XI

«Massima carneficina con minima spesa».
Le finanze di guerra

Finanze e guerra

Una volta Bertrand Russell definì l’obiettivo dell’economia di guerra in questi termini: «Massima carneficina con minima spesa». Sulla base di questo parametro si potrebbe essere tentati di dire che le Potenze centrali «vinsero» la prima guerra mondiale.

Per comprendere la portata della superiorità degli Imperi centrali nella conduzione della guerra è necessario tenere conto non solo dell’efficienza militare ma anche di quella economica. Nel capitolo IX abbiamo esaminato le tesi formulate da alcuni storici dell’economia considerando le economie di guerra dei paesi belligeranti senza tenere sostanzialmente conto del vero e proprio compito di distruzione. Questo, naturalmente, ci allontana dal tema che vogliamo affrontare. Come disse Russell, l’obiettivo supremo di ogni attività economica di guerra è il massacro dei nemici. Perciò, qualsiasi valutazione sull’efficienza in tempo di guerra deve tenere conto della carneficina compiuta, proprio come ogni valutazione sull’efficienza militare deve tenere conto delle spese sostenute. Per farlo in modo istruttivo dobbiamo ora occuparci delle finanze di guerra.

Come abbiamo visto, nonostante gli occasionali sforzi di ripartire le risorse per decreto, persino alla fine della guerra la maggior parte degli Stati gestiva ancora la propria economia attraverso i meccanismi del mercato e basandosi sulla regolamentazione dei prezzi per tenere sotto controllo le sue distorsioni più vistose. In nessun paese lo Stato agiva come se possedesse le materie, le aziende o gli uomini (come poté fare l’Unione Sovietica nella seconda guerra mondiale); bisognava pagare per ogni cosa. Questo significa che la tradizionale finanza di guerra era altrettanto essenziale per la mobilitazione economica dei vari meccanismi più o meno burocratici finalizzati all’assegnazione delle risorse (di cui ci siamo occupati nel cap. IX).

Si è spesso affermato, prima del 1914, che non ci si poteva permettere una guerra tra grandi potenze europee: qualsiasi tentativo di condurne una si sarebbe inevitabilmente tradotto in un collasso finanziario. Quando la guerra effettivamente scoppiò, l’impatto economico immediato sembrò confermare questa previsione (si veda supra, cap. VII). Il 10 agosto 1914 un infervorato Keynes disse a Beatrice Webb

di essere convinto che la guerra non sarebbe durata più di un anno ... Il mondo, spiegò, era estremamente ricco, ma, fortunatamente, la sua ricchezza era di un genere che non si poteva utilizzare rapidamente per scopi bellici: era infatti sotto forma di complesse attrezzature per produrre cose del tutto inutili per combattere una guerra. Non appena tutta la ricchezza disponibile fosse esaurita – cosa che, a suo parere, avrebbe richiesto un anno – le potenze avrebbero dovuto fare la pace.  1

Simili fandonie erano molto diffuse a Londra nel 1914. Asquith assicurò George Booth che la guerra sarebbe terminata «in pochi mesi».  2 Sir Archibald Murray, capo di stato maggiore della BEF, assicurò Esher che la guerra sarebbe durata «tre mesi se tutto va bene, o forse otto se le cose non vanno per il verso giusto. Superato questo periodo, sarebbe impossibile nutrire gli eserciti sul campo e le popolazioni interessate, e il peso finanziario sarebbe maggiore di quanto l’Europa possa sopportare».  3 Era come se tutti avessero imparato la lezione da Bloch e Angell.

Inutile dirlo, la crisi finanziaria dell’agosto 1914 non rese affatto impossibile la prima guerra mondiale. Lewis Einstein, un intelligente diplomatico americano, lo aveva già capito nel gennaio del 1913. In un articolo intitolato The Anglo-German Rivalry and the United States, pubblicato sulla «National Review», si schierava acutamente contro l’opinione che un collasso finanziario avrebbe posto rapidamente fine alla guerra:

Molto più probabile sarebbe un conflitto prolungato ... in cui nessuna [parte] sarebbe in grado di ottenere un vantaggio decisivo. Malgrado si sostenga in teoria che oggi una lunga guerra sia economicamente impossibile, non vi è alcuna prova pratica a sostegno di tale teoria, e ci sono illustri economisti secondo i quali il moderno sistema di credito risulta perfettamente adatto a facilitare il protrarsi di una guerra.  4

Aveva visto giusto. Kitchener aveva detto la stessa cosa nell’agosto del 1914, facendo allarmare i suoi colleghi più ottimisti. La guerra, confidò a Esher, poteva durare «almeno due o tre anni», perché «nessuna pressione finanziaria ha finora mai posto fine a una guerra in corso».  5 Per quanto i costi della guerra fossero in termini nominali senza precedenti, i contribuenti europei e, cosa ancora più importante, il capitale internazionale e i mercati monetari erano perfettamente in grado di sostenere tre anni di massacri prima che si verificasse il crollo previsto da Bloch.

Ma si verificò, com’è stato detto più volte, proprio in Germania? Senza dubbio gli storici dell’economia hanno a lungo raffigurato la finanza di guerra tedesca tra il 1914 e il 1918 sotto una luce tutt’altro che lusinghiera, accusandola di avere provocato un’inflazione «stellare».  6 La critica principale è stata che il governo non seppe riscuotere imposte dirette in misura sufficiente e si basò troppo su forme inflazionarie di prestito.  7 Persino Theo Balderston, in un illuminante confronto tra le finanze britanniche e quelle tedesche, parte ancora dall’assunto che ciò che deve essere spiegato è l’incapacità della Germania di tenere sotto controllo l’inflazione. Balderston sostiene in modo convincente che, in effetti, la Germania non finanziò con la tassazione una quota di spesa pubblica di guerra di molto inferiore a quella della Gran Bretagna. Ma la sua conclusione riguarda una carenza tedesca di carattere più sottile: fu (tra le altre cose) la relativa incapacità dei mercati finanziari tedeschi di assorbire il debito governativo di breve termine a provocare la crescita di un’eccedenza monetaria molto più ampia che in Gran Bretagna.  8 Non sembra fuori luogo collegare questa eccedenza monetaria al presunto problema dell’inefficienza amministrativa discusso nel capitolo precedente. Il controllo dell’inflazione – tenuta a bada soltanto grazie a un complesso sistema di controllo dei prezzi – condusse allo sviluppo del mercato nero. Questo, come sostengono alcuni, aggravò il già esistente problema dell’erronea distribuzione delle risorse, contribuendo al declino di quell’efficienza che normalmente si attribuisce all’economia tedesca nel suo complesso.

