I

I miti del militarismo

Profeti

Si dice spesso che la prima guerra mondiale sia stata provocata dalla cultura; più precisamente, dalla cultura del militarismo. La quale avrebbe creato un’atmosfera così favorevole alla guerra che gli uomini addirittura la bramavano. Alcuni previdero certamente lo scoppio del conflitto; ma è dubbio che fossero in moltissimi a desiderarlo.

Se la prima guerra mondiale fosse stata causata da profezie avveratesi, uno dei primi profeti sarebbe senz’altro Headon Hill, autore del romanzo The Spies of Wight (1899), incentrato sulle sinistre macchinazioni delle spie tedesche ai danni della Gran Bretagna.  1 Fu l’inizio di un’autentica esplosione di romanzi che preannunciavano una futura guerra anglo-tedesca. A New Trafalgar, di Albert Charles Curtis, pubblicato nel 1902, fu uno dei primi a immaginare un fulmineo attacco navale tedesco contro la Gran Bretagna, momentaneamente priva del suo Channel Squadron, lo Squadrone della Manica; fortunatamente, però, la Royal Navy dispone di una nuovissima e formidabile nave da guerra, grazie alla quale ottiene la vittoria.  2 Nel celebre romanzo L’enigma delle sabbie di Erskine Childers, pubblicato nel 1903, gli eroi Carruthers e Davies scoprono inaspettatamente un piano tedesco per mezzo del quale

un enorme numero di chiatte piene di soldati ... avrebbero dovuto uscire fuori simultaneamente da sette sbocchi poco profondi divise in sette squadre e, con la scorta della marina imperiale, attraversare il mare del Nord e lanciarsi con tutto il proprio impeto sulle sponde inglesi.  3

Dopo un’analoga invasione, Jack Montmorency, lo scolaro protagonista del romanzo The Boy Galloper, di Lionel James (pubblicato nel 1903), deve abbandonare la scuola, indossare l’uniforme del corpo dei cadetti e battersi contro i tedeschi.  4 L’invasione tedesca probabilmente più famosa di tutte fu ideata e descritta da William Le Queux nel suo avvincente romanzo The Invasion of 1910, inizialmente pubblicato a puntate sul «Daily Mail» nel 1906, nel quale si immagina un riuscito sbarco in Inghilterra a opera di un esercito tedesco forte di quarantamila uomini, cui fanno seguito spaventose atrocità come «la Battaglia di Royston» e «il Bombardamento di Londra».  5 In When the Eagle Flies Seaward (pubblicato nel 1907) la forza d’invasione era di sessantamila uomini, ma la storia era sostanzialmente la stessa: entrambe terminavano – senza dubbio con gran sollievo dei lettori inglesi – con la sconfitta degli invasori.  6 In The Death Trap (uscito nel 1907), di Robert William Cole, sono i giapponesi a giungere in soccorso dopo lo sbarco delle truppe del Kaiser.  7 Fu soltanto con The Message, di Alec John Dawson, pubblicato anch’esso nel 1907, che si affacciò la prospettiva di una irreparabile débâcle inglese, seguita da occupazione, riparazioni di guerra e perdita di numerose colonie.

Nel libro di Dawson, significativamente, il nemico è non soltanto all’esterno ma anche all’interno; mentre i pacifisti manifestano a Bloomsbury in favore del disarmo, un cameriere tedesco dice al protagonista del romanzo: «Vaire shtrong, sare, ze Sherman Armay».* Poco dopo si scopre che questo cameriere, e migliaia di altri immigrati tedeschi, avevano agito come informatori prima dell’invasione, affinché «l’esercito tedesco potesse conoscere praticamente covone per covone quanto foraggio si trovasse fra Londra e la costa».  8 In A Maker of History, pubblicato nel 1905, Edward Phillips Oppenheim aveva già tratteggiato uno scenario di questo genere. Come spiega il «Capitano X», capo dei servizi segreti tedeschi a Londra:

In questo paese ci sono duecentonovantamila giovani concittadini miei e vostri che hanno prestato servizio e sono in grado di sparare ... Impiegati, camerieri, parrucchieri ... a ognuno è stato assegnato un compito. Le fortezze che sorvegliano la grande città possono essere imprendibili dall’esterno; ma dall’interno, è tutta un’altra storia.  9

Allo stesso modo, in The Enemy in our Midst di Walter Wood, pubblicato nel 1906, c’è un «Comitato tedesco per i preparativi segreti» che opera di nascosto per organizzare un colpo di Stato a Londra. Ci furono numerose variazioni su questo tema; anzi, così tante che l’espressione psicosi delle spie divenne quasi un luogo comune. Nel 1909 uscì il romanzo probabilmente più influente di Le Queux, Spies of the Kaiser, nel quale si immagina l’esistenza di una rete spionistica tedesca in Gran Bretagna.  10 Sempre nel 1909 fu dato alle stampe When England Slept, del capitano Curties: Londra viene occupata con fulminea rapidità da un esercito tedesco penetrato furtivamente all’interno del paese nel corso di parecchie settimane.  11

Queste fantasie, però, non comparivano soltanto nella narrativa più dozzinale. Il viaggiatore e poeta Charles Doughty scrisse alcuni versi curiosamente arcaici su questo tema, soprattutto The Cliffs, nel 1909, e, tre anni più tardi, The Clouds: due opere bizzarre, in cui gli immaginati invasori esprimono le idee di Le Queux in un linguaggio pseudochauceriano.  12 La commedia del maggiore Guy du Maurier, An Englishman’s Home, del 1909, trasponeva sul palcoscenico le medesime fantasticherie.  13 Anche gli studenti dovettero affrontare l’incubo dell’invasione. Nel dicembre del 1913 la rivista «Chums» iniziò a pubblicare un racconto a puntate su un’ennesima imminente guerra anglo-tedesca.  14 Nel 1909, sulla rivista della scuola Aldeburgh Lodge, si immaginava con un certo sarcasmo come sarebbero stati educati i bambini nel 1930, presupponendo che in quel non troppo lontano futuro l’Inghilterra non sarebbe stata altro che «un’isoletta al largo della costa occidentale di Teutonia».  15

Persino Saki (Hector Hugh Munro) – uno dei pochi scrittori popolari di quel periodo tuttora letto con una certa ammirazione – si cimentò in questo genere letterario. In When William Came: A Story of London under the Hohenzollerns, pubblicato nel 1913, il protagonista, Murrey Yeovil, «nato e cresciuto come un membro della razza dominante», appena tornato dalle profondità dell’Asia trova un’Inghilterra sconfitta e «incorporata nell’impero degli Hohenzollern ... come un Reichsland, una sorta di Alsazia-Lorena bagnata dal mare del Nord anziché dal Reno», con tanto di caffè in stile continentale nella «Regentstrasse» e multe immediate per chi calpesta l’erba di Hyde Park.  16 Yeovil desidera opporsi all’occupazione teutonica, ma si ritrova abbandonato dai suoi contemporanei conservatori, che sono fuggiti (insieme a Giorgio V) a Delhi, lasciandosi alle spalle una spregevole schiera di collaborazionisti, tra i quali la stessa moglie di Yeovil, una donna immorale, i suoi amici bohémien, numerosi piccoli burocrati e gli «onnipresenti» ebrei.  17 Bisogna qui osservare la qualità stranamente sopportabile, persino seducente, della conquista tedesca, almeno agli occhi dei britannici più decadenti. Anche Ernest Oldmeadow, nel precedente romanzo North Sea Bubble (pubblicato nel 1906), aveva immaginato i tedeschi impegnati a corteggiare i loro nuovi vassalli con doni natalizi per tutti e alimenti sovvenzionati. Anzi, le peggiori atrocità inflitte dagli occupanti alla Bretagna tedesca di Oldmeadow sono l’introduzione di una dieta a base di salsicce e crauti, la grafia corretta del nome di Händel nei programmi dei concerti e l’autonomia dell’Irlanda.  18

Anche i tedeschi si lanciavano in fantasiose visioni di una futura guerra. In Die Abrechnung mit England (La resa dei conti con l’Inghilterra), pubblicato nel 1900, Karl Eisenhart immagina che la Gran Bretagna, uscita sconfitta dalla guerra contro i boeri, sia attaccata dalla Francia. Gli inglesi impongono un blocco navale, ignorando i diritti della navigazione neutrale; ma proprio questo provoca lo scoppio della guerra tra Inghilterra e Germania. Grazie a un’arma segreta (una corazzata a propulsione elettrica) i tedeschi ottengono la vittoria e, felicissimi, si impadroniscono di parecchie colonie inglesi, compresa Gibilterra.  19 In Der Weltkrieg – Deutsche Träume (La guerra mondiale. Sogni tedeschi), del 1904, August Niemann vede «gli eserciti e le flotte di Germania, Francia e Russia muovere insieme contro il nemico comune [la Gran Bretagna] che con le sue braccia tentacolari avvolge il globo». Le marine di Francia e Germania sconfiggono la Royal Navy e una forza d’invasione sbarca al Firth of Forth.  20 In 100 Jahre deutsche Zukunft (Il futuro della Germania in 100 anni) Max Heinrichka prevede una guerra anglo-tedesca per l’Olanda, che culmina con una nuova invasione tedesca. Come nel racconto di Niemann, la vittoria consente alla Germania di annettersi le regioni migliori dell’Impero britannico.  21 Ma non tutti gli scrittori tedeschi erano altrettanto fiduciosi: in «Sink, Burn, Destroy»: Der Schlag gegen Deutschland («Sink, Burn, Destroy». Il colpo alla Germania), uscito nel 1905, i ruoli sono ribaltati; questa volta è la marina britannica a sconfiggere i tedeschi ed è Amburgo a subire l’invasione inglese.  22

Sulla scorta di questi dati, sarebbe facile sostenere che la prima guerra mondiale sia scoppiata, almeno in parte, proprio perché la gente si aspettava che scoppiasse. In effetti, libri come quelli appena ricordati continuarono a essere pubblicati anche dopo che la profezia si era avverata. Le Queux pubblicò in grande fretta The German Spy: A Present-Day Story alla fine del 1914; la versione cinematografica della Gaumont di The Invasion of 1910, precedentemente bandita dagli schermi, fu ora distribuita con il titolo di If England Were Invaded. Nel 1915 fu pubblicato Hindenburgs Einmarsch in London (L’entrata di Hindenburg a Londra) di Paul Georg Münch, in cui si immaginava il vincitore di Tannenberg a capo di una riuscita invasione attraverso la Manica.  23

