcun ufficiale di stato maggiore. Gliene furono dati alcuni, ma erano inesperti.  82 Insomma, i generali britannici furono costretti a improvvisare fin dall’inizio.

Il guaio era – e qui finiscono le giustificazioni – che l’intera cultura dell’esercito regolare britannico non favoriva in alcun modo l’improvvisazione. La struttura di comando si fondava sull’ubbidienza ai superiori e sul sospetto nei confronti dei subordinati; gli uomini potevano ancora avanzare di grado grazie alle proprie conoscenze e relazioni; e i comandanti potevano ancora essere «rimossi» per divergenze personali.  83 Ciò rischiava di avere gravi ripercussioni: quando Haig mise in dubbio il piano originario per la Somme elaborato da Rawlinson, quest’ultimo non si sentì nella posizione di difenderlo, sicché Haig poté insistere sull’obiettivo suicida di uno sfondamento. Come disse lo stesso Rawlinson: «È molto rischioso attuare un’offensiva illimitata, ma D.H. vuole così e io sono disposto a intraprendere qualsiasi azione sia nei limiti della ragione [sic]».  84 Un comandante d’armata non riteneva di poter correggere le opinioni del comandante in capo, anche se erano in gioco le vite di decine di migliaia di uomini.  85 Simili inibizioni esistevano a tutti i livelli. Gli ordini venivano emanati dall’alto e procedevano lungo la scala gerarchica; nella direzione opposta c’era ben poco traffico. Ne conseguiva che ufficiali, sottufficiali e soldati si abituavano sempre di più ad «attendere gli ordini». In battaglia, come ha fatto notare John M. Bourne, «quando i bombardamenti dell’artiglieria tedesca interrompevano le comunicazioni era la paralisi». Per usare il linguaggio tutt’altro che inappropriato dell’organizzazione industriale, questa era la «dirigenza di linea» e non esistevano meccanismi tramite i quali le opinioni dei «dirigenti subalterni di linea» potessero essere trasmesse ai vertici.  86 In parte per questo motivo i sostenitori di un approccio più tecnocratico faticavano ad aprirsi un varco tra chi pensava tradizionalmente alla guerra come a uno scontro morale più che materiale.  87 Si attribuiva troppa importanza alla morale, alla disciplina e al coraggio, e troppo poca alla potenza di fuoco e alla tattica.  88

E questi problemi non si ridussero quando nel vecchio esercito entrarono uomini nuovi; anzi, avvenne il contrario. Un esercito più grande significava maggiore burocrazia. Come sosteneva Charteris, l’esercito diventò responsabile

degli approvvigionamenti di vettovaglie, dei trasporti su strada e su rotaia, delle legge e dell’ordine, dei lavori di costruzione, dell’assistenza medica, della Chiesa, dell’istruzione, del servizio postale, persino dell’agricoltura e di una popolazione maggiore di qualsiasi singola unità amministrativa esistente in Inghilterra (fatta eccezione per Londra) ... A ciò si aggiunga l’aspetto puramente militare dell’impegno ... La cosa stupefacente è che, tranne i trasporti e il servizio postale, ogni singola parte dell’organizzazione è controllata da soldati regolari ... Ogni dipartimento ha un suo capo, e tutti i capi dipendono da un solo uomo: il Capo supremo. Il quale non vede nessuno dei capi di questi grandi dipartimenti più di una volta al giorno e anche in questo caso raramente per più di mezz’ora alla volta.  89

Lo stesso comando, come ha sostenuto Martin van Creveld, si burocratizzò: «La condotta della guerra era rimbalzata dal campo di battaglia alla fabbrica e all’ufficio» e impercettibilmente «i metodi dell’ufficio e della fabbrica» rimbalzarono a loro volta «fino a dominare il campo di battaglia».  90 Secondo Dominick Graham fu proprio questa tendenza organizzativa a rendere la curva di apprendimento della BEF così penosamente piatta tra Neuve-Chapelle e Cambrai.  91 Così, mentre imparava a combattere in posizione difensiva, la BEF faticò a capire come attaccare nel modo più efficace, non sapendo coordinare le diverse armi a sua disposizione né padroneggiare le diverse fasi di fuoco e di movimento.  92 Nessuno si era preoccupato di spiegare nei manuali il semplice principio secondo il quale «le tattiche di fuoco riguardavano l’occupazione progressiva di posizioni di fuoco vantaggiose e il loro sfruttamento efficace da parte di tutte le armi al fine di infliggere perdite al nemico», ovviamente senza subire perdite altrettanto pesanti.  93

