III

La Gran Bretagna e la guerra delle illusioni

Il perfetto pescatore

Questo era quindi il lascito diplomatico ereditato dai liberali dopo le dimissioni di Balfour nel dicembre del 1905 e la loro schiacciante vittoria nelle successive elezioni. È di fondamentale importanza comprendere che tale lascito non predestinava in alcun modo la Gran Bretagna a combattere la prima guerra mondiale. Senza dubbio definì le priorità diplomatiche britanniche rispetto alle altre potenze nel seguente ordine: Francia, Russia, Germania. Ma non impegnò irrevocabilmente gli inglesi alla difesa della Francia, e tantomeno della Russia, nel caso di un attacco tedesco contro una delle due potenze o contro entrambe. In breve, non rese inevitabile la guerra tra Gran Bretagna e Germania, come temevano alcuni pessimisti (soprattutto Rosebery).  1 Per di più, un governo liberale – in particolare come quello guidato da Sir Henry Campbell-Bannerman – sembrava a prima vista meno propenso del suo predecessore a rompere i rapporti con la Germania o a unirsi con la Francia o la Russia. Indubbiamente, il nuovo gabinetto si era impegnato al fine, per citare le parole di Lloyd George, «di ridurre le gigantesche spese per gli armamenti accumulate dalla sconsideratezza dei nostri predecessori».  2 Ma la legge delle conseguenze non intenzionali si impone con maggiore facilità quando un governo è profondamente diviso al suo interno, come divenne progressivamente il governo liberale.

Già nel settembre del 1905 Asquith, Grey e Haldane si erano accordati per agire di concerto quale corrente della Lega liberale (in realtà imperialista) all’interno della nuova amministrazione, allo scopo di contrastare le tendenze radicali temute, fra gli altri, anche dallo stesso re.  3 La nomina di Grey a ministro degli Esteri fu uno dei primi e più importanti successi di questa corrente.

Sir Edward Grey – terzo baronetto, in seguito visconte Grey di Falloden – di solito è presentato nei libri di storia come una figura tragica. Nel 1908 il direttore del «Daily News», Alfred George Gardiner, lo descrisse con parole rimaste indelebili:

L’inflessibilità della sua mente, non sorretta da vaste conoscenze, da una rapida comprensione degli eventi o da un appassionato interesse per l’umanità, rappresenta un pericolo per il futuro. I suoi scopi sono nobili, il suo onore senza macchia, ma il lento procedere della sua mente e la sua incrollabile fede nell’onestà di coloro sui quali deve contare lo rendono vulnerabile a lasciarsi trascinare su percorsi che un intelletto più immaginoso e un istinto più acuto sarebbe portato a mettere in dubbio o a rifiutare.  4

Avendo confermato in tutto e per tutto i peggiori timori di Gardiner, non sorprende che si sia continuato a giudicare Grey in questo modo. Nel suo ritratto postumo di Grey, Lloyd George scrisse sostanzialmente le stesse cose, ma con più cattiveria: Grey possedeva «una notevole intelligenza ... ma intessuta di luoghi comuni». I suoi discorsi erano «chiari, corretti e ordinati», ma «privi di eleganza linguistica e di profondità di pensiero». «Non aveva la cultura ... la visione, l’immaginazione, l’apertura mentale e quell’elevato coraggio, al limite dell’audacia, che il suo immane compito richiedeva.» Era «un pilota con le mani che tremavano paralizzate dalla paura, incapaci di afferrare i comandi e azionarli con un obiettivo chiaro e deciso ... in attesa che l’opinione pubblica decidesse al posto suo la direzione da prendere».  5 E così il triste verdetto continua a riecheggiare: «Realmente tragico ... nel profondo del suo cuore un filantropo e un uomo di pace»; «un apostolo rigoroso e inflessibile della legge morale, come mai nessun altro prima di lui»; «era in grado di affrontare questioni che avevano soluzioni razionali, ma quando si trovava di fronte all’inspiegabile tendeva a ritirarsi».  6

Senza dubbio c’era un soffio di tragicità in Grey. Meno di due mesi dopo la sua nomina a ministro degli Esteri perse la moglie, alla quale era profondamente legato. La sua frase più celebre era una metafora su una luce che diventa sempre più fioca: per una crudele ironia, lui stesso divenne quasi completamente cieco durante la guerra. Ma queste disgrazie non devono farci dimenticare la chiarezza della sua visione diplomatica prima del conflitto. Nel periodo di isolamento culminato nella crisi di Fashoda, Grey aveva lasciato una traccia profonda sulla scena politica in qualità di sottosegretario parlamentare. Tuttavia, nonostante il suo appoggio alla guerra contro i boeri e i sospetti dei suoi critici sulla stampa radicale, Grey non era affatto un acceso imperialista. Con i radicali condivideva il desiderio di «perseguire una politica europea senza dover allestire e mantenere un grande esercito» e accettò volentieri l’appoggio di gladstoniani come John Morley quando cercò di tenere a freno il governo dell’India.  7 Comunque, questa posizione era semplicemente un corollario della convinzione profonda che aveva raggiunto già nel 1902: ossia che la Gran Bretagna doveva schierarsi contro la Germania. Parlò in questo senso a un incontro del gruppo di discussione interpartitico «Coefficients» nel dicembre del 1902, con grande sgomento di Bertrand Russell.  8 Nel gennaio del 1903 disse al poeta Henry Newbolt: «Sono giunto alla conclusione che la Germania sia la nostra peggior nemica e il nostro maggior pericolo ... Credo che la politica tedesca sia quella di usarci senza aiutarci: tenerci isolati per farci indietreggiare».  9 «Se un governo qualsiasi ci trascina di nuovo nelle rete tedesca», dichiarò al parlamentare liberale Ronald Munro-Ferguson nell’agosto del 1905, «mi opporrò tenacemente e con ogni mezzo.» Due mesi più tardi, alla vigilia del suo ingresso nel governo, ribadì il proprio impegno:

Temo che sia stata diffusa, con un certo successo, da alcune persone interessate a diffonderla, l’impressione che un governo liberale disferebbe gli accordi stipulati con la Francia allo scopo di allinearsi con la Germania. Intendo fare tutto quanto mi è possibile per impedirlo.  10

Due giorni dopo dichiarò al pubblico della City: «Nulla di ciò che facciamo nei nostri rapporti con la Germania è destinato a incrinare i nostri attuali buoni rapporti con la Francia».  11

Fin dall’inizio la germanofobia di Grey e il suo zelante impegno per l’entente con la Francia si scontrò con l’orientamento della maggior parte del gabinetto liberale. Questa spaccatura avrebbe potuto creare problemi molto prima di quanto in effetti avvenne. Ma il primo ministro Campbell-Bannerman aveva una visione almeno parzialmente offuscata della politica estera, mentre Asquith, che gli succedette nell’aprile del 1908, era propenso ad appoggiare la posizione di Grey.  12 Per i suoi ammiratori, Asquith era un vero maestro «nell’arte di mettere un partito contro l’altro»; i suoi critici lo ritenevano invece una «combinazione di straordinarie doti di leadership parlamentare e di un’assoluta incapacità di affrontare i fatti o di prendere una decisione a loro riguardo».  13 In realtà, avevano ragione sia gli uni che gli altri. Un modo per evitare avvenimenti imbarazzanti che avrebbero potuto sbilanciare il partito di maggioranza era limitare la sua conoscenza della politica estera e la sua influenza su di essa; una linea di condotta perfettamente adatta a Grey e ai funzionari anziani del Foreign Office. Era tipico di Grey lamentarsi, come fece nell’ottobre del 1906, dei parlamentari liberali che ora avevano «imparato l’arte di porre domande e sollevare dibattiti, e ci sono così tante cose negli affari esteri che richiamano l’attenzione e che invece avrebbero dovuto essere lasciate da parte». Quando i colleghi di gabinetto si pronunciavano su questioni che riguardavano gli affari esteri, Grey cercava «di convincerli che esistono cose come i muri di mattoni» contro i quali stavano semplicemente «sbattendo la testa».  14

In ciò era indiscutibilmente aiutato e spalleggiato dalla tacita approvazione della sua politica da parte dell’opposizione. Non bisogna dimenticare, infatti, che tra il 1906 e il 1914 la maggioranza liberale continuò a perdere voti. In tali circostanze, era giocoforza che l’influenza dell’opposizione aumentasse. Se la leadership conservatrice si fosse trovata in disaccordo con la politica di Grey, avrebbe potuto rendergli la vita difficile, come aveva fatto con Lloyd George, di cui non approvava la politica fiscale, e con Asquith, di cui detestava la politica irlandese. Ma non lo fece. Riteneva, al contrario, che Grey fosse il continuatore della propria politica. Come disse il capogruppo dei conservatori Lord Balcarres nel maggio del 1912, il suo partito «aveva appoggiato Grey per sei anni in base al presupposto che avrebbe mantenuto l’intesa anglo-francese stipulata da Lord Lansdowne e l’intesa anglo-russa avviata dal medesimo Lord».  15 In effetti, lo stesso Balfour doveva stare ben attento a non offendere la destra del suo partito mostrando di «amare» troppo il governo in carica.  16 Rimane comunque il fatto che Grey era più in sintonia con i banchi dell’opposizione che con i membri del suo gabinetto, per non parlare del Partito liberale nel suo complesso. Infatti, nel 1912, durante la seconda crisi marocchina, la stampa conservatrice finì col difenderlo dalle critiche dei radicali.  17 Ciò significa che i dettagli della politica di Grey (e il diavolo si annida sempre nei dettagli) non erano sottoposti a un esame sufficientemente accurato da parte del parlamento.

