II

Imperi, intese e appeasement edoardiano

Imperialismo: economia e potere

La risoluzione su «militarismo e conflitti internazionali» approvata dalla Seconda Internazionale dei partiti socialisti alla conferenza di Stoccarda nel 1907 è una formulazione classica della teoria marxista sulle origini della guerra:

Le guerre fra Stati capitalisti sono di regola il risultato della loro rivalità per il possesso dei mercati mondiali, dato che ogni Stato non si preoccupa soltanto di consolidare il proprio mercato, ma anche di conquistarne di nuovi ... Inoltre, queste guerre derivano dall’interminabile corsa agli armamenti tipica del militarismo ... Le guerre perciò sono intrinseche alla natura del capitalismo: cesseranno soltanto quando verrà abolita l’economia capitalista.  1

Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale – che gettò nel caos la Seconda Internazionale – questa tesi divenne un autentico dogma della sinistra. Nel gennaio del 1915 il socialdemocratico tedesco Friedrich Ebert dichiarò:

Tutti i grandi Stati capitalisti hanno registrato un incremento della loro vita economica nel corso dell’ultimo decennio ... La lotta per i mercati si è fatta più intensa. Insieme alla lotta per i mercati si è aperta la lotta per i territori ... Perciò i conflitti economici hanno portato all’esplosione di conflitti politici, a costanti e giganteschi aumenti degli armamenti e infine alla guerra mondiale.  2

Secondo il «rivoluzionario disfattista» Lenin (uno dei pochi leader socialisti che desideravano esplicitamente la sconfitta del proprio paese), la guerra era un prodotto dell’imperialismo. La lotta fra le grandi potenze per la conquista dei mercati d’oltremare, stimolata dalla riduzione del tasso di profitto delle loro economie interne, non poteva che terminare con una guerra suicida; a propria volta, le conseguenze sociali della conflagrazione avrebbero affrettato la tanto attesa rivoluzione internazionale del proletariato e la «guerra civile» contro le classi dominanti, a cui Lenin aveva incitato fin dallo scoppio della guerra.  3

Fino a quando le rivoluzioni degli anni 1989-1991 non hanno smantellato le dubbie conquiste di Lenin e dei suoi compagni, gli storici del blocco comunista hanno continuato a ribadire irremovibilmente questa tesi. In un libro pubblicato l’anno successivo alla caduta del Muro di Berlino, lo storico tedesco-orientale Willibald Gutsche sosteneva ancora che, nel 1914, oltre ai «monopoli minerari e dell’acciaio, autorevoli rappresentanti di grandi banche, industrie elettrotecniche e società di navigazione ... erano propensi a seguire un’opzione non pacifica».  4 Il suo collega Reinhold Zilch criticava «gli obiettivi chiaramente aggressivi» del presidente della Reichsbank Rudolf Havenstein alla vigilia della guerra.  5

A prima vista ci sono molte ragioni per pensare che gli interessi capitalistici avrebbero tratto vantaggio dalla guerra. In particolare, l’industria degli armamenti non avrebbe certo perso l’occasione di ottenere lucrosi contratti nel caso di un esteso conflitto. La filiale britannica della banca dei Rothschild, che per i marxisti e gli antisemiti era il simbolo del diabolico potere del capitale internazionale, aveva legami finanziari con la società Maxim-Nordenfelt, le cui mitragliatrici erano state esaltate da Hilaire Belloc come la chiave per l’egemonia europea, e aveva contribuito a finanziarne l’acquisizione da parte della Vickers Brothers nel 1897.  6 Anche i Rothschild di Vienna avevano interessi nell’industria degli armamenti: le loro acciaierie Witkowitz erano importanti fornitrici di ferro e acciaio per la marina austriaca e successivamente di proiettili per l’esercito. I cantieri navali tedeschi, per citare ancora un esempio, ottennero cospicui contratti governativi in forza del programma navale del grand’ammiraglio Alfred von Tirpitz. Delle ottantasei unità commissionate tra il 1898 e il 1913 sessantatré furono allestite da un gruppo ristretto di compagnie private. Più di un quinto della produzione dei cantieri Blohm & Voss di Amburgo, che avevano sostanzialmente monopolizzato l’allestimento di grandi navi da diporto, era destinato alla marina militare.  7

Tuttavia, come a smentire la teoria marxista, non c’è quasi nessuna prova che questi uomini d’affari legati ai propri interessi volessero una grande guerra europea. A Londra la stragrande maggioranza dei banchieri era terrorizzata da questa prospettiva, soprattutto perché la guerra minacciava di bancarotta quasi tutti gli istituti di sconto che finanziavano il commercio internazionale (si veda infra, cap. VII). I Rothschild cercarono invano di evitare un conflitto anglo-tedesco, e per questi loro sforzi furono accusati da Henry Wickham Steed, il caporedattore agli esteri del «Times», «di un losco tentativo finanziario giudeo-tedesco per costringerci a sposare la causa della neutralità».  8

Tra i pochi uomini d’affari tedeschi tenuti (soltanto in parte) informati sugli sviluppi della crisi di luglio, né l’armatore Albert Ballin né il banchiere Max Warburg erano favorevoli alla guerra. Il 21 giugno 1914, dopo un banchetto svoltosi ad Amburgo, il Kaiser in persona espose a Warburg un’analisi divenuta tristemente nota della «situazione generale» della Germania, al termine della quale «accennò al fatto che forse sarebbe stato opportuno attaccare subito [la Russia e la Francia] anziché restare ad attendere». Warburg «cercò vigorosamente di dissuaderlo»:

Gli presentai un quadro generale della situazione politica interna dell’Inghilterra (Home Rule), delle difficoltà che aveva la Francia nel mantenere il periodo di leva a tre anni, della crisi finanziaria in cui già versava la Francia e della probabile inaffidabilità dell’esercito russo. Gli consigliai vivamente di attendere con pazienza, rimanendo tranquilli ancora per qualche anno. «Noi diventiamo più forti di anno in anno, mentre i nostri nemici diventano sempre più deboli al proprio interno.»  9