Inoltre, si aveva la tendenza a considerare armi quali l’artiglieria e i carri armati solo come semplici accessori della fanteria, anziché come componenti di un sistema combinato. Un esempio classico, spesso citato, è rappresentato dal fatto che occorsero tredici mesi perché un prototipo di carro armato fosse accettato dal ministero della Guerra, altri sette mesi perché fosse dispiegato in combattimento (a Flers-Courcelette nel settembre del 1916) e altri quattordici perché fosse lanciato un attacco con un numero significativo di questi carri. E ciò nonostante il fatto che le parti componenti del carro – piastre corazzate, motore a combustione interna e sistema di cingoli a trazione – fossero disponibili già dal 1900, come lo era anche il concetto di veicoli corazzati da combattimento. E anche quando i carri armati furono resi disponibili, i comandanti tendevano a ignorare i consigli degli esperti sul modo in cui avrebbero dovuto essere utilizzati.  94 Persino dopo Amiens, Haig rifiutò l’idea della guerra meccanizzata, continuando a credere che la forza umana fosse la chiave per la vittoria.  95 Il conservatorismo al vertice si combinava con il fenomeno della «lealtà al distintivo del berretto», che incoraggiava ufficiali e soldati a identificarsi con il proprio battaglione anziché con la brigata o la divisione.  96

L’utilizzo dell’artiglieria da parte dei britannici fornisce un altro esempio, ancora più rivelatore, di gravi carenze, perché l’artiglieria era per molti aspetti la vera chiave per una guerra di grandi assedi.  97 Dal 1914 fino alla Somme i britannici furono semplicemente inferiori come volume di fuoco, essendo privi di pezzi sufficientemente potenti e di adeguate riserve di proiettili (in particolare, c’erano scorte insufficienti di esplosivi ad alto potenziale).  98 L’artiglieria era innanzitutto un’arma «da osservazione», il che significava che gli artiglieri potevano colpire soltanto i bersagli che riuscivano a vedere (cosa che impediva sia il fuoco indiretto sia quello di controbatteria); le mappe venivano usate pochissimo e le batterie erano dislocate in modo dispersivo, rendendo difficile la concentrazione del fuoco. Nel settembre del 1915, durante la battaglia di Loos, i britannici ebbero circa 60.000 perdite quando alla fanteria fu ordinato di lanciarsi all’attacco senza un sufficiente appoggio dell’artiglieria. Si comprese molto lentamente che l’artiglieria e la fanteria dovevano coordinare i loro sforzi.

Alla fine del 1915 gli artiglieri britannici avevano ormai imparato a usare il fuoco indiretto, e per la prima volta si utilizzarono gli aerei da ricognizione. Per stare al passo con la crescente intensità di fuoco vennero messi in campo un numero sempre maggiore di pezzi pesanti (soprattutto obici e cannoni di grosso calibro) e immense quantità di proiettili. Per i bombardamenti iniziali l’artiglieria era controllata da una centrale di tiro. Furono compiuti i primi esperimenti con i palloni aerostatici da sbarramento. Tuttavia, questi modesti progressi si dissolsero nel nulla di fronte all’inefficienza che caratterizzò l’offensiva della Somme. Convinti che lo scopo dell’artiglieria fosse la distruzione delle difese del nemico, i comandanti dell’Intesa decisero che i bombardamenti dovevano essere protratti. Per usare le parole di Sir John Francis: «Se sarà disponibile una quantità sufficiente di munizioni, si potrà aprire un varco attraverso le linee [nemiche] a colpi di artiglieria».  99 Oppure, come disse Pétain, «ora l’artiglieria conquista una posizione e la fanteria la occupa». Si pensava che il calibro dei proiettili potesse rimediare a qualsiasi mancanza di precisione. Tuttavia la decisione, presa da Haig, di bombardare sia la prima sia la seconda linea tedesca ebbe l’effetto di dimezzare l’efficacia del bombardamento. Fatto ben più grave, si scoprì che le munizioni erano difettose (circa il 30 per cento di esse non esplodeva), e un quarto dei cannoni si ruppe semplicemente per l’uso eccessivo. C’erano ancora troppi pochi proiettili caricati con esplosivo ad alto potenziale, oltre a numerosi difetti tecnici: la calibratura era eseguita in modo approssimativo, i rilevamenti cartografici erano imprecisi, la carenza di comunicazioni ostacolava il fuoco di precisione e il fuoco di controbatteria era inefficace. Inoltre, gli schemi di fuoco britannici erano troppo rigidi.  100 Il fatto più grave fu che i bombardamenti del 1916 non solo non ottennero il loro scopo principale di distruzione (Haig sottovalutò la resistenza delle difese tedesche), ma ostacolarono la successiva avanzata della fanteria. Successe la stessa cosa ad Arras nell’aprile del 1917, quando i bombardamenti furono molto più efficaci e il successo iniziale assai maggiore; ma il terreno era talmente sconvolto che i cannoni non poterono avanzare con sufficiente rapidità e la breccia fu arginata. Non si era ancora compresa la necessità di bombardamenti più brevi per garantire la sorpresa, mentre l’adesione a rigidi schemi di fuoco impediva lo sfruttamento dei successi iniziali.  101 A Messines si fecero ulteriori miglioramenti tecnici, tra cui la devastante esplosione di diciannove mine sotto le posizioni tedesche e un riuscito fuoco di sbarramento; ma (come abbiamo notato prima) le perdite britanniche furono pur sempre di duemila uomini superiori a quelle tedesche. Il bombardamento breve e concentrato prima dell’attacco dei carri armati a Cambrai fu un altro passo nella giusta direzione, ma anche in questo caso c’erano troppe poche riserve per resistere al contrattacco tedesco.