Questo diede a Grey una libertà d’azione ben maggiore di quanto lascino supporre le sue successive memorie. Ed è opportuno osservare che egli non era certo un uomo non abituato alla libertà. Studente piuttosto svogliato del Winchester College e del Balliol College di Oxford (era stato sospeso per pigrizia senza arrivare oltre il terzo anno di giurisprudenza), la sua vera grande passione era la pesca della trota e del salmone.  18 La pesca con la mosca, come sanno perfettamente coloro che l’hanno praticata, non è certo un’occupazione che favorisca un atteggiamento mentale deterministico.  19 Nel suo libro su questo sport, pubblicato nel 1899, Grey parlava dei suoi imprevedibili e incerti piaceri in tono addirittura lirico. Un brano in particolare, in cui racconta come portò a riva un salmone di quattro chili, merita di essere citato:

Non c’erano motivi immediati per temere la catastrofe. Ma ebbi la triste consapevolezza che l’intera faccenda sarebbe andata per le lunghe e che la parte più difficile di tutte sarebbe stata la conclusione: non catturare il pesce, ma portarlo a riva ... Sembrava che qualsiasi tentativo facessi per portare a riva il pesce con la [mia] rete avrebbe precipitato una catastrofe che non sarei stato in grado di affrontare. Più di una volta fallii, e ogni fallimento era orribile ... Per quanto mi riguarda, non conosco nulla di più eccitante del prendere all’amo un pesce inaspettatamente grande, con una piccola canna e una buona attrezzatura.  20

È tenendo presente questo Grey – il pescatore ansioso ed eccitato sulla sponda del fiume, anziché l’apologeta avvilito delle sue memorie – che dobbiamo interpretare la politica estera britannica tra il 1906 e il 1914. Anche a costo di esagerare eccessivamente l’analogia, si può dire che per gran parte di questo periodo – e soprattutto durante la crisi di luglio – Grey si comportò esattamente come si era comportato in quell’occasione. Sperava di riuscire a portare a riva il pesce, ma era ben conscio della possibilità di una «catastrofe». In nessuno dei due casi l’esito finale era una conclusione scontata.

Occorre dire che, almeno in un senso, l’analogia è sbagliata. Infatti, nei suoi rapporti con la Russia e la Francia, fu indubbiamente Grey a impersonare il pesce che altri presero all’amo. Nel caso della Russia, sostenne in seguito di avere continuato con successo la politica di distensione del suo predecessore, malgrado i radicali detestassero il regime zarista.  21 Un’analisi più approfondita dimostra però che si spinse ben oltre il punto cui era giunto Lansdowne. La diminuzione della potenza russa in seguito alla sconfitta con il Giappone e alla rivoluzione del 1905 gli rese le cose più facili. In queste circostanze, poté contare sull’appoggio dell’opposizione sui tagli alle spese per la difesa dell’India, e in tal modo neutralizzare coloro che, nel ministero della Guerra e nel governo dell’India, erano convinti che la Russia fosse la vera minaccia sulla frontiera nordoccidentale.  22 Trovò anche l’appoggio (estremamente autorevole) del colonnello William Robertson del Dipartimento d’informazione del ministero della Guerra, che si oppose all’aumento degli impegni militari della Gran Bretagna in Persia o sul confine afghano, dato che la minaccia militare più seria era rappresentata dalla Germania:

Per secoli ci siamo opposti ... a tutte le potenze che, una dopo l’altra, hanno aspirato alla supremazia continentale; nel contempo, e come diretta conseguenza, abbiamo rinvigorito la nostra sfera di supremazia imperiale ... Un nuovo predominio si sta ora affermando, e il suo centro nevralgico è Berlino. Tutto ciò ... che può aiutarci a opporci a questo nuovo e formidabile pericolo ha per noi grande valore.  23

Questo fornì a Grey l’opportunità di attuare profondi mutamenti nella politica estera britannica.

Gli accordi stipulati il 31 agosto 1908 riguardavano il Tibet e la Persia. Il primo divenne uno Stato cuscinetto, la seconda fu divisa in sfere d’influenza: il Nord alla Russia, il Centro neutrale e il Sudest alla Gran Bretagna. Per citare le parole di Eyre Crowe, «la finzione di una Persia unita e indipendente» doveva essere «sacrificata» al fine di evitare qualsiasi «lite» con la Russia.  24 «Per secoli in passato» – l’espressione è di Robertson – la Gran Bretagna aveva cercato di opporsi all’espansione russa nello stretto dei Dardanelli, in Persia e in Afghanistan. Ora, invece, in nome dei buoni rapporti con San Pietroburgo, tutto questo poteva essere lasciato cadere. «Se le questioni asiatiche si risolvono in modo a noi favorevole», dichiarò Grey al sottosegretario di Stato Sir Arthur Nicolson, «i russi non avranno alcun problema con noi per l’accesso al mar Nero.»  25 La vecchia politica di «chiuderle in faccia lo Stretto e farle sentire tutto il nostro peso in ogni conferenza delle potenze» sarebbe stata «abbandonata», anche se Grey si rifiutò di rivelare quando.  26 Per consolidare il ruolo della Russia quale «contrappeso della Germania sulla terraferma», Grey diede addirittura l’impressione di accogliere le tradizionali ambizioni russe nei Balcani.  27 In effetti, alcuni suoi funzionari erano plus russe que le Czar; quando la Russia accettò l’annessione della Bosnia-Erzegovina a opera dell’Austria nel 1909 Nicolson rimase profondamente indignato.  28 Grey sancì l’appoggio dato dai russi al nazionalismo slavo balcanico tenendo però gli occhi bene aperti, come spiegò in una lettera indirizzata al suo ambasciatore a Berlino, Sir William Goschen, nel novembre del 1908:

In Russia è cresciuto un forte sentimento slavo. Benché questo sentimento sembri al momento tenuto sotto controllo, uno spargimento di sangue tra l’Austria e la Serbia lo farebbe salire a livelli pericolosi in Russia; e il pensiero che la pace dipenda dal fatto che la Serbia si tenga a freno non è affatto confortevole.  29

Sergej Sazonov, il suo omologo politico in Russia, era ottimista. Come osservava a proposito della Persia nell’ottobre del 1910, «gli inglesi, nel perseguire scopi politici di vitale importanza in Europa, in caso di necessità rinunceranno a certi interessi in Asia semplicemente per mantenere gli accordi presi con noi, che per loro sono fondamentali».  30 Ma la posizione di Londra era più precaria di quanto Sazonov pensasse. Quando venne a sapere che russi e tedeschi avevano concluso a Potsdam un accordo sull’Impero ottomano e la Persia, Grey prese in considerazione la possibilità di rassegnare le dimissioni per lasciare il posto a un ministro degli Esteri germanofilo pronto a opporsi alle rivendicazioni russe in Persia e Turchia.  31 I rapporti peggiorarono ulteriormente allorché i russi proposero di aprire gli Stretti alle corazzate al fine di riportare l’equilibrio scosso da un attacco italiano contro la Turchia a Tripoli, e il 2 dicembre 1911 Grey minacciò nuovamente di dimettersi. Al massimo era disposto a concedere l’apertura degli Stretti a tutti; qualsiasi altra decisione avrebbe fatto infuriare i suoi sostenitori radicali.  32 Praticamente alla vigilia dello scoppio della guerra i russi riproposero ancora una volta la questione degli Stretti; infatti, a insaputa di Grey, Sazonov aveva riportato in vita il vecchio sogno russo di impadronirsi di Costantinopoli.  33 È chiaro che Grey non si sarebbe opposto se la Russia fosse riuscita a impadronirsene durante la guerra, e infatti lo accettava come legittimo obiettivo bellico dello zar. Tutto ciò significava una netta cesura nella politica estera britannica. E la cosa più sorprendente è che tale cesura fosse stata provocata da un ministro degli Esteri liberale, considerata la pessima fama di antisemitismo e di altre pratiche illiberali che pesava sul governo russo.  34 Era un vero e proprio caso di appeasement, nel senso negativo che il termine assunse in seguito.

Per un ministro degli Esteri era molto più facile condurre una politica francofila anziché russofila e, come abbiamo visto, Grey aveva manifestato la sua intenzione di farlo già prima di entrare in carica. Ancora una volta sembrò che si continuasse la politica conservatrice. Ma, anche in questo caso, Grey – come ammise lui stesso – si spinse ben oltre «quanto era stato richiesto al precedente governo».  35 In particolare, promosse lo sviluppo di una clausola militare nell’intesa anglo-francese.