La storia delle finanze di guerra tedesche può pertanto essere raccontata nei seguenti tristi termini. La guerra costò molto più di quanto si aspettassero persino i più pessimisti. Compresi i comuni e il sistema di assistenza sociale, la spesa pubblica totale passò da circa il 18 per cento del prodotto nazionale netto nel periodo prebellico al 76 per cento nel momento di massima intensità della guerra, nel 1917.  9 Solo una parte limitata di questa spesa fu coperta dalle imposte.  10 L’incapacità del governo di imporre una tassazione diretta più elevata era la conferma del grande potere politico esercitato dal mondo degli affari; infatti fu proprio quest’ultimo, e soprattutto l’industria, a ottenere i maggiori vantaggi in termini di reddito e ricchezza durante la guerra. Caratteristica fu l’opposizione all’imposta sulla cifra d’affari (Umsatzsteuer), una riscossione forfettaria su tutte le attività finanziarie, introdotta nel giugno del 1916. Il grosso della spesa fu invece finanziato con i prestiti; e poiché la Germania era in grado di ottenerne solo una quantità limitata all’estero, la maggior parte dell’onere del prestito ricadde sul mercato tedesco dei capitali. Tuttavia, poiché il deficit del settore pubblico aumentava vertiginosamente, il livello del prestito superò la disponibilità del pubblico a fare prestiti governativi a lungo termine. Nel novembre del 1918 il debito fluttuante del Reich toccò i 52,1 miliardi di marchi, ossia il 34 per cento del debito totale del Reich.  11 Gli alti livelli di prestiti pubblici, a propria volta, determinarono una rapida espansione monetaria in seguito alla sospensione (illecita) dei pagamenti in liquidi da parte della Reichsbank il 31 luglio 1914. La legislazione del 4 agosto creò il potenziale per una crescita monetaria illimitata tramite un certo numero di modifiche al regolamento della riserva della Banca centrale tedesca.  12 Da quel momento in poi il denaro liquido in circolazione crebbe a un tasso annuo del 38 per cento.  13 L’espansione monetaria condusse a sua volta all’inflazione, sebbene a un livello inferiore a quello che ci si sarebbe potuti aspettare, grazie al controllo sui prezzi.  14 Tuttavia il controllo dei prezzi distorse il mercato nel momento stesso in cui creò differenziali artificiosi,  15 portando allo sviluppo di un mercato nero dei beni più richiesti e acuendo le carenze sul mercato ufficiale.  16 Questo calo crescente del potere d’acquisto ridusse l’efficienza economica, precipitando quindi la Germania in una spirale discendente verso il collasso interno e la sconfitta.

Il rovescio di questa tesi è che fu proprio la sua superiorità finanziaria ad assicurare alla Gran Bretagna la vittoria. Questa era certamente l’opinione di Lloyd George. Come cancelliere dello Scacchiere aveva cominciato la guerra con un brutto spavento quando, come abbiamo visto, gli istituti di accettazione bancaria si erano trovati sull’orlo del collasso e le banche ordinarie avevano cercato di indurre la Banca d’Inghilterra a sospendere completamente la convertibilità dell’oro (cosa che avrebbe permesso loro di fornire ai clienti liquidità a un tasso più basso di quello della Banca centrale). La decisione di imporre una moratoria e di prolungare le festività bancarie salvò gli istituti di accettazione bancaria, ma, nonostante le suppliche delle banche ordinarie, il Tesoro e la Banca d’Inghilterra preferirono seguire l’impostazione del dopo 1844 ed evitare la sospensione con qualsiasi mezzo. Con un compromesso si decise che la convertibilità dovesse essere mantenuta, ma il tasso della Banca d’Inghilterra diminuì di un ulteriore 1 per cento. Una settimana dopo il mercato delle accettazioni accolse con sollievo la notizia che la Banca centrale aveva deciso di scontare tutte le cambiali accettate prima del 4 agosto al nuovo tasso più basso. Questo fu un ottimo risultato e la fiducia in se stesso di Lloyd George come cancelliere si consolidò grandemente.

Come nel 1909, quando la City aveva previsto la catastrofe se il bilancio fosse stato approvato, Lloyd George l’aveva spuntata sui banchieri. Il senso di potenza che ciò gli ispirava lo si può cogliere in un brano del suo famoso discorso alla Queen’s Hall, pronunciato poche settimane più tardi: «Avete in tasca qualche banconota da 5 sterline? [Risate e applausi] Se le avete, bruciatele; sono solo pezzi di carta ... Di che cosa sono fatte? Di stracci ... Quanto valgono? L’intero credito dell’Impero britannico [fragoroso applauso]».  17 Si dava per scontato che l’intero credito dell’Impero avrebbe garantito la vittoria. «Io credo», disse davanti a un’altra platea nel mese di settembre, «che il denaro liquido conterà molto più di quanto siamo in grado di immaginare al momento.»  18 Persino Keynes, che in seguito divenne il più pessimista su questo tema, accolse lo scoppio della guerra con il medesimo ottimismo. Nel gennaio del 1915 rassicurò i suoi amici Leonard e Virginia Woolf con queste parole: «Siamo destinati a vincere ... e anche in grande stile, dato che all’ultimo minuto abbiamo dedicato tutti i nostri cervelli – intendeva il suo – e la nostra ricchezza al problema».  19

Il costo di uccidere

Eccoci dunque alle prese con l’ormai noto problema. Perché, se le finanze di guerra tedesche erano così deficitarie, le potenze dell’Intesa, sostenute dal superiore sistema finanziario britannico, impiegarono così tanto tempo per vincere la guerra?