Al confronto, l’esercito tedesco era un modello di efficienza operativa e tattica. Michael Geyer ha sostenuto che la riorganizzazione operata da Ludendorff nel 1916 rappresentò lo spartiacque nella risposta militare alla prima guerra mondiale, spodestando «il collaudato controllo gerarchico degli uomini sugli uomini a favore di un’organizzazione funzionale della violenza».  102 Mentre i britannici adattavano i nuovi armamenti ai loro immutabili preconcetti e continuavano a preoccuparsi della disponibilità di uomini, i tedeschi adeguavano le proprie tattiche alle nuove tecnologie.  103 I classici progressi tedeschi erano lo sviluppo della «difesa in profondità» (in realtà copiata di sana pianta da un documento francese di cui si erano impadroniti);  104 lo sviluppo, a opera del colonnello Georg Bruchmüller, dello «sbarramento al seguito della fanteria» e del «bombardamento a uragano»;  105 e lo sviluppo delle truppe d’assalto (Stosstruppen), vale a dire unità addestrate in modo speciale, estremamente mobili e potentemente armate, il cui compito era infiltrarsi nelle linee nemiche e interromperle. Pur avendo raggiunto la massima efficacia nella primavera del 1918, queste tattiche erano già operative nell’agosto del 1915.  106

Dopo la guerra fu la difesa in profondità a colpire maggiormente analisti britannici come Graeme C. Wynne. In sostanza, i tedeschi sostituirono il sistema di una grande linea di fuoco frontale con piccoli gruppi che sparavano ai fianchi dell’attaccante.  107 La linea del fronte (bersaglio principale del fuoco di artiglieria nemico) era tenuta da poche forze, ma dietro a essa si trovava una zona di difesa continua, cosicché la «linea» includeva diversi avamposti e postazioni di mitragliatrici, e il grosso delle forze era tenuto in serbo per il contrattacco. Quando questa tattica fu utilizzata per respingere le offensive alleate del 1917, l’effetto fu impressionante.  108 Solo all’inizio del 1918 gli Alleati cominciarono a imitare la difesa in profondità, e si può sostenere che non riuscirono mai a padroneggiarla del tutto. Un simile principio, applicato all’attacco, presupponeva tattiche da truppe d’assalto: anche in questo caso si doveva assegnare grande importanza a piccoli gruppi che agissero con notevole mobilità e flessibilità.

Questi punti di forza tattici della Germania avevano le proprie radici in una ben precisa cultura militare. Secondo Dupuy, le gerarchie militari tedesche avevano «scoperto il segreto dell’istituzionalizzazione dell’eccellenza militare».  109 Analogamente, Martin Samuels parla di una precisa filosofia tedesca del combattimento, che ne riconosceva il carattere fondamentalmente caotico.  110 Questo, a sua volta, influenzava il modo in cui si erano evolute le strutture di comando. I tedeschi preferivano le «direttive di comando» (decisioni decentralizzate e finalizzate all’obiettivo, flessibili a ogni livello di applicazione), mentre i britannici preferivano il «controllo selettivo», che scoraggiava deliberatamente qualsiasi iniziativa.  111 Anche le differenze nell’addestramento erano la logica conseguenza di questa impostazione. La «teoria del caos» tedesca richiedeva un alto grado di addestramento, al fine di promuovere l’adattabilità, mentre il sistema britannico richiedeva esclusivamente obbedienza. Inoltre, l’ufficiale tedesco non cessava di imparare una volta ottenuta la nomina; il corpo ufficiali era meritocratico e gli incapaci erano inesorabilmente eliminati.  112 Questa impostazione era stata ulteriormente sviluppata dall’opera di Bruce I. Gudmundsson sulle tattiche delle truppe d’assalto, il cui successo, a suo giudizio, dipendeva dall’esistenza di un «corpo ufficiali autodidatta».  113