Già prima che i liberali salissero al potere, gli strateghi militari britannici avevano iniziato a pianificare seriamente un appoggio navale e militare alla Francia nell’eventualità di una guerra con la Germania. I piani per un blocco navale della Germania, naturalmente, erano già stati definiti.  36 Fu però nel settembre del 1905 che lo stato maggiore generale cominciò a considerare seriamente la possibilità di inviare una «forza di spedizione» nel continente in caso di un conflitto franco-tedesco. Fu in tale contesto che emerse la questione della neutralità del Belgio. Sebbene i generali ritenessero «improbabile che il Belgio potesse far parte del teatro di guerra durante le prime operazioni», si rendevano tuttavia conto del fatto che «lo svolgersi del conflitto avrebbe potuto determinare una situazione tale da rendere pressoché inevitabile che uno dei belligeranti (specialmente la Germania) non rispettasse la neutralità del Belgio». In simili circostanze, giudicavano che due corpi d’armata potessero essere trasportati in Belgio in ventitré giorni, con la vantaggiosa conseguenza di dare alla Gran Bretagna un ruolo più incisivo e autonomo di quello che avrebbe avuto se si fosse limitata «a fornire ... un piccolo contingente a un grande esercito continentale [francese], cosa che potrebbe essere non molto gradita in questo paese».  37 Prima del dicembre 1905 questa non era altro che una riflessione ad alta voce. Ma già pochi giorni dopo l’insediamento del nuovo governo, il direttore delle operazioni militari, tenente generale James Grierson, ebbe diversi incontri con l’attaché militare francese Huguet per discutere di questa forza di spedizione.  38

La tempestività di questi incontri – quando i nuovi ministri stavano ancora cercando di orientarsi nel proprio incarico – ha naturalmente suscitato il sospetto che, proprio come avveniva sul continente, fossero i militari a cercare di accelerare il passo. Tuttavia, coloro che parteciparono alla cosiddetta «conferenza di Whitehall Gardens», tenutasi simultaneamente anche negli uffici del Comitato di difesa imperiale, mantennero un atteggiamento estremamente cauto. Per fare solo un esempio, giunsero alla conclusione che la Gran Bretagna aveva «il diritto di intervenire» in caso di violazione della neutralità belga, ma non l’obbligo.  39 Come disse Sir Thomas Sanderson, sottosegretario permanente al Foreign Office, il trattato del 1839 non costituiva «un impegno concreto ... a usare la forza materiale per il mantenimento della garanzia [di neutralità] in qualsiasi circostanza e a ogni costo». Questo avrebbe significato, aggiunse, «vedervi ciò che non ci si può ragionevolmente aspettare da nessun governo».  40 A ogni modo, Fisher – che sarebbe rimasto ministro della Marina fino al 1910 – non condivideva affatto l’idea di trasportare l’esercito attraverso la Manica e continuò a sostenere una strategia esclusivamente navale nel caso di una guerra contro la Germania o, tutt’al più, qualche tipo di operazione anfibia per sbarcare truppe sulla costa tedesca.  41

Fu Grey a dare una mano ai sostenitori di una forza di spedizione. Il 9 gennaio 1906, nel pieno dei negoziati sul Marocco ricevuti in eredità da Lansdowne, all’ambasciatore tedesco conte Metternich disse che, «se la Francia si fosse cacciata nei guai» a causa del Marocco, «l’affetto e la simpatia dell’Inghilterra per la Francia erano così forti che sarebbe stato impossibile per qualsiasi governo rimanere neutrale». Riferendo in merito a questa conversazione al primo ministro aggiunse: «Il ministero della Guerra deve essere pronto a rispondere a questa domanda: che cosa potrebbero fare qualora prendessimo posizione contro la Germania, se, per esempio, la neutralità del Belgio fosse violata?».  42

Grey mantenne una grande cautela: insistette affinché le discussioni di ordine militare con la Francia avessero un carattere non ufficiale (così poco ufficiale che in un primo tempo lo stesso Campbell-Bannerman non ne fu informato).  43 Il ministro degli Esteri e i suoi funzionari parlarono velatamente della possibilità di dare alla Francia «più che un appoggio diplomatico», ribadendo più volte che le discussioni militari non avevano un valore «vincolante». Eyre Crowe affermò addirittura, insensatamente, che «una promessa britannica di assistenza armata non avrebbe comportato una responsabilità pratica».  44 Ma è chiaro che Grey stava giudicando in anticipo la questione: «Mi è stato riferito che 80.000 uomini bene armati è il massimo che possiamo mettere in campo in Europa», comunicò a Bertie (allora ambasciatore a Parigi) il 15 gennaio. Il giorno dopo scrisse a Lord Tweedmouth, primo Lord dell’Ammiragliato: «Non abbiamo promesso alcun aiuto, ma è evidente che le nostre autorità navali e militari dovrebbero discutere in questi termini ... ed essere pronte a dare una risposta quando sarà loro richiesta, o meglio, se sarà loro richiesta».  45 Quel «quando» corretto frettolosamente in un «se» è particolarmente rivelatore. Nel febbraio del 1906 i colloqui anglo-francesi erano già molto avanzati, il numero delle truppe promesse dallo stato maggiore era stato aumentato a 105.000 unità e ufficiali di grado superiore come Robertson e John Spencer Ewart (nuovo direttore delle operazioni militari) stavano iniziando a considerare inevitabile uno «scontro armato» con la Germania.  46 Grey commentò:

Nel caso di una guerra tra Francia e Germania per noi sarà molto difficile tenercene fuori se l’intesa e ancor più le costanti e altisonanti dimostrazioni d’affetto (ufficiali, navali ... commerciali e nazionali) ... avranno creato in Francia la convinzione che dovremmo aiutarla in guerra ... Tutti gli ufficiali francesi lo danno per scontato ... Se queste aspettative verranno deluse la Francia non ci perdonerà mai ... Più considero la situazione più mi sembra che non possiamo [tenerci fuori da una guerra] senza perdere l’onore e i nostri amici e senza danneggiare la nostra politica e la nostra posizione nel mondo.  47

Nel giugno del 1906 i membri più importanti del Comitato di difesa imperiale apposero il sigillo sulla nuova politica stabilendo, contro Fisher e i «navalisti», i seguenti punti:

• L’invio di una grande forza di spedizione nel Baltico non sarà attuabile fin quando la situazione navale non sarà stata chiarita. Un tale piano di operazione non potrebbe diventare effettivo se non dopo aver combattuto grandi battaglie sulla frontiera.

• Qualsiasi collaborazione militare da parte dell’esercito britannico, se intrapresa all’inizio della guerra, deve assumere la forma di una spedizione in Belgio o di una partecipazione diretta alla difesa della frontiera francese.

• Una violazione tedesca del territorio belga renderebbe necessario il primo tipo di intervento. Non si deve trascurare la possibilità che tale violazione si verifichi con il consenso del governo belga.

• In ogni caso, bisogna tenere conto delle opinioni dei francesi, in quanto è essenziale che ogni misura di collaborazione da parte nostra sia in sintonia con i loro piani strategici.

• Quale che sia il tipo di intervento prescelto, sarebbe utile uno sbarco preliminare sulla costa nordoccidentale della Francia.  48

Così, sei mesi dopo avere assunto l’incarico, Grey era riuscito a trasformare l’intesa con la Francia, nata come tentativo di risolvere le controversie extraeuropee, in un’alleanza difensiva de facto.  49 Aveva lasciato intendere ai francesi che la Gran Bretagna, in caso di guerra, sarebbe stata pronta a combattere al loro fianco contro la Germania. E gli strateghi militari avevano ormai deciso più o meno esattamente quale forma avrebbe dovuto assumere l’appoggio alla Francia.  50 (In seguito Grey sostenne di non essere stato messo al corrente dei particolari delle discussioni militari anglo-francesi, ma questo sembra del tutto improbabile.  51) Malgrado l’accanito ostruzionismo di Fisher e le riserve di Esher sull’entità prevista della forza di spedizione, la strategia continentale fu confermata nel 1909 dalla sottocommissione del Comitato di difesa imperiale per le necessità militari dell’impero.  52

In effetti, si potrebbe addirittura sostenere – rovesciando completamente la posizione di Fisher – che sia stata la riunione del CID del 25 agosto 1911, anziché il celebre incontro avvenuto sedici mesi dopo tra il Kaiser e i suoi capi militari, il vero «consiglio di guerra» che avviò il processo destinato a sfociare in un confronto militare tra la Gran Bretagna e la Germania. In un memorandum presentato prima della riunione lo stato maggiore generale escludeva l’idea (avanzata, fra gli altri, anche da Churchill) che l’esercito francese, senza un aiuto esterno, avesse qualche speranza di resistere a un attacco tedesco:

In caso di nostra neutralità la Germania combatterà contro la Francia da sola. Le armate e le flotte dei tedeschi sono molto più forti di quelle francesi e ci sono ben pochi dubbi su quale sarà l’esito di un tale conflitto ... In una guerra combattuta da sola la Francia rimarrebbe quasi sicuramente sconfitta.  53

Se, invece, «l’Inghilterra diventasse un’alleata attiva della Francia», la combinazione tra il predominio navale e il rapido invio di una forza composta da un intero esercito regolare di sei divisioni di fanteria e una divisione di cavalleria avrebbe potuto capovolgere la situazione:

L’attuale disparità di uomini si ridurrà e, in virtù di motivi che sarebbe troppo lungo elencare in questa sede, la consistenza delle forze in conflitto risulterebbe sostanzialmente uguale durante le prime fasi della guerra, tanto che gli Alleati potrebbero ottenere qualche successo iniziale che potrebbe dimostrarsi di grandissima rilevanza ... Inoltre, e questa è forse la considerazione più importante, siamo convinti che il morale delle truppe e della nazione francese sarebbe enormemente rafforzato dalla collaborazione britannica; e potrebbe verificarsi una corrispondente diminuzione del morale dei tedeschi. Sembra quindi che in una guerra tra Germania e Francia nella quale l’Inghilterra fosse schierata al fianco della Francia il risultato delle prime operazioni potrebbe essere dubbio; ma quanto più si protraesse la guerra tanto maggiori sarebbero le difficoltà per la Germania.  54

