IX
Capacità economiche: il vantaggio sprecato
Il grande squilibrio
Per lo storico dell’economia l’esito della prima guerra mondiale sembra essere divenuto inevitabile nel momento stesso in cui la maggioranza dell’esecutivo di Asquith mise da parte i propri scrupoli liberali e si decise a favore dell’intervento. Si poteva suppore che una guerra destinata a durare ben più a lungo di quanto la maggior parte della gente si sarebbe aspettata e a essere molto più costosa di quanto chiunque avrebbe previsto sarebbe stata vinta da qualsiasi coalizione avesse avuto dalla sua parte la Gran Bretagna. Senza la Gran Bretagna, la Francia e la Russia avevano un reddito nazionale combinato inferiore di circa il 15 per cento rispetto a quello della Germania e dell’Austria-Ungheria. Con la Gran Bretagna, la situazione era completamente diversa: la Triplice intesa aveva un reddito nazionale combinato maggiore del 60 per cento rispetto a quello delle Potenze centrali. Nel 1913 gli Imperi centrali rappresentavano il 19 per cento della produzione manifatturiera mondiale, mentre la Triplice intesa il 28 per cento. Sulla base dei parametri kennediani sul «potenziale industriale», il rapporto di vantaggio della Triplice intesa era di circa 1,5 a 1. 1 In termini di manodopera, il vantaggio appariva ancora maggiore. Allo scoppio della guerra la popolazione complessiva delle Potenze centrali (comprese la Turchia e la Bulgaria) era di circa 144 milioni; quella dell’Impero britannico, della Francia, della Russia, del Belgio e della Serbia di circa 656 milioni: un rapporto di 4,5 a 1. In totale, tra il 1914 e il 1918 per le Potenze centrali combatterono circa 25 milioni di uomini; lo schieramento avversario ne mise in campo più di 32 milioni. È pur vero che nel 1917 le Potenze centrali riuscirono a sbaragliare la popolosa Russia, ma nuovi alleati compensarono abbondantemente questa perdita (cfr. tab. 21).
Anche in termini finanziari la Gran Bretagna ebbe un ruolo decisivo grazie alla sua gigantesca riserva di capitali d’oltremare – approssimativamente tre volte più di quanto posseduto dalla Germania (cfr. supra, tab. 4) – e al suo superiore sistema fiscale. Nel 1913 i bilanci militari congiunti di Russia e Francia non erano molto maggiori di quelli della Germania e dell’Austria-Ungheria. L’aggiunta della Gran Bretagna fece aumentare la differenza di quasi 100 milioni di sterline. 2
Tabella 21 – Lo squilibrio demografico (in migliaia).
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Totale Potenze centrali* |
Totale Triplice intesa nel 1914** |
Totale Alleati nel 1918*** |
Popolazione ca. 1910-1914 |
144.282 |
655.749 |
690.245 |
Totale mobilitati 1914-1918 |
25.100 |
32.080 |
30.580 |
*
Germania, Austria-Ungheria, Turchia,
Bulgaria.
**
Gran Bretagna, Impero britannico, Francia,
Russia, Serbia.
***
Gran Bretagna, Impero britannico, Francia,
Serbia, Italia, Romania, Grecia, Portogallo, Stati Uniti,
Giappone.
Fonte: G.
Parker, Times
Atlas of World History, pp.
248-249.
Durante la guerra il divario non venne colmato. Al contrario, le Potenze centrali subirono una contrazione economica, mentre le principali economie dell’Intesa furono caratterizzate da una certa crescita. La tabella 22 offre stime rettificate dall’inflazione per il prodotto nazionale netto o lordo di quattro importanti paesi belligeranti. L’indice disponibile indica che il prodotto nazionale netto della Germania si era contratto di circa un quarto. 3 In Austria-Ungheria la situazione era probabilmente anche peggiore. Invece, in Gran Bretagna e Italia, tra il 1914 e il 1917, ci fu una crescita reale dell’ordine del 10 per cento. Fino al crollo rivoluzionario, la Russia ottenne risultati ancora migliori: nel 1916 la produzione totale aumentò di oltre un quinto rispetto al 1913.
Inevitabilmente, l’interruzione degli scambi e la diversione dei fattori produttivi nell’industria bellica crearono problemi all’industria di entrambi gli schieramenti. Ma il problema del declino della produzione industriale fu particolarmente grave in Germania (cfr. tab. 23). L’indice per la Gran Bretagna mostra un calo attorno al 10 per cento fra il 1914 e il 1917; per la Germania la cifra è del 25 cento. 4 Al contrario, la Russia (smentendo l’opinione che lo zarismo fosse economicamente destinato al fallimento) riuscì ad aumentare la produzione del 17 per cento fra il 1914 e il 1916.
Tabella 22 – Stime del prodotto nazionale netto/lordo di quattro paesi belligeranti, 1913-1918 (1913 = 100).
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Germania |
Gran Bretagna |
Russia |
Italia |
1913 |
100 |
100 |
100 |
100 |
1914 |
88 |
101 |
101 |
97 |
1915 |
79 |
109 |
114 |
104 |
1916 |
78 |
109 |
122 |
111 |
1917 |
76 |
109 |
77 |
113 |
1918 |
73 |
107 |
n.d. |
107 |
Nota: Germania:
prodotto nazionale netto; Gran Bretagna e Italia: prodotto
nazionale lordo; Russia: reddito nazionale.
Fonti:
Mitchell, European Historical Statistics, pp. 409-416; Stone, Eastern
Front, p. 209; Witt,
Finanzpolitik, p.
424; Lyashchenko, History of the National Economy, p. 697, fornisce cifre più basse per la
Russia.
Tabella 23 – Indici di produzione industriale in quattro paesi belligeranti (1914 = 100).
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Germania |
Gran Bretagna |
Russia |
Italia |
1914 |
100 |
100 |
100 |
100 |
1915 |
81 |
102 |
115 |
131 |
1916 |
77 |
97 |
117 |
131 |
1917 |
75 |
90 |
83 |
117 |
1918 |
69 |
87 |
n.d. |
113 |
Fonti: Mitchell, European Historical Statistics, pp. 181 ss.; Wagenführ, Die Industriewirtschaft, p. 23; Stone, Eastern Front, p. 210 (anche in questo caso Lyashchenko, History of the National Economy, p. 761, fornisce cifre più basse per la Russia).
Fatta eccezione per i metalli non ferrosi (che la Germania aveva sempre importato), la produzione delle principali industrie tedesche continuò a calare dal 1913 al 1918: quella del carbone del 17 per cento e quella dell’acciaio del 14 per cento. In Gran Bretagna, invece, la produzione di acciaio aumentò di un quarto, per quanto quella del carbone diminuisse di poco più del 20 per cento. Inoltre, nel 1916 la Russia era riuscita a ottenere un aumento del 16 per cento nella produzione di carbone, un aumento del 7 per cento nella produzione di petrolio (materia di cui le Potenze centrali avevano una cronica carenza) e un modesto aumento nella produzione di acciaio. In Germania la produzione di elettricità aumentò del 62 per cento fra il 1913 e il 1918, ma la Gran Bretagna e l’Italia riuscirono a raddoppiare la propria produzione e anche la Francia ottenne un aumento del 50 per cento. 5
Nessuno dei danni economici inferti dalle Potenze centrali ai loro avversari risultò fatale. È vero che in Francia la produzione di carbone si ridusse di oltre la metà e quella di acciaio di ben due terzi, fatto che si verificò nel Nord del paese, lasciato disastrosamente indifeso; 6 tuttavia, nel 1917 la produzione di carbone era tornata al 71 per cento dei livelli prebellici e quella di acciaio al 42 per cento. E il Belgio occupato non si rivelò quella ricca fonte di carbone in cui i tedeschi avevano sperato: durante la guerra la produzione complessiva di carbone belga diminuì del 40 per cento e quella di acciaio praticamente cessò. Anche la Romania fu una delusione: si limitò a fornire 1,8 milioni di tonnellate di alimenti e foraggio tra il momento della sua invasione nel 1916 e il luglio del 1918 (6 per cento del raccolto annuo tedesco), per la semplice ragione che la produzione di grano sotto l’occupazione calò di circa un quarto rispetto ai livelli di prima della guerra. 7 Senza dubbio il crollo della Russia dopo la rivoluzione del 1917 ribaltò completamente gli eccezionali incrementi produttivi realizzati a partire dal 1914, ma l’entrata in guerra degli Stati Uniti fu più che sufficiente per compensare questa perdita. In termini di «potenziale industriale» il rapporto a vantaggio degli Alleati appoggiati dagli americani fu ora di 2,6 a 1. 8 Negli Stati Uniti, fra il 1913 e il 1917, la produzione di acciaio aumentò di uno stupefacente 235 per cento. 9 I tedeschi avevano spinto gli Stati Uniti a entrare in guerra giocando la carta del conflitto senza restrizioni. Ma non erano in grado di costruire sommergibili con la stessa rapidità con cui gli Alleati riuscivano a sostituire i mercantili affondati. Nel 1917 la produzione dei cantieri navali tedeschi era scesa a circa un quinto dei livelli prebellici, in confronto al 70 per cento dell’Impero britannico. In America la costruzione di navi aumentò di un fattore di quattro punti fra il 1914 e il 1917; nell’ultimo anno di guerra aumentò addirittura di quattordici volte. 10
L’agricoltura tedesca registrò paradossalmente qualche successo aumentando la sua produzione di certi prodotti di consumo. Fu incrementata la produzione di tabacco e quella del vino salì addirittura a non meno del 170 per cento, mentre la produzione di zucchero diminuì meno di quella della ghisa. 11 Sfortunatamente i tedeschi non si dimostrarono altrettanto bravi nella produzione dell’alimento principale: il pane. La produzione totale di grano calò quasi della metà fra il 1914 e il 1917 (le cifre sulla produzione di grano riportate nella tabella 24 riducono in modo significativo la portata della crisi: la produzione di avena diminuì del 62 per cento). 12 La riduzione del rendimento per ettaro di tutti i principali raccolti era dovuta innanzitutto al blocco britannico, che impediva l’arrivo di fertilizzanti d’importazione, ostacolo ampiamente sottovalutato dal ministero dell’Interno del Reich prima dello scoppio della guerra. L’aumento dei nitrati e della potassa prodotti secondo il procedimento Haber-Bosch non riuscì a compensarne la scarsità. 13 La produzione di birra diminuì in tutti i paesi coinvolti nel conflitto, ma il calo fu più marcato nelle Potenze centrali: una riduzione di due terzi in Germania, in confronto solo della metà in Gran Bretagna. 14 In Germania si ebbero anche drastiche diminuzioni nella quantità di suini e pollame, un calo leggero ma comunque significativo nel numero di capi di bestiame, nonché riduzioni sul peso medio alla macellazione e sulla produzione di latte. 15 Bisogna tenere presente che per motivi climatici queste furono annate cattive nella maggior parte dei paesi. Austria e Francia subirono i danni più gravi, ma anche gli Stati Uniti registrarono un calo del 28 per cento nel raccolto di grano. D’altra parte, Ungheria e Gran Bretagna riuscirono ad aumentare la produzione di grano e la Russia e l’Italia lamentarono cali niente affatto preoccupanti.