Nel 1913 Karl Helfferich, un dirigente della Deutsche Bank, aveva pubblicato un libro intitolato Deutschland Wohlstand, 1888-1913 (La ricchezza della Germania) nel quale intendeva dimostrare proprio questo punto. La produzione di ferro e acciaio della Germania aveva superato quella britannica e il suo reddito nazionale era ormai maggiore di quello della Francia. Non ci sono prove che Helfferich avesse qualche percezione della catastrofe incombente che avrebbe rovinosamente arrestato quella crescita. Al contrario, era completamente occupato dai negoziati sulle concessioni riguardanti la ferrovia di Baghdad (si veda infra).  10 Malgrado il suo interesse nella questione della mobilitazione economica, Walther Rathenau, presidente dell’Allgemeine Elektrizitäts Gesellschaft, non riuscì a persuadere gli alti funzionari del Reich ad accettare l’idea di uno «stato maggiore economico», e Theobald Bethmann Hollweg ignorò semplicemente la sua tesi secondo la quale non bisognava schierarsi a fianco dell’Austria nel 1914.  11 Parimenti, quando il 18 giugno 1914 Havenstein convocò alla Reichsbank otto direttori delle principali banche a capitale azionario per chiedere loro di aumentare le rispettive quote di riserve (al fine di ridurre il rischio di una crisi di liquidità in caso di guerra), questi ultimi gli dissero, gentilmente ma con fermezza, di lasciarli in pace.  12 Gutsche è riuscito a fornire una sola prova della brama capitalista per la guerra: una citazione di Alfred Hugenberg, direttore del settore armamenti della Krupp e figura niente affatto rappresentativa. L’industriale dell’acciaio Hugo Stinnes era così poco interessato all’idea della guerra che nel 1914 fondò la Union Mining Company a Doncaster, con l’intenzione di esportare la tecnologia tedesca nei giacimenti minerari britannici.  13

Pertanto, l’interpretazione marxista delle origini della guerra può essere buttata nella pattumiera della storia, insieme ai regimi che l’avevano sostenuta con tanta passione. Rimane invece – in gran parte intatto – un altro modello del ruolo giocato dall’economia nel 1914. Le opere di Paul Kennedy, in particolare, hanno contribuito in modo decisivo a diffondere l’idea che l’economia fosse una «realtà dietro la diplomazia»: un fattore determinante del potere, che si poteva esprimere in termini di popolazione, produzione industriale, produzione di ferro e acciaio e consumo energetico. Secondo questo punto di vista, i politici hanno più «libertà d’azione» per avventurarsi in un’espansione imperialista senza essere necessariamente subordinati agli interessi del mondo degli affari e dell’industria; ma le risorse economiche dei loro paesi stabiliscono il limite massimo di questa espansione che, oltre un certo punto, diventa insostenibile.  14 Sulla base di tale modello, la Gran Bretagna del 1914 era una potenza in relativo declino, che soffriva di «sovraestensione» imperiale, mentre la Germania era una rivale in inarrestabile ascesa. Kennedy e i suoi numerosi seguaci si basano sui dati degli indicatori di crescita dell’economia, dell’industria e delle esportazioni per sostenere che uno scontro fra l’Inghilterra in declino e la Germania in ascesa era, se non inevitabile, perlomeno probabile.  15

Caratteristica di questo approccio è la tesi di Immanuel Geiss, secondo la quale lo sviluppo dell’«economia industriale più forte dei tempi moderni» faceva della Germania «la superpotenza del continente»:

Nella sua enorme potenza in costante espansione la Germania era come un reattore autoalimentato privo di un involucro protettivo [sic] ... La sensazione di potere economico moltiplicò la confidenza acquisita fin dal 1871 trasformandola in quell’esagerata autostima che, attraverso la Weltpolitik, spinse il Reich tedesco nella prima guerra mondiale.  16

L’unificazione del 1870-1871 aveva dato alla Germania «una latente egemonia [in Europa] letteralmente all’improvviso ... Era inevitabile che con l’unione di tutti i tedeschi o almeno della maggior parte di essi in un singolo Stato la Germania fosse destinata a diventare la potenza più forte d’Europa». I sostenitori di un’Europa dominata dalla Germania avevano quindi ragione almeno in teoria: «Non c’era nulla di sbagliato nel concludere che la Germania e l’Europa continentale a occidente della Russia sarebbero state in grado di farcela da sole ... [insieme ai] futuri blocchi di giganteschi poteri economici e politici ... se l’Europa si fosse unita. E un’Europa unita sarebbe caduta quasi automaticamente sotto il dominio della potenza più forte: la Germania».  17 Per la maggior parte degli storici britannici, è assiomatico che fosse necessario opporsi a questa sfida.  18

La storia dell’Europa fra il 1870 e il 1914 continua quindi a essere scritta come la storia di una rivalità economica, con la Gran Bretagna e la Germania quali principali avversarie. Ma anche questo modello di rapporto fra economia e potere è tutt’altro che privo di difetti.

È indubbio che tra il 1890 e il 1913 le esportazioni tedesche erano cresciute con un tasso maggiore di quelle dei rivali europei e che la formazione del suo capitale interno lordo era la più elevata d’Europa. La tabella 3 riassume alcuni dati statistici sulla sfida tedesca alla Gran Bretagna, riportati da Kennedy. Inoltre, se si calcolano i tassi di crescita della popolazione tedesca (1,34 per cento all’anno), del prodotto nazionale lordo (2,78 per cento) e della produzione di acciaio (6,54 per cento), non c’è dubbio che tra il 1890 e il 1914 la Germania avesse superato la Gran Bretagna e la Francia.  19

Tabella 3 – Alcuni indicatori della potenza industriale inglese e tedesca, 1880 e 1913.

 

Inghilterra
1880

Germania
1880

Inghilterra
1913

Germania
1913

Quote relative di industrie manifatturiere (in percentuale)

22,9

  8,5

  13,6

  14,8

Potenziale industriale totale (Gran Bretagna nel 1900 = 100)

73,3

27,4

127,2

137,7

Industrializzazione pro capite (Gran Bretagna nel 1900 = 100)

87,0

25,0

115,0

85,0

Fonte: Kennedy, Rise and Fall of the Great Powers, pp. 256 e 259.

Ma in realtà il fattore economico più importante nella politica mondiale dell’inizio del XX secolo non era la crescita della potenza economica tedesca, bensì l’immenso potere finanziario della Gran Bretagna.