Come sottolineò Asquith, probabilmente con una punta di scetticismo, «il problema della scelta del tempo era estremamente importante in questo piano»; ma la tesi dello stato maggiore fu abilmente difesa da Henry Wilson, il successore di Ewart alla direzione delle operazioni militari, il quale predisse che la guerra sarebbe stata decisa da uno scontro fra la punta avanzata dell’esercito tedesco, forte di quaranta divisioni, che si sarebbe incuneata tra Maubeuge e Verdun, e una forza francese di trentanove divisioni al massimo, «sicché appare molto probabile che le nostre sei divisioni possano rappresentare il fattore decisivo». Wilson «fece brutalmente a pezzi» l’ipotesi (sostenuta da Grey) che i russi avrebbero potuto influire sull’esito dello scontro e, «dopo una lunga e ... inutile discussione» (sono parole di Wilson), il generale ribadì la sua posizione: «Primo ... dobbiamo schierarci a fianco dei francesi. Secondo ... dobbiamo mobilitarci lo stesso giorno dei francesi. Terzo ... dobbiamo inviare tutte e sei le divisioni».  55

Le critiche de haut en bas espresse da personaggi di alto rango (in particolare Lord Arthur Wilson, primo Lord del mare, e Reginald McKenna, successore di Tweedmouth all’Ammiragliato) contro questo piano non risultarono convincenti.  56 Peggio ancora, il piano alternativo proposto dall’Ammiragliato, che prevedeva il blocco navale della foce dei principali fiumi tedeschi e lo sbarco di una divisione di fanteria sulla costa settentrionale della Germania, fu spietatamente criticato dal capo dello stato maggiore generale imperiale, feldmaresciallo Sir William Nicholson:

La verità era che questo genere di operazioni aveva forse qualche valore un secolo fa, quando le comunicazioni di terra erano ancora poco sviluppate; ma, adesso, con sistemi di comunicazione particolarmente efficienti, tali operazioni erano destinate al fallimento ... L’Ammiragliato avrebbe quindi continuato a sostenere questa tesi, anche se lo stato maggiore generale aveva espresso la ragionevole opinione che le operazioni militari per cui era stato proposto l’impiego di questa divisione erano pura follia [?].  57

Questo era più che sufficiente per Grey, il quale giunse alla conclusione che «le operazioni congiunte di cui si era parlato non erano essenziali al successo navale e che lo scontro sulla terraferma sarebbe stato quello decisivo»; e anche per Asquith, il quale liquidò i piani di Wilson definendoli «puerili» e «completamente irrealizzabili». L’unico consiglio dato dai politici era lasciare a casa due delle divisioni previste.  58 Maurice Hankey si sbagliava di grosso (come in seguito ammise lui stesso) quando sosteneva che in quella riunione non si era raggiunta alcuna decisione.  59 Come osservò tetramente Esher il 4 ottobre: «Il semplice fatto che il piano del ministero della Guerra sia stato elaborato in tutti i dettagli con lo stato maggiore generale francese ci ha certamente impegnati a combattere».  60

Una delle principali ragioni per cui alla fine l’Ammiragliato accolse la strategia della Forza di spedizione britannica era che non risultava incompatibile con la strategia alternativa della marina, basata sull’idea di imporre sulla Germania un blocco di lunga durata. Senza dubbio, nella marina non tutti ne erano convinti – in privato Arthur Wilson manifestava seri dubbi sul fatto che un blocco potesse influire sull’esito di una guerra franco-tedesca  61 – esattamente come nel ministero della Guerra non tutti si fidavano della strategia della BEF. D’altro canto, è importante osservare che la strategia della marina aveva decisive implicazioni per quella della Forza di spedizione. Nel dicembre del 1912, durante un’altra riunione del CID, Churchill e Lloyd George sostennero vigorosamente che, in caso di guerra, «per l’Olanda e il Belgio sarebbe stato praticamente impossibile mantenere la propria neutralità ... Dovranno necessariamente essere nostri amici o nostri nemici». «Il nostro paese non può permettersi di stare inerte a guardare cosa faranno questi due paesi», ribadì Lloyd George, aggiungendo:

La posizione geografica dell’Olanda e del Belgio rende di enorme importanza il loro atteggiamento in una guerra che opponga l’Impero britannico, la Francia e la Russia da una parte e la Triplice alleanza dall’altra. Se restano neutrali e ottengono pieni diritti di neutralità, non saremo in grado di attuare una pressione economica offensiva contro l’Alleanza. E per noi è essenziale poterla attuare.

Il generale Sir John French, successore di Nicholson allo stato maggiore imperiale generale (CIGS), era altresì preoccupato dal fatto che i belgi avrebbero potuto essere disposti a tollerare una limitata violazione del loro territorio. Nella riunione si stabilì quindi che

per esercitare la massima pressione possibile sulla Germania è fondamentale che l’Olanda e il Belgio siano o del tutto amichevoli nei nostri confronti, nel qual caso dovremmo limitare il loro commercio d’oltremare, oppure totalmente ostili, nel qual caso dovremmo estendere il blocco ai loro porti.  62

Detto in altri termini: se la Germania non avesse violato la neutralità del Belgio nel 1914, lo avrebbe fatto la Gran Bretagna. Questo pone in tutt’altra luce la tanto vantata superiorità morale del governo britannico che proclamava di combattere «per la neutralità del Belgio».

Va comunque detto che i belgi non erano all’oscuro di queste decisioni. Nell’aprile del 1912 il tenente colonnello Bridges dichiarò che, se l’anno prima fosse scoppiata la guerra per il Marocco, le truppe britanniche sarebbero sbarcate sulla costa belga. Ma i belgi ritenevano che un simile intervento avrebbe potuto considerarsi legittimo solo se si fossero appellati ai garanti in conformità alle clausole del trattato del 1839; e i britannici dubitavano che avrebbero fatto questo appello, soprattutto se, come si credeva ancora possibile, un’invasione tedesca fosse passata soltanto attraverso una parte del paese, per esempio a sud di Liegi. Quando, nel 1910, gli olandesi proposero di costruire una nuova fortezza a Flessinga, che avrebbe garantito loro il controllo della foce dello Schelda, a Londra vi fu grande costernazione, perché questa fortezza avrebbe minacciato l’accesso delle navi britanniche ad Anversa. I belgi, comunque, non mossero particolari obiezioni perché temevano una violazione navale britannica della loro neutralità tanto quanto temevano l’esercito tedesco.  63

I navalisti furono ammorbiditi anche su un’altra questione: la difesa del Mediterraneo sarebbe stata affidata alla flotta francese, in base a una suddivisione dei compiti che era stata ufficiosamente concordata dai due Ammiragliati all’epoca di Fisher (senza informare il ministro degli Esteri o il gabinetto). Ovviamente Churchill non poteva garantire il completo ritiro delle navi britanniche dal Mediterraneo, ma la decisione di mantenere in questo teatro una flotta da guerra «equivalente allo standard di una potenza con l’esclusione della Francia» la diceva lunga. Non fu un accordo pubblico, bensì un tacito patto.  64 A ciò seguirono colloqui segreti con la Russia nel 1914.  65 Insomma, nonostante le divergenze, i piani dell’esercito e della marina potevano coesistere; e dopo gli estenuanti dibattiti dell’agosto 1911 fu più o meno quel che accadde.

Alla luce di tutto questo, i timori tedeschi di un accerchiamento appaiono molto meno paranoici e ben più realistici. Quando denunciò al Reichstag i tentativi di «circondare la Germania, di costruire un cerchio di potenze attorno alla Germania per isolarla e renderla impotente», Bülow non era affatto in preda ad assurde fantasie, come sostennero in seguito gli statisti britannici nelle proprie memorie.  66 Rispetto alle analoghe riunioni tedesche, le discussioni militari britanniche portavano generalmente a decisioni più concrete. E, in fondo, che cosa aveva provocato il cosiddetto «consiglio di guerra» convocato dal Kaiser nel dicembre del 1912? Una comunicazione di Haldane attraverso l’ambasciatore tedesco sul fatto che «la Gran Bretagna non poteva permettere che la Germania diventasse la prima potenza del continente e che il continente venisse unito sotto la guida tedesca». La conclusione che il Kaiser trasse da queste parole, ossia che «la Gran Bretagna avrebbe combattuto al fianco dei nemici della Germania», non era sbagliata: come disse Bethmann Hollweg, questo «non faceva che confermare ciò che sapevamo [già da parecchio tempo]».  67

La nevrosi di Napoleone

La politica antitedesca di Grey è stata di solito giustificata dagli storici sulla base del fatto che la Weltpolitik della Germania era ormai percepita da Londra come una crescente sfida agli interessi britannici in Africa, in Asia e nel Vicino Oriente; e, cosa ancora più importante, sulla base del fatto che il rafforzamento della marina tedesca rappresentava una grave minaccia per la sicurezza britannica. Tuttavia un’analisi più approfondita rivela che, prima del 1914, né le questioni navali né quelle coloniali stavano inevitabilmente conducendo a uno scontro anglo-tedesco.