Prima della guerra i critici del militarismo prussiano avevano l’abitudine di deriderlo sostenendo che inculcava nei soldati una Kadavergehorsamkeit, vale a dire un’obbedienza da zombie. Una volta Lord Northcliffe si vantò che il soldato inglese aveva un maggiore senso dell’iniziativa rispetto al soldato tedesco, grazie alla tradizione britannica dell’individualismo e degli sport di squadra. Nulla di più lontano dal vero. In realtà, l’esercito britannico, in larga misura dilettantesco, era caratterizzato da eccessiva rigidità nella sua struttura di comando e da una cultura di cieca obbedienza al di sotto del livello dei sottufficiali, e quando ufficiali e sottufficiali non erano all’altezza, da una spensierata inerzia («se conosci una buca migliore...»). Al contrario, per tutta la durata della guerra i tedeschi incoraggiarono i loro uomini a prendere iniziative sul campo di battaglia, perfettamente consapevoli (come aveva insegnato Clausewitz) che «logoramento» e collasso delle comunicazioni avrebbero rapidamente reso obsoleti anche i piani operativi più dettagliati.

Imbattuti sul campo?

Gli apologisti dello sforzo bellico britannico ci ricordano sempre che «fu la Gran Bretagna a vincere la guerra», o a trovarsi dalla parte dei vincitori. Allo stesso modo, pochi storici tedeschi accettano la famosa affermazione di Friedrich Ebert, poi diventato il primo presidente della repubblica di Weimar, secondo la quale il loro esercito sarebbe rimasto imbattuto sul campo.  114 Tuttavia, quanto abbiamo riportato nelle pagine precedenti rende piuttosto facile capire perché molti tedeschi ne fossero convinti.

Dunque, come dobbiamo spiegare la sconfitta della Germania nel 1918? Secondo Paddy Griffith, c’è una risposta soddisfacente a questa domanda, ossia che la BEF vinse la guerra perché, alla fine, combatté meglio. Nel 1918 i britannici avevano finalmente trovato il modo di utilizzare i carri armati, gli aerei, i veicoli corazzati e la cavalleria e, soprattutto, di coordinare fanteria e artiglieria. Nello stesso tempo, la fanteria aveva appreso nuove tattiche, come quella di avanzare a piccoli gruppi in formazione a diamante dietro i carri armati, ed era stata dotata di nuove armi mobili (bombe a mano, mortai da trincea Stokes, fucili lanciagranate e mitragliatrici Lewis).  115

Anche l’artiglieria fu migliorata. Alla fine si comprese che gli attacchi, se si voleva che avessero successo, dovevano essere appoggiati da sbarramenti in movimento, e che bisognava sfruttare maggiormente la ricognizione aerea, la mappatura del terreno e l’intelligence. I mortai furono utilizzati per rompere il filo spinato e furono introdotti gli sbarramenti di mitragliatrici. Elaborati schemi di fuoco utilizzarono al meglio tutte le armi disponibili. Il fuoco d’artiglieria fu concentrato in modo più efficace.  116 Fu riconosciuta anche l’importanza del fuoco di controbatteria, oltre all’uso di fumogeni per proteggere la fanteria. Calibrazioni accurate, migliore disposizione dei cannoni, rilevamenti, individuazione di vampe e rumori permisero un volume di fuoco preciso senza aggiustamenti preliminari, che in precedenza non avevano fatto altro che preannunciare l’intenzione di attaccare. Ma, soprattutto, il bombardamento prolungato e impreciso fu sostituito dal bombardamento a uragano sull’intera profondità della linea difensiva. Alla fine si capì che il compito principale dell’artiglieria non era distruggere le difese e i cannoni del nemico, ma neutralizzarli abbastanza a lungo per permettere l’avanzata della fanteria. Questo non solo riduceva lo sconvolgimento del terreno, ma ripristinava l’elemento della sorpresa, che fino a quel momento era completamente mancato nella maggior parte delle offensive britanniche.

L’apice di tali progressi, così si sostiene, fu il trionfo dei «cento giorni», nel 1918. Attacchi come quelli di Beaumont-Hamel e soprattutto di Amiens videro i britannici coordinare con successo fanteria, artiglieria, carri armati e aerei in un modo che gli storici militari considerano prefigurazioni delle battaglie della seconda guerra mondiale. Jonathan Bailey è giunto addirittura a parlare della «nascita del moderno stile di guerra»: un mutamento talmente rivoluzionario «che da allora lo sviluppo dei mezzi corazzati e dell’aviazione e l’avvento dell’èra dell’informazione non ne sono altro che complementi».  117 Paddy Griffith l’ha definito «una vera e propria rivoluzione tecnologica».  118 Perciò John Terraine alla fine sembra avere ragione: «Fondamentalmente il nemico fu battuto dal sistema delle armi britanniche».  119