Anche il commercio determinò un ulteriore svantaggio per le Potenze centrali, che non riuscivano a importare dai paesi neutrali nella stessa misura in cui importavano le loro rivali. Le continue interruzioni al commercio via mare della Germania, causate dalle azioni navali britanniche, arrecarono indubbiamente gravi danni. Il 1º agosto la rivista specializzata «Hansa» previde che, se la Gran Bretagna fosse entrata in guerra, «la vita economica avrebbe subìto un collasso senza precedenti nella storia». 16 Questa previsione si dimostrò fin troppo vera. Poiché le unità di superficie tedesche non erano in grado di contendere il controllo del mare del Nord, la marina mercantile tedesca, fin dallo scoppio della guerra e per tutta la sua durata, rimase praticamente confinata nel Baltico, con soltanto la possibilità di sporadiche incursioni nel mare del Nord. 17 Il risultato fu che nel 1915 le importazioni della Germania erano scese a circa il 55 per cento del livello prebellico. Perciò non stupisce che ex anglofili come l’armatore Albert Ballin si scagliassero contro i «metodi disgustosi da squallidi bottegai» adottati dai britannici «al solo scopo di escluderci dal mercato mondiale». 18
Tabella 24 – Produzione di grano, 1914-1917 (in migliaia di tonnellate metriche).
|
Austria |
Ungheria |
Germania |
Bulgaria |
Gran Bretagna |
Francia |
Russia |
Italia |
1914 |
1376 |
2864 |
4343 |
632 |
1772 |
7690 |
68.864 |
4493 |
1917 |
163 |
3354 |
2484 |
791 |
1784 |
3660 |
60.800 |
3709 |
Variazione in % |
– 88,2 |
17,1 |
– 42,8 |
25,2 |
0,7 |
– 52,4 |
– 11,7 |
– 17,4 |
Fonti: Mitchell, European Historical Statistics, pp. 108-125; Stone, Eastern Front, p. 295.
Detto questo, il blocco navale si dimostrò un’arma molto meno letale di quanto avessero immaginato i navalisti britannici. In un primo tempo non si fece alcun tentativo di arrestare il flusso di quei beni destinati ai paesi neutrali che avrebbero poi potuto trovare la strada della Germania. Anzi, nei primi nove mesi di guerra, le esportazioni e riesportazioni britanniche verso i paesi neutrali del Nord Europa aumentarono dal 10 al 24 per cento delle esportazioni totali, e in buona parte finirono in Germania. 19 All’Intesa occorse un certo tempo per elaborare un sistema di acquisti preclusivi dai paesi neutrali di approvvigionamenti che altrimenti sarebbero finiti al nemico. 20 Inoltre, soltanto quando gli Stati Uniti entrarono in guerra si ebbe un calo significativo delle esportazioni americane verso i vicini neutrali delle Potenze centrali (da 267 milioni di dollari nel 1915-1916 ad appena 62 milioni di dollari nel 1917-1918). 21 Bisogna inoltre ricordare i gravi danni arrecati alle relazioni anglo-americane dagli ostacoli imposti alle attività mercantili, specialmente nel luglio del 1916, quando il governo britannico pubblicò una lista nera delle società americane sospettate di commerciare con le Potenze centrali (a peggiorare ulteriormente la situazione, l’interruzione del commercio marittimo americano coincise con la repressione dell’insurrezione di Pasqua a Dublino). 22 Al confronto, i sottomarini tedeschi riuscirono a far ridurre nel 1917 le importazioni britanniche di generi alimentari fino al 75 per cento del livello che avevano nel 1913 e al 65 per cento nel 1918. 23 Ma questo non fu sufficiente: l’introduzione del sistema dei convogli ridusse bruscamente l’efficacia dei sottomarini. I cantieri americani si dimostrarono capaci di rimpiazzare le navi più rapidamente di quanto i tedeschi riuscissero ad affondarle, mentre l’aumento della produzione interna e l’introduzione del razionamento contribuirono a ridurre la scarsità di derrate alimentari in Gran Bretagna. Con buona pace di Liddell Hart, non fu la potenza navale a decidere la guerra. 24
Quindi, sebbene quasi la metà (48 per cento) delle sue importazioni prebelliche provenisse da paesi contro i quali era entrata in guerra, la Germania riuscì a trovare fonti alternative di importazioni, gestendo un disavanzo commerciale con i suoi vicini continentali e scandinavi di circa 15 miliardi di marchi, equivalente al 46 per cento delle sue esportazioni totali del tempo di guerra. 25 Tuttavia le cifre di Russia, Francia e Italia sono tutte significativamente più alte (cfr. tab. 25). Fatto ancora più rivelatore, il disavanzo commerciale medio della Germania durante la guerra era equivalente a circa il 5,6 per cento del prodotto nazionale netto; la cifra corrispettiva della Gran Bretagna era più del doppio (11,3 per cento). Naturalmente, l’inferiorità tedesca era dovuta, in parte, al blocco navale, ma anche – e forse soprattutto – al fatto che alla Germania mancavano i guadagni sulle esportazioni invisibili, le riserve dei beni d’oltremare e il credito all’estero per finanziare un vasto disavanzo commerciale. Durante la guerra la Gran Bretagna ricavò 2,4 miliardi di sterline dalle esportazioni invisibili (soprattutto traffico marittimo), vendette nel complesso 236 milioni di sterline di investimenti stranieri e prese a prestito 1285 milioni di sterline da paesi stranieri. La Germania non riuscì a stare al passo, in buona parte a causa di provvedimenti nemici che furono per molti aspetti ancora più efficaci dello stesso blocco navale. Nel 1914 i tedeschi avevano investito oltremare per un valore che oscillava tra i 980 e i 1370 milioni di sterline, in larga misura in quelle che poi diventarono economie nemiche. In seguito all’approvazione di nuove leggi in Gran Bretagna, Francia, Russia e successivamente in America, a cominciare dai decreti sulla liquidazione dei beni nemici all’estero nell’ottobre del 1914, almeno il 60 per cento di questi investimenti fu confiscato. 26 Le società commerciali tedesche con filiali in territori britannici vennero sommariamente espropriate. Le linee di navigazione furono colpite con particolare durezza. A causa di affondamenti o confische, le compagnie di spedizione tedesche persero fino a 639 navi per un tonnellaggio complessivo di 2,3 milioni di stazza lorda, ossia uno sbalorditivo 44 per cento del totale della flotta mercantile del periodo prebellico. 27 La Germania, di conseguenza, non poteva contare su guadagni invisibili e si dovette accontentare di ricavare circa 147 milioni di sterline con la vendita di azioni estere. E il governo non chiese molti prestiti all’estero, inizialmente perché convinto di non averne bisogno, in seguito perché non fu più in grado di farlo. Per finanziare il disavanzo della sua bilancia dei pagamenti la Germania dovette quindi basarsi sulla vendita di metalli pregiati in lingotti per un valore di 48 milioni di sterline (il doppio di quello britannico) e su crediti privati a breve termine da fornitori stranieri. 28
Tabella 25 – Disavanzi commerciali medi annuali del tempo di guerra in percentuale sulle esportazioni.
Gran Bretagna |
41,5 |
Francia |
63,0 |
Italia (dal 1915) |
66,6 |
Russia (fino al 1917) |
58,3 |
Germania |
45,8 |
Austria-Ungheria |
55,7 |
Fonte: Eichengreen, Golden Fetters, pp. 82-83.
Tartarughe e lepri
Considerato l’enorme vantaggio di cui godettero le potenze dell’Intesa per tutta la durata della guerra, viene da domandarsi perché gli storici si siano concentrati così a lungo sulla difettosa strutturazione dell’economia di guerra tedesca. Sebbene la discrepanza tra le risorse economiche possa sembrare una spiegazione sufficiente per la sconfitta delle Potenze centrali, gli storici (esattamente come Hitler) hanno sentito la necessità di incolpare il governo tedesco per non averle sapute sfruttare.
C’è un generale accordo sul fatto che la Germania incontrò maggiori difficoltà dei propri avversari nella mobilitazione dell’economia. Ciò appare strano, perché i politici e gli uomini d’affari tedeschi erano ideologicamente assai più disposti dei loro rivali britannici ad accettare un intervento statale su larga scala nella vita economica. Anzi, i contemporanei e alcuni storici successivi hanno cercato di presentare l’economia di guerra tedesca come un nuovo tipo d’economia: «economia pianificata», «socialismo di Stato», «economia comune», «capitalismo monopolistico di Stato», «capitalismo organizzato»; tutte queste nozioni devono qualcosa alla Germania della prima guerra mondiale. 29 Ma la realtà era ben diversa. L’economia di guerra tedesca era infatti ostacolata da intoppi burocratici e dalla mancanza di realismo degli alti comandi militari, perfettamente illustrata dal dirigismo rozzo e fallimentare del Piano Hindenburg. 30
Gli storici britannici hanno cercato di diffondere una visione complementare. È ben vero che la Gran Bretagna entrò in guerra con allegra ingenuità, come dimostra felicemente l’espressione Business as Usual (coniata da Herbert E. Morgan della W.H. Smith e trasformata in slogan pubblicitario da Harrods): atteggiamento che doveva meno al dogma del laissez-faire che all’idea secondo cui la Gran Bretagna avrebbe combattuto una guerra navale vecchio stile. Non si sarebbe imposto un controllo sui prezzi, e tantomeno sulle esportazioni e le spedizioni marittime. 31 Ma le scosse del 1915 risvegliarono il paese. Guidati dall’eroica figura di Lloyd George e organizzati dalla sua creazione, il ministero delle Munizioni, i britannici si adattarono magnificamente alle esigenze del conflitto totale: il loro unico peccato fu semmai la fretta con la quale scordarono le lezioni che avevano imparato non appena terminò la guerra. 32 Ecco pertanto il divertente paradosso: la dilettantesca Gran Bretagna annaspò, brancolò e faticò, ma alla fine ottenne la vittoria sui professionisti tedeschi. 33 Era proprio così che vedeva la situazione il «Glasgow Herald» con un certo compiacimento nel giugno del 1916:
Non siamo capaci di vivere sotto un ferreo sistema di regole e regolamenti come quello che vige in Germania e che sembra destinato a crollare quando è sottoposto a eccessive tensioni ... È vero che troppo spesso anche noi «ce la caviamo a fatica», ma esiste un’altra nazione in grado di farlo con il nostro stesso successo e alla fine di venirne fuori al primo posto? 34
Anche la politica economica francese può essere descritta in questi termini, con Étienne Clémentel nel ruolo di Lloyd George, che, dal ministero del Commercio, impone, piuttosto tardivamente, una certa efficienza organizzativa. 35 Secondo Jay Winter, la Gran Bretagna e la Francia intrapresero «un esperimento unico e non progettato di capitalismo di Stato» che ebbe «un relativo successo»:
In Gran Bretagna lo Stato del tempo di guerra non fu mai uno Stato «d’affari». In altre parole, la produzione del materiale bellico fu garantita entro un sistema che collocava l’interesse nazionale al di sopra di quello dei datori di lavoro ... Per la maggior parte della popolazione britannica lo Stato del tempo di guerra riuscì nella cosa più importante, ossia nel rifornimento di prodotti sia agli uomini in divisa sia alla popolazione civile.
Invece la Germania adottò un sistema «corporativista» che
lasciò la direzione dell’economia a una burocrazia complessa che si barcamenava tra le grandi aziende e l’esercito. Il risultato fu il caos. La carenza di manodopera rimase cronica [mentre] le grandi società facevano grandi guadagni ... I profitti aumentarono vertiginosamente provocando in tal modo un’accelerazione progressiva della spirale inflazionistica, che fece diminuire drasticamente i salari reali, e una crisi di sussistenza che minò alle fondamenta lo stesso regime. L’economia di guerra tedesca fu uno dei primi e meno riusciti tentativi di attuare un «complesso militare-industriale». La soluzione «corporativista» delle difficoltà economiche della Germania non fu affatto una soluzione ... I leader tedeschi non esercitarono mai un controllo efficace sull’economia di guerra ... Perciò, non potevano sperare di compensare le richieste di settori in concorrenza a causa della scarsità delle risorse. Il risultato fu una gigantesca rissa. In realtà lo Stato tedesco si dissolse sotto la pressione della guerra industriale ... La situazione dall’altra parte della linea era diversa. Questo è il contesto corretto in cui valutare la storia dell’esito della guerra. 36
Winter ha persino sostenuto che «se gli operai tedeschi nel 1917-1918 avessero avuto redditi reali pari a quelli dei loro corrispettivi britannici e se le loro famiglie fossero state in grado di mantenere gli stessi livelli di nutrimento [delle famiglie britanniche], l’esito della guerra avrebbe potuto benissimo essere capovolto». 37 Ha inoltre affermato (sulla base di uno studio dettagliato sulla città di Berlino) che in Germania c’era una carenza di «cittadinanza». Al contrario,
a Parigi e a Londra i diritti di cittadinanza contribuirono a preservare le comunità imponendo un equilibrio nella distribuzione dei beni e dei servizi necessari ripartiti fra le esigenze dei civili e dei militari ... A Berlino i militari venivano per primi e l’economia creata per servirli scardinò completamente il delicato equilibrio economico interno.