Come disse in seguito Churchill, «non ci opponevamo all’espansione coloniale della Germania».  68 In effetti, si giunse molto vicini alla conclusione di un accordo fra Gran Bretagna e Germania che avrebbe aperto le porte a un aumento dell’influenza tedesca nelle colonie portoghesi dell’Africa meridionale.  69 Lo stesso Grey aveva dichiarato nel 1911 che «non importava un granché chi sarebbe stato il nostro vicino in Africa, la Germania o la Francia». Voleva soprattutto realizzare una «divisione» delle «derelitte» colonie portoghesi «il più presto possibile ... in uno spirito filotedesco».  70 L’accordo naufragò solo nel 1914 per l’opposizione dei funzionari britannici, opposizione spacciata come rifiuto di rinnegare pubblicamente gli impegni assunti con il Portogallo sedici anni prima, ma in realtà dettata dalla loro viscerale germanofobia. Le banche tedesche (in particolare la M.M. Warburg & Co.) che erano state coinvolte nel progetto non avevano avuto alcun sentore dell’opposizione espressa da personaggi come Bertie (per non parlare di Henry Wilson).  71 Persino dove Grey tendeva ad assegnare la priorità agli interessi francesi – in Marocco – non c’era una totale impasse nei confronti della Germania. Nel 1906 Grey si era mostrato disposto a considerare la possibilità di concedere alla Germania un porto per il rifornimento di carbone sulla costa atlantica del paese.  72 È vero che il governo aveva assunto un atteggiamento aggressivo nella seconda crisi marocchina del 1911, ammonendo Berlino di non trattare la Gran Bretagna «come se non contasse nulla nel consesso delle nazioni» (per citare le parole pronunciate il 21 luglio da Lloyd George in un discorso alla Mansion House, sede ufficiale del sindaco di Londra).  73 Ma anche lo stesso Grey dovette accettare che «non dobbiamo e non possiamo essere intransigenti a proposito della costa occidentale del Marocco». Come aveva detto a Bertie il giorno prima del discorso di Lloyd George:

I francesi si sono impantanati nelle difficoltà senza sapere in quale direzione volevano veramente andare ... Noi siamo vincolati e preparati a dare un sostegno diplomatico, ma non possiamo entrare in guerra per scartare il provvedimento legislativo di Algeciras [approvato dopo la prima crisi marocchina] e dare alla Francia il possesso virtuale del Marocco.

Il compromesso raggiunto – «un patto tra Francia e Germania fondato su qualche concessione nel Congo francese» – rifletteva questa mancanza di interesse da parte britannica, e Grey esortò i francesi ad accettarlo.  74

Quando il governo tedesco rivolse la propria attenzione alla Turchia, Grey ebbe ancora maggiori difficoltà a mantenere una linea decisamente antitedesca senza fare il gioco dei russi per quanto riguardava gli Stretti. In ogni caso, il ministro degli Esteri non espresse alcuna rimostranza per il modo in cui si comportarono i tedeschi durante le guerre balcaniche del 1912-1913, né rimase particolarmente preoccupato dall’affare Liman von Sanders (la nomina di un generale tedesco a ispettore generale dell’esercito turco). Le relazioni migliorarono ulteriormente grazie alla conciliante risposta dei tedeschi alle preoccupazioni britanniche per la ferrovia Berlino-Baghdad.  75 Lo stesso Bethmann Hollweg aveva dichiarato, nel gennaio del 1913, che «le questioni coloniali del futuro puntano alla cooperazione con l’Inghilterra», anche se il patto sulle colonie portoghesi non venne mai concluso.  76

In tale contesto non era affatto irragionevole che la «Frankfurter Zeitung» parlasse, nell’ottobre del 1913, di rapprochement tra Germania e Gran Bretagna, di «una migliore comprensione fra i governanti di entrambi i paesi» e della «fine degli sterili anni di reciproca diffidenza».  77 Quando incontrò l’ambasciatore tedesco a Tring nel marzo del 1914, Lord Rothschild «si disse fortemente convinto che, per quanto poteva vedere e sapere, non ci fosse motivo di temere una guerra e non si profilassero complicazioni all’orizzonte».  78 Il fatto che Max Warburg si recasse a Londra in tre diverse occasioni per definire il ruolo della sua società nell’accordo sulle colonie portoghesi è un chiaro segno delle buone relazioni finanziarie che allora esistevano tra Gran Bretagna e Germania.  79 Quell’estate i giornali inglesi diedero la notizia della partecipazione di alti ufficiali della marina britannica all’annuale parata navale di Kiel e riportarono il commento dell’ammiraglio tedesco von Koester, secondo il quale «i rapporti tra la marina britannica e tedesca erano i migliori che si potessero immaginare».  80 Ancora il 27 giugno – alla vigilia dell’attentato di Sarajevo – l’opinione del Foreign Office era che il governo tedesco fosse «di umore pacifico ed estremamente desideroso di rimanere in buoni rapporti con l’Inghilterra».  81 Anche Warburg aveva raccolto voci secondo le quali «era scoppiato un amore folle [eine wahnsinnige Liebe] fra i tedeschi e gli inglesi».  82 Il 23 luglio Lloyd George definì i rapporti fra Germania e Gran Bretagna «molto migliori di quanto lo fossero stati pochi anni fa ... I due grandi imperi iniziano a comprendere che possono collaborare per fini comuni e che i punti di cooperazione sono maggiori, più numerosi e più importanti dei punti di possibile attrito».  83

Analogamente, è sbagliato considerare la corsa agli armamenti navali una «causa» della prima guerra mondiale. Da ambedue le parti c’erano valide ragioni per un accordo navale. Entrambi i governi stavano scoprendo quanto fosse difficile convivere con le conseguenze politiche del costante aumento delle spese navali. La possibilità di porre in qualche modo un limite agli armamenti emerse in più occasioni: nel dicembre del 1907, quando i tedeschi avevano proposto una convenzione del mare del Nord con la Gran Bretagna e la Francia;  84 nel febbraio del 1908, quando il Kaiser aveva scritto a Lord Tweedmouth che la Germania non mirava in alcun modo a «sfidare la supremazia navale britannica»;  85 sei mesi più tardi, quando incontrò a Kronberg il sottosegretario permanente di Stato al Foreign Office, Sir Charles Hardinge;  86 nel 1909-1910, quando Bethmann Hollweg aveva sottoposto a Goschen «un patto navale ... come parte di uno schema per un buon accordo generale»;  87 e nel marzo del 1911, quando il Kaiser aveva chiesto «un accordo politico e un patto navale tendenti a limitare le spese navali».  88 L’opportunità più clamorosa si presentò nel febbraio del 1912, quando, su suggerimento di due uomini d’affari, Sir Ernest Cassel e Albert Ballin, Haldane si recò a Berlino, apparentemente per seguire «i lavori di una commissione universitaria», ma in realtà per discutere con Bethmann Hollweg, Tirpitz e il Kaiser la possibilità di un patto navale, coloniale e di non aggressione.  89 Nel 1913 Churchill avanzò la proposta di una «vacanza nelle costruzioni navali»,  90 e nell’estate del 1914 Cassel e Ballin fecero un ultimo tentativo.  91

Perché, allora, non si arrivò alla conclusione di un patto? La risposta tradizionale è che i tedeschi erano disposti a discutere le questioni navali soltanto dopo aver ricevuto dalla Gran Bretagna una promessa incondizionata di neutralità nel caso di una guerra franco-tedesca. Questa però è solo una parte della storia. Asquith sostenne in seguito che la formula di neutralità prevista dai tedeschi «ci avrebbe impedito di accorrere in aiuto della Francia se la Germania l’avesse attaccata con un qualsiasi pretesto». In effetti, nella bozza redatta da Bethmann Hollweg figurava la seguente dichiarazione:

Nessuna delle due grandi potenze contraenti lancerà alcun attacco non provocato contro l’altra né si unirà a combinazioni o piani contro l’altra a fini di aggressione ... Se una delle due ... si troverà coinvolta in una guerra nella quale non possa essere considerata l’aggressore, l’altra osserverà verso di essa una benevola neutralità.  92

La clausola doveva inoltre considerarsi nulla «qualora non potesse essere conciliabile con accordi già esistenti». Tuttavia, il massimo che Grey era disposto a concedere era un impegno «a non lanciare e a non unirsi a un qualsiasi attacco non provocato contro la Germania», perché, a suo giudizio, «la parola neutralità susciterebbe l’impressione che abbiamo le mani legate».  93 Come aveva fatto notare il ministro delle Colonie Lewis Harcourt, questo non era affatto il senso delle parole di Bethmann Hollweg.

La spiegazione alternativa del fallimento della missione di Haldane è che fu silurata da Tirpitz e dal Kaiser con l’imposizione di un nuovo aumento delle spese navali proprio alla vigilia dell’arrivo di Haldane, in tal modo «rovinando completamente i rapporti con l’Inghilterra». Secondo Geiss, «il rifiuto della Germania di scendere a patti con la Gran Bretagna ponendo un limite alla dispendiosa corsa agli armamenti con un accordo navale bloccò qualsiasi tipo di riavvicinamento».  94 All’epoca il governo britannico disse più o meno le stesse cose.  95 Ma anche questo deve essere accolto con un certo scetticismo. I tedeschi erano disposti a concludere un accordo navale in cambio di una dichiarazione di neutralità; e fu proprio sulla questione della neutralità che i colloqui naufragarono. Indubbiamente, quella britannica era una posizione intransigente; e ciò non dovrebbe sorprendere, dato che si fondava su una potenza indiscutibile. Come Grey aveva detto nel 1913: «Se possiedi uno standard assoluto superiore a quello di tutte le altre marine europee messe insieme ... la tua politica estera diventa piuttosto semplice».  96 Di conseguenza, Grey mantenne un atteggiamento di intransigenza: Bethmann Hollweg sembrava volere qualcosa in cambio del riconoscimento «di una permanente superiorità navale [britannica]», o, come aveva detto il suo segretario privato William Tyrrell, «del principio della nostra supremazia assoluta in mare». Ma per quale motivo lo Gran Bretagna avrebbe dovuto contrattare per qualcosa che possedeva già?  97 Non è difficile capire perché il patto proposto da Bethmann Hollweg fu immediatamente respinto.