Il fatto che colpisce maggiormente riguardo al finanziamento della prima guerra mondiale è che vincerla costò molto di più – approssimativamente due volte di più – che perderla. Sono stati compiuti diversi tentativi per calcolare il costo della guerra per tutti i paesi belligeranti. Secondo una serie di calcoli, il totale delle «spese di guerra» (ossia l’aumento della spesa pubblica al di sopra della «norma» prebellica) ammontò a 147 miliardi di dollari per le potenze alleate (Francia, Gran Bretagna, Impero britannico, Italia, Russia, Stati Uniti, Belgio, Grecia, Giappone, Portogallo, Romania e Serbia) in confronto a una cifra di circa 61,5 miliardi di dollari per gli Imperi centrali (Germania, Austria-Ungheria, Turchia e Bulgaria).  20 Un’altra stima giunge a cifre rispettivamente di 140 e 83 miliardi di dollari.  21 I miei calcoli approssimativi – riportati nella tabella 36 – confermano queste cifre: la Gran Bretagna (45 miliardi di dollari) spese quasi il 50 per cento di più di quanto spese la Germania (32 miliardi di dollari).  22

Basandosi principalmente sul prestito per raccogliere queste somme gigantesche la Germania non si comportava in modo diverso dagli altri paesi belligeranti. Come ha dimostrato Theo Balderston, quando al bilancio del Reich si aggiungono quelli degli Stati – come si dovrebbe fare se si vuole stabilire un confronto con Stati non federali quali la Gran Bretagna, la Francia e la Russia – le notevoli differenze individuate da Robert Knauss e altri si riducono vistosamente.  23 Durante la guerra la Germania finanziò tra il 16 e il 18 per cento della spesa pubblica con la tassazione; cifra non molto inferiore a quella della Gran Bretagna (tra il 23 e il 26 per cento). Nemmeno la politica impositiva britannica era significativamente più progresssiva di quella tedesca: il tasso effettivo di imposta sul reddito aumentò in modo quasi uniforme per i risparmiatori medi e alti durante la guerra, e in Gran Bretagna le tasse sui sovraprofitti furono pagate solo dalle imprese (mentre in Germania dovevano pagarle anche i singoli individui).  24 In media, il 13,9 per cento delle spese di guerra tedesche era coperto dall’imposizione diretta; il corrispettivo britannico era del 18,2 per cento: non certo una differenza abissale.  25 Anzi, la politica impositiva della Germania esce positivamente da un confronto con quelle della Francia, dell’Italia e della Russia. Quanto alla Prussia, aveva, come la maggior parte dei principali Stati tedeschi, un’efficace imposta sul reddito già prima che iniziasse la guerra, mentre l’imposta sul reddito approvata in Francia alla vigilia del conflitto non entrò in vigore fino al 1916 e fruttò piuttosto poco.  26 Inoltre, in Francia la tassa sui profitti era già relativamente bassa e facilmente evitabile.  27 In media i francesi coprirono solo il 3,7 per cento delle spese belliche complessive con l’imposizione diretta, cifra inferiore persino rispetto a quella dell’Italia (5,7 per cento).  28 Allo stesso modo, il carattere illusorio del gettito proveniente dall’imposta tedesca sul carbone del 1917 (gran parte della quale era in realtà pagata dal bilancio straordinario del Reich) era un problema minore in confronto ai pasticci combinati dalla tassazione russa del tempo di guerra. Come abbiamo visto, una delle principali fonti di reddito del regime zarista era il monopolio della vodka, ma il governo abolì la vendita di liquori per tutta la durata della guerra, per cui il denaro (al contrario dei bevitori) si esaurì. L’imposta sul reddito e quella sui sovraprofitti, introdotte nel 1916, fruttarono in tutto 186 milioni di rubli, «meno di quanto serviva a pagare un fine settimana di guerra».  29 In breve, tutti i paesi belligeranti furono oppressi da immensi disavanzi, gravando ulteriormente sui loro rispettivi debiti nazionali (cfr. tab. 37).

Tabella 36 – Totale delle spese, 1914-1918 (in milioni di dollari).

 

Germania (Reich e Stati)

Gran Bretagna

Francia

Russia

Italia

Stati Uniti

1914-1915

  2,920

  2,493

  1,994

  1,239

     979

     761

1915-1916

  5,836

  7,195

  3,827

  3,180

  1,632

     742

1916-1917

  5,609

10,303

  6,277

  4,585

  2,524

  2,086

1917-1918

  8,578

12,704

  7,794

  2,774

  3,012

13,791

1918-1919

  9,445

12,611

10,116

 

  4,744

18,351

Totale

32,388

45,307

30,009

11,778

12,892

37,731

Nota: La cifra russa per il 1914 vale solo per gli ultimi mesi; per il 1917 per otto mesi. Le cifre americane e italiane per l’anno con termine al 30 giugno, le altre per l’anno con termine al 31 marzo. Le cifre del dollaro sono ricavate usando appositi tassi di cambio.
Fonti: Barlderston, War Finance, p. 225; Bankers Trust Company, French Public Finance, pp. 119-123; Apostol, Bernatzky e Michelson, Russian Public Finance, p. 217.

Ancora una volta, ciò che più colpisce non è che i disavanzi tedeschi fossero leggermente maggiori in rapporto alle spese di quelli delle potenze dell’Intesa; a stupire sono le cifre ben più alte che gli Alleati dovettero prendere a prestito in termini assoluti. La tabella 38 mostra che, in termini nominali, tra il 1914 e il 1919 il debito nazionale francese aumentò di un fattore di cinque, il debito nazionale tedesco (anche in questo caso per il Reich e gli Stati insieme) di un fattore di otto e quello britannico di un fattore di undici. Le cifre corrispettive per l’Italia sono di cinque e per gli Stati Uniti di diciannove. Tra l’agosto del 1914 e l’ottobre del 1917 il debito russo aumentò di un fattore di quattro.  30 Queste cifre, però, sono leggermente fuorvianti, in parte perché alcuni paesi (come gli Stati Uniti) entrarono in guerra con debiti relativamente esigui e in parte perché alcuni debiti erano espressi in valute più deboli. Per questo motivo ho calcolato in fondo alla tabella il valore dell’aumento totale netto del debito nazionale in termini di dollari alla fine della guerra. Questo mostra che l’aumento reale tedesco era inferiore alla metà dell’aumento del debito britannico.

Tabella 37 – Disavanzi governativi in percentuale del totale delle spese, 1914-1918.