In poche parole, il sistema degli Alleati era «più equo ed efficace». 38
Come la favola della tartaruga e della lepre, alla quale assomiglia moltissimo, anche questa è soltanto una storia. Infatti, se le potenze dell’Intesa fossero state davvero più efficienti degli Imperi centrali e inoltre ben più dotate di risorse, non ci sarebbe stata nessuna guerra del 1914-1918 di cui scrivere: il conflitto sarebbe terminato entro l’inverno del 1916-1917, quando la Germania si trovò nel momento di massima difficoltà. La letteratura sulle economie di guerra illustra perfettamente il rischio di scrivere la storia nazionale senza un’adeguata prospettiva comparativa. Se si adotta questa prospettiva, risulta chiaro che l’ipotesi della «strutturazione difettosa» non è altro che una versione rispettabile della Dolchstosslegende (la teoria della pugnalata alla schiena) propugnata dall’estrema destra e dalla leadership militare tedesca durante e dopo la sconfitta della Germania. Il semplice fatto di spostare la colpa dai «criminali di novembre» (socialisti ed ebrei) ai leader tedeschi del tempo di guerra non rende vera la tesi che la guerra fosse stata perduta sul fronte interno. Al contrario, ci sono ottime ragioni per pensare che, considerate le limitate risorse di cui disponevano, i tedeschi seppero mobilitare la propria economia di guerra meglio delle potenze occidentali.
Il giudizio negativo sulla mobilitazione tedesca derivò, almeno in parte, dalla delusione delle aspettative dell’epoca. Prima della guerra era praticamente un assioma che le autorità militari tedesche fossero il simbolo dell’efficienza. Nell’agosto del 1914 Albert Ballin «provò un certo piacere osservando la magnifica disciplina e l’abilità dello stato maggiore generale». 39 L’esperienza di altri dipartimenti governativi frantumò quasi immediatamente le sue illusioni. Il 6 agosto Ballin e Max Warburg si recarono a Berlino per discutere il problema dell’importazione di derrate alimentari con alcuni funzionari dei ministeri dell’Interno, del Tesoro, degli Esteri e della Reichsbank. Il caos del viaggio (durante il quale furono ripetutamente fermati da civili armati in cerca di spie) fu pari soltanto alla confusione dell’incontro, che si arenò sull’errato presupposto del rappresentante del ministero degli Esteri che la Germania sarebbe riuscita in qualche modo ad avvalersi della marina mercantile statunitense. 40 Con il proseguimento del conflitto, Ballin divenne sempre più tristemente scettico sulla possibilità di assicurarsi qualche compenso economico per le enormi perdite di naviglio che la sua compagnia aveva subìto per mano degli Alleati. Rimase profondamente deluso quando il governo gli proibì di vendere le navi che erano state requisite nei porti dei paesi neutrali. Nel febbraio del 1918, rivolgendosi ai deputati del Partito liberalnazionale al Reichstag, Ballin denunciò «l’idea pericolosa di dirigere l’economia nazionale e il commercio internazionale dalla piazza d’armi», e chiese «libertà dall’economia pianificata di Berlino». 41
Ballin, naturalmente, era un libero commerciante di Amburgo. Walther Rathenau, del colosso dell’elettrotecnica AEG, fu invece tra i primi a convertirsi all’idea che la guerra avrebbe richiesto una trasformazione dell’economia tedesca da un sistema di libero scambio a un sistema quasi socialista basato su pianificazioni e strutture corporativiste. Già il 14 aprile 1914, nel memorandum in cui proponeva la creazione di un ministero delle Materie prime di guerra, rinunciò all’individualismo e alle altre «divinità» economiche «alle quali, prima dell’agosto 1914, il mondo ha rivolto le proprie preghiere». 42 Successivamente, nel suo libro pubblicato nel 1917 Von kommenden Dingen (Delle cose a venire), espose la sua visione utopistica di una «economia collettiva» tedesca (Gemeinwirtschaft). Ma quando incontrò Hindenburg a Kovno, nel 1915, rimase profondamente deluso:
Hindenburg è un uomo corpulento, tendente alla grassezza; ha mani insolitamente paffute e morbide, e la metà inferiore della testa assomiglia ai ritratti ... [ma] il naso ha un aspetto debole e indefinito, e i suoi occhi sono gonfi e smorti ... La conversazione si è svolta in modo cordiale e amichevole, ma è stata improduttiva. Le sue osservazioni erano piatte e insignificanti, e verso la fine, quando gli ho parlato della grande unanimità del sentimento popolare, come non si era mai visto in Germania fin dai tempi di Lutero e Blücher, ha replicato, con i suoi modi amichevoli e modesti, di non meritare un simile entusiasmo, ma che forse bisognava temere che avrebbe potuto suscitare invidia e malanimo nel paese. Rimasi alquanto stupito di questa sua preoccupazione e cercai di distrarre la sua attenzione; ma Hindenburg ci tornò sopra. 43
Come molti altri industriali, Rathenau spostò la sua ammirazione sul secondo in comando di Hindenburg, Ludendorff; ma anche questi si rivelò piuttosto cocciuto. Nel 1917 Rathenau cercò di convincere Ludendorff che da un punto di vista strettamente economico la Germania aveva bisogno al più presto di riforme politiche interne e di una pace negoziata. I rapporti fra i diversi poteri del paese, si lamentò Rathenau, erano «incredibilmente confusi»:
Il sottosegretario di Stato non può fare niente perché c’è il cancelliere. Il cancelliere non può fare niente se non ha la conferma del quartier generale [militare]. Al quartier generale Ludendorff è ostacolato da Hindenburg. Quest’ultimo, a sua volta, si fa da parte non appena il Kaiser gli dà una pacca sulla spalla. Lo stesso Kaiser pensa che dovrebbe governare in base alla Costituzione, e così il cerchio si chiude.
Non valeva certo la pena di insistere su annessioni finalizzate a proteggere l’industria tedesca nella regione della Renania e della Ruhr, perché «se la guerra continua ancora per altri due anni, non dovremo più preoccuparci per la nostra industria di Aquisgrana, visto che per allora non sapremo nemmeno se ci sarà ancora una sola industria in quella regione». Ma Ludendorff semplicemente non lo capì. 44
Ballin e Rathenau non erano soli. Gli industriali tedeschi – soprattutto quelli non residenti a Berlino – si lamentavano continuamente per come veniva condotta la guerra. Allo stesso modo, il presidente della Camera di commercio di Amburgo deplorava «la concentrazione di tutte le transazioni economiche nelle mani delle industrie di guerra ... la distribuzione pressoché esclusiva di contratti dell’esercito all’industria berlinese e gli innumerevoli decreti del Reichstag che ostacolano il commercio». 45 Nell’ultimo anno di guerra si levarono voci critiche anche dal settore dell’industria pesante, in particolare quella di Hugo Stinnes. 46 Gli agricoltori tedeschi non cessarono mai di lagnarsi per il modo in cui il governo gestiva la distribuzione delle derrate alimentari. 47
Ma gli storici hanno preso troppo alla lettera queste lamentele (un po’come hanno preso troppo alla lettera anche gli attacchi contro il militarismo prebellico della Germania). Se si considerano le vicende di altre economie di guerra, risulta chiaro che tutte sperimentarono problemi molto simili e che, data la base assai più limitata di risorse di cui disponeva la Germania, il punto da sottolineare non è la sua inefficienza ma esattamente il contrario. In realtà, furono le potenze dell’Intesa a essere inefficienti, per non dire sprecone, nella mobilitazione delle proprie economie. Senza dubbio in Germania c’era una certa confusione burocratica, ma la verità è che ce n’era ben di più in Gran Bretagna, Francia e Russia. È stata la sconfitta finale della Germania a mascherare questo fatto. Ma un confronto più attento e corretto fa crollare la tesi secondo la quale la Germania perse la guerra a causa della sua relativa inefficienza organizzativa.
Approvvigionamenti e materie prime
In tutti i paesi ci volle un certo tempo prima che si mettesse in dubbio il principio secondo il quale i bisogni enormemente aumentati delle forze armate dovessero essere soddisfatti da contratti con società private, che lavoravano innanzitutto per il proprio profitto. Tipico dei problemi che ostacolavano gli approvvigionamenti bellici della Germania era il fatto che, per bilanciare gli interessi commerciali dei vari Stati, il ministero della Guerra facesse ricorso alla concessione dei contratti su una base di calcolo astratta (per esempio in proporzione alla popolazione dello Stato), un sistema, questo, chiaramente assurdo. 48 Tuttavia, il sistema britannico e quello francese erano persino peggiori. L’imprenditore George Booth non riusciva a capacitarsi del modo confuso e disordinato in cui il ministero della Guerra aveva organizzato gli approvvigionamenti nella prima fase del conflitto, come anche del sospetto con cui lui stesso e altri imprenditori che si erano offerti di contribuire allo sforzo bellico erano considerati da Asquith. Inizialmente fu ordinato un numero insufficiente di equipaggiamenti; poi ne furono ordinati troppi a prezzi esorbitanti. 49 Alla fine l’esercito era probabilmente fornito di una quantità eccessiva di indumenti. 50 Per quanto riguarda le munizioni, sono ben note le difficoltà che ostacolarono gli approvvigionamenti dell’Intesa nel 1914-1915: la «crisi dei proiettili» britannica che condusse alla creazione del ministero delle Munizioni nel giugno del 1915, quella che portò alla creazione del suo equivalente in Russia e le controversie fra Albert Thomas e le industrie belliche francesi. 51 Ma i successivi miglioramenti furono impressionanti, specie se confrontati con quanto era accaduto in precedenza. Il contributo delle fabbriche nazionali britanniche avrebbe potuto essere maggiore, come anche la pressione sui margini di profitto delle aziende private. 52 La produzione francese di proiettili superò di molto quella britannica, facendo quindi supporre che la Gran Bretagna non stesse ancora sfruttando tutte le sue potenzialità; ma il tentativo francese di aumentare la produzione di Stato costruendo un gigantesco arsenale a Roanne alla fine del 1916 si rivelò uno dei più grandi disastri economici della guerra: la costruzione del complesso costò 103 milioni di franchi, ma ne fruttò appena 15 milioni. 53
Nessuno degli errori commessi dai tedeschi è paragonabile a questo. I tedeschi non soffrirono mai di una grave carenza di proiettili (cfr. tab. 26). 54 Per quanto sia vero che nel 1918 gli Alleati vantavano una superiorità del 30 per cento in cannoni di ogni calibro e del 20 per cento nel numero di aerei, non furono questi i motivi per cui fallì l’offensiva di primavera guidata da Ludendorff. La debolezza più grave dei tedeschi era la mancanza di carri armati e di veicoli corazzati (ne avevano appena 10 in confronto agli 800 degli Alleati), nonché di camion (23.000 contro 100.000). Non è del tutto chiaro se questo fosse dovuto alla mancanza di carburante (e di gomma) o al luddismo tecnologico dell’alto comando: dopotutto, i carri armati erano proprio il genere di cose che l’industria tedesca avrebbe dovuto essere in grado di produrre più degli altri.
Tabella 26 – Produzione di armamenti britannici e tedeschi: statistiche scelte.
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1914 |
1915 |
1916 |
1917 |
1918 |
Mitragliatrici |
Gran Bretagna |
300 |
6100 |
33.500 |
79.700 |
120.900 |
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Germania |
2400 |
6100 |
27.600 |
115.200 |
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Fucili |
Gran Bretagna |
100.000 |
600.000 |
1.000.000 |
1.200.000 |
1.100.00 |
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Germania |
43.200 |
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3.000.000 |
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Esplosivi (tonnellate) |
Gran Bretagna |
5000 |
24.000 |
76.000 |
186.000 |
118.000 |
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Germania |
14.400 |
72.000 |
120.000 |
144.000 |
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Fonti: Hardach, First World War, p. 87; Herwig, First World War, pp. 254 sgg. (che usa cifre mensili moltiplicate per 12).