Ma questi voli della fantasia devono essere considerati in un contesto più ampio. Non tutti i profeti della guerra si aspettavano che sarebbe scoppiata tra Germania e Gran Bretagna. Anzi, prima dell’inizio del secolo, erano pochissime le opere in cui compariva un nemico tedesco. Con mirabile preveggenza, gli autori di The Great War of 1891, pubblicato nel 1891 sul settimanale illustrato «Black and White», facevano deflagrare la guerra da essi immaginata nei Balcani, in seguito all’assassinio di un membro di una casa reale (un attentato alla vita del principe Ferdinando di Bulgaria, presumibilmente a opera di agenti russi). Quando la Serbia approfitta della situazione per dichiarare guerra alla Bulgaria, l’Austria-Ungheria occupa Belgrado, persuadendo i russi a inviare truppe in Bulgaria. La Germania onora le clausole del trattato mobilitandosi contro la Russia a sostegno dell’Austria-Ungheria; anche la Francia rispetta i propri impegni con la Russia dichiarando guerra alla Germania. La storia però ha una svolta inaspettata. Dopo essere rimasta in un primo tempo in disparte – nonostante la violazione della neutralità belga da parte dei tedeschi – la Gran Bretagna fa sbarcare le proprie truppe a Trebisonda in aiuto della Turchia, inducendo la Francia e la Russia a dichiararle guerra. Seguono un importante scontro fra la marina inglese e quella francese al largo della Sardegna e due brevi ma decisive battaglie nei pressi di Parigi tra l’esercito tedesco e quello francese, la seconda delle quali vinta grazie a un’eroica carica dei francesi.  24 Nel romanzo di Louis Tracy The Final War, uscito nel 1893, Germania e Francia cospirano per impadronirsi dell’Inghilterra; ma nel momento decisivo i tedeschi passano dalla parte degli inglesi ed è Parigi a cadere nelle mani di Lord Roberts: un vero trionfo della potenza anglosassone.  25 Lo stesso Le Queux aveva iniziato la sua carriera di allarmista nelle vesti di francofobo e russofobo e non in quelle di tedescofobo: in The Poisoned Bullett, pubblicato nel 1893, sono i russi e i francesi a invadere l’Inghilterra.  26 Nel successivo England’s Peril: A Story of the Secret Service, il cattivo è «Gaston La Touche», il capo dei servizi segreti francesi.  27

La guerra boera scatenò un’altra ondata analoga di storie antifrancesi: The Campaign of Douai (1899), London’s Peril (1900), The Great French War of 1901, The New Battle of Dorking, The Coming Waterloo e Pro Patria (tutti del 1901) di Max Pemberton. In due di questi romanzi si prospettava un’invasione francese attraverso un tunnel sotto la Manica.  28 In The Invaders di Louis Tracy, pubblicato nel 1901, l’invasione è un’operazione congiunta franco-tedesca.  29 La stessa terrificante combinazione appare in A New Trafalgar (1902) e The Death Trap (1907), sebbene ora i francesi dimostrino una tendenza voluttuosamente perfida a tradire i loro alleati tedeschi. Questo medesimo tema attirò anche gli scrittori francesi, come l’autore di La Guerre avec l’Angleterre (1900).  30

Ci sono analoghe variazioni nella letteratura profetica tedesca. Rudolf Martin, nella sua bizzarria fantascientifica intitolata Berlin-Baghdad, uscita nel 1907, descriveva «l’impero mondiale tedesco nell’epoca dei viaggi aerei, 1910-1931»; ma in questo caso il conflitto fondamentale è tra la Germania e una Russia postrivoluzionaria. Un ultimatum all’Inghilterra – prima della completa unificazione dell’Europa sotto il dominio tedesco – viene recepito come una sorta di ripensamento ed è subito dimenticato non appena i russi lanciano un attacco aereo sull’India.  31

Bisogna comunque osservare che molti contemporanei consideravano assolutamente ridicoli gli allarmisti più accaniti. Nel 1910 Charles Lowe, ex corrispondente del «Times» a Berlino, aveva lanciato i propri strali contro libri come Spies of the Kaiser di Le Queux, non perché non credesse che lo stato maggiore generale tedesco inviasse agenti a raccogliere informazioni in Inghilterra e in altri paesi potenzialmente nemici, ma perché le prove addotte da scrittori come Le Queux avevano ben poca consistenza.  32 Nel 1908 «Punch» pubblicò una spietata parodia del colonnello Mark Lockwood, uno dei più turbolenti maniaci delle spie alla Camera dei Comuni.  33 Un anno più tardi Alan Alexander Milne prese spiritosamente in giro Le Queux in The Secret of the Army Aeroplane, pubblicato anch’esso su «Punch»:

«Raccontaci tutto, Ray», insistette Vera Vallance, la bella figlia dai capelli biondi dell’ammiraglio Sir Charles Vallance, con la quale era fidanzato.
«Beh, cara, si tratta semplicemento di questo», rispose Ray, lanciandole uno sguardo affettuoso. «Martedì scorso un uomo con i baffi spazzolati nel modo sbagliato è sceso alla stazione di Basingstoke e ha chiesto dove fosse il ristorante. Questo mi ha indotto a pensare che fosse in atto un vile tentativo di togliere la supremazia aerea dalle nostre mani.»
«E persino davanti a tutto ciò il governo insiste a negare l’attività di spie tedesche in Inghilterra!», esclamai amareggiato.  34

Probabilmente la satira più brillante di tutte è The Swoop! Or, How Clarence Saved England: A Tale of the Great Invasion, di Pelham Grenville Wodehouse, pubblicata nel 1909, una splendida reductio ad absurdum in cui il paese viene contemporaneamente invaso (il primo lunedì di agosto) dai tedeschi, dai russi, dagli svizzeri, dai cinesi, dai monegaschi, dai marocchini e dal «Mullah pazzo». Qui l’idea di un’invasione tedesca è ormai diventata un luogo comune così frequente che sulla locandina di un’edicola si può leggere:

IL SURREY NEI GUAI
L’ESERCITO TEDESCO SBARCA IN INGHILTERRA

Sfogliando freneticamente il giornale in cerca della pagina delle ultime notizie, il boy-scout protagonista del romanzo di Woodehouse trova il fatale annuncio inserito in modo quasi invisibile tra i punteggi del cricket e i risultati delle ultime corse: «Fry non eliminato, 104. Surrey 147 a 8. Un esercito tedesco è sbarcato nell’Essex questo pomeriggio. Corsa a handicap a Loanshire: Primo, Spring Chicken; Secondo, Salome; Terzo, Yip-i-addy. Hanno corso sette cavalli».  35 Le undici vignette di Heath Robinson sulle spie tedesche in The Sketch (1910) sono quasi altrettanto divertenti: raffigurano i tedeschi travestiti da uccelli, appesi agli alberi di Epping Forest, o in costume da bagno mentre assaltano la spiaggia di Yarmouth, e persino camuffati da statue nella galleria greco-romana del British Museum.  36

Anche i tedeschi non potevano fare a meno di notare l’assurdità delle profezie di guerra. C’è una mappa del mondo nel 1907, dichiaratamente umoristica, in cui l’Impero britannico è ridotto all’Islanda, mentre tutto il resto – compresa persino la «Kgl. Preuss. Reg. Bez. Grossbritannien» – appartiene alla Germania.  37 In Vademecum für Phantasiestrategen (Guida per strateghi fantasiosi), pubblicato nel 1908, Carl Siwinna smaschera, in modo piuttosto tortuoso ma comunque efficace, i profeti di guerra di entrambe le sponde della Manica.  38

I più bellicosi profeti di guerra devono essere messi a confronto innanzitutto con gli scrittori che, con notevole perspicacia, avevano previsto che un grande conflitto europeo si sarebbe rivelato un disastro. La guerra nell’aria, di H.G. Wells, uscito nel 1908, a differenza del suo equivalente tedesco – scritto da Rudolf Martin – presenta un’apocalisse aviotrasportata, in cui la civiltà europea viene fatta «saltare» da bombardamenti aerei, che lasciano soltanto «rovine e cadaveri non sepolti, e pochi sopravvissuti inscheletriti e macilenti in uno stato di mortale apatia».  39 Secondo uno dei libri inglesi più influenti sul tema di un conflitto futuro, le conseguenze sul piano economico sarebbero state talmente nefaste che lo scoppio di una guerra risultava praticamente impossibile; questo, almeno, fu il modo in cui molti lettori interpretarono La grande illusione di Norman Angell (si veda infra).

A ogni modo, non tutti i profeti di guerra tedeschi erano irrimediabilmente «falchi». In Der Zusammenbruch der alten Welt (Il crollo del vecchio mondo), pubblicato nel 1906, «Seestern», cioè Ferdinand Grauthoff, direttore dei «Leipziger Neuesten Nachrichten», immaginava che uno scontro circoscritto fra Gran Bretagna e Germania per una disputa coloniale su Samoa avrebbe potuto provocare «distruzioni e rovine» e l’«annientamento» della «civiltà pacifica». In rappresaglia per la lite su Samoa la Royal Navy attacca Cuxhaven, scatenando in questo modo una guerra europea su scala globale. Il romanzo termina con una lungimirante profezia (che, cosa particolarmente interessante, è pronunciata dall’ex premier conservatore Arthur Balfour):

IL DESTINO DEL MONDO NON STA PIÙ NELLE MANI DELLE DUE POTENZE NAVALI DI STIRPE GERMANICA; NON APPARTIENE PIÙ ALLA GRAN BRETAGNA E ALLA GERMANIA; ora, sulla terraferma, è nelle mani della Russia, e sul mare in quelle degli Stati Uniti d’America. San Pietroburgo e Washington hanno preso il posto di Berlino e Londra.  40

Sulla medesima linea d’onda, in Die «Offensiv-Invasion» gegen England: Eine Phantasie (L’invasione-offensiva dell’Inghilterra: una fantasia) del 1907, Karl Bleibtreu prevedeva un attacco navale dei tedeschi contro le basi navali inglesi, che alla fine risultava disastroso (un rovesciamento del «complesso di Copenaghen» su un analogo attacco inglese, che tormentava la mente degli strateghi navali tedeschi).  41 Malgrado le pesanti perdite inflitte, i tedeschi non riescono a reggere al blocco navale inglese: il risultato è ancora una volta l’indebolimento di entrambi gli schieramenti. Perciò «ogni guerra europea poteva giovare soltanto agli altri continenti del mondo ... Una guerra navale tra inglesi e tedeschi sarebbe stata l’inizio della fine – il collasso dell’Impero britannico e il crollo della supremazia europea in Asia e in Africa. Solo una solida alleanza tra le due grandi razze germaniche può salvare l’Europa».  42 Tanto Grauthoff quanto Bleibtreu concludono le proprie opere con un accorato e davvero attuale appello all’unità europea.

Indubbiamente, il fatto che così tanti autori, anche molto diversi tra loro, abbiano avvertito la necessità di concepire un qualche tipo di guerra futura, ci porta a concludere che un conflitto fosse effettivamente assai probabile nel secondo decennio del XX secolo. Bisogna tuttavia osservare che nessuno degli autori di cui abbiamo parlato ha saputo prevedere come sarebbe stata realmente la guerra del 1914-1918. Come vedremo, l’idea di un’invasione tedesca dell’Inghilterra, lo scenario più popolare, era completamente avulsa dalla realtà strategica. Il 90 per cento della narrativa di guerra rivelava una profonda ignoranza dei limiti tecnici che avrebbero ostacolato gli eserciti, le marine e le forze aeree di tutti i paesi europei. In effetti, possiamo affermare che soltanto un numero estremamente limitato di scrittori prebellici abbia previsto con un accettabile margine di accuratezza come sarebbe stata la guerra.