  

 Ungheria

 Germania

 Bulgaria

 Gran Bretagna

 Francia

 Russia

 Italia

 Romania

 Grecia

 Stati Uniti

1914 

– 38,4 

– 73,5 

– 23,0 

– 61,3 

– 54,8 

– 57,0 

  – 6,1 

     1,0 

– 55,0 

– 0,1 

1915 

– 72,4 

– 94,4 

– 37,9 

– 79,8 

– 79,4 

– 63,0 

– 45,3 

    n.d. 

– 41,0 

– 8,4 

1916 

– 81,4 

– 92,7 

– 59,4 

– 75,0 

– 86,6 

– 67,0 

– 64,9 

– 63,0 

     5,0 

     6,7 

1917 

– 74,6 

– 90,8 

– 65,3 

– 76,1 

– 86,1 

– 55,0 

– 69,6 

– 76,0 

– 26,0 

– 43,7 

1918 

– 59,1 

– 93,8 

– 56,2 

– 69,2 

– 80,0 

   n.d.. 

– 70,2 

– 75,0 

    n.d. 

– 71,2 

Fonti: Eichengreen, Golden Fetters, p. 75; Mitchell, European Historical Statistics, pp. 376-380; E. Morgan, Studies in British Financial Policy, p. 41; Apostol, Bernatzky e Michelson, Russian Public Finance, p. 220.

Tabella 38 – Debiti nazionali in milioni di valute nazionali, 1914-1918.

    

   Germania (Reich e Stati; in marchi)

   Gran Bretagna (in sterline)

   Francia (in franchi)

   Italia (in lire)

   Stati Uniti (in dollari)

1914   

  22,043   

     650   

  32,800   

15,719   

  1,338   

1915   

  34,323   

  1,098   

  40,008   

18,707   

  1,344   

1916   

  57,477   

  2,124   

  58,465   

26,146   

  1,225   

1917   

  87,119   

  4,025   

  82,504   

38,449   

  2,976   

1918   

125,523   

  5,802   

114,200   

59,518   

12,244   

1919   

179,050   

  7,280   

171,353   

79,348   

25,482   

Differenza (1919-1914)   

157,007   

  6,630   

138,553   

63,629   

24,144   

Differenza in dollari   

  15,135   

30,432   

  25,423   

    7,364   

24,144   

Nota: Cifre francesi al 1  º gennaio di ogni anno, tedesche e britanniche al 31 marzo, italiane e americane al 30 giugno. Valuta in dollari ottenuta usando appropriati tassi valutari mensili.
Fonti: Balderston, War Finance, p. 227; Schremmer, Taxation and Public Finance, p. 470; Bankers Trust Company, French Public Finance, p. 139.

Tutti i paesi, perciò, puntarono sulla disponibilità dei loro cittadini a contribuire con denaro allo sforzo bellico acquistando obbligazioni di guerra. Come abbiamo visto, mantenere attiva questa disponibilità diventò uno dei temi principali della propaganda. Il manifesto tedesco di cui abbiamo parlato nel capitolo VIII aveva il suo corrispettivo in tutti i paesi belligeranti. I seguenti sottotitoli del film di guerra britannico For the Empire sono illuminanti:

Una corazzata costa due milioni di sterline, ma noi dobbiamo vincere la guerra. Il prezzo non conta.
Tre cose sono fondamentali: soldi, uomini, munizioni.
Ci sono soltanto due alternative: o date i vostri soldi o date il vostro sangue.
Al diavolo il costo: dobbiamo vincere questa guerra.  31

Nel 1917 l’americano William Gibbs McAdoo, segretario al Tesoro, pronunciò queste memorabili parole: «Un uomo che non può prestare al suo governo 1,25 dollari al tasso d’interesse del 4 per cento non ha diritto di essere cittadino americano».  32 Non c’era nemmeno molto da scegliere tra le varie forme di obbligazioni di guerra. In Gran Bretagna ci furono tre prestiti di guerra, nel 1914, nel 1915 e nel 1917, seguiti da un «prestito della vittoria» nel 1919.  33 In Francia ci furono quattro prestiti della Difesa nazionale.  34 In Russia, sotto lo zar, ci furono sei prestiti di guerra e un settimo «prestito della Libertà» sotto il governo provvisorio.  35 Anche gli Stati Uniti adottarono lo slogan di «prestiti della Libertà» quando esortarono i cittadini a investire i propri soldi. I prestiti della Germania furono più numerosi di quelli dell’Intesa (nove in tutto), ma non c’è motivo di pensare che ebbero un rendimento peggiore.  36 Mentre la guerra continuava, in tutti i paesi si dovettero incentivare gli investitori con rendimenti più elevati, specialmente quando la guerra non andava bene: il declino delle sottoscrizioni francesi alla fine del 1917 è un’esempio illuminante.  37 Il sistema tedesco, in cui le obbligazioni di guerra potevano essere usate come garanzia collaterale per i prestiti della Banca statale delle obbligazioni (Darlehnskassen), in modo tale che le obbligazioni di guerra non esaurissero la liquidità, aveva un esatto parallelo in Russia.  38 Più o meno la stessa cosa accadde in Francia.  39

Ancora una volta, non c’era niente di insolito nel fatto che la Germania potesse finanziare solo una parte limitata di questi prestiti vendendo obbligazioni a lungo termine. Il fatto che in media il 32 per cento del debito tedesco fosse rimasto fluttuante (ossia a breve termine) tra il marzo 1915 e il marzo 1918 – mentre per la Gran Bretagna la cifra era solo del 18 per cento – riflette,  40 come ha sostenuto Balderston, differenze strutturali nella natura dei mercati finanziari di Berlino e Londra, ma anche la circostanza che il Tesoro britannico aveva emesso grandi quantità di obbligazioni a medio termine. Nel dicembre del 1919 circa il 31 per cento del debito nazionale britannico era costituito da obbligazioni con scadenza da uno a nove anni.  41 A differenza della Francia, le autorità tedesche riuscirono a vendere molto bene le loro obbligazioni a lungo termine: soltanto il 19 per cento della somma riscossa dai prestiti durante la guerra proveniva da vendite di rentes a lungo termine, probabilmente perché il debito francese a lungo termine era già piuttosto ingente prima che scoppiasse la guerra.  42 In media, il 37 per cento del debito francese durante la guerra era a breve termine (in confronto al 32 per cento della Germania); nel marzo del 1919 il debito francese a breve termine era maggiore in termini relativi di quello tedesco (44 per cento del totale contro il 42 per cento). Anche la Russia contava più della Germania sul prestito a breve termine: nel’ottobre del 1917 circa il 48 per cento del suo debito complessivo era costituito da buoni del Tesoro a breve termine.  43 Solo gli Stati Uniti riuscirono a finanziare il loro disavanzo quasi esclusivamente con la vendita di obbligazioni a lungo termine.  44