Un possibile difetto di questa tesi sta nel fatto che la ritirata tedesca dell’estate del 1918 non divenne mai una rotta. Anzi, i tedeschi continuarono a essere estremamente efficienti nell’uccidere il nemico. Senza dubbio il periodo agosto-ottobre 1918 vide il conteggio netto dei corpi volgersi contro i tedeschi per la prima volta dall’inizio della guerra: nel complesso, circa 123.300 tedeschi in più rispetto alle perdite britanniche furono dichiarati uccisi, dispersi o prigionieri nel settore britannico del fronte occidentale. Ma una notevole percentuale di perdite tedesche era rappresentata da soldati che si arrendevano. Le statistiche ufficiali britanniche, per quanto imprecise, mostrano che il conteggio netto delle uccisioni era ancora a favore dei tedeschi, grossomodo di 35.300 uomini. Sulla base di questo parametro, il punto più basso delle fortune dell’esercito tedesco non si ebbe in agosto, bensì nell’aprile del 1918, quando i britannici stimarono che il surplus di tedeschi uccisi rispetto ai britannici fosse di circa 28.500 uomini.

Naturalmente, dobbiamo valutare queste cifre con cautela, perché molti di coloro che erano stati registrati come dispersi nei mesi decisivi del 1918 in realtà erano stati uccisi. Ma i dati a nostra disposizione sembrano indicare che la chiave della vittoria alleata non fu un miglioramento nella loro capacità di uccidere il nemico, bensì un improvviso aumento della volontà di arrendersi dei soldati tedeschi. Come cercheremo di dimostrare nei prossimi due capitoli, non si può affermare con piena certezza se questo declino del morale tedesco fosse necessariamente dovuto al miglioramento delle tattiche britanniche che abbiamo appena descritto; c’è almeno una possibilità che si trattasse di un fenomeno endogeno. Si può sostenere la stessa cosa anche a proposito del collasso austro-ungarico sul Grappa e sul Piave. Tra il 26 ottobre e il 3 novembre gli italiani fecero 500.000 prigionieri, ma inflissero solo 30.000 perdite in battaglia.  120 Il motivo di ciò stava forse nel fatto che il maresciallo Diaz aveva rivoluzionato le tattiche italiane? Sembra più probabile che il morale degli austro-ungarici sia crollato quando i tedeschi non furono più disposti a combattere per il moribondo Impero asburgico.

Ricerche più dettagliate mostrano i limiti del successo militare degli Alleati contro la Germania. Lo studio di Bill Rawling sul corpo di spedizione canadese rivela – e la cosa non sorprende – che esso subì le perdite maggiori in percentuale a Ypres nel 1915 e alla Somme nel 1916, in altre parole nel punto più basso della sua curva di apprendimento tattico. Tuttavia, in seguito non si ebbero decisivi miglioramenti. Nel 1917 il tasso di perdite al crinale di Vimy fu del 16 per cento, a Passchendaele del 20 per cento, ad Amiens del 13 per cento, ad Arras del 15 per cento e al Canal-du-Nord del 20 per cento, esattamente come a Passchendaele.  121

La prova di pesanti perdite nel 1918 è ancora più evidente nel caso del corpo di spedizione americano, elemento importante delle forze alleate, ma troppo inesperto per prendere parte alla presunta rivoluzione tattica. All’epoca si affermava comunemente (e alcuni ci credono ancora) che gli americani avessero «vinto la guerra». In realtà, la percentuale delle perdite del corpo di spedizione americano fu particolarmente elevata, soprattutto perché Pershing credeva ancora negli assalti frontali, considerava troppo cauto l’addestramento dei britannici e dei francesi e continuava a schierare divisioni di grandi dimensioni e poco manovrabili. Le operazioni della I armata contro la linea Hindenburg (la Kriemhilde Stellung) nel settembre-ottobre 1918 seguirono modelli antiquati e furono molto dispendiose. Solo nell’ultima settimana di ottobre le difese tedesche furono finalmente penetrate, dopo una serie di riusciti attacchi frontali che costarono circa 100.000 perdite (in gran parte provocate dai gas, da cui gli altri eserciti avevano più o meno imparato a difendersi). David Trask ha concluso che «il più importante servizio reso dal corpo di spedizione americano» fu semplicemente quello di «farsi vedere in Francia»; gli americani risultarono ben più utili nel dare il cambio a truppe britanniche e francesi in settori tranquilli del fronte e nel far capire ai tedeschi che gli Alleati potevano contare su una disponibilità di uomini praticamente inesauribile.  122 Se fu questo il vero motivo che indusse i tedeschi ad arrendersi, non si trattò certo di un trionfo delle nuove tattiche.