Uno di questi fu Friedrich Engels, che nel 1887 preannunciava

una guerra mondiale di estensione e intensità mai viste prima, se il sistema di reciproco rilancio degli armamenti, portato all’estremo, darà finalmente i suoi frutti ... Da otto a dieci milioni di soldati si massacreranno gli uni con gli altri e spoglieranno l’Europa come nessuno sciame di locuste ha mai fatto prima. Le devastazioni della guerra dei Trent’anni condensate in tre o quattro anni e sparse su tutto il continente: carestie, epidemie, imbarbarimento generale di eserciti e masse, provocato dalla mera disperazione; caos assoluto negli scambi, nell’industria e nel commercio, il cui esito è la bancarotta generale; crollo dei vecchi Stati e del loro tradizionale discernimento in un modo tale che le corone rotoleranno a dozzine nei canali di scolo e non ci sarà nessuno a raccoglierle; assoluta impossibilità di prevedere come finirà tutto questo e chi saranno i vincitori di questa lotta; solo un risultato assolutamente certo: esaurimento delle risorse e creazione di una situazione favorevole alla vittoria finale della classe operaia.  43

Tre anni dopo, nel suo ultimo discorso al Reichstag, Helmuth von Moltke, l’ex capo di stato maggiore generale dell’esercito prussiano, evocò una conflagrazione alquanto simile:

L’epoca della guerra di cancelleria è alle nostre spalle – quello che ora ci rimane è soltanto una guerra di popolo ... Signori, se la guerra che è rimasta sospesa sopra le nostre teste per più di dieci anni come una spada di Damocle – se questa guerra scoppierà veramente, non sarà possibile prevederne la durata e la fine. Le maggiori potenze europee, armate come non lo sono mai state prima, entreranno in battaglia l’una contro l’altra. Nessuna di esse può essere colpita in una o due campagne in modo così decisivo da ammettere la propria sconfitta, essere costretta a concludere la pace nelle condizioni più dure e non tornare, appena un anno più tardi, a riprendere la lotta. Signori, potrà essere una guerra di sette anni o di tren’anni – e guai a colui che darà fuoco all’Europa, che per primo accenderà la miccia sotto il barile della polvere da sparo.  44

La più dettagliata di queste accurate previsioni di guerra fu scritta da un uomo che non era né un socialista né un soldato. Nel suo Is War Now Impossible? (1899), versione inglese ridotta e dal titolo piuttosto fuorviante del suo monumentale studio in sei volumi, il finanziere di Varsavia Ivan Stanislavovič Bloch sosteneva che una guerra in Europa sarebbe stata senza precedenti per ampiezza e potenza distruttiva in virtù delle seguenti tre ragioni.  45 In primo luogo la tecnologia militare aveva trasformato la natura della guerra in un modo che escludeva la possibilità di una rapida vittoria per chi avesse intrapreso l’offensiva. «I giorni della baionetta erano finiti»; e anche le cariche della cavalleria erano ormai un ricordo del passato. In conseguenza dell’aumento della rapidità e della precisione del fuoco di fucileria, dell’introduzione della polvere senza fumo, dell’incremento della capacità di penetrazione dei proiettili e della gittata e potenza dei cannoni a retrocarica, le battaglie si sarebbero ormai svolte in un modo diverso dal consueto. Anziché dover affrontare un combattimento corpo a corpo, i soldati colti in campo aperto «sarebbero semplicemente morti senza avere visto né sentito niente». Per questo motivo «la prossima guerra ... sarebbe stata una grande guerra di trincea». Secondo i meticolosi calcoli di Bloch, cento uomini assiepati in una trincea sarebbero stati in grado di annientare una forza attaccante quattro volte più numerosa, mentre quest’ultima cercava di attraversare una «zona di fuoco» larga appena trecento metri. In secondo luogo l’accresciuta dimensione degli eserciti europei significava automaticamente che qualsiasi guerra avrebbe coinvolto almeno dieci milioni di uomini, con combattimenti «sparsi su un fronte enorme». Pertanto, anche se ci fosse stato un elevato tasso di mortalità (specialmente tra gli ufficiali), «la prossima guerra sarebbe stata una guerra di lunga durata».  46 In terzo luogo e come diretta conseguenza, i fattori economici sarebbero risultati «gli elementi dominanti e decisivi». La guerra avrebbe determinato «il totale dislocamento di tutte le industrie e l’interruzione di tutte le fonti di rifornimento ... Il futuro della guerra non sono i combattimenti ma la carestia, non il massacro di uomini ma la bancarotta delle nazioni e la frantumazione dell’intero ordinamento sociale».  47 La disintegrazione delle attività commerciali avrebbe influito negativamente sui rifornimenti di quei paesi che dipendevano dall’importazione di grano e di altre derrate alimentari. Si sarebbe inceppato anche il meccanismo della distribuzione. Si sarebbero dovuti affrontare giganteschi oneri finanziari, pesanti carenze di manodopera e una grave instabilità sociale.

Erano previsioni estremamente acute, soprattutto se le si paragona alle sciocchezze scritte dagli allarmisti. Ma lo stesso Bloch si sbagliava in alcuni punti particolarmente importanti, per esempio quando sosteneva che la guerra sarebbe scoppiata tra russi e francesi da una parte e Germania, Austria-Ungheria e Italia dall’altra, sebbene questo errore nel 1899 fosse più che comprensibile. E si sbagliava anche quando affermava che «il cittadino non è assolutamente capace di trascorrere le notti all’addiaccio e all’aperto come fa il contadino» e che, proprio per questa ragione, oltre che per la sua autosufficienza agricola, «la Russia sarebbe stata in grado di sopportare una guerra meglio di nazioni con una più complessa struttura organizzativa».  48 Bloch sopravvalutava altresì i vantaggi della potenza navale inglese. A suo giudizio, una marina più piccola di quella inglese «non serviva a niente ... Una marina che non possieda la supremazia è soltanto un ostaggio nelle mani della potenza che ha quella supremazia». Questo collocava la Gran Bretagna «in una categoria differente rispetto a tutte le altre nazioni».  49 A rigor di logica, ciò sembra in contrasto con quanto Bloch affermava a proposito di un probabile stallo sulla terraferma. Dopotutto, se una potenza era in grado di esercitare un dominio incontrastato sul mare, non poteva ottenere qualcosa di analogo anche sulla terraferma? Inoltre, che cosa poteva impedire a un’altra potenza di allestire una marina abbastanza forte da sfidare quella dell’Inghilterra? E naturalmente, anche se aveva ragione quando affermava che una guerra europea sarebbe stata spaventosa, Bloch si sbagliava nel credere che questo l’avrebbe resa economicamente e socialmente insostenibile. La conclusione che traeva dal suo studio era in fin dei conti troppo ottimista:

La guerra in cui grandi nazioni armate fino ai denti si lanciano con tutte le proprie forze in una lotta per la vita o la morte è la guerra che ogni giorno diventa sempre più impossibile. Una guerra fra la Triplice alleanza [Germania, Austria e Italia] e l’alleanza franco-russa è diventata assolutamente impossibile ... Le dimensioni degli armamenti moderni e l’organizzazione della società hanno reso la sua prosecuzione economicamente impossibile e se si facesse qualche tentativo per dimostrare l’inesattezza della mia affermazione esaminando l’intera questione su una più vasta scala, si finirebbe per scoprire che l’inevitabile risultato è una catastrofe che annienterebbe tutte le attuali organizzazioni politiche. Perciò la grande guerra non si può fare e qualsiasi tentativo di farla equivarrebbe a un suicidio.  50

Per onestà nei confronti di Bloch – che talvolta è considerato a torto un ingenuo idealista – bisogna ricordare che vi aggiunse una postilla fondamentale: «Non nego ... la possibilità che le nazioni si gettino tutte insieme in una spaventosa serie di catastrofi che probabilmente porterebbe al rovesciamento di tutti i governi civili e ordinati».  51 (È davvero una grande ironia che l’opera ottenesse l’appoggio più deciso proprio dal governo russo; a quanto pare, Nicola II, leggendo «il libro di un banchiere di Varsavia chiamato Bloch», ebbe l’ispirazione per il suo «Appello ai governanti» del 1898 e per la successiva conferenza di pace dell’Aia.)  52 Il principale errore di Bloch consisteva nel trascurare il fatto che era molto improbabile che simili rivoluzioni avvenissero contemporaneamente in tutti gli Stati belligeranti. Lo schieramento che fosse riuscito a rinviare più a lungo il collasso sociale avrebbe vinto. Per questa ragione, se fosse scoppiata una guerra, vi sarebbe stato uno stimolo a continuarla nella speranza che lo schieramento avversario sarebbe crollato per primo. E questo, come vedremo, fu sostanzialmente ciò che avvenne dopo il 1914.

Scribacchini e agenti segreti

Chi provava a delineare il quadro di una guerra futura aveva di solito due obiettivi in mente: vendere più copie del libro (o dei giornali che lo pubblicavano a puntate) e promuovere una determinata opinione politica. Così le fantasie paranoiche di William Le Queux facevano il gioco di proprietari di giornali come Lord Northcliffe (il quale ritoccò il percorso della sua immaginosa invasione tedesca in modo che passasse attraverso città con un bacino potenzialmente vasto di lettori del «Daily Mail») e D.C. Thompson (il quale pubblico Spies of the Kaiser sul suo «Weekly News», facendolo precedere da un trafiletto in cui si offrivano dieci sterline ai lettori per ogni informazione su «spie straniere in Gran Bretagna»).  53 «Che cosa fa vendere un giornale?», fu chiesto una volta a uno dei direttori di Northcliffe. Questi replicò:

La prima risposta è «guerra». La guerra produce non soltanto una gran massa di notizie, ma anche la richiesta di notizie. Il fascino della guerra e di tutto quanto le è collegato è talmente profondo e radicato che un giornale non deve fare altro che pubblicare sulle proprie locandine «Grande Battaglia» per vedere aumentare immediatamente le vendite.  54

Dopo la guerra anglo-boera si ebbe una penuria di autentici conflitti capaci di interessare i lettori britannici. Le Queux e i suoi colleghi fornivano alla stampa sostituti inventati. (Non si può non provare una certa simpatia per il funzionario tedesco che rifiutò di rilasciare un passaporto a un corrispondente del «Daily Mail» a Berlino nel 1914 «perché riteneva che avesse contribuito in maniera decisiva a determinare la guerra».)  55

Gli allarmisti servirono anche per sostenere l’obiettivo politico di una riforma dell’esercito. Le Queux, in The Invasion of 1910, proponeva esplicitamente un sistema di reclutamento a livello nazionale, in nome del quale il feldmaresciallo Lord Roberts era arrivato persino a rassegnare le dimissioni dal proprio incarico. «Tutta la gente si rammaricava che i solenni avvertimenti lanciati da Lord Roberts nel 1906 fossero rimasti inascoltati, perché, se si fosse adottato il suo progetto di coscrizione obbligatoria, non sarebbe mai capitata una catastrofe così spaventosa.» Queste parole erano state scelte con estrema cura; era stato infatti lo stesso Lord Roberts a incoraggiare Le Queux a scrivere il libro.  56 Un’altra figura che subiva il fascino di Le Queux era l’ammiraglio Lord Charles Beresford, che aveva condotto un’analoga campagna contro lo spiegamento della flotta della Manica deciso da Sir John Fisher.  57 Gli allarmisti potevano anche sostenere implicitamente la necessità di restrizioni sull’immigrazione limitandosi a porre sullo stesso piano stranieri e spie. «Ecco quel che succede quando si fa di Londra l’asilo di tutta la feccia straniera della terra», proclama il protagonista di A Maker of History di Oppenheim.  58