La paura del dollaro

Si è spesso affermato che i prestiti esteri furono decisivi per l’esito della prima guerra mondiale. Ciò si deve, almeno in parte, alla teatralità che avvolse i negoziati finanziari britannici con gli Stati Uniti, specialmente nel periodo tra il novembre del 1916 e l’aprile del 1917, cosa che ha spinto alcuni autori a esagerare l’importanza economica del denaro americano per lo sforzo bellico alleato.  45 Questa esagerazione può essere fatta risalire a John Maynard Keynes, il quale era diventato uno dei consiglieri più influenti del Tesoro britannico durante la guerra. Keynes, come abbiamo già detto, era stato inizialmente piuttosto ottimista sulle prospettive della Gran Bretagna. Ma il suo umore era rapidamente mutato, anche per la pressione alla quale era sottoposto dai suoi amici di Bloomsbury, che disapprovavano la guerra in modo ben più viscerale di Keynes. Anche se il suo lavoro al Tesoro gratificava il suo senso d’importanza, la guerra lo rese profondamente infelice. Persino la sua vita sessuale ne risentì, forse perché i ragazzi che gli piaceva abbordare per le strade di Londra si erano tutti arruolati.  46 Nel settembre del 1915, solo otto mesi dopo avere annunciato che le finanze tedesche stavano «crollando», Keynes dichiarò che, se non si fosse fatta la pace entro il prossimo aprile, ci sarebbe stata una «catastrofe», perché «la spesa pubblica dei mesi successivi avrebbe reso presto insopportabili le nostre difficoltà». Quando la catastrofe non arrivò – malgrado le allarmanti minacce di un veto sui prestiti da parte di Wilson in seguito all’introduzione di liste nere di società americane che commerciavano con le Potenze centrali  47 – Keynes aggiornò le sue profezie. Verso la fine del 1916 redasse un memorandum per il cancelliere Reginald McKenna in cui ammoniva che «il prossimo giugno, o anche prima, il presidente della repubblica americana sarà nella posizione ideale per dettarci, se lo desidera, i termini delle sue condizioni».  48

È vero che alla fine del 1916 c’erano motivi di preoccupazione, anche a causa della crescente opposizione dei germanofili all’interno del Board of Governors della Federal Reserve per il modo in cui la Gran Bretagna finanziava il proprio sempre maggiore scoperto nei confronti dell’America; opposizione che culminò con un «avvertimento» agli investitori americani di non investire il proprio denaro in buoni del Tesoro britannici.  49 Tuttavia, nella sua veste di soi-disant obiettore di coscienza, Keynes aveva tutto l’interesse ad appoggiare gli sforzi di Woodrow Wilson per arrivare a una conclusione negoziata della guerra; e, come sottolineò Sir Edward Grey il 28 novembre, la pressione finanziaria era certamente un modo per raggiungere tale obiettivo.  50 Nel febbraio del 1917, dopo che la Gran Bretagna aveva superato un grave attacco alla riserva aurea della Banca d’Inghilterra, Keynes fece un nuovo tentativo, affermando che la Gran Bretagna aveva riserve sufficienti solo per combattere altre quattro settimane. Non desistette neppure dopo l’entrata in guerra degli americani. Il 20 luglio scrisse un memorandum per Bonar Law, sostenendo minacciosamente che «l’intero tessuto finanziario dell’Alleanza» si sarebbe «dissolto nel giro non di mesi ma di giorni».  51 Il giorno seguente lo stesso presidente Wilson giunse alla conclusione che presto l’Inghilterra e la Francia «sarebbero state finanziariamente nelle nostre mani».  52

Non c’è dubbio che per la Gran Bretagna fu molto utile poter acquistare rifornimenti bellici negli Stati Uniti a un tasso di cambio sopravvalutato e sostenuto dai prestiti contratti a Wall Street. Sarebbe stato non solo imbarazzante ma anche foriero di inflazione se la sterlina fosse scesa molto al di sotto dei 4,70 dollari.  53 Ma appare esagerato sostenere che un indebolimento della sterlina, che era stata fissata a 4,76 dollari (2 per cento sotto la parità) per gran parte della guerra, sarebbe stato fatale per lo sforzo bellico della Gran Bretagna, come affermava Keynes. Bisogna ricordare che la Gran Bretagna, sebbene avesse preso in prestito più di cinque miliardi di dollari dagli Stati Uniti durante la guerra, non finì la guerra come debitrice ma ancora come creditrice. Nel marzo del 1919 il debito estero della Gran Bretagna, principalmente verso gli Stati Uniti, ammontava a 1365 milioni, ma i suoi alleati, i Dominions e le colonie le dovevano 1841 milioni, con un bilancio netto a favore di quasi mezzo miliardo.  54 Ecco ciò che era successo: la Gran Bretagna aveva usato la sua buona reputazione finanziaria (inizialmente fondata sulle grandi quantità di dollari possedute dai suoi sudditi) per ottenere denaro in prestito a New York, che poi aveva a propria volta prestato ai suoi alleati dotati di minor credito. Anche la Francia aveva contratto prestiti con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, pur concendendo prestiti alla Russia e ad altri paesi.  55 Non si deve nemmeno supporre che le Potenze centrali fossero in qualche modo «tagliate fuori» dal mercato internazionale dei capitali per la potenza di J.P. Morgan.  56 Secondo una valutazione, circa 35 dei 2160 milioni di dollari che gli Stati Uniti prestarono ai paesi belligeranti prima dell’aprile 1917 andarono alle Potenze centrali.  57 Dal punto di vista della prosecuzione della guerra, la quantità di obbligazioni di guerra che si potevano vendere a Wall Street era meno importante del modo in cui si poteva finanziare con qualsiasi mezzo un disavanzo commerciale; e sotto questo aspetto la Germania si comportò sorprendentemente bene nonostante le limitazioni imposte dal blocco. Un livello più elevato di finanze estere aiutò certamente la Gran Bretagna e la Francia a spendere di più per la conduzione della guerra rispetto alla Germania e all’Austria-Ungheria. Il fatto che alla fine della guerra circa il 18 per cento del debito britannico fosse in possesso di stranieri parla da sé. Ma le finanze estere non erano garanzia di vittoria; lo dimostrano la sconfitta e la morosità della Russia, nonostante l’accumulo dei debiti nei confronti dei suoi alleati avesse raggiunto i 7788 milioni di rubli (pari a 824 milioni di sterline): non meno del 30 per cento dei prestiti di guerra complessivi del paese.  58