Più difficile, invece, è capire perché Grey fosse convinto che qualsiasi segno di rapprochement anglo-tedesco fosse fuori discussione. Se la Germania non costituiva una minaccia navale né coloniale, per quale motivo Grey era così ostinatamente antitedesco? La risposta, naturalmente, è semplice: al pari dei suoi predecessori conservatori, Grey teneva soprattutto ad avere buoni rapporti con la Francia e con la Russia. «Nulla di ciò che facciamo nelle nostre relazioni con la Germania», aveva dichiarato nell’ottobre del 1905, «può incrinare in alcun modo i buoni rapporti che abbiamo con la Francia.» E nel gennaio dell’anno seguente scrisse: «Il rischio di dire parole gentili a Berlino è che in Francia ... potrebbero essere interpretate nel senso di un nostro tiepido appoggio all’intesa».  98 Ribadì questo punto con estrema chiarezza nell’aprile del 1910 a Goschen: «Non possiamo stipulare un accordo politico con la Germania che ci separi dalla Russia e dalla Francia».  99 Tuttavia, quando diceva che un accordo con la Germania doveva «tenere conto dei rapporti e dell’amicizia [già esistenti] con altre potenze», in realtà Grey escludeva la possibilità di un tale accordo.  100 La sua tesi di fondo era questa: poiché l’intesa con la Francia era molto «vaga», qualsiasi «accordo con la Germania avrebbe necessariamente teso a soppiantarla» e quindi non poteva assolutamente essere preso in considerazione.  101 Era una tesi che i funzionari del Foreign Office sostenevano al cento per cento. Qualsiasi riavvicinamento alla Germania, ammoniva Mallet, avrebbe implicato un «allontanamento dalla Francia».  102 Nel 1912 Nicolson si oppose all’idea di un accordo con la Germania soprattutto perché avrebbe «danneggiato gravemente le nostre relazioni [con la Francia], e questo risultato avrebbe avuto immediate ripercussioni sui nostri rapporti con la Russia».  103

A un esame più attento, però, il ragionamento di Grey appare profondamente inesatto. In primo luogo, la sua idea che pessimi rapporti con la Francia e la Russia avrebbero potuto effettivamente portare a una guerra era del tutto campata in aria. Sotto questo profilo, c’era una grande differenza tra la sua situazione e quella dei suoi predecessori conservatori. All’epoca lo stesso Grey aveva riconosciuto che per riprendersi dalle macerie della sconfitta e della rivoluzione alla Russia sarebbe servito almeno un decennio. E non riteneva la Francia una minaccia: come disse al presidente americano Theodore Roosevelt nel 1906, la Francia era «pacifica e non aggressiva né inquieta».  104 Il motivo originario delle intese era stato la risoluzione delle divergenze d’oltremare con la Francia e la Russia. Raggiunto tale obiettivo, la probabilità di una guerra tra la Gran Bretagna e una di queste due potenze si fece alquanto remota. Era pura e semplice fantasia sostenere, come aveva fatto Grey in un colloquio con il direttore del «Manchester Guardian» Charles Prestwich Scott nel settembre del 1912, che «se la Francia non veniva appoggiata contro la Germania, si sarebbe unita con la stessa Germania e il resto dell’Europa in un attacco contro di noi».  105 Appena un po’ meno chimerica era l’eventualità che la Francia o la Russia potessero «passare dalla parte delle Potenze centrali».  106 Ciononostante, questa era una costante preoccupazione del Foreign Office. Già nel 1905 Grey temeva «di perdere la Francia e non ottenere la Germania, che non ci vorrà più se riesce a staccare da noi la Francia». Se la Gran Bretagna non avesse risposto alle aperture della Francia su Algeciras, ammoniva Mallet, «saremo considerati dei traditori dai francesi e ... disprezzati dai tedeschi».  107 Hardinge ribadì sostanzialmente la stessa cosa: «Se lasciamo che la Francia rimanga nei guai, un accordo o un’alleanza tra Francia, Germania e Russia nel prossimo futuro è da considerarsi più che certo».  108 Nicolson, dal canto suo, proponeva un’alleanza formale con la Francia e la Russia «per dissuadere la Russia dall’idea di avvicinarsi a Berlino ... [e] impedire [alla Francia] di passare alle Potenze centrali».  109 Grey e i suoi funzionari erano ossessionati dal timore di perdere il proprio «valore di amici» e di «rimanere soli, senza amici». Il loro incubo ricorrente era che la Russia o la Francia potesse soccombere all’«abbraccio teutonico», costringendo la Gran Bretagna ad affrontare «le marine unite d’Europa». Proprio per questo tendevano a considerare tutta la politica tedesca indirizzata al fine di «spezzare la Triplice intesa».  110 Grey, con un suo tipico ragionamento, riteneva che

se per qualche disgrazia o grossolano errore la nostra intesa con la Francia dovesse rompersi, la Francia sarà costretta a scendere a patti con la Germania. E la Germania avrà nuovamente la possibilità di tenerci in cattivi rapporti con la Francia e la Russia e diventare la potenza predominante sul continente. Quindi, prima o poi, scoppierà una guerra tra noi e la Germania.  111

Un analogo timore era che «la Germania sarebbe andata a San Pietroburgo e si sarebbe offerta di tenere a bada l’Austria se la Russia avesse abbandonato l’intesa ... Siamo estremamente preoccupati ... che la Russia possa schierarsi al fianco dell’alleanza delle Potenze centrali».  112

Ciononostante, nella sua determinazione a preservare l’intesa con la Francia, Grey era pronto ad assumere impegni militari che rendevano l’eventualità di una guerra con la Germania più probabile e meno remota anziché meno probabile e più remota. Con un ragionamento assolutamente circolare, voleva impegnare la Gran Bretagna in una possibile guerra con la Germania, perché altrimenti avrebbe potuto esserci una guerra con la Germania. Un tempo l’appeasement della Francia e della Russia aveva avuto un senso; ma Grey manteneva in vita quella politica anche quando ormai erano venuti a mancare i presupposti che l’avevano determinata.

La principale giustificazione per tutto questo era naturalmente che la Germania era animata da ambizioni megalomani che rappresentavano una minaccia non solo per la Francia, ma anche per la stessa Gran Bretagna. Tale giudizio era largamente condiviso dai germanofobi. Nel suo famoso memorandum del novembre 1907, Eyre Crowe avvertiva che il desiderio della Germania di recitare sulla scena mondiale un ruolo molto più ampio e dominante di quello accordatole nella distribuzione del potere poteva spingerla a ridurre la forza di qualsiasi rivale, ad aumentare il proprio potere estendendo il proprio dominio, a ostacolare la cooperazione degli altri Stati e infine a spezzare e soppiantare l’Impero britannico.  113 Nella sua analisi, Crowe assegnava una particolare importanza a un parallelo storico con la sfida che la Francia postrivoluzionaria aveva lanciato alla Gran Bretagna. Come scrisse Nicolson in una lettera indirizzata a Grey all’inizio del 1909: «Gli obiettivi supremi della Germania sono sicuramente e senz’ombra di dubbio quelli di ottenere il predominio sul continente europeo e, una volta raggiunta la forza sufficiente, di entrare in competizione con noi per la supremazia sui mari». Goschen e Tyrrell sostenevano grossomodo la stessa cosa. La Germania voleva assumere «l’egemonia in Europa».  114 Nel 1911 lo stesso Grey aveva ammonito di stare attenti a una minaccia «napoleonica» in Europa. Se la Gran Bretagna avesse «permesso la sconfitta della Francia, avrebbe dovuto prendere successivamente in mano le armi». Come disse al primo ministro canadese nel 1912, non esistevano «limiti alle ambizioni che la Germania poteva nutrire».  115

E questa linea di pensiero non era proprietà esclusiva dei diplomatici. Quando aveva sostenuto la necessità di una forza di spedizione continentale, lo stato maggiore generale aveva utilizzato la stessa analogia. «È un errore», recitava il suo memorandum presentato nel 1909 alla sottocommissione del Comitato di difesa imperiale, «credere che il dominio del mare debba necessariamente influenzare la questione immediata di un grande conflitto di terra. La battaglia di Trafalgar non impedì a Napoleone di vincere le battaglie di Austerlitz e Jena e di sconfiggere la Prussia e l’Austria.»  116 Questa tesi fu ribadita due anni più tardi al «consiglio di guerra» del CID. Nel caso di una vittoria della Germania sulla Francia e sulla Russia,

Olanda e Belgio potrebbero essere annessi alla Germania e la Francia dovrebbe pagare una gigantesca indennità di guerra, perdendo anche alcune delle sue colonie. In breve, il risultato di una tale guerra sarebbe che la Germania assumerebbe una posizione di predominio che è già stata definita contraria agli interessi del nostro paese.