In realtà, verso la fine di ottobre 1918 l’avanzata degli Alleati stava rallentando; infatti, man mano che si avvicinavano alla propria Heimat, le truppe tedesche riprendevano coraggio e determinazione. Joseph Austen Chamberlain domandò a sua moglie: «Quanti altri uomini avremo perso da qui a un anno?».  123 Anche Haig considerò con sollievo la possibilità di un armistizio. Il 19 ottobre disse a Henry Wilson: «Il nostro attacco del 17 di questo mese ha incontrato una notevole resistenza e ... il nemico non era pronto a una resa incondizionata. In tal caso, non ci sarebbe armistizio e la guerra potrebbe continuare per un altro anno».  124 Come ricordava Lloyd George: «I pareri militari che avevamo ricevuto non ci incoraggiavano ad attenderci un’immediata conclusione della guerra. Tutti i nostri piani e i nostri preparativi furono perciò elaborati sul presupposto che la guerra non si sarebbe sicuramente conclusa prima del 1919».  125

Non fu quindi la superiorità tattica degli Alleati a porre fine alla guerra; fu una crisi nel morale dei tedeschi, e ciò può essere attribuito soltanto in parte alla forza esogena della fanteria e dell’artiglieria alleate. Il punto fondamentale da considerare è che quei tedeschi che continuarono a combattere si dimostrarono ancora una volta superiori nell’uccidere il nemico. Furono i tedeschi che decisero di arrendersi – o di disertare, nascondersi o scioperare – a porre fine alla guerra. Non c’è dubbio che furono spinti a farlo dalle migliorate capacità di combattimento del nemico; gli eventi dell’8 agosto nei sobborghi di Amiens furono effettivamente «la maggiore disfatta subita dall’esercito tedesco dall’inizio della guerra».  126 Ma ciò che rese davvero nera quella giornata fu l’ammissione della sconfitta da parte dell’alto comando tedesco. Il 10 agosto Ludendorff presentò le proprie dimissioni al Kaiser, ammettendo che «lo spirito bellico di alcune divisioni lascia molto a desiderare». Anche se non accettò le dimissioni di Ludendorff, Guglielmo II rispose con insolito realismo: «Mi sembra che si debba fare un bilancio; siamo sull’orlo dell’insolvenza. La guerra deve finire».  127 Tre giorni dopo Ludendorff

riesaminò la situazione militare, le condizioni dell’esercito e la posizione [degli] alleati [della Germania], e spiegò che non era più possibile costringere il nemico a chiedere la pace con un’offensiva. Una posizione difensiva non poteva quasi certamente raggiungere questo risultato, e perciò la fine della guerra avrebbe dovuto essere ottenuta dalla diplomazia ... La conclusione logica era che i negoziati di pace diventavano essenziali.  128

Se questa era la situazione sia per il comandante de facto della Germania sia per il suo comandante de jure, non c’è da stupirsi che i loro soldati avessero cominciato ad arrendersi o comunque a rinunciare a combattere. Solo il 2 ottobre il Reichstag e l’opinione pubblica tedesca vennero ufficialmente informati che l’alto comando intendeva chiedere un armistizio. Tuttavia, appare evidente che molti soldati semplici avessero compreso già da oltre un mese che i loro comandanti consideravano perduta la guerra.

Oggi, però, appare chiaro che lo stremato e malato Ludendorff ebbe una reazione eccessiva. Proprio come la guerra della Germania era cominciata con un collasso nervoso al vertice (quello di Moltke), allo stesso modo era terminata con un altro, quello di Ludendorff. Stanco e disgustato in seguito al fallimento delle sue offensive, Ludendorff era giunto alla conclusione che l’esercito sarebbe crollato se non fosse riuscito a ottenere un armistizio; ma sembra più probabile che sia stato proprio il suo desiderio di un armistizio a farlo crollare. Haig pensava che l’esercito tedesco fosse «in grado di ritirarsi fino alle sue frontiere e di tenere quella linea».  129 La pensava in questo modo anche Julian Bickersteth, un cappellano dell’esercito con una lunga esperienza al fronte, che il 7 novembre (lo stesso giorno in cui venne firmato l’armistizio) scrisse:

Il nemico sta combattendo con un’intelligente azione di retroguardia e non vedo come possiamo sperare di farlo muovere più rapidamente. Le difficoltà delle nostre comunicazioni man mano che avanziamo sono impressionanti – con i ponti saltati in aria e le strade distrutte, la nostra avanzata è necessariamente molto lenta, e il nemico ha tutto il tempo per arretrare e allestire nuove postazioni di mitragliatrici, che ci infliggono gravi perdite mentre avanziamo ... Tutti noi, tranne forse gli ufficiali di stato maggiore, che non vedono nulla delle battaglie né sanno nulla del morale dei tedeschi, prevediamo almeno altri sei mesi di combattimenti.  130