La cosa davvero sorprendente è che lo sforzo bellico dell’Intesa avrebbe dovuto condurre – almeno secondo Keynes – a una dipendenza dai prestiti americani, benché l’Intesa avesse cominciato la guerra con un cospicuo vantaggio finanziario. La guerra aveva esposto i limiti della potenza imperiale britannica: i grandi accumuli di beni d’oltremare con i quali la Gran Bretagna era entrata in guerra si erano dimostrati un ammortizzatore finanziario molto meno solido di quanto ci si fosse aspettati, anche perché, come osservò George Booth, «quando uno è costretto a vendere, vende meno bene e la posizione del venditore induce l’acquirente a trarre il massimo vantaggio dalla situazione. Ci furono molte vendite [di beni d’oltremare] che, come risultò in seguito, furono realizzate in base a valutazioni ridicolmente basse».  59 D’altra parte, nel 1916 i britannici si trovavano in una netta posizione di forza rispetto a Wall Street, come sempre avviene nel caso dei grandi debitori. All’inizio del 1917 J.P. Morgan era talmente impegnato con la Gran Bretagna e con la sterlina che una vera crisi era pressoché impensabile; si può ben immaginare lo «stato di esaltazione» dell’ufficio di Morgan quando fu annunciato che gli Stati Uniti stavano rompendo i rapporti con la Germania:  60 nel 1917 non fu solo la Gran Bretagna a essere tolta dai guai ma anche la banca Morgan. Da quel momento in poi la minaccia di una crisi della sterlina non fu altro che un bastone con il quale gli americani cercarono di indurre i britannici ad accettare gli obiettivi diplomatici degli Stati Uniti.  61 Come disse Wilson, il bello di avere un certo potere finanziario sulla Gran Bretagna e la Francia era che «quando la guerra terminerà, possiamo costringerle a pensarla come la pensiamo noi».  62

Banconote e prezzi

La Germania fu l’unico paese a consentire la rapida crescita di una massa monetaria durante la guerra? Certamente no. Tutti i paesi belligeranti modificarono i regolamenti valutari prebellici, sospendendo non ufficialmente la convertibilità dell’oro (Russia e Germania), limitando l’esportazione di oro (Russia, Germania, Gran Bretagna e Francia), imponendo moratorie temporanee su certe forme di debiti e quindi monetizzandole (Gran Bretagna), creando nuove forme di offerte legali di banconote (Gran Bretagna e Germania).  63 L’obiettivo iniziale di questi cambiamenti era quello di evitare una catastrofica contrazione valutaria. Ma, una volta tornata la fiducia, l’effetto – unito ad alti livelli di prestiti governativi a breve termine e alla limitazione di nuove imposte – fu quello di immettere liquidità su larga scala. La riserva di denaro cessava di essere significativamente correlata alle riserve metalliche della Banca centrale. Il conseguente aumento nella circolazione di banconote (indicatori valutari più sofisticati non sono disponibili per alcuni paesi belligeranti) fu sicuramente maggiore per la Germania che per la Gran Bretagna, la Francia e l’Italia. In Germania, tra il 1913 e il 1918, la circolazione di banconote aumentò del 285 per cento, in confronto al 110 per cento della Gran Bretagna. Considerando le medie annue della circolazione di banconote della Banca centrale negli stessi anni, per la Germania l’aumento si aggirò intorno al 600 per cento, in confronto a circa il 370 per cento per l’Italia e il 390 per cento per la Francia. Ma l’aumento della circolazione di banconote fu notevolmente maggiore per l’Austria-Ungheria e la Russia (cfr. tab. 39).

Inevitabilmente, dato che la carenza di certi beni coincideva con questa espansione monetaria, l’inflazione divenne un problema generalizzato. Ancora una volta, l’esperienza della Germania del tempo di guerra non fu affatto eccezionale. Tra il 1914 e il 1918 i prezzi all’ingrosso aumentarono meno in Germania (105 per cento) che in Gran Bretagna (127 per cento), in Francia (233 per cento) o in Italia (326 per cento), sebbene gli indici del costo della vita indichino che i prezzi al consumatore siano aumentati due volte di più in Germania (204 per cento) che in Gran Bretagna (110 per cento) o in Francia (113 per cento). Tuttavia, rimangono ancora piuttosto positivi se li si confronta con quelli dell’Austria (con un aumento del 1062 per cento) (cfr. tab. 40).

Ma era davvero così dannoso lasciare che i prezzi aumentassero durante la guerra? Non necessariamente. Come è stato spesso sottolineato, l’inflazione (in particolare a questo livello e in questo periodo di tempo) agisce come una forma d’imposta, facilmente riscuotibile e generalmente non riconosciuta come tale. Un effetto della svalutazione della moneta era quello di ridurre l’onere del debito nazionale e di conseguenza i costi del pagamento degli interessi per i contribuenti. Questa è, naturalmente, un’importante spiegazione del costo minore della guerra in termini di dollari per la Germania e l’Austria, le cui valute si deprezzarono considerevolmente nei confronti del dollaro, specialmente nella seconda metà del 1918, quando la sconfitta delle Potenze centrali sembrava ormai imminente. Tuttavia, è importante non esagerare la portata di questa svalutazione: per le valute italiane e russe le cose andarono ancora peggio (cfr. fig. 14).

Tabella 39 – Cifre della massa valutaria (moneta in genere e valuta in circolazione in milioni di valute nazionali).