Gli uomini d’affari disponevano forse di un eccessivo potere nell’economia di guerra tedesca? Una delle principali innovazioni fu la delega dei controlli monopolistici sulla distribuzione di materie prime a cartelli costituiti da consumatori industriali – le cosiddette «corporazioni di guerra» – su cui esercitava la supervisione un nuovo organismo ufficiale, l’Ufficio delle materie prime di guerra (KRA). Alla fine del conflitto c’erano ormai venticinque corporazioni di guerra che controllavano la distribuzione di qualsiasi cosa, dal metallo fino al tabacco. Sebbene fosse il parto di un uomo d’affari, non c’era molto da obiettare contro questo modo di procedere. Anzi, è significativo che le critiche più violente contro il KRA provenissero da industriali anseatici ai quali questa tendenza accentratrice non piaceva, cosa che dovrebbe essere probabilmente interpretata come prova che il sistema funzionava. 55 Più discutibile era la pratica tedesca di delegare la definizione di certi obiettivi di produzione industriale a trust come il cartello del carbone della Renania e della Vestfalia. 56 Ciò permetteva ai grandi interessi industriali e alle loro organizzazioni ombra non solo di regolare la produzione di materie essenziali, ma anche di controllarne i prezzi. Non c’è dubbio che questa prassi rese difficile al governo controllare il prezzo di beni di cui c’era scarsità e che contribuì a garantire enormi profitti. Infine, si può sostenere che si diede troppo ascolto ad associazioni industriali come l’Associazione centrale dell’industria tedesca e la Lega degli industriali, che, durante la guerra, formarono una Commissione di guerra dell’industria tedesca.
Ma c’era un’alternativa alla scelta di appoggiarsi alla grande industria? In tutti i paesi fu presto chiaro che gli uomini più adatti a gestire l’organizzazione dell’economia di guerra erano imprenditori con vasta esperienza nell’amministrazione di grosse aziende; gli amministratori pubblici non possedevano un’analoga competenza. Burocrati come William Beveridge potevano anche sorridere beffardamente di fronte al predominio di «dilettanti» nello sforzo bellico britannico; 57 ma è degno di nota che i tentativi di lasciare la produzione al controllo diretto dello Stato di solito fossero regolarmente destinati al fallimento. Il problema è capire quale paese riuscì a realizzare l’equilibrio migliore tra gli interessi privati dell’industria e le necessità dell’economia di guerra nel suo complesso. Comunque lo si voglia definire (e corporativista non è necessariamente un termine negativo in tempo di guerra), il sistema tedesco ebbe almeno il merito di istituzionalizzare i rapporti fra l’industria e lo Stato, benché nessuna delle due parti fosse particolarmente soddisfatta di questa esperienza.
In Francia, al contrario, gli imprenditori continuarono, fino a una fase relativamente avanzata del conflitto, a considerare lo Stato più come un cliente che come un socio. 58 La campagna per escludere Thomas dall’affare di Roanne – che nel settembre del 1917 portò all’assegnazione della carica di ministro degli Armamenti all’imprenditore Louis Loucheur – era, almeno in parte, il riflesso dell’ostilità di alcuni interessi industriali nei confronti di un arsenale di Stato. 59 Solo verso la fine del 1917 furono create in Francia istituzioni specifiche per coordinare l’assegnazione di materie prime; ma ciò avvenne in realtà soltanto per accontentare gli alleati della Francia. Nonostante i dinieghi di Étienne Clémentel nel giugno del 1918, i consorzi francesi creati per l’assegnazione delle materie prime non erano molto diversi dalle corporazioni tedesche, tranne per il fatto di essere stati costituiti molto più tardi. 60 Sotto questo profilo, la relativa rapidità con la quale in Germania si sviluppò un sistema «corporativista» era un sintomo di forza e non di debolezza.
Anche in Gran Bretagna si seguì una via particolare per coinvolgere gli imprenditori nello sforzo bellico. Anziché dare vita a meccanismi istituzionali di collaborazione, Lloyd George preferì sottrarre gli imprenditori alle loro attività e affidare loro la gestione di dipartimenti governativi. Una sorta di leggenda circonda questo reclutamento di uomini push and go nel settore pubblico. Senza dubbio, individui come George Booth e Alfred Mond erano capaci e preparati, anche se amministratori pubblici come Christopher Addison andavano su tutte le furie per il loro approccio disordinato alla burocrazia. Non esistono inoltre dubbi sul fatto che fossero scrupolosi nel distinguere il proprio interesse personale da quello collettivo una volta accettato di prestare servizio nell’amministrazione pubblica. Ma è un errore considerare questi uomini esempi tipici dei rapporti fra lo Stato britannico e il mondo imprenditoriale in tempo di guerra. Le grandi società britanniche che dominavano il mercato delle armi non erano affatto sottoposte a maggiori limitazioni nella loro politica dei prezzi rispetto a quelle tedesche. 61 Mentre David Alfred Thomas (in seguito Lord Rhondda) aveva sostenuto sin dall’inizio la necessità di un controllo pubblico dell’industria del carbone, non tutti i proprietari di miniere erano d’accordo e alcuni continuarono a opporsi fino al 1917. 62 È vero che il carbone fu effettivamente sottoposto al controllo diretto dello Stato con la creazione, nel 1917, del Coal Controller; ma non ci sono molte prove a sostegno della tesi che questo abbia contribuito a migliorare la produttività. Anzi, il sistema di controllo del carbone è stato considerato null’altro che un meccanismo per garantire i profitti dei proprietari di miniere. 63 I datori di lavori delle industrie meccaniche (specialmente quelli nel Clydeside) abbandonarono con notevole lentezza lo stile concorrenziale delle relazioni industriali caratteristico del periodo prebellico. Molto spesso gli amministratori pubblici che cercavano di risolvere controversie a Glasgow trovarono i datori di lavoro altrettanto recalcitranti degli impiegati. 64
Nel 1917-1918 si pose lo stesso problema anche negli Stati Uniti, che soffrirono difficoltà economiche sorprendentemente gravi dopo la loro entrata in guerra. Il Consiglio delle industrie di guerra, creato nel 1917 e affidato alla guida del banchiere Bernard M. Baruch, si dimostrò assolutamente incapace di mobilitare l’economia per la partecipazione attiva alla guerra. «Oggi», come si lamentò un suo membro nel gennaio del 1918, «non esiste nel nostro governo un’istituzione ... la cui funzione sia decidere quel che si deve fare.» 65
È interessante confrontare l’esperienza delle potenze occidentali con quella della Russia, la cui economia, in termini di puro aumento produttivo, fu la più efficiente. Qui la grande industria vinse la propria battaglia con il ministro della Guerra, Vladimir Sukhomlinov, che si era opposto all’aumento della produzione di armi nel settore privato. Sukhomlinov fu non soltanto costretto a dimettersi, ma addirittura arrestato nel maggio del 1915, e fu creato un nuovo «Consiglio speciale per l’esame e l’armonizzazione delle misure richieste dalla difesa del paese», con una folta rappresentanza dell’industria di Pietrogrado. Esattamente come in Germania, altri gruppi industriali criticarono la predominanza dei grandi interessi. Esattamente come in Germania, c’erano innumerevoli comitati delle industrie di guerra e di uffici governativi locali che si scontravano per l’allocazione di materie prime e contratti. Esattamente come in Germania, cartelli prebellici come la Prodameta metallurgica avevano un grande potere sulla definizione dei prezzi. Ed esattamente come in Germania (anzi persino di più), c’erano sprechi, profitti gonfiati e pratiche disoneste, come nel caso di Solodovnikov, proprietario della fabbrica Revdinskoje negli Urali, e di Putilov a Pietrogrado, entrambi i quali defraudarono lo Stato per diversi milioni di rubli. 66 Tuttavia il sistema consegnava i prodotti, come dimostrano le impressionanti cifre della produzione di armi: quella di pezzi di artiglieria arrivò quasi a superare quella della Gran Bretagna e della Francia nel 1916-1917, e nel novembre del 1918 era stata accumulata un’enorme riserva di 18 milioni di proiettili d’artiglieria. 67
Il solo punto evidente di questi confronti a livello internazionale – il grado di profitto raggiunto dall’industria – non induce certo ad accusare i tedeschi di pratiche aberranti. Ci sono, naturalmente, alcuni casi clamorosi. Nel 1916-1917 i profitti della Krupp AG aumentarono da 31,6 milioni a 79,7 milioni di marchi. 68 Hugo Stinnes ampliò il suo già immenso impero (carbone, ferro e acciaio) comprando azioni delle linee di navigazione e di altre compagnie di viaggi come parte della strategia di «integrazione verticale». Tra i progetti privilegiati di Rathenau per la AEG durante la guerra ci furono gli investimenti nei trasporti aerei e nei cantieri navali: i semi della futura Lufthansa furono piantati proprio nel corso del conflitto. Anche il colosso dell’acciaio Gutehoffnungshütte ottenne sufficienti guadagni per investire in una società interamente nuova della cantieristica navale, la Deutsche Werft. In effetti, i cantieri navali rappresentano un ottimo esempio dell’attività industriale tedesca in tempo di guerra. Gli utili netti d’esercizio dei cantieri Blohm & Voss (che ricevettero ordini per novantasette sottomarini durante la guerra) aumentarono da 1,4 milioni di marchi nel 1914-1915 a 2,7 milioni (13,5 per cento) nel 1917-1918. La società riuscì a incrementare la sua produzione annuale a circa 600.000 tonnellate di stazza lorda, acquistando un nuovo bacino di carenaggio e una fabbrica di propulsori da un cantiere più piccolo, ad aumentare il proprio capitale azionario da 12 milioni a 20 milioni di marchi e ad ampliare la manodopera da 10.250 a 12.555 unità. Ma non era un fatto del tutto eccezionale: tra il 1914 e il 1920 i tredici maggiori cantieri tedeschi incrementarono il proprio capitale del 120 per cento. Mentre l’impiego nell’industria meccanica nel complesso aumentò solo del 6,6 per cento durante la guerra, nei cantieri crebbe del 52 per cento. Il governo non aveva dubbi che «l’industria dei cantieri navali è andata molto meglio durante la guerra che nei precedenti anni di pace», e arrivò persino ad accusare i cantieri di nascondere il vero ammontare dei loro introiti «sia tramite fondi di ammortamento sia tramite trasferimenti di ogni genere». 69
Tuttavia, questo potrebbe avere esagerato i vantaggi dei contratti stipulati in tempo di guerra: il motivo principale dell’incremento dell’occupazione era la disponibilità limitata di manodopera qualificata, conseguenza della coscrizione indiscriminata. Si può dimostrare che i profitti della Blohm & Voss, una volta sgonfiati in modo da tenere conto dell’inflazione, aumentarono solo leggermente dal minimo del 1914 (come percentuale di capitale, i profitti salirono solo dall’11,4 per cento al 13,5 per cento), e l’espansione dei cantieri fu per molti aspetti una scommessa sul previsto boom postbellico della richiesta di navi. Inoltre, questi profitti erano al di sopra della media: per l’industria tedesca nel suo complesso i profitti in percentuale di capitale e di riserve salirono dall’8 per cento nel 1913-1914 ad appena il 10,8 per cento nel 1917-1918. Considerata nel suo insieme, l’industria metallurgica tedesca soffrì parecchio, 70 e le città anseatiche – con l’eccezione dei cantieri navali – soffrirono ancora di più. 71 Un buon indicatore dell’andamento degli affari è offerto dalla contrazione in termini reali dei capitali delle società per azioni. Nel corso della guerra il capitale azionario totale del Reich diminuì del 14 per cento in termini reali; quello di Amburgo si contrasse di oltre un terzo. 72 Particolarmente colpite furono le grandi compagnie di navigazione e le piccole banche d’affari, che durante la guerra subirono perdite di capitale più gravi di ogni altro settore; i conti postbellici della Hapag registravano una perdita del 25 per cento del valore reale dei beni complessivi, che saliva al 53 per cento se si consideravano soltanto i beni fisici. Anche gli introiti si ridussero drasticamente: i calcoli basati sui conti postbellici della Hapag indicano che, con la correzione dell’inflazione, la società riuscì a guadagnare soltanto 43,9 milioni di marchi negli anni del conflitto, una riduzione dell’84 per cento degli introiti annuali.