Tutto ciò «darebbe [alla Germania] ... una supremazia nella forza navale e militare tale da minacciare l’importanza del Regno Unito e l’integrità dell’Impero britannico»; «nel lungo periodo» questo si sarebbe rivelato «fatale».  117 Persino navalisti come Reginald Esher talvolta sostenevano la stessa posizione. Nel 1907 Esher aveva scritto:

Il prestigio tedesco è per noi persino più pericoloso di Napoleone all’apice della sua potenza. La Germania è decisa a contenderci il dominio del mare ... Deve trovare uno sbocco per la sua traboccante popolazione e vasti territori sui quali i tedeschi possano vivere e abitare. Questi territori esistono solo ai confini del nostro impero. Pertanto, «L’ennemi, c’est l’Allemagne».  118

Senza la marina – così temeva Churchill – l’Europa sarebbe caduta «dopo un’improvvisa convulsione ... nella morsa di ferro del teutone e di tutto ciò che il sistema teutonico comportava». Lloyd George ribadiva nelle sue memorie la medesima argomentazione: «La nostra flotta rappresentava l’unica garanzia della nostra indipendenza ... come ai tempi di Napoleone».  119 Perciò Robertson esagerò soltanto un po’ quando, nel dicembre del 1916, scrisse che «l’ambizione tedesca di creare un impero che si estendeva per tutta l’Europa fino al mare del Nord e al Baltico e all’Egeo, e forse al golfo Persico e all’oceano Indiano, era nota da vent’anni [sic] o anche di più».  120

Se tutto ciò fosse stato vero, si potrebbe dire che Grey si stava impegnando ad accontentare le potenze sbagliate. Le intese con la Francia e la Russia avevano avuto un senso quando erano state loro a minacciare l’impero; ma se nel 1912 la vera minaccia era chiaramente la Germania, l’ipotesi di un’intesa con questo paese avrebbe dovuto essere considerata più seriamente. E rimane un fatto davvero sorprendente che i proclami allarmisti su un progetto napoleonico tedesco fossero in netto contrasto con la maggior parte delle informazioni che giungevano allora dalla Germania. Si tratta di un punto finora trascurato dagli storici. È vero che è impossibile stabilire la qualità dell’intelligence militare sulla Germania, ma Goschen era un buon osservatore e i rapporti dei consoli britannici in territorio tedesco erano estremamente dettagliati. Un’analisi nettamente migliore di quella offerta da Crowe nel 1907 fu presentata da Churchill nel novembre del 1909. Questi sostenne, quasi sicuramente sulla base di tali rapporti, che la Germania fosse in realtà caratterizzata da una grave debolezza fiscale (si veda infra, cap. V). E questo era soltanto uno dei molti giudizi specialistici dello stesso tenore. Allora perché Grey e la maggior parte dei funzionari di alto rango del Foreign Office e dello stesso stato maggiore generale continuavano a paventare un progetto tedesco di ambizione napoleonica che rappresentava una minaccia diretta per la Gran Bretagna? È possibile quindi che esagerassero (se non addirittura che inventassero) una tale minaccia al fine di giustificare l’impegno militare nei confronti della Francia, da essi favorito. In altre parole, proprio perché volevano schierare la Gran Bretagna al fianco della Francia e della Russia dovevano attribuire ai tedeschi grandiosi piani di dominazione sull’Europa.

Il disimpegno continentale

Sarebbe tuttavia sbagliato concludere che la diplomazia e i piani militari britannici rendessero inevitabile la guerra. La realtà era infatti che l’impegno continentale della Gran Bretagna – che esisteva chiaramente sul piano diplomatico e su quello delle grandi linee strategiche – non esisteva sul piano della politica parlamentare.

Fin dall’inizio la maggior parte dei membri del gabinetto (per non parlare del parlamento) era stata tenuta all’oscuro delle discussioni intavolate con i francesi. Come aveva confidato a Paul Cambon il sottosegretario permanente Sanderson, il concetto di un impegno militare a favore della Francia «suscitava divergenze d’opinione»: «Qualsiasi cosa di natura più definita sarebbe stata immediatamente respinta dal governo». Fatto davvero straordinario, come abbiamo visto, inizialmente persino il primo ministro Campbell-Bannerman non ne fu informato, e quando lo fu, espresse subito il suo timore che «l’importanza assegnata ai preparativi congiunti ... si avvicinasse molto a un impegno d’onore». Pertanto, Haldane doveva spiegare «chiaramente» al capo dello stato maggiore generale Neville Lyttleton che «non ci sentivamo assolutamente impegnati per il semplice fatto di essere entrati in comunicazione».  121 La linea ufficiale del Foreign Office nel 1908 era inequivocabile: «Se la Germania avesse provocato le ostilità con la Francia, la questione dell’intervento armato della Gran Bretagna sarebbe stata di tale importanza che avrebbe dovuto essere decisa dal gabinetto».  122 Come aveva sottolineato Hardinge nella sua deposizione davanti alla sottocommissione del CID nel marzo del 1909:

Non avevamo dato alcuna garanzia che avremmo aiutato [i francesi] sulla terraferma, e l’unica cosa su cui i francesi potevano basare la speranza di un aiuto militare erano i colloqui semiufficiali svoltisi tra l’attaché militare francese e il nostro stato maggiore generale.

Di conseguenza, la sottocommissione concluse che «nel caso di un attacco della Germania contro la Francia, l’opportunità di inviare una forza militare all’estero o di basarsi esclusivamente sulle forze navali, è una questione politica che può essere decisa, quando si presenterà l’occasione, solo dal governo in quel momento in carica».  123 Lo stesso Asquith sottolineò questo punto quando definì il CID un «semplice organo di consulenza» e ricordò ai suoi membri che il governo non veniva «vincolato in alcun modo da qualsiasi sua decisione».  124 Quando gli venne chiesto quale fosse la natura dell’impegno inglese a favore della Francia, Grey dovette rispondere con molta cautela per evitare di utilizzare

parole che lasciassero supporre la possibilità in tutti questi anni di un accordo segreto, ignoto al parlamento, che ci impegnasse a una guerra europea. Formulai con estrema attenzione la risposta in modo da far capire che l’impegno preso nel 1904 [con la Francia] avrebbe potuto [inserito a margine: in certe circostanze] non essere prolungato e avere conseguenze di più ampia portata rispetto a quanto espressamente stabilito.  125

Analoghe negazioni su un impegno continentale vincolante si fecero tanto più frequenti quanto più il comportamento di Grey suscitava i sospetti della stampa radicale e dei suoi colleghi di partito. In un articolo pubblicato sul «Guardian» subito dopo il discorso tenuto nel 1911 da Lloyd George alla Mansion House, il direttore dell’«Economist» Francis W. Hirst preannunciò il linguaggio di un successivo fiasco diplomatico definendo «stravagante» immaginare un ministro britannico «che chiede a milioni di suoi innocenti concittadini di sacrificare la propria vita per una controversia continentale della quale non sanno nulla e non si curano affatto». «Nation» accusò Grey di trascinare il paese «sull’orlo di un conflitto ... per interessi non britannici» e di sottoporlo a «un crudele ricatto da parte delle potenze associate».  126 Simili sentimenti cominciarono a circolare anche nella nuova commissione liberale per gli affari esteri creata da Arthur Ponsonby e Noel Buxton nel novembre del 1911.  127 Nel gennaio del 1912 la York Liberal Association – creatura del parlamentare Arnold Rowntree – scrisse a Grey manifestando la speranza che «il governo inglese faccia tutti gli sforzi possibili per promuovere amicizia e buoni rapporti» tra Gran Bretagna e Germania e denunciando «l’azione aggressiva e ingiustificata della Russia in Persia».  128

Ma fu all’interno del gabinetto che Gray dovette affrontare l’opposizione più tenace. Per quanto ne sapevano i ministri (se mai sapevano qualcosa), era stata semplicemente presa in considerazione l’opzione di un intervento militare e ne erano state esaminate le implicazioni logistiche. Sarebbe stato il gabinetto, e non il ministro, a prendere la decisione finale, e il governo nel suo complesso rimaneva, per citare le parole di Grey, «completamente libero».  129 Pertanto, a giudizio di Lord Loreburn, l’intervento in una «controversia esclusivamente francese» era inconcepibile, perché poteva essere decretato soltanto (come disse lui stesso a Grey) con «una maggioranza composta in larga misura di conservatori e con un elevato numero di incaricati ministeriali schierati contro di voi ... Questo significherebbe che l’attuale governo potrebbe non avere la forza di proseguire».  130 All’indomani del «consiglio di guerra» del CID tenutosi nell’agosto del 1911, Lewis Harcourt e Sir Walter Runciman, ministro dell’Agricoltura e della pesca, convennero che l’idea di inviare truppe britanniche in Francia nel caso di una guerra sarebbe stata una «follia criminale».  131 Asquith, perenne banderuola, seguì questa direzione del vento, avvertendo Grey che i colloqui militari con la Francia erano «piuttosto pericolosi ... specialmente per la parte che riguardava l’aiuto britannico».  132 Solo con grande difficoltà Grey riuscì a resistere alle pressioni che intendevano proibire ulteriori colloqui militari anglo-francesi.  133 All’inizio di novembre del 1911 fu comprensibilmente sconfitto al gabinetto (con quindici voti contrari e cinque favorevoli) quando il visconte Morley, presidente della Camera dei Lord, sollevò

la questione dei colloqui che si tengono, o sono comunque permessi, tra lo stato maggiore generale del ministero della Guerra e gli stati maggiori di paesi stranieri come la Francia in relazione a una possibile cooperazione militare, senza che il gabinetto ne sia stato informato.