Scrittori come Le Queux ebbero un ruolo estremamente importante anche nella creazione dei moderni servizi d’informazione britannici. Si strinse un’alleanza sacrilega tra scribacchini e militari di carriera come il tenente colonnello James Edmonds (in seguito autore della storia ufficiale inglese del fronte occidentale) e il capitano Vernon Kell (il «Maggiore K»). Fu soprattutto grazie alle loro pressioni che venne creato un nuovo servizio di controspionaggio, il «Secret Service Bureau» MO(t) (successivamente MO5[g]), come propaggine dell’MO5, la sezione speciale del Direttorato delle operazioni militari e delle informazioni del ministero della Guerra (oltre che predecessore dell’MI5). Su questa alleanza sacrilega ricade in larga misura anche la responsabilità del fatto che una grande quantità di informazioni prebelliche sulla Germania ottenute dagli inglesi fu distorta dalla fantasia giornalistica e dai pii desideri di questi sedicenti cacciatori di spie.  59

Con ciò non si vuole sostenere che lo spionaggio non esistesse. L’Ammiragliato tedesco disponeva certamente di un certo numero di agenti ai quali era stato affidato il compito di trasmettere informazioni sulla Royal Navy a Berlino. Tra l’agosto del 1911 e lo scoppio della guerra, l’MO5 arrestò una decina di presunte spie, sei delle quali furono condannate a pene detentive.  60 I cacciatori di spie individuarono inoltre una rete di ventidue spie che lavoravano per Gustav Steinhauer, l’ufficiale di marina tedesco al quale era stato affidato il comando delle operazioni di spionaggio in Gran Bretagna. Tutte tranne una furono arrestate il 4 agosto 1914, ma soltanto una di esse fu condotta davanti a un tribunale.  61 Come disse Christopher Andrew, Kell e la sua squadra di undici collaboratori avevano «debellato completamente» la minaccia spionistica tedesca, per quanto si trattasse di una minaccia «di terz’ordine».  62 Altre trentuno presunte spie tedesche furono arrestate tra l’ottobre del 1914 e il settembre del 1917. Di queste, diciannove furono condannate a morte e dieci incarcerate; per trecentocinquantaquattro stranieri fu «raccomandata l’espulsione».  63 Anche la Germania disponeva di una rete di agenti militari che effettuavano controlli dello stesso tipo sui confini occidentale e orientale in cui le truppe tedesche sarebbero state dispiegate in caso di guerra. Questi agenti ebbero un ruolo decisivo nel fornire tempestive informazioni al governo tedesco sulla mobilitazione russa nell’agosto del 1914.  64

D’altra parte, anche la Gran Bretagna aveva le sue spie. Nel 1907 il War Office (il ministero della Guerra) iniziò a effettuare controlli nella zona vicino a Charleroi, in Belgio, dove una forza di spedizione inglese avrebbe potuto essere impegnata nel caso di un conflitto con la Germania.  65 Allo stesso tempo Edmonds stava cercando di organizzare una rete di spie per l’MO5 nella stessa Germania.  66 Fin dal 1910 il comandante George Mansfield Smith-Cumming (un ufficiale di marina in pensione con la passione per le auto veloci e per gli aerei) era stato incaricato ufficialmente dall’MO5 della supervisione delle operazioni di spionaggio all’estero: questa Foreign Section fu l’embrione da cui si sviluppò il Secret Intelligence Service (SIS, in seguito MI6).  67 Nel periodo 1910-1911 il suo agente Max Schultz (un armatore e spedizioniere di Southampton naturalizzato inglese) e quattro informatori tedeschi furono arrestati e imprigionati in Germania. Anche un altro agente, John Herbert-Spottiswood, fu arrestato, e pure due entusiasti ufficiali non agli ordini dell’MO5, che avevano deciso di propria iniziativa di ispezionare le difese costiere tedesche durante un periodo di licenza, nonché un avvocato mezzo matto, ex allievo di Eton, che aveva tentato senza successo di diventare agente doppiogiochista.  68 C’erano spie inglesi anche a Rotterdam, Bruxelles e San Pietroburgo.  69 Purtroppo gli archivi della Foreign Section sono inaccessibili, e quindi risulta difficile sapere con certezza quanto fosse bene informata la Gran Bretagna sui piani di guerra tedeschi. (Non molto, comunque, se si tiene presente che nel 1914 la BEF, la Forza di spedizione britannica, ebbe grandi difficoltà a scovare il nemico.) In realtà, sembra che la maggior parte delle informazioni raccolte dagli agenti inglesi si riferisse ai sommergibili e agli Zeppelin. A ogni modo – e si tratta di una grave negligenza – nessuno considerò importante (o almeno interessante) cercare di decifrare i codici in cui erano trasmessi i segnali militari stranieri.

Il punto cruciale, però, riguarda la serietà con cui diversi importanti funzionari e ministri inglesi accolsero le affermazioni degli allarmisti. In un rapporto presentato al Comitato di difesa imperiale (CID) nel 1903, il colonnello William Robertson, del Dipartimento informazioni del ministero della Guerra, sosteneva che, in caso di conflitto con la Gran Bretagna,

per la Germania la migliore, se non la sola, possibilità di indirizzare il conflitto verso una conclusione favorevole sarebbe stata quella di sferrare un attacco al cuore dell’Impero britannico prima che la marina inglese potesse dispiegare tutta la propria potenza e costringerla così sulla difensiva, imponendo un blocco alla sua flotta, distruggendo il traffico di linea e rendendo di conseguenza inutile il suo enorme esercito.

Sebbene riconoscesse che «le invasioni oltremare sono imprese estremamente difficili in qualsiasi circostanza; che il nemico risulterebbe con ogni probabilità avvertito, visto che non potrebbe rimanere completamente ignaro dei preparativi iniziali; e che, anche se avesse attraversato il mare in sicurezza, una forza d’invasione si sarebbe alla fine trovata senza linee di comunicazione», Robertson riteneva che i tedeschi sarebbero riusciti a sbarcare «sulla costa orientale dell’Inghilterra una forza composta da centocinquantamila a trecentomila uomini».

La forza d’invasione, una volta sbarcata, potrebbe sostentarsi con le risorse del paese e rimanere senza rifornimenti per diverse settimane. Nel frattempo potrebbe fare affidamento sull’effetto prodotto sul morale della densa popolazione inglese, e il colpo assestato alla credibilità del paese potrebbe portare, se non alla sottomissione completa, perlomeno a un trattato in virtù del quale l’Inghilterra diventerebbe un satellite tedesco.  70

Nel 1908 persino Edoardo VII temeva che suo cugino, il Kaiser, potesse avere architettato un «piano» per «inviare uno o più corpi d’armata in Inghilterra, proclamando di farlo non come nemico del re, ma in qualità di nipote della regina Vittoria, al fine di liberarla da quella banda di socialisti che sta distruggendo il paese».  71 Importanti funzionari del Foreign Office condividevano questi timori. Il sottosegretario permanente di Stato, Sir Charles Hardinge, Eyre Crowe, di origini tedesche, e lo stesso ministro degli Esteri, Sir Edward Grey, erano convinti che «i tedeschi avessero già esaminato e stessero continuando a esaminare la possibilità di un’invasione».  72

Grey, inoltre, non nutriva il minimo dubbio sul fatto che «un gran numero di ufficiali tedeschi trascorresse le proprie vacanze in questo paese, in varie località sulle coste orientali e meridionali ... con il solo scopo di raccogliere informazioni strategiche sulle nostre coste».  73 Anche Richard Haldane, il ministro della Guerra, iniziò a credervi, sebbene le sue opinioni potessero essere state influenzate dall’incremento del numero delle reclute nella milizia territoriale – una sua creazione – che fece seguito alla prima rappresentazione della commedia An Englishman’s Home di Guy Louis Busson du Maurier.  74 Nonostante il suo predecessore nella carica di primo ministro avesse pubblicamente criticato le affermazioni di Le Queux, nel 1909 Herbert Henry Asquith creò un sottocomitato speciale del Comitato di difesa imperiale cui affidò il compito di indagare sulle numerose voci di spionaggio straniero, tanto quelle diffuse dallo stesso Le Queux quanto quelle riferite da altri. Fu proprio sulla base del rapporto segreto stilato da questo sottocomitato che si decise di creare l’MO(t).  75 Per citare le parole del rapporto: «Le prove addotte non lasciano nei membri del sottocomitato il minimo dubbio sul fatto che nel paese esista un esteso sistema di spionaggio tedesco».  76 Nel luglio del 1911, durante la seconda crisi marocchina, Winston Churchill, in qualità di segretario agli Interni, ordinò che i depositi di munizioni della marina attorno a Londra venissero sorvegliati dai soldati, temendo che «venti tedeschi pronti a tutto ... potessero penetrarvi una notte armati di tutto punto».  77 In realtà, non sembra che vi fossero in Gran Bretagna agenti dell’esercito tedesco (diversamente da quelli della marina), nonostante gli sforzi profusi da Kell e dai suoi colleghi per scovare la temuta orda.  78 In ogni caso, la maggior parte delle informazioni che secondo i sospetti di Le Queux e dei suoi compagni le spie tedesche cercavano di procurarsi era già disponibile, a modico prezzo, sotto forma di mappe dell’Istituto cartografico e dell’Ammiragliato. Nel periodo immediatamente successivo allo scoppio della guerra furono indagati circa ottomila stranieri sospetti, sulla base di un elenco di 28.830 immigrati redatto nell’aprile precedente; ma apparve subito evidente che non erano controllati da organizzazioni militari.  79 Nel dicembre del 1914 il segretario del Comitato di difesa imperiale, Maurice Hankey, ammoniva che «venticinquemila tedeschi e austriaci perfettamente addestrati e ancora liberi di girare indisturbati per Londra» avrebbero potuto «assalire e tramortire simultaneamente la maggior parte dei ministri di gabinetto».  80 Ma questo esercito segreto non si materializzò mai. Altrettanto aleatorie furono le ricerche di piazzole di cemento nascoste, sulle quali, a quanto si diceva, i tedeschi avrebbero potuto collocare i propri potenti pezzi d’artiglieria d’assedio.