La situazione era pressoché identica anche per le economie di altri paesi. Le industrie di armamenti in Francia, in Gran Bretagna e specialmente in Russia registrarono sostanziosi aumenti nei profitti nominali, e tali aumenti furono probabilmente sottostimati nei resoconti pubblicati. 73 In Gran Bretagna i profitti della Nobels’ Explosives crebbero di tre volte, anche se l’industria chimica Brunner-Mond raggiunse soltanto un aumento del 50 per cento, mentre gli introiti delle spedizioni, calcolando la sottrazione fiscale, aumentarono solo di un terzo. Le industrie estrattive videro triplicarsi i profitti durante la guerra; nel caso di una società come la Cardiff Collieries Ltd, il picco fu toccato nel 1916, anche se probabilmente l’imposizione dei controlli ridusse i profitti portandoli, in termini reali, a un livello inferiore a quello del periodo prebellico. La Courtaulds e la Lever Brothers registrarono enormi aumenti di capitalizzazione. 74 È possibile che in Russia i profitti siano stati ancora più rilevanti. I profitti lordi dell’industria metallurgica russa aumentarono dal 26 per cento di capitale nel 1913 al 50 per cento nel 1916; le cifre equivalenti per le industrie siderurgiche sono rispettivamente 13,5 e 81 per cento. 75 Anche i coltivatori britannici ebbero utili di guerra più alti di quelli delle industrie tedesche: come percentuale del capitale, i profitti agricoli crebbero dal 6,1 per cento (1909-1913) fino al picco del 14,3 per cento nel 1917. 76 E, come in Germania, anche in Gran Bretagna, Francia e Russia tutte le piccole industrie subirono perdite in termini relativi. 77
Per molti aspetti, quindi, le economie di guerra dovettero affrontare problemi simili. Lo si può constatare molto chiaramente nel caso dei trasporti su rotaia. In Germania la maggior parte delle ferrovie era rimasta sotto il controllo statale sin dall’inizio, cosicché porle sotto il controllo diretto del Reich era semplicemente una questione di centralizzazione amministrativa; i governi britannico e francese, invece, dovettero imporre il controllo su società rimaste ufficialmente nel settore privato. Ma l’effetto del controllo durante la guerra fu in sostanza lo stesso. In entrambi i casi il volume del traffico merci si ridusse drasticamente: in Germania a circa il 59 per cento dei livelli prebellici nel 1917, e in Francia a circa il 66 per cento. Il controllo statale, però, garantiva che le linee fossero mantenute in condizioni ragionevolmente accettabili per uso militare: gli investimenti tedeschi in locomotive superarono i livelli prebellici del 23 per cento. 78 Anche la rete ferroviaria russa fu mantenuta in buone condizioni (tra l’agosto del 1914 e il settembre del 1917 vi furono spesi 2,5 miliardi di rubli), anche se dovette affrontare volumi ben più elevati di traffico passeggeri e merci a causa della straordinaria crescita economica prodotta dalla guerra. 79
Il caso delle compagnie di navigazione era invece molto diverso. In Germania il governo non poteva far altro che pagare loro compensi in liquidi per il tonnellaggio perduto in seguito ad azioni nemiche. In Gran Bretagna il governo cominciò sovvenzionando le assicurazioni, ma presto dovette creare una Commissione di assegnazione allo scopo di assicurarsi che fosse data la priorità alle derrate alimentari. A ciò seguì, nel gennaio del 1916, la creazione di una Commissione di controllo del traffico marittimo. Infine, nel dicembre dello stesso anno, fu istituito un ministero del Traffico marittimo. 80 La Francia dipendeva in larga misura dalla Gran Bretagna per il traffico marittimo. 81 Ovviamente, per le Potenze centrali era più facile esercitare il controllo del commercio in quanto avevano meno scambi da controllare e non era particolarmente difficile mettere paura agli austriaci (ma non agli ungheresi). Allo scoppio della guerra fu istituita ad Amburgo una Compagnia imperiale (in seguito centrale) degli approvvigionamenti (Einkaufsgesellschaft) per coordinare le importazioni. 82 Non sembrò esservi necessità di limitare le esportazioni fino al gennaio del 1917, quando venne introdotto un sistema di concessione di licenze di esportazione per impedire ai produttori di ferro e acciaio di chiedere prezzi più alti per prodotti essenziali nei mercati esteri ancora accessibili. 83
A ogni modo, le difficoltà incontrate dalle potenze dell’Intesa nella gestione dei loro commerci congiunti – chiave di volta della loro sopravvivenza economica – illustrano alla perfezione la debolezza organizzativa di cui soffrivano. In Gran Bretagna il controllo sul commercio era iniziato con la restrizione sulle importazioni di carbone, imposta nell’estate del 1915. A essa fece seguito, alla fine del 1916, l’introduzione di un sistema di concessioni di licenze d’importazione controllato da un nuovo Dipartimento per le restrizioni sulle importazioni dipendente dal ministero del Commercio. Fino a quel momento c’era stata in pratica una libertà quasi illimitata di acquisto dagli Stati Uniti, con l’Ammiragliato e il ministero della Guerra che si opponevano ai tentativi messi in atto dal ministero del Tesoro per subordinarli alla banca J.P. Morgan di New York. È difficile stabilire perché il ministero del Tesoro si comportasse in questo modo; comprare armamenti per esportarli in Gran Bretagna non era esattamente il genere di affari di cui si occupava il gruppo Morgan (specializzato nell’emissione di buoni del Tesoro), e il monopolio che gli sarebbe stato garantito sul finanziamento delle importazioni britanniche prometteva profitti immensi: tra l’1 e il 2 per cento di 18 miliardi di dollari, come risultò in seguito. E la decisione di affidarlo alla Morgan non risolveva il problema degli approvvigionamenti transatlantici, perché in Gran Bretagna continuavano a esserci notevoli attriti fra i diversi interessi dell’industria e del governo, rappresentato dal ministero delle Munizioni, istituito nel settembre del 1915. 84
Inevitabilmente, grazie alla sua flotta mercantile e alle sue maggiori risorse finanziarie, la Gran Bretagna divenne l’ufficiale pagatore delle potenze dell’Intesa, con J.P. Morgan come proprio banchiere. 85 Ma i britannici pensavano che i francesi li imbrogliassero, o che almeno sprecassero le risorse. 86 Di conseguenza cercarono di imporre controlli sui francesi ritirando metà delle navi che avevano concesso in affitto alla Francia e minacciando di riprendersi anche le rimanenti se i francesi non avessero adottato il sistema britannico. Quando Clemenceau affidò a Clémentel l’incarico di attuare questo sistema, ci furono veementi proteste da parte della stampa e dell’industria francesi. Solo nel novembre del 1917 venne introdotto un pool mercantile integrato anglo-francese, e nell’ultimo anno di guerra, su pressione americana, fu creato un Consiglio interalleato per gli acquisti e le finanze al fine di coordinare tutte le importazioni. Il tentativo di armonizzare la politica di scambi con i russi risultò ancora più difficile, specialmente quando gli ispettori russi rifiutarono di acquisire prodotti di serie americani che la Gran Bretagna e la Francia avevano già pagato, sostenendo che erano di qualità inferiore alla norma. 87 Anche gli italiani non apprezzavano di essere trattati come mercenari dai britannici, benché, come fece notare Keynes, in termini finanziari, era proprio questo che erano diventati loro stessi e gli altri alleati della Gran Bretagna.
Manodopera: il problema britannico
La collocazione della manodopera fu probabilmente il problema economico più complesso che dovettero affrontare i paesi belligeranti. Risultò ovunque difficile trovare un corretto equilibrio fra le necessità delle forze armate e quelle della produzione interna di derrate alimentari e materiali. Molti operai specializzati si erano arruolati volontari o erano stati chiamati sotto le armi attraverso la coscrizione. Nel caso fossero stati uccisi, l’economia ne avrebbe subìto un danno permanente; ma anche se fossero sopravvissuti, non avrebbero potuto offrire un contributo ottimale allo sforzo bellico.
Nel caso della Germania, il numero di uomini sotto le armi aumentò da 2,9 milioni nel primo mese di guerra a 4,4 milioni all’inizio del 1915 fino a raggiungere il picco di 7 milioni all’inizio del 1918. Nel complesso furono arruolati 13 milioni di uomini. 88 Molti soldati erano operai dell’industria. Nel gennaio del 1915 società come la Blohm & Voss, che avevano ottenuto vantaggiosi contratti di guerra, chiesero il rientro degli operai specializzati già richiamati sotto le armi. 89 La Bosch di Stoccarda perse il 52 per cento della sua manodopera nei primi di guerra; l’industria chimica perse quasi la metà dei propri operai. A dicembre la società mineraria Hibernia aveva perso quasi il 30 per cento della sua manodopera prebellica (ammontante a 20.000 operai). 90 Ma la Germania prese immediati provvedimenti per mantenere i suoi operai migliori al loro posto di lavoro. All’inizio del 1916 un totale di 1,2 milioni di lavoratori fu esentato dal servizio militare, anche se 740.000 di essi erano già stati ritenuti idonei per il servizio attivo. Due anni dopo furono esentati altri 2,2 milioni di operai, dei quali 1,3 milioni erano già stati considerati kriegsverwendungsfähig, idonei. 91 Per rimediare alla carenza di manodopera maschile fu aumentato l’impiego delle donne (ne vennero assunte 5,2 milioni); inoltre furono costretti a lavorare circa 900.000 prigionieri di guerra e furono fatti venire circa 430.000 operai stranieri, tra i quali molti belgi, poco propensi a collaborare. 92 Il risultato fu che nel luglio del 1918 la forza-lavoro civile era inferiore a quella del 1914 soltanto del 7 per cento. 93
Non era certo l’ideale (per quanto sia difficile stabilire quale sarebbe stato questo ideale: non esiste una formula fissa per una distribuzione ottimale della manodopera in tempo di guerra). Ma le potenze dell’Intesa risolsero meglio il problema della distribuzione della manodopera? La risposta probabilmente è no. L’impiego totale civile in Gran Bretagna diminuì quasi quanto in Germania (6,5 per cento), ma furono impegnati meno uomini sui campi di battaglia: 4,9 milioni, meno della metà dei tedeschi. I posti lasciati vacanti da chi era partito per la guerra furono occupati da 1,7 milioni di nuovi impiegati maschi, cui si aggiunse un aumento della manodopera femminile di 1,6 milioni di donne. 94 Risulta quindi chiaro che durante la guerra i tedeschi ricorsero in modo decisamente più massiccio al lavoro femminile. Tanto in Gran Bretagna quanto in Francia le donne rappresentavano, alla fine del conflitto, il 36-37 per cento della manodopera industriale in confronto al 26-30 per cento del periodo precedente l’agosto del 1914. In Germania la percentuale aumentò dal 35 al 55 per cento. 95 Bisogna ricordare che il sistema di arruolamento britannico attirava non soltanto impiegati facilmente rimpiazzabili e laureati di Oxford, ma anche, e soprattutto, operai specializzati. Alla fine del 1914 si erano arruolati il 16 per cento di tutti gli impiegati in fabbriche di armi leggere e quasi il 25 per cento dei lavoratori delle industrie chimiche e di esplosivi, anche perché molti di loro erano stati licenziati nel primo caotico mese di guerra. Il 21 per cento dei lavoratori impiegati nelle miniere e il 19 per cento degli operai dell’industria metallurgica si erano arruolati entro il luglio del 1915. 96 Era estremamente difficile convincere il ministero della Guerra a congedare operai specializzati, e soluzioni come i «distintivi» (introdotti nel 1915), i Volontari delle munizioni e la «dispensa di massa» ebbero un successo solo parziale. 97 Come disse Lloyd George alla Camera dei Comuni, «prendere uomini dall’esercito ... [era] come attraversare il filo spinato con armamenti pesanti». 98 Quando, nel gennaio del 1916, una commissione del gabinetto cercò di «coordinare ... lo sforzo militare e finanziario», nel suo rapporto dovette riconoscere che c’era un problema di conflittualità tra le priorità dei vari dipartimenti:
Il metodo di indagine adottato dalla commissione all’inizio dell’inchiesta consisteva nell’ottenere dal ministero della Guerra, da quello del Tesoro e dalla Camera di commercio una dichiarazione dei loro rispettivi desiderata relativamente alla dimensione dell’esercito, alla spesa che vi si poteva destinare e al numero di uomini che potevano prestare servizio militare senza risultati disastrosi per il commercio e l’industria del paese. Le proposte originariamente avanzate da queste istituzioni non erano conciliabili: il Tesoro non avrebbe trovato i soldi e la Camera di commercio non avrebbe fornito gli uomini necessari a creare un esercito delle dimensioni proposte dal ministero della Guerra. 99
Per placare il timore della Camera di commercio di una «catastrofe commerciale» se si fosse attuata una coscrizione troppo indiscriminata, venne introdotto un meccanismo di impieghi protetti; ma la portata di questo meccanismo rimase relativamente limitata. 100 Inoltre, il sistema della «tessera sindacale», introdotto per gli operai specializzati alla fine del 1916, fu più una reazione alle pressioni dei sindacati che il frutto di un piano governativo. 101 La manodopera agricola qualificata non ottenne l’esenzione fino al luglio del 1917; i minatori erano ancora richiamati sotto le armi nel gennaio del 1918, e ad aprile intere categorie di occupazioni protette furono eliminate a causa del panico scatenato dall’offensiva tedesca di primavera. 102 Non si può neppure sostenere che il nuovo ministero del Lavoro facesse molto per migliorare la situazione, dato che le sue competenze furono ben presto ricusate dal ministero del Servizio nazionale. 103 Quando, nell’ottobre del 1917, il ministro di quel dicastero (Auckland Geddes) tracciò un «bilancio della manodopera», giunse a una magra conclusione: il surplus previsto di uomini disponibili rispetto agli uomini richiesti per il 1918 era di appena 136.000. 104 Ad aprile di quell’anno Geddes si lamentò così con Lloyd George: «L’Ammiragliato, il ministero della Guerra, il dicastero dell’Agricoltura, il ministero del Lavoro e quello del Servizio nazionale pescano tutti nello stesso stagno, e i datori di lavoro e gli operai ne approfittano per metterci gli uni contro gli altri». 105 Era un’affermazione davvero sconcertante dopo tre anni e mezzo di guerra.