Fu Ludendorff a vibrare la pugnalata fatale, e lo fece davanti ai tedeschi, non alle loro spalle. Per adattare le parole di Ernst Jünger (sebbene si riferisse a Langemark e intendesse qualcosa di alquanto diverso): «Il tedesco ha incontrato una forza superiore: si è scontrato con se stesso».  131

Se nel novembre del 1918 ci fosse stata un’autentica vittoria alleata, i soldati britannici, americani e francesi avrebbero sfilato in trionfo lungo l’Unter den Linden. Questo, dopotutto, era ciò cui Pershing, Poincaré e molti altri avrebbero voluto assistere. Il principale motivo per cui non accadde fu che Haig, Foch e Pétain dubitavano che i propri eserciti avessero la forza per farlo. Gli Alleati, indubbiamente, avevano sconfitto i bulgari, gli austro-ungarici e i turchi; ma non avevano sconfitto completamente i tedeschi. Anzi, furono le truppe tedesche a marciare su Berlino, in buon ordine, benché alquanto demoralizzate.

Vittoria perduta?

Il 31 maggio 1918 Sir John du Cane, capo della missione britannica presso il quartier generale di Foch, aveva espresso a Sir Maurice Hankey le sue

notevoli apprensioni per il futuro ... Era particolarmente preoccupato dall’idea di avere due milioni e mezzo di ostaggi sul continente nel caso di una sconfitta francese. Riteneva possibile che l’esercito francese fosse sconfitto e tagliato fuori dalle nostre forze, e che il nemico chiedesse come condizione di pace la consegna di tutti i porti da Rouen e Le Havre a Dunkerque; nel caso di un nostro rifiuto, temeva il martellamento senza pietà del nostro esercito da parte dell’intero esercito tedesco. Non credeva di poter sottrarre il nostro esercito a questo destino ed era convinto che, se avessimo voluto proseguire la guerra, avremmo dovuto affrontare la prospettiva di oltre un milione di prigionieri in Francia.  132

Questa non era l’opinione di una solitaria Cassandra. Appena cinque giorni dopo, Sir Maurice Hankey, Sir Henry Wilson e Lord Milner si incontrarono al numero 10 di Downing Street per discutere la «proposta dell’evacuazione di Ypres e Dunkerque» e la «possibilità di ritirare l’intero esercito dalla Francia nel caso che i francesi cedessero». Il 31 luglio l’opinione di Milner era che «non batteremo mai i Boches».  133

Gli eventi dimostrarono che questi giudizi erano troppo pessimistici, ma testimoniano altresì che una vittoria tedesca nella prima guerra mondiale non sembrava una possibilità irrealistica. Le Potenze centrali avevano sconfitto la Serbia nel 1915, la Romania nel 1916 e la Russia nel 1917. Solo per un soffio non avevano sconfitto anche l’Italia. La sconfitta della Francia e della Gran Bretagna nel 1918 sembrava quindi tutt’altro che inconcepibile: dopotutto, nel maggio di quell’anno la Germania era giunta a soli sessantaquattro chilometri da Parigi. E tutto questo era stato ottenuto nonostante un’immensa inferiorità nelle risorse economiche e grazie, innanzitutto, all’eccellente tattica dell’esercito tedesco.

Alla luce delle ormai trite critiche nei confronti della strategia tedesca viene perciò la tentazione di porre un’altra domanda di natura controfattuale. C’erano strategie alternative che la Germania avrebbe potuto adottare dopo lo scoppio della guerra e che avrebbero potuto garantirle la vittoria? Ne vengono in mente alcune.

Alcuni storici hanno sostenuto che il vecchio piano dell’Ostaufmarsch, che puntava inizialmente a concentrarsi sulla sconfitta della Russia nel 1914, sarebbe stato preferibile al Piano Schlieffen. Tuttavia si può anche sostenere che il Piano Schlieffen era stato elaborato non per vincere un Blitzkrieg, ma solo per garantire alla Germania la posizione difensiva più forte possibile nel caso di una guerra prolungata;  134 da questo punto di vista ebbe un certo successo. Bisognerebbe anche ricordare che i tedeschi ottennero enormi successi nell’uccidere i francesi nei primi mesi di guerra. Pochi eserciti nella storia sono sopravvissuti a perdite così spaventose e in così poche settimane.