Anche in Germania gli scrittori di guerra pubblicavano i propri libri spinti da motivazioni sia commerciali sia politiche. Un esempio classico è offerto dal generale Friedrich von Bernhardi, il cui libro Deutschland und der nächste Krieg (La Germania e la prossima guerra), del 1912, contribuì in modo decisivo ad alimentare le preoccupazioni inglesi sulle intenzioni dei tedeschi. Bernhardi, un ex generale di cavalleria che aveva lavorato presso la sezione storica del grande stato maggiore generale prima di ritirarsi prematuramente dalla carriera militare, aveva stretti rapporti con August Keim, leader della Lega dell’esercito tedesco, una lobby che sosteneva l’aumento delle dimensioni dell’esercito. Spesso citato come un testo classico del militarismo prussiano, il suo libro deve essere invece considerato un libello propagandistico della Lega, nel quale si attaccavano non solo il pacifismo e l’antimilitarismo della sinistra, ma anche la codardia mostrata dal governo tedesco durante la seconda crisi marocchina e – cosa ancora più importante – le tesi sostenute dai conservatori all’interno della casta militare prussiana, tutte a favore del mantenimento di un esercito di più esigue dimensioni.  81

La politica del militarismo

Tuttavia, il fatto più significativo è che sia in Inghilterra sia in Germania i sostenitori di una maggiore preparazione militare godevano solo di un limitato successo, e non erano chiaramente riusciti a conquistare l’appoggio della maggioranza degli elettori. In Gran Bretagna le argomentazioni in favore del miglioramento dell’«efficienza nazionale» avevano indubbiamente suscitato un vasto interesse in tutto il panorama politico dopo gli imbarazzi provocati dalla guerra boera.  82 Ma quando si fecero proposte concrete per migliorare la preparazione militare inglese – come, per esempio, la coscrizione –, esse si rivelarono politicamente poco popolari. Nel 1912, nel momento della sua massima estensione, la National Service League, fondata da George Shee, poteva contare su 98.931 membri più altri 218.513 «sostenitori» (che pagavano un solo penny). Appena il 2,7 per cento della popolazione maschile di età compresa fra i quindici e i quarantanove anni faceva parte della Volunteer Force.  83 Nel 1913 i boy-scout di Baden-Powell avevano 150.000 membri effettivi, vale a dire una minuscola percentuale della gioventù maschile del paese.  84 La coscrizione era sostenuta da una singolare combinazione di ufficiali in congedo di anzianità, giornalisti e membri del clero (come il vicario di Hampshire, che fece circolare tra i suoi duemila parrocchiani un pamphlet intitolato Religious Thought and National Service). Come ha riconosciuto Anne Summers, le numerose leghe patriottiche non avevano in sostanza «alcuna presenza elettorale».  85 Neppure i spesso citati festeggiamenti celebrati in occasione della liberazione di Mafeking durante la guerra contro i boeri dovrebbero essere considerati una prova inconfutabile della diffusione di un sentimento «sciovinista» nella classe operaia.  86

In Francia il premierato di Raymond Poincaré (gennaio 1912-gennaio 1913) e la sua successiva presidenza furono caratterizzati non soltanto dalle chiacchiere su un réveil national (simbolicamente, fu introdotta una festività nazionale in onore di Giovanna d’Arco), ma anche da iniziative concrete. Il generale Joseph Joffre divenne capo di stato maggiore generale, un nuovo incarico che gli assegnava il comando supremo dell’esercito in tempo di guerra; venne inoltre approvata una legge che estendeva il periodo di ferma per il servizio militare da due a tre anni. Il Syndicat des Instituteurs (il sindacato degli insegnanti) fu sciolto per avere fornito il proprio appoggio a una società antimilitarista, il Sou du Soldat (la paga del soldato).  87 Non si deve però esagerare la portata di questo revivalismo nazionalistico. Dipendeva non dagli affari esteri, bensì dalla lotta interna sulla riforma elettorale e fiscale, e in particolare dalla necessità di un’improbabile alleanza trasversale contro i radicali sulla questione della rappresentanza proporzionale (introdotta, nonostante l’opposizione dei radicali, nel luglio del 1912). Non ci furono tentativi di annullare il trattato commerciale con la Germania negoziato nel 1911 da Joseph Caillaux, ministro delle Finanze nel governo di Georges Clemenceau. Anzi, fu con l’Italia, e non con la Germania, che Poincaré dovette scontrarsi in seguito a un insignificante incidente navale all’inizio del 1912. Théophile Delcassé, la scelta più ovvia per un premierato in funzione antitedesca, non fu preso in considerazione. In realtà, solo una minoranza di deputati (duecento su seicentocinquantaquattro) può essere effettivamente classificata come sostenitrice del revivalismo nazionalistico; e almeno duecentotrentasei deputati non diedero il proprio sostegno alla legge sui tre anni di ferma.  88

Naturalmente sono state svolte ricerche molto più approfondite sulla destra radicale tedesca, dato che i suoi membri possono essere ritenuti i precursori del nazismo. Gli scritti di Geoff Eley, Roger Chickering e altri studiosi sulla natura delle organizzazioni nazionaliste radicali che sostenevano la corsa agli armamenti prima del 1914 hanno senza dubbio contribuito in modo decisivo a rimettere in discussione l’opinione secondo la quale queste organizzazioni erano semplicemente elementi insignificanti delle élite conservatrici. Anche quando (come nel caso della Lega navale) erano state create con lo specifico obiettivo di fornire un sostegno pubblico alla politica di governo con modalità che si possono legittimamente definire «manipolatorie», queste organizzazioni attirarono sostenitori il cui militarismo era talmente acceso rispetto alle intenzioni ufficiali che giunsero gradualmente a formare una specie di «opposizione nazionale». Secondo Eley, questo era il riflesso della mobilitazione di gruppi rimasti fino ad allora politicamente inattivi, provenienti in gran parte dalla piccola borghesia, un elemento populista che sfidava il predominio dei «notabili» nella vita di società della borghesia.  89 Ed era parte integrante di quella «rifondazione» della destra che, sempre a giudizio di Eley, preannunciava la confluenza postbellica delle tradizionali élite conservatrici, dei radicalnazionalisti, dei gruppi d’interesse economico della piccola borghesia e degli antisemiti in un unico movimento politico: il nazismo.  90 Tuttavia, se si accoglie l’idea che questa pletora di organizzazioni politiche lobbistiche potesse fondersi progressivamente in un’entità sempre più omogenea chiamata «la destra», si rischia di sottovalutare la complessità, persino l’ambiguità, del radicalnazionalismo. Inoltre, identificare la destra radicale con un gruppo sociale specifico – la piccola borghesia – significa ignorare il predominio costante dell’elitario Bildungsbürgertum non soltanto nelle organizzazioni radicalnazionaliste, ma anche nello sviluppo dell’ideologia radicalnazionalista.

Nel loro momento di massima estensione le principali associazioni radicali nazionaliste tedesche contarono 540.000 membri, la maggior parte dei quali (331.900) appartenenti alla Lega navale.  91 Questa cifra, tuttavia, fornisce un’immagine esagerata del livello di partecipazione: alcuni erano infatti membri entusiasti di più di una lega o associazione,  92 mentre altri esistevano solo sulla carta, essendo stati convinti a farne parte semplicemente con una modesta tassa d’iscrizione.  93 La composizione sociale della Lega dell’esercito non conferma la teoria di un movimento di massa piccolo-borghese. Dei ventotto membri del comitato esecutivo della filiale di Stoccarda otto erano ufficiali dell’esercito, altri otto erano funzionari di alto rango e sette erano uomini d’affari; e quando la Lega iniziò a diffondersi nelle città del Brandeburgo, della Sassonia, dei porti anseatici e di altre regioni, continuò ad attrarre «notabili» di questo tipo: burocrati a Posen, accademici a Tubinga, uomini d’affari a Oberhausen.  94 Il quadro non appare diverso nel caso della Lega pangermanica: due terzi dei suoi membri erano infatti persone con un’istruzione di grado universitario.  95

Al contrario, l’unica associazione nazionalista autenticamente «populista», l’Associazione veterani – alla quale si poteva iscrivere chiunque avesse fatto il servizio militare –, era animata da un nazionalismo tutt’altro che radicale. Era la lega tedesca più grande di tutte: nel 1912, con 2,8 milioni di iscritti, superava addirittura il Partito socialdemocratico (SPD), il più grande partito politico d’Europa. Tuttavia, con i suoi ripetuti giuramenti alla corona e le sue parate in occasione della giornata di Sedan, l’Associazione veterani professava un’ideologia profondamente conservatrice. Come disse il ministro degli Interni prussiano nel 1875, rappresentava «uno strumento inestimabile per mantenere un atteggiamento di lealtà ... vivo e solido nelle classi della piccola borghesia».  96 Ma questa non è certo una sorpresa per chi abbia letto Uomo di paglia di Heinrich Mann (pubblicato nel 1918), con il suo pavido antieroe Diederich Hessling.

Un tema interessante, talvolta trascurato, riguarda l’importanza delle forme radicali di protestantesimo nel radicalnazionalismo guglielmino. Nei sermoni protestanti dedicati alla questione della guerra tra il 1870 e il 1914 la «volontà di Dio» (Gottes Fügung) scivolò progressivamente nella «guida di Dio» (Gottes Führung): concetto completamente diverso. È opportuno osservare che il sentimento militarista non era monopolio esclusivo di pastori come Reinhold Seeberg; teologi liberali quali Otto Baumgarten erano sempre pronti a invocare lo Jesu-Patriotismus.  97 Di fronte a una simile concorrenza, i cattolici tedeschi si videro costretti a dimostrare che, per citare le parole di un loro leader, «nessuno può starci davanti quando si tratta di provare il nostro amore per il principe e la madrepatria».  98

Analoghi sentimenti espressi dai fedeli esercitavano una certa influenza. Gran parte della retorica della Lega pangermanica, per esempio, aveva un carattere esplicitamente escatologico. Heinrich Class, uno dei leader più radicali della Lega, proclamò: «La guerra per noi è santa, perché risveglierà tutto ciò che vi è di grande, altruistico e disinteressato nel nostro popolo e purificherà le nostre anime dalle scorie della meschinità egoistica».  99 La Lega dell’esercito era a stragrande maggioranza una lega protestante, fondata sulle enclave protestanti del Württemberg, per la gran parte cattolico, da un uomo che era stato espulso dalla Lega navale per avere attaccato il Centro cattolico. E i radicalnazionalisti non erano i soli a riflettere il tono del protestantesimo dell’epoca. Helmut von Moltke, nipote dell’illustre generale prussiano, si era lasciato coinvolgere, attraverso la moglie e la figlia, dal teosofo Rudolf Steiner, che aveva tratto le proprie teorie in larga misura dal libro dell’Apocalisse (in profondo contrasto con il severo pietismo hutteriano del suo predecessore, il conte Alfred von Schlieffen).  100