Ciò che rendeva alquanto grave la situazione sia a breve sia a lungo termine era l’eccezionale dipendenza dell’economia britannica dalla manodopera qualificata. Allo scoppio della guerra, per esempio, il 60 per cento degli operai delle industrie del Regno Unito era specializzato. Gli storici dell’economia hanno sostenuto che questo fu uno dei motivi per cui i datori di lavoro britannici non si affrettarono a adottare nuovi macchinari o tecniche di produzione di massa: innanzitutto, gli operai specializzati costavano poco; inoltre, avrebbero reso un inferno la vita degli imprenditori se questi avessero tentato di imporre loro retribuzioni a cottimo. 106 Questa potrebbe anche essere la ragione per cui la prima guerra mondiale rappresentò uno spartiacque nella moderna storia industriale della Gran Bretagna. 107 La perdita di un’elevatissima percentuale di operai specializzati britannici lasciò un vuoto che non fu facile colmare. La «diluizione» (nel senso di impiego di operai non specializzati) fu esattamente ciò che accadde alla manodopera inglese; e il diluente fu il sangue.
La tesi di Gregory, secondo il quale il sistema volontario britannico assicurava una distribuzione più equa delle perdite rispetto al sistema della coscrizione, è quindi discutibile; sostenere che questo «contribuì a salvaguardare la stabilità politica» sembra piuttosto azzardato. 108 La conseguenza più importante del sistema britannico fu che tolse di mezzo operai specializzati che sarebbero stati utilizzati meglio nei loro consueti impieghi. Questa «generazione perduta» era quella che contava; era molto più facile rimpiazzare la generazione più comune, quella formata da colleghi, compagni di scuola e da gente uscita da Oxford e Cambridge, 109 la quale sarebbe stata probabilmente di maggiore utilità se impiegata nel corpo ufficiali anziché in qualsiasi altra mansione. Angell aveva avvertito che la guerra favoriva «la sopravvivenza del meno adatto», e in Gran Bretagna furono i meno qualificati e i meno istruiti a sopravvivere. 110
In Francia, dove la riserva di manodopera era più rigidamente organizzata che in ogni altro paese belligerante, la forza-lavoro fu mal distribuita per un diverso motivo: la forte pressione politica per una «equità del sacrificio». L’opinione più diffusa era che (come nell’ultimo decennio del Settecento) la tassa del sangue (l’impôt du sang) dovesse essere sopportata da tutti, compresi gli operai specializzati. Coloro che nel 1915 rientrarono dal fronte per rimediare alla carenza di proiettili – e che entro la fine della guerra rappresentavano quasi la metà del totale della manodopera impiegata nelle fabbriche di munizioni – erano disprezzati come imboscati (embusqués). 111 Gli uomini congedati dall’esercito (a parte i feriti in battaglia) costituirono solo il 30 per cento dell’aumento della manodopera delle fabbriche francesi di armi in tutto il corso della guerra. 112
In tutte le economie belligeranti, la carenza di manodopera creò inevitabilmente problemi: gli operai avevano la possibilità di chiedere aumenti salariali e/o di ridurre la loro produttività «prendendosela comoda», o anche, se la direzione non voleva concedere aumenti, di entrare in sciopero. L’esperienza di un’unica impresa tedesca – peraltro non atipica – può illustrare come questi problemi siano sorti anche in Germania. La dirigenza dei cantieri Blohm & Voss di Amburgo cercò inizialmente di compensare la mancanza di manodopera allungando i turni di lavoro e aumentandone l’intensità, approfittando della debolezza del sindacato. In certi casi, vicedirettori e capomastri portarono all’estremo queste tattiche; nel marzo del 1916 si dovettero emanare disposizioni che scoraggiavano «il rivolgersi agli operai insubordinati con espressioni del tipo “tu andrai a finire in trincea”» (cosa che confermava perfettamente la teoria di Karl Kraus, secondo il quale la «morte eroica» era allo stesso tempo un onore e una punizione nella retorica bellica). Un anno dopo furono giudicati eccessivi turni che superassero le ventiquattro ore. 113 Gli operai reagirono in diversi modi, il più delle volte ricorrendo ad azioni individuali e spontanee più che a scioperi collettivi. 114 C’erano ricorrenti problemi di disciplina: la pausa per il pranzo si allungava a piacimento, il lavoro veniva svolto di malavoglia, l’assenteismo era diffuso e si verificavano furti di materiale (di solito da usare per il riscaldamento). Soprattutto, gli operai sfruttavano l’elevata richiesta dei loro servizi per cambiare frequentemente lavoro; una mobilità già tradizionalmente alta raggiunse livelli senza precedenti, tanto che diecimila operai dovettero essere rimpiazzati nello spazio di un anno a partire dall’ottobre del 1916, un problema, questo, che la legge sul servizio ausiliario, emanata nel dicembre del 1916, esacerbò ulteriormente riconoscendo il diritto del lavoratore a cambiare posto di lavoro in vista di un salario migliore. 115 Di conseguenza, l’accordo di non ricorrere allo sciopero, concluso nell’agosto del 1914, si frantumò poco a poco. Nell’ottobre del 1916 il rifiuto da parte della Blohm & Voss di concedere un aumento salariale provocò il primo grande sciopero in tempo di guerra. Quattro mesi più tardi ci furono importanti scioperi nei cantieri Vulkan e nuovamente nel maggio del 1917 (un mese dopo il grande sciopero di Berlino, scatenato da una riduzione della razione di farina); nel gennaio del 1918 i cantieri furono travolti da un’ondata di scioperi a livello nazionale partita da Berlino. Queste agitazioni sono tradizionalmente considerate i prodromi della rivoluzione del novembre 1918, sintomo se non causa dell’inevitabile disfatta della Germania. 116
Ma, ancora una volta, dobbiamo domandarci se le cose andassero realmente meglio nelle economie dell’Intesa. Un test importante, per quanto rozzo, per verificare l’efficienza bellica è la portata dell’aumento dei salari nel corso della guerra. 117 Per gli storici sociali è quasi assiomatico che un aumento dei salari reali sia una buona cosa. Si sono compiuti molti studi per dimostrare che sotto questo aspetto la Gran Bretagna fece «meglio» della Germania. Ma, in termini economici, questa è una sciocchezza: sarebbe stata una catastrofe per l’economia bellica tedesca se i salari fossero aumentati con la stessa rapidità con cui aumentarono in Gran Bretagna. In qualsiasi confronto, l’unico criterio che si dovrebbe applicare è quello di stabilire se i salari reali siano aumentati di pari passo con la produttività. Quanto più i salari aumentavano in termini reali rispetto alla produzione, tanto meno l’economia di guerra era efficiente, per il semplice fatto che livelli di vita più elevati per i lavoratori manuali (sebbene indubbiamente positivi per quegli stessi lavoratori) non erano la priorità principale dell’economia nel suo complesso. Le cifre riportate nella tabella 27 indicano che, in base a questo parametro, era la Gran Bretagna e non la Germania a possedere un’economia di guerra meno efficiente. Queste cifre – anche se per certi aspetti chiaramente grezze – sembrerebbero suggerire che gli operai britannici riuscissero a ottenere aumenti salariali maggiori di quanto consentisse la produttività – in sostanza, guadagni immeritati – mentre i salari tedeschi diminuirono in termini reali quasi di pari passo con la diminuzione della produzione industriale.
Certamente, questi indici medi non ci dicono nulla sulle differenze di salari, che mutarono notevolmente nel corso della guerra. Anche in questo caso gli storici sociali considerano spesso l’aumento del divario una prova di maggiore disuguaglianza, che in genere ritengono una cosa nefasta in sé. Ma pure questo è uno sbaglio dal punto di vista economico. Il problema rimane sempre stabilire se le differenze di salari riflettano con accuratezza il profondo cambiamento strutturale della manodopera causato dalla guerra. Quanto più lo hanno fatto, tanto meglio è stato, perché un aumento relativo dei salari di lavoratori non qualificati nelle fabbriche di munizioni avrebbe avuto l’effetto di attirare singoli individui in questo settore di vitale importanza.
In tutti i paesi la carenza di manodopera in settori strategicamente fondamentali diede potere contrattuale a gruppi che si trovavano tradizionalmente nel punto più basso della scala dei redditi. Quattro importanti divari tesero a restringersi: quello fra lavoratori di settori diversi, quello tra lavoratori qualificati e non qualificati, quello tra lavoratori maschi e femmine e quello tra lavoratori giovani e anziani. In Germania, per esempio, tra il luglio del 1914 e l’ottobre del 1918, il salario orario di un lavoratore maschio di media anzianità della Blohm & Voss aumentò del 113 per cento in termini nominali; mentre un giovane impiegato nello stesso cantiere guadagnava l’85 per cento in più di quanto avrebbe guadagnato in tempo di pace; un lavoratore dell’industria tessile guadagnava il 74 per cento in più. In confronto, un impiegato di prima nomina guadagnava solo il 62 per cento in più, un contabile solo il 37 per cento e un capocassiere un misero 30 per cento in più. Quindi i lavoratori manuali guadagnavano decisamente di più dei colletti bianchi. 118 In virtù di questa contrazione del differenziale, e tenendo conto dell’effetto dell’inflazione, risulta che un operaio dei cantieri navali perdeva molto meno in termini reali (9 per cento) di un funzionario statale di grado elevato (52 per cento). Detto altrimenti, nel 1914 il reddito mensile del funzionario era più o meno cinque volte maggiore di quello dell’operaio; nel 1918 era meno di tre volte maggiore. 119 E queste cifre non tengono conto delle integrazioni salariali e degli assegni familiari pagati a certe categorie di operai, che entro la fine della guerra ammontavano fino a un terzo del reddito di un operaio non specializzato. 120
Tabella 27 – Produzione industriale e salari reali in Germania e Gran Bretagna, 1914-1918.