Già alla metà del XIX secolo gli investimenti d’oltremare britannici ammontavano a circa duecento milioni di sterline.  20 Nella seconda metà del secolo, tuttavia, ci furono tre grandi ondate di esportazioni di capitale. Tra il 1861 e il 1872 l’investimento estero netto crebbe dall’1,4 al 7,7 per cento del prodotto nazionale lordo, per poi scendere allo 0,8 per cento nel 1877. Successivamente, risalì in modo più o meno stabile fino al 7,3 per cento nel 1890, e infine scese nuovamente sotto l’1 per cento nel 1901. Nel 1913, durante la terza ondata, gli investimenti esteri salirono fino a toccare la cifra record del 9,1 per cento (cifra mai più superata fino agli anni Novanta).  21 In termini assoluti, questo determinò un enorme accumulo di beni esteri, che aumentò di oltre dieci volte (da 370 milioni di sterline nel 1860 a 3,9 miliardi di sterline nel 1913), pari a circa un terzo della ricchezza totale della Gran Bretagna. Nessun altro paese riuscì ad avvicinarsi a questo livello di investimenti esteri; come mostra la tabella 4, il paese che più vi si avvicinò, la Francia, aveva beni esteri per un valore pari alla metà di quelli britannici; la Germania appena poco più di un quarto.

Alla vigilia della prima guerra mondiale la Gran Bretagna deteneva circa il 44 per cento del totale degli investimenti esteri.  22 Inoltre, come mostra ancora la tabella 4, la maggior parte degli investimenti britannici si indirizzava fuori dall’Europa; una percentuale assai maggiore di investimenti tedeschi era invece sul continente. Nel 1910 Bethmann Hollweg definì la Gran Bretagna «la suprema rivale della Germania quando è in gioco la politica di espansione economica».  23 Questo era vero se con «espansione economica» Bethmann Hollweg intendeva gli investimenti d’oltremare; non lo era invece se intendeva un aumento delle esportazioni, visto che in virtù della politica inglese del libero scambio nulla impediva agli esportatori tedeschi di sfidare le compagnie britanniche sui mercati imperiali (e, anzi, anche sullo stesso mercato interno). Questa competizione commerciale, naturalmente, non passò inosservata; ma non ha senso considerare le campagne di stampa contro prodotti «made in Germany» il preannuncio di una guerra anglo-tedesca, perlomeno non più di quanto i discorsi degli americani sulla «minaccia» economica giapponese negli anni Ottanta del XX secolo facessero presagire un conflitto militare.  24

Tabella 4 – Investimenti esteri totali nel 1913.

 

Totale (in milioni di sterline)

In Europa (percentuale)

Gran Bretagna

  793

  5,2

Francia

  357

51,9

Germania

  230

44,0

Stati Uniti

  139

20,0

Altri

  282

 n.d.

Totale

1800

26,4

Fonte: Kindleberger, Financial History of Western Europe, p. 225.

Alcuni storici dell’economia hanno sostenuto che gli elevati livelli di esportazione di capitale mettevano a rischio l’economia britannica: la City è il capro espiatorio preferito da chi considera l’industria manifatturiera superiore a quella dei servizi come generatrice di profitti e occupazione. In realtà, si può affermare che le esportazioni di capitali influivano negativamente sull’industria britannica degli investimenti solo se si riesce a dimostrare che vi era una carenza di capitali che impediva alle industrie di modernizzare i loro impianti. Ma ci sono ben poche prove a sostegno di questa tesi.  25 Sebbene vi fosse certamente un rapporto inversamente proporzionale tra il ciclo di investimenti esteri e quello degli investimenti fissi interni, l’esportazione di capitali non costituiva un vero e proprio «drenaggio» di capitali dall’economia britannica, né può essere considerata una «causa» dell’incremento del deficit commerciale britannico.  26 Di fatto, gli introiti ottenuti con questi investimenti corrispondevano (o, in certi casi, erano superiori) all’esportazione di nuovi capitali, proprio come (se accostati ai profitti provenienti da guadagni «invisibili») superavano invariabilmente il deficit commerciale. Nell’ultimo decennio dell’Ottocento l’investimento estero netto ammontava al 3,3 per cento del prodotto interno lordo, in confronto al reddito netto dei patrimoni provenienti dall’estero, pari al 5,6 per cento. Per il decennio successivo le cifre erano rispettivamente del 5,1 e del 5,9 per cento.  27

Perché l’economia britannica si comportava in questo modo? Anziché essere di natura «diretta», la maggior parte degli investimenti d’oltremare avveniva tramite un «portafoglio»: in altre parole, gli investimenti erano mediati da borse valori attraverso la vendita di obbligazioni e azioni emesse a favore di governi e compagnie straniere. Secondo Michael Edelstein, la spiegazione dell’«attrazione» esercitata dai titoli esteri va ricercata nel fatto che, pur considerando il grado maggiore di rischio che comportavano, i profitti erano alquanto più elevati (di circa un punto e mezzo in percentuale) di quelli dei titoli interni, se si calcola la media del periodo 1870-1913. Questa media, però, nasconde sostanziose fluttuazioni. Esaminando i conti di quattrocentoventotto società, Lance E. Davis e Robert A. Huttenback hanno dimostrato che i tassi di rendimento interni talvolta erano maggiori di quelli esteri, per esempio intorno agli anni Novanta del XIX secolo.  28 Le loro ricerche valutano anche l’importanza rivestita dall’imperialismo per gli investitori, dato che i tassi di rendimento degli investimenti nell’impero erano molto diversi da quelli degli investimenti in territori stranieri non controllati politicamente dalla Gran Bretagna: superiori fino al 67 per cento nel periodo precedente il 1884, ma inferiori del 40 per cento nel periodo successivo.  29 Quindi, sul piano economico, l’incremento degli investimenti britannici all’estero era forse un prodotto irrazionale dell’imperialismo? Insomma, il capitale seguiva la bandiera anziché la legge del massimo profitto? In realtà, Davis e Huttenback dimostrano che i possedimenti imperiali non erano la destinazione prioritaria degli investimenti britannici nel loro complesso: per il periodo tra il 1865 e il 1914 solo un quarto degli investimenti fu effettuato all’interno dell’impero, in confronto al 30 per cento che veniva reinvestito in patria e al 45 per cento nelle economie estere. Le ricerche dei due studiosi indicano che l’esistenza di una élite di ricchi investitori britannici con interessi materiali nell’impero costituiva il meccanismo di stabilizzazione del mercato internazionale del capitale nel suo complesso.