E non è certo privo di significato che Schlieffen si compiacesse di firmarsi «Dr. Graf Schlieffen» nella sua corrispondenza con personalità accademiche: molti elementi del militarismo e del radicalnazionalismo prebellici affondavano le proprie radici non soltanto nelle chiese, ma anche nelle università. Ma, naturalmente, non bisogna attribuire a tutto questo un’importanza eccessiva. Gli accademici tedeschi non erano in alcun modo un’omogenea «guardia del corpo della casata degli Hohenzollern»; e i baroni universitari guglielmini che assumevano posizioni radicalnazionaliste persino nelle loro prolusioni inaugurali, come il pangermanico Dietrich Schäfer, rappresentavano un’eccezione.  101 D’altra parte, molte facoltà diedero un contributo decisivo allo sviluppo dell’ideologia radicalnazionalista, non ultima quella di storia. La geopolitica, una branca della geografia e della storia, esercitava un influsso notevole, soprattutto quando dava credito all’idea dell’«accerchiamento». Uno studioso di filosofia come il segretario privato di Bethmann Hollweg, Kurt Riezler, concepiva l’inevitabile «conflitto di potenza tra le nazioni» nei termini della dottrina di Schopenhauer.  102 Per altri pensatori, furono le teorie razziali a offrire una giustificazione per la guerra. L’ammiraglio Georg von Müller sosteneva la necessità di promuovere la «razza tedesca» in opposizione agli slavi e ai cattolici romani, cosa di cui era convinto anche lo stesso Moltke;  103 e furono accademici germanisti a tenere nel 1913 una conferenza sul tema dello «sterminio dei non tedeschi ... e la propagazione della superiorità dell’“essenza germanica”».  104 Fra gli aderenti alla Lega dell’esercito figuravano archeologi e oftalmologi.  105 In sostanza, quando il pangermanico Otto Schmidt-Gibichenfels – in un articolo pubblicato sulla «Political-Anthropological Review» – descriveva la guerra come «un fattore indispensabile di cultura», ne esprimeva perfettamente il significato per l’élite colta tedesca.  106 Quando, durante la guerra, il membro della Lega dell’esercito von Stranz rilasciò la seguente dichiarazione non fece altro che ripetere un luogo comune di questo ambiente: «Per noi non conta se conquistiamo o perdiamo alcune colonie, o se la nostra bilancia commerciale sarà di venti ... o venticinque miliardi ... Ciò che conta davvero è qualcosa di spirituale».  107 Le Considerazioni di un impolitico di Thomas Mann si sarebbero imposte come l’affermazione classica della convinzione che la Germania combatteva per la Kultur contro la Zivilisation tetra, viscida e materialistica dell’Inghilterra.  108

Questo legame ideologico tra la media borghesia colta e il radicalnazionalismo spiega l’elevato rapporto di continuità fra il liberalnazionalismo e il radicalnazionalismo tedeschi.  109 La conferenza inaugurale di Max Weber a Friburgo resta l’appello più celebre a una nuova era di liberalnazionalismo sotto lo stendardo della Weltpolitik.  110 Ma ce ne sono molti altri. Per esempio, gli storici di professione diedero un contributo decisivo alla creazione di una mitologia dell’unificazione che ebbe una straordinaria importanza per i liberalnazionalisti: i sostenitori guglielmini della Mitteleuropa intesa come un’unione doganale dominata dalla Germania – cosa che in seguito divenne uno degli obiettivi bellici ufficiali dei tedeschi – si rifacevano intenzionalmente al ruolo svolto dallo Zollverein prussiano nell’unificazione del paese.  111 In particolare, il Partito liberalnazionalista e la Lega dell’esercito agirono di comune accordo nei dibattiti del 1912 e del 1913 sui disegni di legge relativi all’esercito. Lo stesso August Keim poté sostenere che «le questioni militari non hanno nulla a che fare con la politica di partito», cercando al contempo di reclutare deputati del Reichstag all’interno dei partiti conservatori e tra i liberalnazionalisti. Ma la retorica dell’«impoliticità» era lo strumento privilegiato dei nazionalisti tedeschi, e in pratica Keim aveva maggiori possibilità di successo se collaborava strettamente con il leader liberalnazionalista Ernst Bassermann. Lo slogan di quest’ultimo – «Bismarck continua a vivere nel popolo, ma non nel governo» – ci offre un illuminante spaccato dell’anima liberalnazionale del «nazionalismo radicale»; lo storico Friedrich Meinecke usò un linguaggio molto simile.  112 Nel febbraio del 1913 il liberalnazionalista di Baden-Baden Edmund Rebmann proclamò: «Abbiamo le armi e abbiamo l’intenzione di usarle», se necessario, per ottenere «la stessa cosa che abbiamo ottenuto nel 1870».  113 C’era davvero poco di autenticamente nuovo nel radicalnazionalismo tedesco: la sua base, come negli anni Settanta dell’Ottocento, era formata da notabili delle classi medie e superiori, profondamente legati alla tradizione storica del proprio paese.

Naturalmente c’erano anche coloro che si erano lasciati trasportare dalle proprie passioni rivoluzionarie ben oltre il limite politico consentito del liberalismo tedesco classico. Con inquietante preveggenza, Heinrich Class asseriva che persino una guerra persa sarebbe stata bene accetta, in quanto avrebbe accresciuto «l’attuale frammentazione interna fino al caos completo», consentendo l’intervento della «potente volontà di un dittatore».  114 Perciò non sorprende che qualche membro della Lega dell’esercito sia poi confluito, negli anni Venti, nelle file del Partito nazista.  115 Persino il Kaiser, quando sognava a occhi aperti il potere dittatoriale che non possedeva, aveva come proprio modello Napoleone.  116 Considerata sotto questo punto di vista, la tesi piuttosto audace di Modris Eksteins – secondo cui la prima guerra mondiale fu uno scontro culturale fra una Germania rivoluzionaria e modernista e un’Inghilterra conservatrice – risulta preferibile, malgrado tutte le altre riserve che si possono avere su di essa, alla vecchia opinione secondo cui la guerra fu provocata dalla determinazione della Germania conservatrice a sostenere «l’ideale dinastico ... dello Stato» contro «il principio moderno rivoluzionario e nazionaldemocratico». Ciò risultò vero soltanto nell’ottobre del 1918, quando il presidente Woodrow Wilson rivelò che una rivoluzione tedesca sarebbe stata una condizione imprescindibile per qualsiasi armistizio.  117 E tuttavia dobbiamo chiederci quanto differisse realmente il radicalnazionalismo tedesco da quello degli altri paesi europei prima del 1914. Con buona pace di Eksteins, ci sono ottime ragioni per credere che le somiglianze siano molto maggiori delle differenze.  118

Antimilitarismo

Il pacifismo – il termine fu coniato nel 1901 – fu indubbiamente uno dei movimenti politici dell’inizio del XX secolo che riscosse minor successo.  119 Ma tenere conto esclusivamente di coloro che si definivano pacifisti significa sottovalutare la popolarità dell’antimilitarismo in Europa.

In Gran Bretagna il Partito liberale vinse tre elezioni consecutive nel 1906, nel gennaio del 1910 e nel dicembre dello stesso anno (quest’ultima con l’esplicito appoggio dei laburisti e dei nazionalisti irlandesi), contro un’opposizione conservatrice e unionista dichiaratamente più militarista. La coscienza dei nonconformisti, la fiducia cobdeniana nel libero scambio e nella pace, la predilezione di Gladstone per il diritto internazionale a scapito della Realpolitik, nonché la refrattarietà del Kaiser ad accettare eccessive spese militari e la sua storica avversione nei riguardi di un grande esercito: ecco alcune delle tradizioni liberali che sembravano implicare una politica pacifica, alle quali si potrebbero aggiungere le costanti e assillanti preoccupazioni del partito per l’Irlanda e la riforma parlamentare.  120 A tali preoccupazioni il neoliberalismo del periodo edoardiano aggiunse un ulteriore timore per la ridistribuzione della finanza pubblica e le questioni «sociali», nonché una ricca serie di influenti teorie come quella di Jacob Atkinson Hobson sul rapporto perverso tra interessi finanziari, imperialismo e guerra, o quella di Henry W. Massingham sui rischi della diplomazia segreta e l’ingannevole dottrina dell’equilibrio di potenza. Queste teorie circolavano a dozzine sulla stampa liberale, soprattutto sul «Manchester Guardian», su «Speaker» e su «Nation».  121

Alcuni scrittori liberali erano meno pacifisti di quanto talvolta si creda. Una delle più conosciute espressioni di sentimenti liberali nel periodo antecedente il 1914 è il trattato di Norman Angell La grande illusione (pubblicato per la prima volta con questo titolo nel 1910).  122 A un primo sguardo, il saggio di Angell appare un modello esemplare di argomentazione pacifista. La guerra, asserisce, è economicamente irrazionale: l’onere fiscale degli armamenti è eccessivo, risulta difficile riscuotere indennità dalle potenze sconfitte, «il commercio non può essere distrutto o sottomesso da una potenza militare» e le colonie non sono fonte di profitti fiscali. «Qual è la vera garanzia del buon comportamento di uno Stato nei confronti di un altro?», domanda Angell. «È l’articolata interdipendenza che, non solo in senso economico, ma in ogni possibile senso, fa sì che un’ingiustificabile aggressione di uno Stato nei confronti di un altro abbia una ripercussione negativa sugli interessi dello stesso aggressore.»  123 Per di più, la guerra è irrazionale anche sul piano sociale, perché gli interessi collettivi che uniscono le nazioni sono meno reali di quelli che uniscono le classi:

Il vero conflitto non è tra inglesi e russi, ma tra l’interesse di tutta la gente rispettosa delle leggi – russi e inglesi sullo stesso piano – e l’oppressione, la corruzione e l’incompetenza ... Al fondo di ogni conflitto tra eserciti o governi di Germania e Inghilterra sta ... il conflitto in entrambi gli Stati tra democrazia e autocrazia, o tra socialismo e individualismo, o tra reazione e progresso, in qualsiasi modo le simpatie sociologiche di ciascuno possano classificarli.  124

Angell inoltre mette in discussione la tesi secondo la quale la leva obbligatoria avrebbe potuto in qualche modo contribuire a migliorare la salute morale di una nazione; al contrario, la coscrizione avrebbe significato una «germanizzazione dell’Inghilterra, anche se non fosse sbarcato sulla nostra terra un solo soldato tedesco». Successivamente divenne un ardente sostenitore della Società delle nazioni, poi deputato laburista e vincitore del premio Nobel per la pace nel 1933; tutto ciò ha ulteriormente rafforzato la fama pacifista di La grande illusione.

Ma c’è qualcosa che lascia perplessi. In primo luogo, Angell scrisse il libro mentre era alla direzione del «Continental Daily Mail», giornale dell’ultraallarmista Northcliffe; e una lettura attenta del testo rivela che non è affatto l’innocuo trattato pacifista di popolare memoria. Per esempio, nella prima parte, al secondo capitolo, Angell esamina i «sogni di conquista tedeschi» e conclude che «la conseguenza di una sconfitta delle armate inglesi e dell’invasione dell’Inghilterra» sarebbero «quaranta milioni di persone affamate». Parimenti, nel terzo capitolo l’autore chiede: «Se la Germania si annettesse l’Olanda, chi ne trarrebbe vantaggio: i tedeschi o gli olandesi?»; e nel quarto capitolo pone questa ben ponderata domanda: «Che cosa accadrebbe se un invasore tedesco svuotasse la Banca d’Inghilterra?». Nel sesto capitolo, dopo avere affermato che «l’Inghilterra ... non possiede ... le sue colonie, le quali si autogovernano», e che esse non sono «una fonte di profitti fiscali», Angell si chiede: «La Germania potrebbe sperare di fare meglio? È del tutto inconcepibile che possa combattere per il semplice desiderio di condurre un esperimento così disastroso».  125 In altre parole, ciò che Angell di fatto sostiene è che una sfida militare della Germania alla Gran Bretagna sarebbe stata un’idea irrazionale.