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Germania |
Gran Bretagna |
||
|
Produzione industriale |
Salari reali |
Produzione industriale |
Salari reali |
1914 |
100 |
100 |
100 |
100 |
1915 |
81 |
88 |
102 |
87 |
1916 |
77 |
79 |
97 |
81 |
1917 |
75 |
65 |
90 |
81 |
1918 |
69 |
66 |
87 |
94 |
Fonti: Mitchell, European Historical Statistics, pp. 33 sgg., 181 sgg.; Wagenführ, Die Industriewirtschaft, p. 23; J. Horne, Labour at War, p. 395; E. Morgan, Studies in British Financial Policy, p. 285; Bry, Wages in Germany, pp. 53 e 331.
È alquanto difficile stabilire se le cose fossero molto diverse in altri paesi a causa dell’estrema difficoltà nel fare confronti con le statistiche salariali disponibili. Si è sostenuto, in via puramente ipotetica, che durante la guerra le differenze salariali di Londra si ridussero più di quelle di Berlino, ma le cifre riportate nella tabella 28 sembrerebbero dimostrare esattamente il contrario, sebbene riguardino soltanto l’edilizia di tre capitali. 121
Le variazioni dei livelli e dei differenziali salariali, in meglio o in peggio, non erano stabilite dall’esterno: avevano molto a che fare con il potere relativo dei sindacati. In quale paese i lavoratori avevano la massima influenza? Memori degli eventi del novembre 1918, gli storici tedeschi hanno spesso sostenuto che i loro movimenti operai fossero particolarmente attivi. Ma sembra che questo giudizio si applichi meglio alla manodopera britannica, che organizzò una dura resistenza ogni volta che i datori di lavoro o il governo cercarono di abbassare i salari nominali o di «diluire» la forza-lavoro qualificata. 122 Alla fine persino Lloyd George non fu in grado di limitare la mobilità dei lavoratori, il fattore più importante della spirale salariale: il sistema di rilascio di certificati previsto dalla clausola 7 della legge sulle munizioni di guerra (emanata nel 1915) fu in pratica un fallimento e fu soppresso nell’agosto del 1917. 123 È soltanto una piccola esagerazione affermare che, dopo il 1916, i datori di lavoro britannici persero progressivamente ogni tipo di controllo sull’ammontare dei salari, che erano ormai determinati da una combinazione di pressioni sindacali e autorizzazioni statali. 124
Tabella 28 – Rapporto fra salari qualificati e non qualificati nell’edilizia di tre capitali, 1914-1918.
|
1914 |
1918 |
Variazione in % |
Edilizia tedesca (paga oraria) |
1,47 |
1,07 |
– 27,3 |
Edilizia francese (salario giornaliero) |
1,90 |
1,47 |
– 22,6 |
Edilizia britannica (salario orario) |
1,53 |
1,31 |
– 14,2 |
Fonte: Manning, Wages, pp. 262-263.
Tabella 29 – Iscritti ai sindacati in Gran Bretagna, Francia e Germania, 1913-1918.
|
Gran Bretagna (TUC) |
Francia (dipartimentali e federazioni) |
Germania (liberi, «gialli», impiegatizi) |
1913 |
2.232.446 |
593.943 |
3.024.000 |
1914 |
n.d. |
493.906 |
2.437.000 |
1915 |
2.682.357 |
81.617 |
1.396.000 |
1916 |
2.850.547 |
183.507 |
1.199.000 |
1917 |
3.082.352 |
559.540 |
1.430.000 |
1918 |
4.532.085 |
1.175.356 |
2.184.000 |
Fonti: Petzina, Abelshauser e Foust, Sozialgeschichtliches Arbeitsbuch, vol. III, pp. 110-118; J. Horne, Labour at War, p. 398.
Una possibile spiegazione è che i sindacati tedeschi furono colpiti dalla guerra più duramente dei loro equivalenti nell’Europa occidentale. Un altro modo di confrontare le economie di guerra è quello di analizzare le cifre delle iscrizioni ai sindacati (cfr. tab. 29), ma non si devono trarre troppe conclusioni da queste statistiche. In Gran Bretagna, in Francia e in Germania, i leader sindacali offrirono il loro appoggio allo sforzo bellico nella speranza di rafforzare le proprie posizioni e trattare su una base di parità con i datori di lavoro; e dappertutto gli iscritti ai sindacati protestarono vivamente di fronte alle concessioni fatte dai loro leader. Tuttavia, non è certo privo di significato il fatto che gli iscritti ai sindacati in Gran Bretagna e in Francia raddoppiarono praticamente di numero, mentre in Germania diminuirono di oltre un quarto. Anche negli Stati Uniti aumentarono di circa l’85 per cento. 125
Infine, le cifre indicano che, ancora una volta, in Germania gli scioperi non furono particolarmente numerosi. Ci fu un’attività sindacale nettamente maggiore in Gran Bretagna, dove ogni tentativo di sostituire lo sciopero con l’arbitrato obbligatorio (dato che la legge sulle munizioni di guerra del 1915 prevedeva «fabbriche controllate» nell’industria degli armamenti) si rivelò inattuabile. Scioperando ed esigendo che i licenziati fossero provvisti di certificati di licenza, i ramai della Clyde si fecero beffe del Tribunale delle munizioni, che cercava di imporre provvedimenti di «diluizione» a Glasgow. 126 Analogamente, gli sforzi compiuti da Lloyd George per convincere i minatori ad accettare una sospensione degli scioperi si dissolsero nel nulla allorché i minatori abbandonarono le miniere nel luglio del 1915. 127 Come dovette ammettere egli stesso, era «impossibile radunare e processare duecentomila uomini»; inoltre, quanto alla nazionalizzazione delle miniere, questo era esattamente ciò che volevano gli elementi più radicali della forza-lavoro. 128 Nessun uomo politico tedesco dovette mai sopportare le umiliazioni inflitte a Lloyd George dai rappresentanti sindacali di Glasgow. Affrontarli nel 1916 (quando i giornali «Forward» e «Worker» furono banditi e i leader radicali arrestati e allontanati dalla zona) non servì in alcun modo ad aumentare la produttività, ma fu solo una simbolica dimostrazione di forza. 129 Nessun sindacato tedesco considerava «i privilegi degli operai qualificati alla stregua di un vangelo», come faceva il sindacato dei metalmeccanici (Amalgamated Society of Engineers, ASE). 130 Il grande sciopero dei metalmeccanici nel maggio del 1917 si concluse con una vittoria dell’ASE; come ricordava Beveridge, il sindacato «ottenne la concessione più importante che aveva chiesto ... senza concedere nulla di ciò che aveva chiesto il governo». 131 Incredibilmente, 22.000 metalmeccanici scesero in sciopero nell’aprile del 1918, quando i tedeschi si trovavano a meno di ottanta chilometri da Parigi. Le istruzioni date dal gabinetto di guerra ai suoi negoziatori erano piuttosto concise: «Se un nuovo sciopero appariva inevitabile, bisognava accogliere tutte le richieste presentate. 132 Il contrasto con il modo in cui il governo tedesco, nel gennaio del 1918, riuscì a far cessare lo sciopero di Berlino dopo appena una settimana non potrebbe essere più evidente. 133 È anche opportuno notare che a Berlino sei delle sette richieste fatte dagli scioperanti erano di ordine politico: volevano la fine della guerra, non paghe più alte.
Tabella 30 – Scioperi in Gran Bretagna e Germania, 1914-1918.
|
Gran Bretagna |
Germania |
||
|
Numero scioperanti |
Giornate perdute |
Numero scioperanti |
Giornate perdute |
1914 |
326.000 |
10.000.000 |
61.000 |
1.715.000 |
1915 |
401.000 |
3.000.000 |
14.000 |
42.000 |
1916 |
235.000 |
2.500.000 |
129.000 |
245.000 |
1917 |
575.000 |
5.500.000 |
667.000 |
1.862.000 |
1918 |
923.000 |
6.000.000 |
391.000 |
1.452.000 |
Fonti: T. Wilson, Myriad Faces, p. 221; J. Horne, Labour at War, p. 396; Petzina, Abelshauser e Foust, Sozialgeschichtliches Arbeitsbuch, vol. III, pp. 110-118.
In breve, fu una fortuna per la Gran Bretagna che Lloyd George si sbagliasse quando, in un discorso pronunciato al TUC (Trades Union Congress) descrisse la guerra come «un conflitto tra l’industria metalmeccanica di Germania e Austria da una parte e l’industria metalmeccanica di Gran Bretagna e Francia dall’altra». 134 Fatta eccezione per la Russia, la situazione sindacale britannica era semplicemente la peggiore: né la Germania, né l’Italia, né la Francia subirono così tanti scioperi. 135 Inoltre, molti scioperi che colpirono la Francia nell’estate del 1917 riguardavano le industrie non essenziali dell’abbigliamento, e molti scioperanti erano donne non iscritte ai sindacati che tornarono al lavoro non appena furono concessi degli aumenti salariali. 136 Una nuova ondata di scioperi più politicizzati nel maggio del 1918 sembra essersi subito dissolta di fronte alle critiche dell’opinione pubblica e dei militari. 137
Fame, sanità e disuguaglianza
La Germania fu sconfitta a causa della fame? È una delle tesi più tenaci della moderna storiografia europea. 138 Ma è quasi sicuramente sbagliata. In termini generali, naturalmente, il cittadino medio tedesco soffrì più del cittadino medio britannico, per il semplice motivo che il reddito reale pro capite in Germania si ridusse di circa il 24 per cento durante la guerra, mentre in Gran Bretagna aumentò. 139 Come abbiamo visto, il blocco ridusse indubbiamente l’approvvigionamento di derrate alimentari della Germania non soltanto facendo diminuire le importazioni ma anche, cosa ancor più grave, interrompendo il rifornimento di fertilizzanti. E non c’è dubbio che furono commessi gravi errori amministrativi, come il modo frammentario in cui il Consiglio federale (Bundesrat) impose i prezzi massimi (con la conseguenza di avere i massimali più bassi per i beni più richiesti), o la macellazione assolutamente controproducente di nove milioni di maiali (il famoso Schweinmord) nella primavera del 1915, che avrebbe dovuto avere lo scopo di rendere disponibili grano e patate per il consumo umano. 140
Ma anche in questo caso si rischia di esagerare. Come mostra la tabella 31, in Germania il consumo di cibo si ridusse, ma avvenne la stessa cosa anche in Gran Bretagna, sebbene in misura minore grazie all’intensificazione della produzione interna. Tuttavia, sulla base di altre statistiche risulta che il consumo tedesco pro capite di patate e prodotti ittici fu maggiore nel 1918 che nel 1912-1913. 141 Il sistema di razionamento alimentare tedesco in tempo di guerra è stato assai criticato; ma si può sostenere con giustificata ragione che l’approccio laissez-faire della Gran Bretagna fosse ancora più dispendioso e inefficiente. I tedeschi introdussero il razionamento del pane nel gennaio del 1915 e nel maggio del 1916 crearono un Ufficio di guerra per le derrate alimentari. Al contrario, in Gran Bretagna il ministero per le Derrate alimentari venne istituito soltanto nel dicembre del 1916, e si dimostrò alquanto inefficiente (nonostante le suppliche di William Beveridge) almeno fino al luglio del 1917, quando Lord Davenport fu sostituito a capo del dicastero da Lord Rhondda. Allarmato per le code che gli abitanti di molte città erano costretti a fare per procurarsi il cibo, il governo si affrettò a introdurre il razionamento dello zucchero e iniziò a realizzare un sistema di distribuzione alimentare a livello regionale e locale; ma solo nell’aprile del 1918 fu messo a punto un sistema di razionamento della carne a livello nazionale, e soltanto tre mesi più tardi i prodotti principali iniziarono a essere razionati. 142 A cominciare dalla metà del 1915 la Francia si mosse molto più rapidamente nella requisizione del grano e nel controllo della distribuzione alimentare; ma solo in seguito alle pressioni angloamericane vennero presi provvedimenti per un razionamento globale e nell’ottobre del 1918 scoppiò un grave scandalo a proposito di malversazioni da parte del consorzio responsabile della fornitura di oli vegetali. 143 Gli storici che individuano l’inettitudine tedesca sulla base delle lagnanze per la carenza di cibo e i prezzi troppo elevati farebbero bene a rileggersi le identiche lagnanze che circolavano in Francia nel 1917. 144 Ma i tedeschi dovettero affrontare ben più che una semplice penuria di cibo.