Gli alti livelli di esportazione di capitale facevano inoltre parte integrante del ruolo globale dell’economia britannica come esportatrice di manufatti e importatrice di derrate alimentari e di altri prodotti primari, nonché come grande «esportatrice» di uomini: l’emigrazione totale netta dal Regno Unito tra il 1900 e il 1914 ammontava alla cifra sbalorditiva di 2,4 milioni di persone.  30 La Banca d’Inghilterra era anche l’ultima fonte di credito alla quale ricorreva il sistema monetario internazionale: nel 1868 solo la Gran Bretagna e il Portogallo si basavano sul Gold Exchange Standard, che si era affermato in Inghilterra nel corso del XVIII secolo; nel 1908 tutti i paesi europei avevano adottato questo sistema (sebbene le valute dell’Austria-Ungheria, dell’Italia, della Spagna e del Portogallo non fossero completamente convertibili in moneta metallica).  31 Quindi, per molti versi, l’imperialismo era il corollario politico dello sviluppo economico della fine del XIX secolo, in modo analogo a quella che oggi definiamo «globalizzazione». Proprio come avviene oggi, la globalizzazione era allora associata all’emergere di un’unica superpotenza mondiale: oggi gli Stati Uniti, allora la Gran Bretagna, con la differenza che la dominazione britannica aveva un carattere decisamente più formale. Nel 1860 l’estensione territoriale dell’Impero britannico era di circa 25 milioni di chilometri quadrati; nel 1909 era salita a 33 milioni. Alla vigilia della prima guerra mondiale circa 444 milioni di persone vivevano sotto qualche forma di governo britannico, di cui solo il 10 per cento nel Regno Unito propriamente detto. E queste cifre non tengono conto del fatto che la Gran Bretagna dominava sostanzialmente gli oceani, perché possedeva la marina militare più potente del mondo (con un tonnellaggio complessivo doppio rispetto a quello della marina tedesca) e la più grande flotta mercantile. Si trattava, come aveva detto James Louis Garvin nel 1905, di un «dominio di un’estensione e di una portata al di là dei limiti naturali». Agli occhi delle altre grandi potenze questo era ingiusto. «Non possiamo parlare di conquiste e di possedimenti», ammette persino Charles Carruthers in The Riddle of the Sands. «Ci eravamo accaparrati una grossa fetta di mondo e gli altri avevano tutto il diritto di essere invidiosi.»  32

Tuttavia, in un’epoca caratterizzata da una libertà di movimento senza precedenti, e ancor oggi ineguagliata, per persone, beni e capitali, non appariva immediatamente chiaro come una potenza qualsiasi potesse sfidare la superpotenza globale. Mentre nei due decenni precedenti in Gran Bretagna si era registrato un aumento dell’emigrazione e dell’esportazione di capitali, la Germania aveva smesso di esportare tedeschi e progressivamente ridotto l’esportazione di nuove società di capitali.  33 Non è chiaro se questa divergenza fosse causa di (o fosse stata causata da) differenze nel rendimento economico interno dei due paesi, ma le ripercussioni in termini di potenza internazionale relativa sono evidenti. Come ha sostenuto di recente Avner Offer, l’elevato tasso di emigrazione della Gran Bretagna contribuì a creare legami di affinità che assicuravano la lealtà dei Dominions nei confronti della madrepatria.  34 Al contrario, in Germania il declinante tasso di natalità e l’incremento dell’immigrazione acuirono la consapevolezza tedesca della superiorità dell’Europa orientale in termini di manodopera. Senza dubbio, il crescente successo della Germania nel settore delle esportazioni sembrava costituire una minaccia agli interessi britannici, ma i tedeschi temevano che la crescita delle esportazioni (e il suo corollario, vale a dire un costante affidamento sulle materie prime d’importazione) potesse essere messa a rischio dalle politiche protezioniste di potenze coloniali più consolidate.  35 Anche se fino al 1914 la Gran Bretagna continuò a sostenere una politica di libero scambio all’interno dell’impero, il dibattito sulla «preferenza imperiale» e sulla riforma doganale suscitato da Joseph Austen Chamberlain apriva una preoccupante possibilità che le altre economie d’esportazione potevano ben difficilmente ignorare.

Infine, le esportazioni di capitali dalla Gran Bretagna e dalla Francia avevano indubbiamente accresciuto l’influenza politica internazionale di questi due paesi. In una delle sue primissime pubblicazioni, la Lega pangermanica esprimeva la seguente preoccupazione:

Siamo un popolo di cinquanta milioni di persone che dedicano le loro migliori energie al servizio militare e che spendono più di mezzo miliardo all’anno per la difesa ... I nostri sacrifici di sangue e denaro sarebbero certamente eccessivi se la nostra potenza militare ci consentisse di assicurarci i nostri sacrosanti diritti solo quando riceviamo il benevolo consenso degli inglesi.  36

Ma, come si lamentava Bülow, «l’enorme influenza [internazionale] della Francia si deve in larga misura alla sua abbondanza di capitali e liquidità».  37 Gli storici dell’economia elogiano spesso la preferenza delle banche tedesche per gli investimenti industriali interni; ma questi investimenti non servivano in alcun modo ad aumentare la potenza della Germania oltremare. Perciò l’influenza internazionale della Germania rimase circoscritta: lo sbalorditivo livello di crescita industriale avviatosi fin dal 1895 tendeva per certi versi a indebolire la sua posizione contrattuale sul piano internazionale.