Più attendibile è la tesi secondo la quale Falkenhayn commise un errore attaccando Verdun: sarebbe stato meglio mantenere una posizione difensiva sul fronte occidentale e concentrarsi sulla Russia. Tuttavia, quando i britannici e i francesi aumentarono la produzione di cannoni e proiettili, la difesa divenne non molto meno costosa dell’attacco. Non è affatto certo che per i tedeschi sarebbe stato meglio restare fermi in attesa che britannici e francesi commettessero un suicidio attaccandoli. Gli storici che mettono in ridicolo il «culto» prebellico dell’offensiva tendono a trascurare il fatto che difendersi, come i tedeschi dovettero fare sulla Somme, era in realtà più demoralizzante che attaccare e non molto meno gravoso in termini di perdite umane.  135 In ogni caso, la vittoria sulla Russia nel 1917-1918 creò almeno altrettanti problemi di quanti ne risolse. Per assicurarsi la massima concentrazione di forze sul fronte occidentale la Germania avrebbe dovuto resistere alla tentazione cui cedette nel 1918: tentare un’espansione su larga scala in Europa orientale.

Allo stesso modo, le argomentazioni contro l’uso della guerra sottomarina illimitata non tengono conto del fatto che senza di essa la Gran Bretagna avrebbe potuto importare ancora più merci e munizioni sull’altra sponda dell’Atlantico. E fu un errore soltanto se si riesce a dimostrare che la Germania non avrebbe potuto vincere la guerra prima che gli americani raggiungessero la Francia con forze sufficienti per garantire la vittoria alleata.

Perciò il problema cruciale potrebbe essere questo: Ludendorff avrebbe dovuto resistere alla tentazione di attaccare nella primavera del 1918? Con il senno di poi, è facile sostenere questa tesi. Ma non c’era nulla di sbagliato nella sua diagnosi dell’11 novembre 1917, in cui affermava che «la nostra situazione complessiva esige che si attacchi al più presto, possibilmente alla fine di febbraio o all’inizio di marzo, prima che gli americani possano far entrare in gioco tutte le loro forze. Dobbiamo sconfiggere i britannici».  136 Nel marzo del 1918 in Francia c’erano appena 287.000 soldati americani e solo tre divisioni si trovavano in prima linea. Nel novembre dello stesso anno ce n’erano 1.944.000. D’altra parte, l’esercito francese si era ridotto da 2.234.000 uomini nel luglio del 1916 a 1.688.000 nell’ottobre del 1918, e anche i tedeschi erano ben al di sotto della loro forza massima. Non c’è dubbio che Ludendorff abbia sbagliato a sferrare l’attacco a sud per separare i britannici dai francesi; forse sarebbe stato più utile lanciare due attacchi convergenti nelle Fiandre e a Péronne. Tuttavia, i veri errori furono commessi dopo che Ludendorff ebbe compreso di non poter annientare completamente la resistenza nemica (5 aprile).

Era quello il momento di abbandonare il Belgio per poter ottenere una pace negoziata, senza lanciare altre offensive.  137 E quando anche queste offensive fallirono (com’era destino che accadesse), Ludendorff non avrebbe dovuto cercare un armistizio con tanta fretta; anziché attaccare a Reims il 15 luglio, i tedeschi avrebbero dovuto ritirarsi fino alla linea di Hindenburg.  138

Infine, fu un errore aderire ai Quattordici punti di Woodrow Wilson, come effettivamente fecero i tedeschi quando si rivolsero al presidente americano affinché ponesse fine alle ostilità. Tanto in patria quanto al fronte il morale si sarebbe quasi certamente rafforzato sapendo che i comandanti militari, gli industriali e i radicalnazionalisti francesi avevano ripetutamente chiesto che il distacco della sponda sinistra del Reno dalla Germania, se non lo smembramento totale del Reich, diventasse un obiettivo bellico della Francia. Questo non era un segreto: simili proposte erano apparse sulle pagine di giornali di destra come l’«Echo de Paris» e «Action Française». In una serie di articoli pubblicati su quest’ultima testata, per esempio, Charles Maurras aveva chiesto lo scioglimento completo del Reich già alla fine del 1916. Le sue proposte erano molto simili al piano elaborato quello stesso anno per Joffre dal colonnello Dupont, che prevedeva non solo il ritorno alla Francia dell’Alsazia-Lorena, ma anche l’annessione del bacino carbonifero della Saar e di due zone del Baden (Kehl e Germersheim). Si chiedevano inoltre il distacco della Renania e la sua trasformazione in un satellite o in un gruppo di satelliti della Francia; l’ampliamento del Belgio, che avrebbe rinunciato allo stato di neutralità per diventare dipendente dalla Francia; lo smembramento della Prussia e la dissoluzione del Reich in nove staterelli. Anche l’Austria-Ungheria doveva essere frantumata. Persino il programma minimale adottato dal governo di Aristide Briand nell’ottobre del 1916 prevedeva la separazione della Renania e la sua neutralizzazione.  139 Non sembrano esserci dubbi che, per impedire tutto questo, molti soldati tedeschi avrebbero continuato a combattere; si rifiutarono invece di continuare a combattere mentre i loro capi cercavano di ottenere un armistizio.

Il grido dei morti: La prima guerra mondiale: il più atroce conflitto di ogni tempo
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