  

 Moneta in generale (31 dicembre)

  

  

 Valuta in circolazione (media annua)

  

  

  

 Germania (marchi)

 Gran Bretagna (sterline)

 Germania (marchi)

 Austria (corone)

 Gran Bretagna (sterline)

 Francia (franchi)

 Italia (lire)

 Russia (rubli)

1913 

17.233 

1154 

   1958 

   2405 

29 

   5665 

1647 

  

1914 

19.514 

1329 

   2018 

   2405 

36 

   7325 

1628 

   2321 

1915 

23.175 

1434 

   5409 

   6249 

34 

12.280 

2624 

   2946 

1916 

29.202 

1655 

   6871 

   8352 

35 

15.552 

3294 

   5617 

1917 

43.801 

1939 

   9010 

12.883 

40 

19.845 

4660 

   9097 

1918 

66.359 

2429 

13.681 

24.566 

55 

27.531 

7751 

27.900 

Aumento in percentuale 1913-1918 

     285 

  110 

     599 

     921 

91 

     386 

  371 

   1102 

Nota: Moneta in generale: per la Germania ho usato la definizione di M3 di Holtfrerich, Deutsche Inflation; per la Gran Bretagna: Capie e Webber, Survey of Estimates.
Valuta: La cifra per la media mensile dell’Austria per luglio; per la Russia, le cifre per il 1  º agosto 1914 e il 1  º gennaio 1915-1918.
Fonti: Balderston, War Finance, p. 237; Kindleberger, Financial History, p. 259; Walré de Bordes, Austrian Crown, pp. 46-47; Carr, Bolshevik Revolution, vol. II, pp. 144-145; Bresciani-Turroni, Economics of Inflation, p. 164; Apostol, Bernatzky e Michelson, Russian Public Finance, p. 372.

Tabella 40 – Indice del costo della vita (1914 = 100).

 

Austria-Ungheria

Germania

Gran Bretagna

Francia

Russia

Belgio

Stati Uniti

1914

  100

100

100

100

100

  100

100

1915

  158

125

125

120

146

  156

  98

1916

  336

165

161

135

199

  328

109

1917

  671

246

204

163

473

  746

143

1918

1162

304

210

213

 

1434

164

Fonti: Maddison, Capitalist Development, pp. 300-301; E. Morgan, Studies in British Financial Policy, p. 284; Fontaine, French Industry, p. 417; Stone, Eastern Front, p. 287.

Tutto considerato, quindi, le finanze di guerra della Germania non erano affatto così «disastrose» o «patetiche» come si è spesso affermato. Al contrario, si può considerare una specie di miracolo il fatto che la Germania sia stata capace di sostenere il suo sforzo bellico così a lungo, pur essendo le sue risorse finanziarie molto più ridotte di quelle dei suoi avversari.

Il costo della morte

Nel 1917 chiesero a Charles à Court Repington, il corrispondente di guerra del «Times», quando, a suo giudizio, sarebbe terminata la guerra. Ecco la sua risposta:

Poiché le nazioni consideravano i soldi come se fossero ciottoli su una spiaggia, e tutte in un modo o nell’altro avrebbero tradito alla fine della guerra, non sembravano esserci motivi per fermarla, specialmente perché tanta gente stava diventando ricca con la guerra; alle signore piaceva starsene senza i mariti e tutti temevano quel che sarebbe accaduto dopo, sul piano industriale, politico, finanziario e interno.  64

Secondo Repington, l’unico modo per porre fine alla guerra era infliggere una sconfitta militare decisiva agli Imperi centrali. Aveva perfettamente ragione. Ci voleva per forza una vittoria sul campo. Tuttavia, considerando l’immensa superiorità economica delle potenze dell’Intesa, non era affatto facile spiegare perché nel 1917 non si fosse ancora ottenuta questa vittoria decisiva. Anzi, nel corso di quell’anno, molti osservatori americani iniziarono a pensare che non la si sarebbe mai ottenuta. Gli storici, proprio come Keynes, studiando i rapporti finanziari con l’altra sponda dell’Atlantico, hanno sempre avuto la tendenza a concentrarsi sul tasso di cambio. Ma se si considerano i rendimenti delle obbligazioni – indicatore, come abbiamo visto, di importanza notevolmente maggiore nel mondo prebellico – emerge un quadro diverso. Quando la Gran Bretagna e la Francia cominciarono a emettere obbligazioni sul mercato di New York, si ritrovarono esposte al medesimo tipo di esame da parte degli investitori al quale erano stati sottoposti prima della guerra altri paesi quando avevano chiesto prestiti a Parigi e Londra. Le cifre dei dividendi di una delle emissioni più importanti del tempo di guerra, il prestito anglo-francese del 1915 (un prestito di 500 milioni di dollari alla Gran Bretagna e alla Francia),  65 mostrano la portata della crisi di fiducia nello sforzo bellico degli Alleati (cfr. fig. 15). È estremamente interessante notare come il punto più basso della fiducia americana nello sforzo bellico alleato si sia avuto nel dicembre del 1917, e non, come ci si sarebbe potuto aspettare, nella primavera del 1918.

Figura 14 – Tassi di cambio del dollaro, 1915-1918 (1913 = 1).

Nota: Prezzi di Londra tranne che per il marco (New York).
Fonti: E. Morgan, Studies in British Financial Policy, pp. 345-349; Statistisches Reichsamt (a cura di), Zahlen zur Geldentwertung, p. 6; Walré de Bordes, Austrian Crown, p. 114.

Ancora più sorprendente è il fatto che questa era una crisi di sfiducia nei confronti della Francia e della Gran Bretagna, non nei confronti dello sforzo bellico statunitense. La figura 16 indica che la fine del 1917 vide un drastico ampliamento dello scarto fra i dividendi delle obbligazioni ango-francesi e americane: il punto massimo fu toccato il 14 dicembre, con uno scarto del 3,8 per cento. Non si trattava di un ghiribizzo del mercato newyorkese: nel novembre del 1917 il rendimento dei consols a Londra raggiunse un picco del 4,92 per cento.  66

Gli investitori avevano buone ragioni di essere preoccupati per le potenze dell’Europa occidentale. La Serbia e la Romania erano state sconfitte; l’Italia era in grave difficoltà dopo la disfatta di Caporetto (ottobre 1917). In Russia, la rivoluzione d’Ottobre preannunciava la vittoria totale della Germania sul fronte orientale. In Francia, nella seconda metà del 1917, il morale era a pezzi: a Bordeaux, in settembre, meno del 30 per cento delle lettere esaminate dagli addetti alla censura esprimeva sostegno all’idea di una pace grazie a una vittoria decisiva, mentre più del 17 per cento si schierava apertamente per una pace negoziata.  67 Senza dubbio, l’esercito britannico aveva finalmente utilizzato in modo proficuo i carri armati a Cambrai, ma il successo si era rivelato effimero e di certo non compensava le perdite subite a Passchendaele. Gli americani avevano fiducia in se stessi, ma il loro esercito era ancora in uno stato embrionale, e verso la fine del 1917 iniziavano a non essere più così sicuri sulla capacità dei loro alleati di continuare a combattere. Forse a suscitare il nervosismo di Wall Street fu una lettera, pubblicata dal «Daily Telegraph» il 29 novembre, nella quale Lord Lansdowne sosteneva la necessità di una pace negoziata. La cosa sorprendente era che il mercato di New York continuasse a mostrare grande confidenza nei confronti delle obbligazioni anglo-francesi nella successiva primavera, proprio quando molte personalità influenti in Gran Bretagna e in Francia temevano sinceramente che la Germania fosse a un passo dalla vittoria.