Asquith si affrettò a rassicurare Morley che «tutte le questioni di politica sono state e debbono essere considerate come decisione spettante al gabinetto» e che «non rientra in alcun modo nelle funzioni degli ufficiali dell’esercito e della marina giudicare tali questioni»; ma il dibattito fu per Grey piuttosto sgradevole.  134 Sebbene Haldane pensasse di essere uscito dalla riunione decisiva «senza essere vincolato sui punti materiali», non fu questo il modo in cui Asquith riassunse al re le conclusioni raggiunte dal gabinetto:

Non dovrebbe avere luogo alcuna comunicazione tra lo stato maggiore generale e gli stati maggiori di altri paesi che possa, direttamente o indirettamente, impegnare il nostro paese a un intervento navale o militare ... Tale genere di comunicazioni, nel caso riguardassero azioni concertate per terra o per mare, non dovrebbero essere effettuate senza la previa approvazione del gabinetto.  135

Grey fu costretto in modo umiliante a confermare alla Camera dei Comuni: «Impegni come quelli che obbligano il parlamento a cose di questo genere [ossia, l’intervento in una guerra continentale] sono contenuti in trattati e accordi che sono stati sottoposti all’esame di questa Camera ... Dal giorno in cui siamo entrati in carica non abbiamo firmato un solo articolo segreto di qualsiasi sorta».  136 Per l’opposizione, il ministro degli Esteri stava battendo «in ritirata» e la sua politica era un «disastro».  137 Non sorprende quindi che l’attaché militare francese a Berlino ritenesse che, in caso di guerra con la Germania, la Gran Bretagna sarebbe stata di «pochissimo aiuto».

E il disastro non terminò qui. Nel luglio del 1912 Churchill (ora all’Ammiragliato) dovette confermare che la divisione di responsabilità navali che concentrava la marina francese nel Mediterraneo e la flotta britannica nelle acque di casa non avrebbe «influito in alcun modo sulla piena libertà d’azione di cui godevano entrambi i paesi».  138 Queste disposizioni erano state

prese indipendentemente perché sono le migliori che gli interessi separati di ciascun paese suggeriscono [sic] ... Non sono il frutto di un accordo o di una convenzione navale ... Negli accordi navali o militari non deve esservi nulla che possa esporci ... se, quando giungerà il momento, decideremo di chiamarci fuori.  139

Non esisteva, come disse Harcourt in un’intervista rilasciata al «Daily Telegraph» in ottobre, «alcuna alleanza o accordo, attuale o implicito»; la politica britannica non era sottoposta ad alcun «vincolo».  140 Il 24 marzo 1913 Asquith ripeté la formula ai Comuni:

Come è stato ripetutamente affermato, questo paese non è sottoposto ad alcun obbligo non pubblico e non noto al parlamento che lo costringa a prendere parte a una guerra. In altre parole, se scoppia una guerra tra le potenze europee, non esistono accordi non pubblici che limitino o ostacolino la libertà del governo o del parlamento di decidere se la Gran Bretagna dovrà prendervi parte.  141

In tali circostanze, Grey non aveva altra scelta se non quella di informare con la maggiore delicatezza possibile i governi di Parigi e di San Pietroburgo. A Sazonov comunicò che il governo aveva «deciso di avere le mani libere», anche se «un predominio della Germania sulla politica del continente sarebbe per noi alquanto sgradevole» (un’allusione nello stile tipico di Grey).  142 A Cambon disse semplicemente che non esisteva «un impegno che obbligasse entrambi i governi ... a una cooperazione in guerra».  143 I colloqui navali anglo-russi comportavano un impegno ancora minore. In effetti, a Londra aumentava il disagio per la brama russa di concessioni non reciproche nel Vicino Oriente.  144 Come Grey aveva detto a Cambon nel maggio del 1914: «Non potevamo assumere un impegno militare con la Russia, nemmeno in modo assolutamente ipotetico». L’11 giugno 1914 – pochi giorni prima dell’attentato di Sarajevo – Grey dovette rassicurare nuovamente i Comuni sul fatto che

se scoppiasse una guerra tra le potenze europee, non esistono accordi non pubblici che limiterebbero o ostacolerebbero la liberta del governo o del parlamento di decidere se la Gran Bretagna debba prendervi parte. Non si stanno tenendo negoziati in tal senso e non c’è motivo perché debbano essere avviati, per quel che mi consta.  145

Quindi veniva a mancare la sola giustificazione plausibile per la strategia di Grey, ossia che avrebbe dissuaso i tedeschi dall’attaccare la Francia. «Un’intesa tra Russia, Francia e noi stessi sarebbe assolutamente sicura», aveva dichiarato poco dopo avere assunto l’incarico di ministro degli Esteri. «Se è necessario controllare la Germania, lo si può fare.»  146 Questo era stato il punto di partenza per le dichiarazioni fatte da Grey, da Haldane e persino dallo stesso re a diversi rappresentanti tedeschi nel 1912: la Gran Bretagna «non avrebbe potuto accettare in nessuna circostanza che la Francia fosse sconfitta».  147 Tali dichiarazioni sono state spesso considerate dagli storici alla stregua di impegni categorici che i tedeschi furono folli a ignorare. Ma la verità, come il governo tedesco non poteva non capire, era che le intese non erano «assolutamente sicure». L’opposizione all’impegno sul continente all’interno del suo stesso partito aveva impedito a Grey di fare passi concreti in direzione di un’alleanza formale con la Francia (e forse anche con la Russia), appoggiata da falchi della diplomazia come Mallet, Nicolson e Crowe e sollecitata da Churchill nell’agosto del 1911.  148 Eppure, solo un’alleanza sarebbe stata «assolutamente sicura». Persino Crowe, nel febbraio del 1911, dovette ammettere

il fatto fondamentale ... che l’intesa non è un’alleanza. In caso di emergenze supreme si potrebbe scoprire che non ha alcuna sostanza. Perché un’intesa non è altro che un atteggiamento mentale, una visione politica generale condivisa dai governi di due paesi, ma che potrebbe essere o diventare talmente vaga da perdere ogni contenuto.  149

I francesi potevano anche sentirsi rassicurati al pensiero che «l’Inghilterra sarebbe stata costretta dai propri interessi ad appoggiare la Francia per impedire una sua sconfitta».  150 Ma, sul piano politico, si basavano unicamente su un’iniziativa personale di Grey – il Grey del Whinchester College, del Balliol College e il Grey pescatore – in forza della quale «nessun governo britannico rifiuterebbe [alla Francia] aiuto militare e navale se fosse ingiustamente minacciata e attaccata».  151 La realtà era che l’intervento britannico sarebbe stato possibile solo se il ministro fosse riuscito a convincere la maggioranza del gabinetto, cosa che non era stato in grado di fare nel 1911. Se non ci fosse riuscito, Grey e l’intero governo avrebbero probabilmente dovuto rassegnare le dimissioni, e questo non avrebbe certo rappresentato motivo di preoccupazione per i tedeschi.  152 Evidente segno della frustrazione dei diplomatici fu il fatto che il 10 aprile 1912 Nicolson dicesse a Cambon: «Il gabinetto radicalsocialista [sostenuto da] finanzieri, pacifisti, maniaci e altri ancora ... non durerà: ormai è spacciato; e con i conservatori lei otterrà qualcosa di preciso». Uno sfogo davvero sorprendente per un funzionario pubblico.  153

Nelle loro memorie i responsabili della politica estera britannica negli anni 1906-1914 si sforzarono in ogni modo per giustificare questa straordinaria miscela di impegno strategico e diplomatico e di disimpegno pratico e politico.  154 Ma le loro argomentazioni non sono convincenti. A conti fatti, come ha sostenuto Rudolf Steiner, l’incertezza della posizione britannica rese più probabile l’eventualità di una guerra continentale anziché allontanarla, in quanto incoraggiò i tedeschi a considerare la possibilità di un attacco preventivo.  155 Ciò che la politica inglese certamente non ottenne fu di rendere inevitabile l’intervento della Gran Bretagna in tale guerra. A malapena lo rese possibile.

Il grido dei morti: La prima guerra mondiale: il più atroce conflitto di ogni tempo
titlepage.xhtml
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_000.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_001.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_002.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_003.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_004.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_005.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_006.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_007.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_008.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_009.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_010.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_011.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_012.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_013.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_014.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_015.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_016.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_017.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_018.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_019.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_020.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_021.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_022.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_023.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_024.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_025.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_026.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_027.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_028.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_029.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_030.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_031.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_032.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_033.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_034.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_035.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_036.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_037.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_038.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_039.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_040.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_041.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_042.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_043.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_044.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_045.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_046.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_047.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_048.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_049.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_050.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_051.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_052.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_053.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_054.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_055.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_056.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_057.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_058.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_059.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_060.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_061.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_062.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_063.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_064.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_065.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_066.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_067.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_068.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_069.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_070.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_071.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_072.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_073.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_074.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_075.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_076.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_077.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_078.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_079.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_080.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_081.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_082.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_083.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_084.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_085.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_086.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_087.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_088.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_089.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_090.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_091.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_092.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_093.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_094.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_095.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_096.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_097.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_098.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_099.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_100.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_101.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_102.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_103.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_104.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_105.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_106.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_107.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_108.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_109.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_110.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_111.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_112.html
Il_grido_dei_morti__La_prima_gu_split_113.html