Guerre evitate

Se c’era una guerra che l’imperialismo avrebbe potuto scatenare era senz’altro quella tra Gran Bretagna e Russia, una guerra evitata per un soffio negli anni Settanta e Ottanta del XIX secolo; oppure quella tra Gran Bretagna e Francia, che per poco non scoppiò nell’ultimo ventennio del medesimo secolo. Dopotutto, queste tre potenze erano le vere rivali imperiali, coinvolte in ripetuti conflitti reciproci, da Costantinopoli a Kabul (nel caso di Gran Bretagna e Russia) e dal Sudan al Siam (nel caso di Gran Bretagna e Francia). Nel 1895 pochi osservatori contemporanei avrebbero previsto che, nel giro di appena vent’anni, si sarebbero trovate a combattere una guerra come alleate. In definitiva, la memoria diplomatica collettiva del secolo precedente raccontava di attriti ricorrenti fra Gran Bretagna, Francia e Russia, come mostra la tabella 5.

È facile dimenticare quanto si fossero deteriorati i rapporti fra la Gran Bretagna da una parte e la Francia e la Russia dall’altra negli anni Ottanta e Novanta del XIX secolo. L’occupazione militare dell’Egitto a opera degli inglesi, nel 1882, aveva avuto innanzitutto lo scopo (peraltro raggiunto) di consolidare le finanze egiziane nell’interesse non soltanto degli investitori britannici ma più in generale di quelli europei. Costituì tuttavia un perdurante motivo d’imbarazzo diplomatico. Tra il 1882 e il 1922 la Gran Bretagna si sentì costretta a promettere ben sessantasei volte alle altre potenze che avrebbe posto fine all’occupazione dell’Egitto. Ma non lo fece, e da quando l’Egitto fu occupato, Londra si trovò in una posizione di svantaggio diplomatico ogniqualvolta cercò di condannare analoghe espansioni da parte delle sue principali rivali imperiali.

Tabella 5 – Quadro riassuntivo degli schieramenti internazionali, 1815-1917.

Periodo

Ovest

Centro

Est

1793-1815

 

Francia

<Gran Bretagna + Russia + Prussia + Austria>

1820-1829

(Gran Bretagna)

Spagna + Portogallo + Napoli + Grecia

<Russia + Prussia + Austria + Francia>

1830-1839

Gran Bretagna + Francia

Belgio

<Russia + Prussia + Austria>

1840-1849

Gran Bretagna + Turchia

Francia + Piemonte + Ungheria + Prussia

Russia + Austria

1850-1858

<Gran Bretagna + Francia + Austria + Turchia>

(Prussia)

Russia

1859-1867

(Gran Bretagna) (Russia)

Francia + Piemonte + Prussia

Austria

1867-1871

(Gran Bretagna) (Russia) (Austria)

<Germania + Italia>

Francia

1871-1875

(Gran Bretagna)

Francia

<Russia + Austria + Italia>

 

 

 

<Germania + Austria + Italia>

1876-1878

Gran Bretagna + Turchia

Francia <Germania + Austria + Italia>

Russia

1879-1886

Gran Bretagna

Francia

<Russia + Germania + Austria>

1887-1889

<Gran Bretagna + Italia + Austria>

Francia

<Russia + Germania>
<Germania + Austria>

1890-1898

Gran Bretagna

<Francia + Russia>

<Germania + Austria + Italia>

1899-1901

Gran Bretagna + Germania?

<Francia + Russia>

<Germania + Austria>

1902-1904

<Gran Bretagna + Giappone>

<Francia + Russia>

<Germania + Austria + Italia>

1905

<Gran Bretagna + Giappone>

 

Germania + Russia?

 

<Gran Bretagna + Francia>

 

 

1906-1914

<Gran Bretagna + Giappone>

<Francia + Russia>

<Germania + Austria>

 

<Gran Bretagna + Francia + Russia>

Italia

 

1914-1917

 

<Gran Bretagna + Francia + Russia + Italia>

<Germania + Austria + Turchia>

Nota: < > alleanza formale o intesa; ( ) neutrale.

C’erano almeno due regioni su cui la Russia poteva avanzare in modo legittimo analoghe rivendicazioni: l’Asia centrale e i Balcani. In nessuno dei due casi la Gran Bretagna avrebbe potuto opporsi con risultati concreti. Nell’aprile del 1885, negli ultimi giorni del secondo mandato di Gladstone, rischiò di scoppiare un conflitto anglo-russo all’indomani della vittoria riportata dai russi sulle forze afghane a Pendjeh. La medesima storia si ripeté quello stesso anno, quando il governo di San Pietroburgo intervenne per impedire al re bulgaro Alessandro di unificare la Bulgaria e la Rumelia orientale. La Francia reagì in modo ancora più aggressivo all’occupazione britannica dell’Egitto. In effetti, per molti versi fu proprio l’antagonismo anglo-francese la caratteristica predominante della scena diplomatica negli anni Ottanta e Novanta del XIX secolo. Nel 1886, al tempo della spedizione francese nel Tonchino (Indocina), i Rothschild di Parigi preannunciarono preoccupati al figlio di Bismarck, Herbert, che «la prossima guerra europea sarà tra Inghilterra e Francia».  38 Nonostante alcuni conservatori avessero sperato che, nel 1892, il ritorno del conte di Rosebery, un liberale, alla carica di ministro degli Esteri avrebbe migliorato la situazione, apparve presto chiaro che Rosebery era deciso a continuare altrove la politica francofoba del precedente governo. Il conte rimase molto angustiato dalle voci che circolavano riguardo al fatto che la Francia, subito dopo uno scontro navale sul Mekong nel luglio del 1893, avesse intenzione di occupare in qualche modo il Siam. E nel gennaio dell’anno seguente Rosebery rispose alle preoccupazioni austriache per le ambizioni russe sugli Stretti promettendo all’ambasciatore austriaco che «non si sarebbe tirato indietro di fronte al pericolo di coinvolgere l’Inghilterra in una guerra con la Russia».  39