In ogni caso, prosegue Angell, è certamente nell’interesse di tutto il resto del mondo lasciare che l’Impero britannico si mantenga integro. «L’Impero britannico», proclama con tono altezzoso, «è costituito in larga misura da Stati sostanzialmente indipendenti, sul comportamento dei quali non soltanto la Gran Bretagna non esercita alcun controllo, ma ha anche da tempo rinunciato a qualsiasi intenzione di impegnare la forza contro di essi.»  126 Per di più, l’impero è garanzia di «scambi per libero consenso» e quindi incoraggia «l’opera di forze [economiche] più potenti della tirannia del tiranno più spietato che abbia mai regnato con la spada e con il sangue»  127 (le parole di quest’ultima frase sono state scelte con estrema attenzione). Angell rivela il suo più autentico pensiero quando conclude:

È alla pratica e ... all’esperienza inglesi che il mondo guarderà come a una guida in questo campo ... L’estensione del principio di dominio dell’Impero britannico alla società europea nel suo complesso è la soluzione del problema internazionale che questo libro raccomanda. I giorni del progresso imposto con la forza sono finiti; o ci sarà un progresso promosso dalle idee o non ci sarà nessun progresso. E poiché questi principi di collaborazione tra diverse comunità umane sono, in un certo senso, uno sviluppo inglese, è all’Inghilterra che spetta la responsabilità di mettersi alla guida.  128

In altre parole, La grande illusione era un trattato di stampo liberal-imperialista rivolto all’opinione pubblica tedesca. Scritto in un’epoca di considerevole antagonismo anglo-tedesco, provocato dal programma navale germanico e dalla «febbre delle spie», si prefiggeva l’obiettivo di esortare i tedeschi ad abbandonare la propria decisione di sfidare la potenza navale inglese. Senza dubbio (almeno a giudicare dalla sua duratura reputazione di saggio pacifista), la tesi centrale del libro – ossia che la Germania non avrebbe potuto sconfiggere l’Inghilterra – era così profondamente mascherata dietro un linguaggio pacifista che passò inosservata a molti lettori. Ma non a tutti. Il visconte Esher – personaggio chiave nel Comitato di difesa imperiale, il cui obiettivo principale (come dichiarò lui stesso nel gennaio del 1911) era «mantenere la schiacciante superiorità della marina imperiale britannica» – accolse con grande entusiasmo le idee di Angell.  129 L’ammiraglio Fisher definì La grande illusione «una manna dal cielo ... E così l’uomo mangiò il cibo dell’angelo».  130 Herbert Wrigley Wilson, figura di spicco tra i giornalisti del «Daily Mail» e suo vicedirettore, colse il nocciolo della questione quando fece osservare beffardamente a Northcliffe: «Molto intelligente, e sarebbe difficile scrivere un libro migliore di questo in difesa della sua specifica tesi; speriamo che riesca a ingannare i tedeschi con maggior successo di quanto ne ha avuto nel convincere me».  131

Più a sinistra, nel Partito laburista, circolava un antimilitarismo più genuino. La commedia di Fenner Brockway The Devil’s Business, scritta nel 1914, anticipava incisivamente la decisione di entrare in guerra presa dal governo Asquith solo pochi mesi più tardi, sebbene raffigurasse il gabinetto di governo come una semplice pedina nelle mani dell’industria internazionale degli armamenti.  132 I «mercanti di morte» erano il bersaglio anche del libro The War of Steel and Gold di Noel Brailsford, uscito nel 1914. All’interno del movimento laburista inglese, Keir Hardie e Ramsay MacDonald facevano parte del gruppo di coloro che sostenevano l’idea di uno sciopero generale come mezzo più adeguato per fermare una guerra imperialista. Allo stesso tempo, la sua ostilità nei confronti della Russia zarista e la sua forte simpatia per i socialdemocratici tedeschi, indussero MacDonald a opporsi tenacemente alla politica estera germanofoba di Grey nel periodo antecedente il 1914. La SPD, dichiarò MacDonald, non aveva «mai votato nulla che potesse consentire al suo governo di rafforzare la marina tedesca»; il partito stava inoltre compiendo «prodigiosi sforzi ... per stabilire un rapporto d’amicizia tra noi e la Germania».  133 Questo tipo di germanofilia era alquanto diffuso tra i fabiani, che consideravano degni di essere imitati non soltanto la SPD, ma anche il sistema di previdenza sociale tedesco. Sidney e Beatrice Webb si accingevano a partire per un viaggio di sei mesi in Germania allo scopo di studiare «gli ultimi sviluppi dell’intervento statale e della collaborazione, dei sindacati e delle organizzazioni professionali tedesche» quando scoppiò la guerra nell’agosto del 1914, dopo avere passato la gran parte del mese di luglio a discutere i meriti della previdenza sociale con George D.H. Cole e un gruppo di ebbri «socialisti gildisti» di Oxford.  134 Nel 1912 George Bernard Shaw, ardente wagneriano, «reclamava a gran voce un’intesa con la Germania», salvo poi cambiare opinione l’anno successivo con una tipica proposta per una triplice alleanza contro la guerra fra Inghilterra, Francia e Germania; o, per essere più precisi, un duplice accordo in base al quale «se la Francia attacca la Germania noi ci uniamo alla Germania per sconfiggere la Francia e se la Germania attacca la Francia noi ci uniamo alla Francia per sconfiggere la Germania».  135

La germanofilia della Gran Bretagna prebellica non prosperava però solo a sinistra. L’appello del conte Harry Kessler per uno scambio di lettere amichevoli tra gli intellettuali inglesi e tedeschi ottenne il sostegno di Thomas Hardy e Edward Elgar sul fronte britannico e di Siegfried Wagner su quello tedesco. Come dimostra questa stessa vicenda, la musica aveva grande importanza: la stagione primaverile del Covent Garden, nel 1914, aveva in cartellone non meno di diciassette rappresentazioni del Parsifal, oltre alla produzione dei Maestri Cantori, del Tristano e Isotta e della Valchiria; nonostante lo scoppio della guerra, i concerti del 1914 continuarono a essere dominati da compositori tedeschi: Beethoven, Mozart, Mendelssohn, Strauss, Liszt e Bach.  136 Numerosi protagonisti della letteratura inglese avevano origini tedesche o addirittura nomi tedeschi: basti pensare a Siegfried Sassoon, Ford Madox Ford (il cui vero nome era Ford Hermann Hueffer) o Robert Ranke Graves, bisnipote dell’illustre storico Leopold von Ranke.  137

Effettivamente, Graves scoprì che a Charterhouse la nazionalità di sua madre era un «reato contro la società» e si sentì costretto a «rifiutare il tedesco che era in me». Al contrario, nelle antiche università circolava una profonda germanofilia. La posizione sulla guerra espressa dal più brillante filosofo di Cambridge, Bertrand Russell, è ben nota; ma l’esperienza della Oxford prebellica è stata spesso poco considerata. Non meno di trecentotrentacinque studenti tedeschi erano stati immatricolati a Oxford tra il 1899 e il 1914, trentatré dei quali nell’ultimo anno di pace e circa un sesto vincitori di borse di studio Rhodes. Tra gli oxoniani tedeschi figuravano i figli del ministro prussiano principe Hohenlohe, del contrammiraglio August von Heeringen e del cancelliere Bethmann Hollweg (Balliol College, classe del 1908). L’esistenza di circoli studenteschi come l’Hanover Club, la German Literary Society e l’Anglo-German Society, che nel 1909 contava trecento membri, è una chiara prova della fiducia che almeno alcuni laureandi britannici riponevano nella Wahlverwandtschaft (affinità elettiva) tra il Geist tedesco e la Kultur oxoniana.  138 La maggior parte dei personaggi insigniti di lauree honoris causa a Oxford nel 1914 erano tedeschi: Richard Strauss, Ludwig Mitteis (il classicista di Dresda), il principe Lichnowsky, ambasciatore, il duca di Sassonia-Coburgo-Gotha e anche il professore di diritto internazionale austriaco Heinrich Lammasch.  139 Nel 1907 lo stesso Kaiser aveva ricevuto un’analoga onorificenza: il ritratto in cui era raffigurata la consegna della laurea honoris causa è stato riappeso alle pareti dell’Examination Schools negli anni Ottanta dopo un lungo e ignominioso periodo in cui è rimasto nascosto in un magazzino.  140

Anche l’elevata percentuale (28 per cento) di studenti tedeschi di Oxford provenienti dalla nobiltà ci ricorda che i legami tra l’alta aristocrazia tedesca e britannica – e in particolare la famiglia reale e i suoi satelliti – erano estremamente stretti. La regina Vittoria, per metà tedesca, aveva sposato il proprio cugino tedesco di nascita, Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha; tra i suoi generi figuravano il Kaiser Federico III, il principe Cristiano dello Schleswig-Holstein ed Enrico di Battenberg; e tra i suoi nipoti il Kaiser Guglielmo II e il principe Enrico di Prussia. Legami dinastici dello stesso genere univano le élite finanziarie dei due paesi: non solo i Rothschild ma anche gli Schröder, gli Huth e i Kleinwort erano illustri famiglie di banchieri della City di origini tedesche. In particolare, i Rothschild mantenevano stretti rapporti con i loro parenti tedeschi. Lord Rothschild aveva sposato una sua parente di Francoforte e il loro figlio Charles si era sposato con un’ungherese.  141

Quanto alla Germania, sebbene il pacifismo avesse solo deboli radici e la socialdemocrazia fosse predisposta all’«integrazione negativa» (mostrasse cioè la tendenza a sottomettersi ai diktat imposti dallo Stato),  142 soltanto una minoranza di tedeschi era militarista e soltanto una minoranza di questi ultimi era anglofoba. Nel 1906 il cancelliere principe Bülow era riuscito con grande abilità a rinviare l’idea di una guerra preventiva fino a quando non «fosse sorta una causa capace di ispirare il popolo tedesco».  143 Un fatto che emerge chiaramente dal cosiddetto «consiglio di guerra» tenuto dal Kaiser nel dicembre del 1912 è che tutti i comandanti militari presenti dubitavano che la Serbia potesse rappresentare una causa di questo genere.  144 Inoltre, alcune ricerche sulle opinioni delle classi popolari del 1914 (considerate in contrapposizione alla media borghese istruita) indicano che i successivi tentativi di sensibilizzare «l’uomo della strada» sugli interessi tedeschi nella questione dei Balcani avevano ottenuto scarso successo.  145 Accanto alla Germania delle leghe radicalnazionaliste c’era «un’altra Germania» (per citare l’espressione di Jack R. Dukes e Joachim Remak), una Germania in cui università di grande prestigio, consigli municipali aperti al pubblico e direttori di giornali indipendenti sembravano invitare a un confronto con l’ultimo paese entrato in guerra, gli Stati Uniti.  146

C’era poi la Germania della classe operaia sindacalizzata, i cui leader erano tra i più severi critici del militarismo in Europa. Non si deve dimenticare che il partito con i maggiori successi elettorali negli anni che precedettero la guerra fu la SPD (che raccolse anche un notevole consenso tra la media borghesia). Rimase continuamente ostile al «militarismo» per tutto il periodo prebellico; anzi, ottenne la sua più eclatante vittoria elettorale nel 1912, facendo la propria campagna contro «il rincaro del pane a causa del militarismo», con una dichiarata allusione al fatto che in Germania l’incremento delle spese per la difesa tendeva a essere finanziato dalle imposte indirette (si veda infra, cap. V). Nel complesso, la SPD raccolse 4.250.000 voti nel 1912 – pari al 34,8 per cento dei voti totali – in confronto al 13,6 per cento dei consensi ottenuti dai liberalnazionalisti, ossia del partito più impegnato in un’aggressiva politica estera e in un aumento delle spese militari. Nessun altro partito riuscì mai a conquistare una simile percentuale di voti nel Secondo Reich.