Tabella 31 – Consumi di derrate alimentari in Gran Bretagna e Germania in percentuali di consumi in tempo di pace, 1917-1918.
|
Gran Bretagna |
Germania |
Carne |
25,3 |
19,8 |
Burro |
37,4 |
21,3 |
Patate |
100,0 |
94,2 |
Nota: Gran Bretagna,
consumo settimanale medio di famiglie della classe operaia, ottobre
1917 - maggio 1918; Germania, razioni ufficiali a Bonn, luglio 1917
- giugno 1918.
Fonti: J.
Winter, Great
War, p. 219; Burchardt,
Impact of the War
Economy, p. 43.
I tedeschi patirono indubbiamente la fame. Anziché birra e salsicce, dovettero accontentarsi di disgustosi surrogati e di vino proveniente dall’Europa orientale. Diventarono più magri: il nutrizionista R.O. Neumann perse diciannove chili in sette mesi vivendo esclusivamente delle razioni ufficiali. 145 Ma che si morisse di fame è ancora da dimostrare, così come la cifra stupefacente di 750.000 morti ancora citata da storici peraltro attendibili. 146 È vero che il tasso di mortalità femminile aumentò dal 14,3 per mille nel 1913 al 21,6 per mille, un aumento significativamente maggiore di quello registrato in Gran Bretagna (dal 12,2 al 14,6 per mille). 147 Secondo una stima, circa un terzo di tutti i degenti prebellici negli ospedali psichiatrici tedeschi morì di fame, malattia o negligenza. 148 Si ebbero anche un aumento nel numero di persone decedute a causa di malattie polmonari (dall’1,19 al 2,46 per mille) e un netto incremento dei decessi femminili durante il parto. 149 Ma il tasso di mortalità infantile calò decisamente (tranne che in Baviera, dove nel 1918 aumentò; oltre al caso eccezionale di bambini illegittimi nati a Berlino). 150 Da questo punto di vista le cose andavano molto peggio in Francia, dove il tasso di mortalità infantile nel 1918 era del 21 per cento sopra i livelli del 1910-1913. 151 Si può inoltre supporre che Jay M. Winter abbia leggermente sopravvalutato il miglioramento della salute della popolazione civile verificatosi in Gran Bretagna durante la guerra. Ci fu un aumento del 2,5 per cento di decessi per tubercolosi in Inghilterra e anche nel Galles; questo aumento sembra probabilmente dovuto almeno in parte alla scarsa nutrizione. 152 Molte popolazioni hanno continuato a combattere pur dovendo sopportare una fame assai maggiore di quella conosciuta dalla Germania nel 1918: l’Unione Sovietica nella seconda guerra mondiale è il caso più evidente.
Il vero banco di prova dell’economia di guerra stava nell’abilità con cui le scarse risorse venivano gestite e distribuite. Anche in questo caso si è detto che la Germania commise gravi errori. Nel suo ormai classico studio, Jürgen Kocka ha sostenuto che l’economia di guerra acutizzò i conflitti di classe e altri tipi di divisione sociale, aprendo la strada alla rivoluzione del novembre 1918. 153 Nella prima guerra mondiale lo Stato tedesco con i suoi interventi avrebbe accentuato le disuguaglianze, favorendo alcuni gruppi sociali e penalizzandone altri. I rapporti fra le classi persero d’importanza in confronto ai rapporti fra gruppi di interesse particolari e lo stesso Stato.
Ma le prove che la Germania sia diventata una società meno egualitaria tra il 1914 e il 1918 non sono così evidenti. Calcoli del «coefficiente di Pareto» per la Prussia indicano in effetti che nel 1918 la distribuzione del reddito fosse più disuguale che in qualsiasi altro periodo a partire dal 1850. 154 Ma queste cifre potrebbero essere distorte dagli alti redditi di un numero relativamente piccolo di imprenditori. Altre testimonianze fanno supporre che i maggiori cali relativi nei livelli di vita furono sopportati non dagli operai bensì da altri gruppi all’interno di quell’ampia fascia sociale che chiamiamo classe media. La contrazione dei differenziali nelle paghe nominali, descritta nelle pagine precedenti, parla da sé: gli amministratori pubblici ne furono colpiti in modo particolarmente grave, e quanto più si trovavano in alto nella gerarchia tanto più ebbero a perdere. Inoltre, i controlli del tempo di guerra tendevano a favorire le famiglie della classe operaia a scapito di vari strati sociali di proprietari. Le leggi contro l’eccessivo innalzamento dei prezzi furono applicate in gran fretta nei primi mesi di guerra e il primo tetto fu imposto già all’inizio del 1915. Ma si dovette attendere il decreto del Bundesrat del settembre 1915 sulla creazione di Uffici di supervisione dei prezzi (Preisprüfungstellen) perché si concretizzasse una politica coerente dei prezzi. 155 Anche se fu individuata tutta una serie di reati (per esempio la «vendita a catena», che un inglese dell’epoca dei Tudor avrebbe immediatamente riconosciuto come «accaparramento»), in sostanza gli Uffici di supervisione dei prezzi si dedicarono quasi esclusivamente a perseguire i negozianti colti a vendere a prezzi superiori a quelli stabiliti; e lo stesso sistema fu adottato anche in Austria. 156 L’ufficio creato nell’ottobre del 1916 ad Amburgo fornisce un buon esempio del loro funzionamento. Nel solo 1917 vi furono 1538 procedimenti giudiziari che portarono alla chiusura di 5551 aziende, a pene detentive per un totale di 12.208 giorni e a multe per un totale di 92.300 marchi. 157 I negozianti si trovarono così nell’impossibilità di scaricare sui loro clienti gli aumenti dei prezzi all’ingrosso. Qualcosa del genere accadde anche nelle campagne, dove i controlli furono rigidamente applicati nel 1916-1917 (il cosiddetto «inverno delle rape»): gli agricoltori furono sottoposti a perquisizioni domiciliari e a confische. 158
Com’è ben noto, il controllo dei prezzi non fu abbastanza rigido da impedire lo sviluppo di un vasto mercato nero a cui ben presto si rivolsero gli abitanti delle città con un po’ di soldi da parte e contatti in campagna. 159 Ma quali cittadini potevano permettersi di pagare i prezzi del mercato nero (che in certi casi superavano di quattordici volte i prezzi ufficiali)? Era chiaro che chi lavorava nell’industria in grande espansione degli armamenti si trovava ora in una posizione migliore rispetto agli impiegati civili di basso rango. Questo era sicuramente ciò che pensavano anche le autorità militari di Amburgo:
Frutta e verdura fresca vengono acquistate dai diecimila operai ora universalmente ben pagati, i quali non hanno bisogno di cercare prezzi più bassi. Ma la situazione si fa sempre più difficile per il Mittelstand, ovvero i funzionari amministrativi [Beamtentum], sui quali il fardello della guerra grava con tutto il suo peso. 160
Sacrifici del genere furono chiesti anche a quella che prima della guerra era stata una delle forze politiche più potenti della Germania: i proprietari d’immobili urbani. Nonostante l’esodo di uomini inviati al fronte, rimaneva una certa pressione sugli alloggi a causa dell’arresto pressoché completo dell’attività edilizia provocato dalla guerra: tra il 1915 e il 1918 ad Amburgo vennero costruiti soltanto 1923 nuovi alloggi in confronto ai 17.780 dei due anni precedenti la guerra. 161 Quanto più la gente si trasferiva nelle grandi città per lavorare nelle industrie belliche, tanto più aumentava la richiesta di alloggi. Ma una serie di regolamenti che controllavano le rendite impediva ai padroni di case di beneficiarne. In effetti, il prezzo degli affitti fu congelato, tanto che in termini reali diminuì. L’Associazione dei proprietari di Amburgo calcolò che la guerra era costata ai suoi membri circa 80 milioni di marchi, in larga misura come risultato di una riduzione obbligatoria degli affitti imposta su oltre la metà delle locazioni esistenti ad Amburgo durante il conflitto. Alla fine del 1918 gli affitti erano stati ridotti a quasi la metà dei livelli del giugno 1914. 162 Naturalmente, controlli dello stesso tipo erano stati adottati anche in Gran Bretagna, dove gli affitti avevano cominciato a salire nel 1914-1915, e in seguito si era determinata una carenza di alloggi. 163 Ma i proprietari in Germania furono sicuramente colpiti con maggiore durezza, com’era capitato anche ad altre categorie professionali che dopo la guerra lamentarono ad alta voce la loro «proletarizzazione». 164
Tutto ciò induce a concludere che la guerra avesse spostato l’asse del potere socioeconomico dalla classe media, e specialmente dal Mittelstand, in direzione della classe operaia e della grande industria. 165 I controlli sui prezzi e sugli affitti furono usati per sovvenzionare il tenore di vita della classe operaia a scapito dei commercianti e dei proprietari di case; gli stipendi dei funzionari pubblici furono tenuti bassi, mentre i salari nominali degli operai dei settori strategici furono lasciati aumentare. L’esperienza della famiglia Schramm – una famiglia di senatori al vertice del Grossbürgertum, cioè la grande borghesia, di Amburgo – illustra perfettamente il trauma della spoliazione del ceto medio. Per Ruth Schramm la guerra significò più di una semplice deprivazione fisica: fu un’epoca di umiliazione morale e culturale. La «tetra e ostile opinione pubblica», i profittatori di guerra, la corruzione e la violenza del 1917: tutto ciò rappresentava una grottesca presa in giro degli ideali della Burgfrieden sbandierati appena tre anni prima. Dover mangiare pasta di carne fatta con i cigni dell’Alster era il simbolo del degrado di Amburgo; dover comprare cibo al mercato nero costituiva un taglio netto con «i principi che per me avevano un valore prima del 1914». 166 Quando suo fratello rientrò a casa dal fronte nel dicembre del 1918, scoprì che i genitori si erano trasferiti al primo piano e che avevano chiuso il pianterreno per risparmiare sul riscaldamento. Anche se pranzavano ancora con posate d’argento, riconobbe immediatamente «la fine di uno stile di vita da grande borghesia». 167
Un simile raffinato depauperamento, però, non conduce necessariamente a un crollo interno e tantomeno a una rivoluzione. Al contrario, furono proprio i gruppi sociali più duramente colpiti dalla guerra in termini relativi a essere i più zelanti sostenitori degli scopi bellici ufficiali. Quindi una spiegazione della sconfitta tedesca che pone in rilievo il crollo del fronte interno non regge. In nessun momento, compreso il periodo di scioperi nell’aprile del 1917 e nel gennaio del 1918, il morale interno della Germania giunse così vicino al collasso come avvenne in Russia e per poco anche in Francia. 168 Sul piano puramente cronologico, fu il fronte occidentale e non il fronte interno a crollare per primo; e quando, nel novembre del 1918, la rivoluzione si estese dai porti settentrionali a sud, verso Berlino e Monaco, fu una rivoluzione fatta non da chi aveva perduto dal punto di vista economico nel corso della guerra, ma dai suoi vincitori relativi: i soldati e i marinai che erano stato meglio nutriti dei civili e i lavoratori dell’industria i cui salari reali erano diminuiti in misura minore.
L’unica argomentazione che si può sostenere con una certa plausibilità a proposito delle economie di guerra tedesca e russa è che ebbero troppo successo: lo stimolo della produzione di armamenti à tout prix alla fine rappresentò un peso eccessivo per i consumatori urbani e portò a un crollo del morale. Come vedremo, questa tesi comporta comunque dei problemi, e anche se risultasse corretta non darebbe un grande riconoscimento ai risultati ottenuti dai britannici, dai francesi e dagli americani. Se le potenze occidentali realizzarono un migliore equilibrio tra le necessità civili e quelle militari, ciò avvenne per caso e non in base a un progetto concreto. Inoltre, pagarono un prezzo molto elevato in termini militari; anzi, talmente elevato che rischiarono addirittura di perdere la guerra.