Com’era prevedibile, furono l’Egitto e il suo vicino meridionale, il Sudan, a rappresentare la causa principale dell’antagonismo anglo-francese, al punto che nel 1895 una guerra tra Francia e Inghilterra sembrò estremamente probabile. Fin dall’inizio del 1894 era apparso chiaro che il governo francese intendeva fare un tentativo per ottenere il controllo di Fashoda, sull’alto corso del Nilo. Temendo che il controllo francese di Fashoda avrebbe compromesso la posizione britannica in Egitto, Rosebery – eletto primo ministro a marzo – concluse subito un trattato con il re del Belgio, in virtù del quale cedeva la zona a sud di Fashoda al Congo belga in cambio di una striscia di territorio del Congo occidentale, con l’evidente scopo di bloccare l’accesso dei francesi a Fashoda. Nei difficili negoziati che seguirono, tutti i tentativi messi in atto dal ministro degli Esteri francese Gabriel Hanotaux per raggiungere un qualche genere di compromesso su Fashoda fallirono; quando poi una spedizione guidata dall’esploratore francese Jean-Baptiste Marchand partì per l’Alto Nilo, il sottosegretario di Rosebery al ministero degli Esteri, Sir Edward Grey, la definì «un atto ostile». Fu proprio in questo momento critico (giugno 1895) che Rosebery rassegnò le dimissioni, lasciando la Gran Bretagna in una posizione di isolamento diplomatico senza precedenti. Fortunatamente per il nuovo governo di Salisbury, appena salito in carica, la contemporanea disfatta subita dall’Italia a opera delle forze abissine ad Adua attrasse su di sé l’attenzione del mondo. Questo fu per la Gran Bretagna un invito ad agire rapidamente: a distanza di una sola settimana fu dato l’ordine di riconquistare il Sudan. Ciononostante, quando il successore di Hanotaux, Théophile Delcassé, rispose alla vittoria di Kitchener sui dervisci sudanesi a Omdurman occupando Fashoda, si ripresentò incombente la minaccia di una guerra.

La vicenda di Fashoda risulta per noi interessante in quanto ci presenta il caso di una guerra fra grandi potenze che non scoppiò, ma che sarebbe potuta scoppiare. Allo stesso modo, è importante ricordare che nel 1895 e nel 1896 sia la Gran Bretagna sia la Russia si trastullarono con l’idea di utilizzare la propria flotta da guerra per forzare gli Stretti del mar Nero e imporre il proprio controllo diretto su Costantinopoli. Nel caso specifico, nessuno dei due paesi si sentiva così sicuro della propria potenza navale al punto di rischiare di compiere un simile passo; ma se ciò fosse avvenuto, come minimo si sarebbe verificata una crisi diplomatica altrettanto grave di quella del 1878. Anche in quel caso si trattò di una guerra che non scoppiò, questa volta tra Inghilterra e Russia. Tutto ciò serve a dimostrare che, se vogliamo spiegare perché alla fine scoppiò una guerra in cui Gran Bretagna, Francia e Russia si schierarono dalla stessa parte, l’imperialismo non è in grado di fornirci una risposta.

Fu una fortuna per la Gran Bretagna che, in quel momento, le sue due rivali imperiali non avessero rapporti sufficientemente stretti per poter unire le forze. San Pietroburgo non avrebbe mai appoggiato Parigi sulle questioni africane, esattamente come Parigi non avrebbe mai appoggiato San Pietroburgo su quella degli Stretti del mar Nero. La Francia era una repubblica, e il suo era uno degli elettorati più democratici d’Europa; la Russia era l’ultima monarchia assolutista. Un’alleanza franco-russa, tuttavia, sarebbe stata più che sensata dal punto di vista sia strategico sia economico. Francia e Russia avevano nemici comuni: la Germania in mezzo a esse e la Gran Bretagna attorno a esse.  40 Oltretutto, la Francia esportava capitali e la Russia, che si stava industrializzando, era affamata di prestiti esteri. In effetti, diplomatici e banchieri francesi avevano iniziato a discutere la possibilità di un’intesa franco-russa basata sul capitale francese fin dal 1880. La decisione con la quale Bismarck proibì l’uso delle obbligazioni russe come garanzie collaterali ai prestiti della Reichsbank (il famoso Lombardverbot) è di solito considerata il catalizzatore di un riorientamento più o meno inevitabile.  41

C’erano anche ragioni di natura non finanziaria che favorivano più stretti legami tra Francia e Russia, fra cui l’atteggiamento sempre più ostile del governo tedesco dopo l’ascesa al trono di Guglielmo II nel 1888 e le dimissioni di Bismarck due anni più tardi. Le rassicurazioni di Guglielmo II e del nuovo cancelliere, Leo von Caprivi, sul fatto che la Germania avrebbe appoggiato l’Austria nel caso di una guerra con la Russia e il loro brusco rifiuto di rinnovare il segreto «trattato di controassicurazione» resero superflua qualsiasi forma di incentivazione finanziaria. Era più che logico che Francia e Russia si avvicinassero l’una all’altra. Ma è importante rendersi conto di quanti ostacoli si frapponessero a questo allineamento. C’erano innanzitutto difficoltà finanziarie. La ricorrente instabilità della borsa parigina (la crisi dell’Union Générale del 1882 fu seguita dal fallimento del Comptoir d’escompte – il banco di sconto – nel 1889 e dalla crisi del canale di Panama nel 1893) suscitava dubbi sulla capacità della Francia di affrontare operazioni russe su larga scala. Anche sul versante russo non mancavano problemi finanziari. Il rublo aveva raggiunto la parità aurea soltanto nel periodo 1894-1897, e il mercato obbligazionario francese aveva sempre mostrato diffidenza nei confronti delle obbligazioni russe. Soltanto dopo una drastica riduzione dei prezzi nel 1886, 1888 e 1891 questa diffidenza lasciò il posto a una più solida fiducia.

Il primo grande prestito francese alla Russia fu quotato in borsa nell’autunno del 1888.  42 L’anno seguente i Rothschild di Parigi accettarono di finanziare due importanti emissioni di obbligazioni russe per un valore nominale complessivo di 77 milioni di sterline e l’anno successivo una terza emissione di 12 milioni di sterline.  43 Nel 1894 fu accordato un ulteriore prestito del valore di circa 16 milioni di sterline,  44 e nel 1896 un altro ancora dello stesso importo.  45 A quell’epoca, l’incremento dei fondi russi iniziava ad apparire sostenibile, per quanto il secondo prestito fosse collocato presso gli investitori con un certa lentezza, malgrado una tempestiva visita dello zar a Parigi.  46 Ora le banche tedesche furono vivamente esortate dal ministero degli Esteri tedesco a partecipare ai prestiti russi del 1894 e del 1896, con lo scopo specifico di impedire un monopolio francese sulle finanze russe.  47 Ma ormai era troppo tardi. All’alba del nuovo secolo, nessuna relazione diplomatica poteva dirsi più solida dell’alleanza franco-russa. Essa rappresenta l’esempio classico di un accordo fondato sul credito e il debito. Nel 1914 i prestiti francesi alla Russia ammontavano complessivamente a più di tre miliardi di rubli, pari all’80 per cento del debito estero del paese.  48 Quasi il 28 per cento di tutti gli investimenti francesi d’oltremare era stato collocato in Russia, e quasi tutto in obbligazioni di Stato.