Karl Liebknecht era, fra tutti i teorici della SPD, uno dei critici più decisi del militarismo. Per Liebknecht il militarismo era una sorta di Giano bifronte: l’esercito tedesco era nel contempo uno strumento per lo sviluppo degli interessi capitalistici all’estero e un mezzo per tenere sotto controllo la classe operaia tedesca, o direttamente con la coercizione o indirettamente attraverso l’indottrinamento militare:

Il militarismo serve a proteggere l’ordinamento sociale prevalente, sostenendo il capitalismo e qualsiasi reazione contro la lotta della classe operaia per la libertà ... Il militarismo prussiano-tedesco è sbocciato in un fiore molto speciale grazie alla peculiare situazione di semiassolutismo e di feudalesimo burocratico che caratterizza la Germania.  147

(Come a dimostrare la validità della sua teoria, Liebknecht fu ucciso dai militari quando cercò di inscenare un colpo di Stato in stile bolscevico a Berlino nel gennaio del 1919.)

Per gli storici il vero problema è che la campagna della SPD contro il militarismo, pur non riuscendo in definitiva a impedire lo scoppio della guerra, ebbe comunque una profonda influenza sull’orientamento degli studi successivi. Paradossalmente, gli antimilitaristi della società guglielmina erano talmente numerosi e rumorosi da spingerci a credere nelle loro proteste contro il militarismo tedesco, facendoci dimenticare che proprio il volume di tali proteste era la prova del contrario. Di conseguenza, oggi esiste una letteratura incredibilmente vasta sul militarismo in Germania, e soltanto una parte di essa riconosce che il termine stesso fu coniato dalla propaganda di sinistra.  148 Ancora nel 1989-1990 gli storici fedeli alla tradizione marxista-leninista sostenevano le tesi di Liebknecht: il militarismo, secondo Reinhold Zilch, era un’espressione del «carattere aggressivo della borghesia, alleata con gli Junker» e con i loro «sforzi reazionari e pericolosi».  149

Nella storiografia non marxista ha esercitato una particolare influenza l’analisi di Eckart Kehr. Sorta di Hobson tedesco, Kehr accolse la tesi prebellica della SPD, secondo la quale nella Germania guglielmina l’alleanza tra Junker e industriali aveva favorito la politica militarista. E aggiungeva due osservazioni: primo, l’aristocrazia prussiana aveva ottenuto il predominio sui suoi alleati di minor consistenza appartenenti al mondo dell’industria e ad altri gruppi borghesi reazionari; secondo (e in questo si avvicinava alle tesi formulate in seguito da Antonio Gramsci), il militarismo era almeno in parte la creazione di istituzioni statali autonome. In altri termini, la sua tesi lasciava sufficiente spazio sia agli interessi personali burocratici e ministeriali sia a quelli di classe. Ma queste caratteristiche non lo distinguevano in modo particolarmente netto dai marxisti ortodossi. Quando si lasciava trasportare dalla sua tesi fondamentale – ossia che tutte le decisioni di politica estera erano subordinate a fattori socioeconomici interni – Kehr era perfettamente in grado di scrivere in un linguaggio ben poco diverso da quello dei marxisti di allora.

Le argomentazioni di Kehr, ben presto dimenticate dagli storici tedeschi dopo la sua prematura scomparsa, furono riprese da Hans-Ulrich Wehler negli anni Sessanta e accolte da Fritz Fischer.  150 Secondo il suo classico testo «in stile Kehr» sulla Germania guglielmina, il militarismo serviva non soltanto a scopi economici (contratti di armamenti per le industrie), ma anche come mezzo estremo nella lotta contro la socialdemocrazia e come terreno d’incontro dello sciovinismo popolare, distogliendo l’attenzione dal sistema politico «antidemocratico» del Reich.  151

Indubbiamente, l’idea che una politica estera aggressiva potesse aiutare il governo del Reich a superare le sue difficoltà politiche interne non era un’invenzione di Kehr (o di Liebknecht), ma una vera e propria strategia governativa. Il ministro prussiano delle Finanze Johannes Miquel e il principe Bülow, predecessore di Bethmann Hollweg alla cancelleria, si erano dati un gran daffare per rafforzare la posizione dei partiti «che sostenevano lo Stato» (i conservatori e i liberalnazionalisti), proprio come aveva già fatto Bismarck prima di loro. E nel 1914 c’era davvero chi credeva che una guerra avrebbe «rafforzato l’ordine e la mentalità patriarcali» e «fermato l’avanzata della democrazia».  152

È però necessaria una precisazione. L’idea che una politica estera aggressiva potesse indebolire la sfida politica interna sferrata dalla sinistra non era affatto un’invenzione della destra tedesca. Era già diventata una sorta di cliché nella Francia di Napoleone III, e all’alba del nuovo secolo rappresentava ormai una giustificazione quasi universale delle politiche imperialiste. Inoltre, fra i politici, i generali, gli Junker e gli industriali tedeschi c’era molta meno sintonia di quanto talvolta si creda.  153 Almeno due deputati liberalnazionalisti di circoscrizioni rurali (Paasche e Dewitz) erano stati costretti a dimettersi dalla Lega dell’esercito su sollecitazione dei loro sostenitori locali della Lega agraria, secondo i quali la richiesta della Lega dell’esercito per un incremento delle forze armate era pericolosamente radicale. Questo illustra un punto importante sul quale torneremo più avanti: l’antimilitarismo circolava persino tra le fila dello stesso conservatorismo prussiano. Né appare una soluzione convincente attribuire le decisioni prese a Potsdam e Berlino nel luglio e nell’agosto del 1914 all’influenza di una «opposizione nazionale» radicale. Come disse Bethmann Hollweg parlando dell’estrema destra, «con questi idioti non si può condurre una politica estera»; era ancora fresco il ricordo della seconda crisi marocchina, quando il ministro degli Esteri Alfred von Kiderlen-Wächter era stato messo in grave imbarazzo dalle richieste esorbitanti della stampa nazionalista radicale.  154

Tabella 1 – Percentuali della popolazione totale con diritto di voto per le camere basse, 1850 e 1900.

 

1850

1900

 
Francia

20

29

 
Prussia/Germania

17

22

 
Inghilterra

4

18

 
Belgio

2

23

 
Serbia

0

23

 
Russia

0

15

 
Romania

0

16

 
Austria

0

21

 
Ungheria

0

6

 
Piemonte/Italia

n.d.

8

 

Nota: Il suffragio universale avrebbe dato il voto a circa il 40-50 per cento della popolazione.
Fonte: R.J. Goldstein, Political Repression in 19th Century Europe, pp. 4-5.

Infine, e cosa ancor più importante, i successivi cancellieri tedeschi erano perfettamente consapevoli che il militarismo poteva essere un’arma a doppio taglio, soprattutto se portava a una guerra. Nel 1908 Bülow aveva detto al principe ereditario:

Oggi nessuna guerra può essere dichiarata se un intero popolo non è convinto che tale guerra sia giusta e necessaria. Una guerra, provocata con leggerezza, anche se fosse combattuta con successo, avrebbe un effetto molto negativo sul paese; e se terminasse con una sconfitta potrebbe causare la stessa caduta della dinastia.  155

Nel giugno del 1914 il suo successore Bethmann Hollweg aveva previsto correttamente che «una guerra mondiale, con le sue inevitabili conseguenze, avrebbe rafforzato enormemente il potere della socialdemocrazia, proprio perché sostenitrice della pace, e avrebbe fatto cadere più di un trono».  156 Entrambi i cancellieri avevano in mente l’esperienza della Russia nel 1905, e l’aveva presente anche il ministro degli Interni russo Pëtr Durnovo, quando, nel febbraio del 1914, aveva così avvertito Nicola II: «Una rivoluzione sociale nella sua forma più estrema risulterà inevitabile se la guerra andrà male».  157

Il militarismo, quindi, non era in alcun modo la forza dominante della politica europea alla vigilia della Grande guerra. Al contrario, appariva in declino sul piano politico, e in larga misura una conseguenza diretta della democratizzazione. La tabella 1 mostra come il diritto di voto fosse stato esteso in tutti i principali paesi nella seconda metà del XIX secolo; alla vigilia della guerra, come si vede nella tabella 2, i partiti socialisti apertamente antimilitaristi erano in ascesa nella maggior parte dei futuri paesi belligeranti.

Tabella 2 – Il voto socialista in alcuni paesi europei alla vigilia della guerra.

Paese

Data

Percentuale di voti

Seggi socialisti

Austria

1911

25,4

  33

Belgio

1912

22,0

  40

Francia

1914

16,8

103

Germania

1912

34,8

110

Italia

1913

17,6

  52

Russia

1912

  n.d.

  24

Inghilterra

1910

  6,4

  42

Fonte: Cook e Paxton, European Political Facts, 1900-1996, pp. 163-267.

In Francia le elezioni dell’aprile 1914 segnarono il ritorno di una maggioranza di sinistra e Poincaré fu costretto a concedere al socialista René Viviani la possibilità di formare un governo. (Sarebbe stato incaricato Caillaux se sua moglie non avesse preso l’inconsueta decisione di uccidere il caporedattore del quotidiano «Le Figaro», Gaston Calmette, per impedire la pubblicazione di alcune lettere che le aveva scritto il marito.) Jean Jaurès, socialista germanofilo, era un politico molto influente. In Russia, uno sciopero di tre settimane nelle officine Putilov di San Pietroburgo, dopo il 18 luglio si era diffuso anche a Riga, Mosca e Tbilisi. Oltre 1,3 milioni di lavoratori – circa il 65 per cento degli operai delle industrie russe – parteciparono agli scioperi del 1914.  158 Anche dove i socialisti non erano particolarmente forti non ci fu una maggioranza militarista: in Belgio il Partito cattolico al potere resistette tenacemente ai tentativi di migliorare la preparazione del paese a una guerra. In nessun’altra nazione, però, la sinistra antimilitarista era altrettanto forte che in Germania, lo Stato che vantava il più democratico diritto di voto di tutta l’Europa. Nondimeno le argomentazioni degli antimilitaristi tedeschi si dimostrarono così tenaci che si possono leggere ancora oggi nei libri di storia, con la perversa conseguenza di spingerci a sottovalutare l’autentica portata dell’antimilitarismo di quell’epoca. I fatti erano indiscutibili: gli europei non stavano marciando verso la guerra, ma voltando le spalle al militarismo.

* La grafia cerca di rendere la difettosa pronuncia inglese del cameriere tedesco e sta per Very strong, sir, the German army, ossia «L’esercito tedesco è molte forte, signore». [N.d.T.]

Il grido dei morti: La prima guerra mondiale: il più atroce conflitto di ogni tempo
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