Non si deve comunque dimenticare un fatto fondamentale: gli Imperi centrali erano molto più abili nell’uccidere, ferire e catturare il nemico, e, cosa ancora più stupefacente, lo facevano a un costo nettamente inferiore rispetto alle forze dell’Intesa. Considerando l’efficacia militare e le risorse economiche degli opposti schieramenti, si può dire che la Germania ottenne risultati assai migliori nell’infliggere la «massima carneficina con la minima spesa». Come abbiamo visto, gli Alleati spesero circa 140 miliardi di dollari tra il 1914 e il 1918, mentre le Potenze centrali circa 80 miliardi di dollari. Ma gli Imperi centrali uccisero un numero molto maggiore di soldati alleati rispetto a quanti ne persero. Su questa base, si può fare un semplice calcolo: mentre alle forze dell’Intesa costò 36.485 dollari e 48 centesimi uccidere un combattente delle Potenze centrali, a queste ultime costò solo 11.344 dollari e 77 centesimi uccidere un combattente dell’Intesa (cfr. tab. 41). A completare il macabro quadro, queste cifre potrebbero essere ovviamente correlate alle stime di Bogart sul valore economico nominale di ogni singolo soldato caduto per il suo paese. Secondo Bogart, un soldato britannico o americano valeva il 20 per cento in più di un soldato tedesco (1414 dollari contro 1354), ma quasi il doppio in valuta liquida di un russo o di un turco (700 dollari). Ma nessun soldato valeva quanto il costo di ucciderlo.  68 In definitiva, lo storico delle finanze non può far altro che porre una domanda allo storico militare: perché mai la Germania e i suoi alleati – che furono tre volte più efficienti della Gran Bretagna e dei suoi alleati nell’uccidere i nemici – finirono con il perdere la guerra? Una possibile risposta è semplicemente che, sentendosi sicura del proprio vantaggio economico, la Gran Bretagna in un certo senso poteva permettersi di essere un po’ sprecona nel modo di condurre la guerra. Tuttavia, è difficile conciliare questa tesi con i timori di una crisi del dollaro che affiorarono nel 1917 e che avrebbero dovuto esortare alla parsimonia. Forse, come suggerì Keynes a Beatrice Webb nel marzo del 1918, era il governo britannico e non quello tedesco a «non dare alle finanze che l’ultimo posto nella loro considerazione e a credere che l’azione, per quanto dispendiosa, fosse preferibile alla cautela e alla critica, per quanto giustificate».  69

Figura 15 – Prezzi e volumi di scambio del 5 per cento anglo-francesi, 1915-1918.

Fonte: Commercial and Financial Chronicle, 1915-1918.

Figura 16 – Scarto di rendimento dei dividendi anglo-francesi e americani.

Fonte: Commercial and Financial Chronicle, 1915-1918.

Tabella 41 – Il costo dell’uccidere: spese belliche e morti.

  

 «Spese belliche» (in miliardi di dollari attuali)

 Morti

Gran Bretagna 

  43,8 

    723.000 

Impero britannico (esclusa Gran Bretagna) 

    5,8 

    198.000 

Francia 

  28,2 

1.398.000 

Russia 

  16,3 

1.811.000 

Italia 

  14,7 

    578.000 

Stati Uniti 

  36,2 

    114.000 

Altri 

    2,0 

    599.000 

Intesa e potenze alleate 

147,0 

5.421.000 

Germania 

  47.0 

2.037.000 

Austria-Ungheria 

  13,4 

1.100.000 

Bulgaria e Turchia 

    1,1 

    892.000 

Imperi centrali 

  61,5 

4.029.000 

 Totale complessivo

 208,5

 9.450.000

Fonti: Hardach, First World War, p. 153; J. Winter, Great War, p. 75.

Un altro modo per rispondere alla domanda è verificare se la Gran Bretagna sia diventata più efficiente nel corso della guerra. Non è facile, ma, per giungere a un’ipotesi molto approssimativa e azzardata, ho calcolato i rapporti di «carneficina» e quelli delle spese tra i britannici e i tedeschi, usando rispettivamente il numero di soldati invalidati in permanenza nel settore britannico del fronte occidentale e le spese complessive annue convertite in dollari. I risultati indicano che nel momento in cui la Gran Bretagna spendeva di gran lunga più della Germania (con un rapporto di 1,8 a 1), la Germania riportava il massimo nel conteggio netto dei corpi nemici nel settore britannico (1,4 a 1). Questo accadeva nel 1916, ossia l’anno delle offensive più costose e controproducenti della Gran Bretagna. Tuttavia, la costante, seppur ridotta, superiorità britannica in termini finanziari (1,3 a 1) può contribuire a spiegare il successivo peggioramento del conteggio netto dei corpi tedesco, sceso a un rapporto di solo 0,7 a 1 nel 1918, l’anno dell’offensiva di Ludendorff e della conseguente resa in massa dei tedeschi. Ciò sembrerebbe indicare un relativo miglioramento nell’efficienza militare dei britannici: nel 1917 e nel 1918 stavano colmando il divario finanziario, ma alla fine il conteggio netto dei corpi risultò a loro sfavore.  70 Rimane però da spiegare se, e in quale modo, il superiore potere di spesa degli Alleati sia collegato al crollo del morale dei tedeschi che portò alla fine della guerra.

Il grido dei morti: La prima guerra mondiale: il più atroce conflitto di ogni tempo
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