Gli storici dell’economia hanno generalmente criticato la strategia del governo di San Pietroburgo di contrarre prestiti all’estero per finanziare l’industrializzazione interna. Ma, se si guardano i risultati ottenuti, diventa difficile giudicarla sbagliata. È fuor di dubbio che l’economia russa si industrializzò con straordinaria rapidità nei tre decenni precedenti il 1914. Secondo le cifre fornite da Paul R. Gregory, il prodotto nazionale netto crebbe con un tasso annuo del 3,3 per cento fra il 1885 e il 1913. Gli investimenti annui aumentarono dall’8 al 10 per cento del reddito nazionale. Tra il 1890 e il 1913 la formazione di capitale pro capite aumentò del 55 per cento. La produzione industriale crebbe con un tasso annuo del 4-5 per cento. Nel periodo 1898-1913 la produzione di ghisa aumentò di oltre il 100 per cento; la rete ferroviaria si estese di circa il 57 per cento e il consumo di cotone grezzo crebbe dell’82 per cento.  49 Si registrarono progressi anche nelle campagne. Tra il 1860 e il 1914 i prodotti agricoli crebbero con un tasso medio annuo del 2 per cento, in misura significativamente più rapida rispetto al tasso di crescita della popolazione (1,5 per cento annuo). Tra il 1900 e il 1913 la popolazione aumentò di circa il 26 per cento; ma il reddito nazionale complessivo quasi raddoppiò. Come mostra la tabella 6, prima del 1914 non era la Germania ma la Russia ad avere il più elevato tasso di crescita economica.

Tabella 6 – Aumento in percentuale del prodotto nazionale netto, 1898-1913.

Inghilterra

Italia

Germania

Russia

Francia

Austria

40,0

82,7

84,2

96,8

59,6

90,9

Fonte: J.M. Hobson, Wary Titan, p. 505.

Gli storici della rivoluzione d’Ottobre di solito iniziano i loro resoconti dagli anni Novanta del XIX secolo. Ma gli storici dell’economia vi rintracciano ben poche prove di una incombente calamità. In termini di reddito pro capite, nel 1913 i russi si trovavano in una situazione nettamente migliore rispetto a quindici anni prima. Il reddito pro capite era aumentato di circa il 56 per cento. Il tasso di mortalità era sceso dal 35,7 per mille alla fine degli anni Settanta dell’Ottocento al 29,5 per mille nel periodo 1906-1910, e anche il tasso di mortalità infantile si era notevolmente ridotto (dal 275 al 247 per mille). Il tasso di alfabetizzazione era aumentato dal 21 al 40 per cento della popolazione tra il 1897 e il 1914. Senza dubbio, la rapida industrializzazione contribuiva ad approfondire i divari sociali nella Russia urbana senza tuttavia ridurre quelli nella Russia rurale affamata di terra (in cui viveva ancora l’80 per cento della popolazione). D’altra parte, l’industrializzazione sembrava avere ottenuto ciò che i leader russi da essa più desideravano: un aumento della potenza militare. Con straordinaria rapidità l’Impero russo aveva dato avvio a un’espansione dei propri confini a est e a sud. Nonostante le ben note sconfitte subite in Crimea e a Tsushima, i generali russi avevano ottenuto innumerevoli oscure vittorie in Asia centrale e in Estremo Oriente. Nel 1914 l’Impero russo occupava 23 milioni di chilometri quadrati e si estendeva dai Carpazi sino ai confini della Cina.

La cosa più sorprendente (e positiva per la Gran Bretagna) è che l’alleanza franco-russa non fu mai realmente sfruttata contro il principale nemico imperiale dei due paesi contraenti: la Gran Bretagna. Questa possibilità fu seriamente presa in considerazione a Londra, e non soltanto da personaggi che si lasciavano facilmente trasportare dalle proprie fantasie, come William Le Queux (si veda supra, cap. I). Riflettendo sulle sfide che l’esercito britannico avrebbe probabilmente dovuto affrontare nel prossimo futuro, il liberale Sir Charles Dilke nel 1888 menzionò «soltanto la Russia e la Francia» come potenziali nemiche. «Tra noi e la Francia le divergenze sono frequenti, mentre è praticamente certo che prima o poi scoppierà una guerra tra noi e la Russia.»  50 Nel 1901 il conte di Selborne, ministro della Marina, ritenne necessario avvertire che, se unite insieme, le flotte da guerra di Francia e Germania avrebbero presto raggiunto la stessa potenza della marina britannica.  51

L’ipotesi di una guerra mondiale alternativa (con la Gran Bretagna che combatteva contro la Francia e la Russia in teatri lontani quali il Mediterraneo, il Bosforo, l’Egitto e l’Afghanistan) ci appare oggi inconcepibile. Ma a quell’epoca uno scenario di questo genere era meno assurdo dell’idea di un’alleanza britannica con la Francia o con la Russia, che per anni era apparsa del tutto irreale e, come aveva detto Chamberlain, «destinata al fallimento».

Il leone e l’aquila

Forti pressioni economiche e politiche indirizzarono quindi la Francia e la Russia verso la loro fatidica alleanza. Lo stesso, naturalmente, non si può dire per la Gran Bretagna e la Germania. Ma non si può neppure sostenere che ci fossero forze insuperabili responsabili di un antagonismo anglo-tedesco che alla fine si sarebbe rivelato letale. Anzi, un risultato opposto sembrava non solo auspicabile ma anche possibile: un accordo anglo-tedesco (se non una vera e propria alleanza). Dopotutto, Sir Charles Dilke non era il solo a essere convinto che la Germania non avesse «interessi così divergenti dai nostri da poter portare a un conflitto».

Gli storici si lasciano spesso trascinare dalla tentazione di assumere un atteggiamento accondiscendente nei confronti delle iniziative diplomatiche fallite, sostenendo che erano inevitabilmente destinate a questa sorte. Gli sforzi profusi per assicurare qualche tipo di accordo tra la Gran Bretagna e la Germania negli anni precedenti lo scoppio della prima guerra mondiale sono stati spesso considerati con tale atteggiamento. Tutt’al più l’idea di un’alleanza anglo-tedesca è stata ritenuta appetibile soltanto per i banchieri della City, soprattutto quelli di origine tedesca o ebraica, giudizio che, naturalmente, i germanofobi di allora non esitarono a manifestare.  52 Ma il fatto che alla fine i rapporti tra Gran Bretagna e Germania siano sfociati in una guerra non dovrebbe essere retrospettivamente dato per scontato. Per molti aspetti, gli interessi nazionali dei due paesi lasciavano aperta la possibilità di un qualche tipo di accordo. A priori, non c’era alcuna ragione perché una potenza «iperestesa» (come la Gran Bretagna credeva di essere) e una potenza «ipoestesa» (come la Germania credeva di essere) non potessero collaborare sul piano diplomatico. È sbagliato sostenere che «le priorità fondamentali della politica di ciascun paese si escludevano a vicenda».  53 Ciò non significa voler resuscitare la vecchia tesi delle «opportunità mancate» nei rapporti anglo-tedeschi, opportunità che avrebbero potuto evitare il massacro delle trincee (una tesi che si è troppo spesso basata sul senno di poi e su ricordi inaffidabili),  54 ma semplicemente suggerire che il mancato sviluppo di un’intesa anglo-tedesca fu un esito più contingente che predeterminato.

La possibilità di un’intesa anglo-tedesca aveva radici profonde. Dopotutto, la Gran Bretagna si era tenuta in disparte nel 1870-1871, quando la Germania aveva inflitto una bruciante sconfitta alla Francia. Anche le difficoltà della Gran Bretagna con la Russia negli anni Ottanta dell’Ottocento avevano avuto ripercussioni positive sui rapporti con la Germania. Sebbene la proposta avanzata nel 1887 da Bismarck in favore di un’alleanza anglo-tedesca non avesse portato ad alcun risultato, la Triplice intesa segreta stipulata da Salisbury con l’Italia e l’Austria per il mantenimento dello status quo nel Mediterraneo e nel mar Nero aveva creato un legame indiretto con Berlino attraverso la Triplice alleanza della Germania con Italia e Austria.

Questo spiega, almeno in parte, perché, quando la Germania iniziò a rivendicare pretese coloniali negli anni Ottanta del XIX secolo, la Gran Bretagna abbia opposto poca resistenza. La mappa africana del cancelliere tedesco era, ovviamente, null’altro che un’ombra della sua mappa europea (e forse anche della sua mappa della politica interna tedesca); ciononostante, Bismarck fece leva sulle ambizioni africane della Germania per sfruttare la vulnerabilità britannica a proposito dell’Egitto. A partire dal 1884 Bismarck utilizzò l’Egitto come pretesto per una serie di audaci interventi nella regione, minacciando la Gran Bretagna con una «Lega dei Neutrali» franco-tedesca in Africa, rivendicando il controllo di Berlino su Angra-Pequeña, nell’Africa sudoccidentale, su tutto il territorio del Capo e sull’Africa occidentale portoghese. La risposta della Gran Bretagna fu in sostanza quella di accontentare la Germania accettando la colonizzazione dell’Africa sudoccidentale e concedendo ulteriori acquisizioni territoriali in Camerun e nell’Africa orientale. Particolarmente tipica era la questione di Zanzibar, sollevata dall’ambasciatore Paul von Hatzfeldt nel 1886: la Germania non aveva alcun reale interesse economico per Zanzibar (e infatti lo scambiò con l’isola di Helgoland, nel mare del Nord, nel 1890); ma valeva la pena rivendicarlo, visto che la Gran Bretagna sembrava più che pronta a concederglielo. L’accordo stipulato nel 1890 tra Gran Bretagna e Germania assegnava alla prima Zanzibar in cambio dell’isola di Helgoland e di una stretta striscia di terra che permetteva l’accesso allo Zambesi dall’Africa sudoccidentale tedesca.

Ma fu soprattutto a proposito della Cina che sembrò realizzarsi una qualche forma di collaborazione anglo-tedesca. Come spesso avviene, alla base del problema vi era la finanza. Fin dal 1874, data del primo prestito estero emesso a favore della Cina imperiale, le due principali fonti di finanziamento esterno del governo cinese erano state due compagnie britanniche di Hong Kong, la Hong Kong & Shanghai Banking Corporation e la Jardine, Matheson & Co.  55 Il governo britannico, nella persona di Sir Robert Hart, controllava anche le dogane imperiali marittime. Nel marzo del 1885 il banchiere tedesco Adolph Hansemann propose alla Hong Kong & Shanghai Banking Corporation di dividere il finanziamento del governo e delle ferrovie cinesi in parti uguali fra i membri britannici e tedeschi di una nuova associazione finanziaria. I successivi negoziati portarono alla creazione della Deutsch-Asiatische Bank nel febbraio del 1889, una joint venture che coinvolgeva più di tredici importanti banche tedesche.  56

Agitando lo spettro di un’accresciuta influenza russa in Estremo Oriente, la vittoria riportata dai giapponesi sulla Cina nella guerra del 1894-1895 creò un’opportunità perfetta per la cooperazione tra Berlino e Londra. In sostanza, i banchieri (Hansemann e Rothschild) cercarono di promuovere una consociazione tra la Hong Kong & Shanghai Bank e la nuova Deutsch-Asiatische Bank che, nelle loro speranze, se avesse ottenuto un concreto appoggio dai rispettivi governi, avrebbe potuto impedire che la Russia esercitasse un’eccessiva influenza sulla Cina. Senza dubbio, le aspirazioni dei banchieri non corrispondevano affatto a quelle dei diplomatici e dei politici. Friedrich von Holstein, l’eminenza grigia del ministero degli Esteri tedesco, voleva che la Germania si schierasse con la Russia e la Francia anziché con la Gran Bretagna e sostenesse le loro obiezioni all’annessione della penisola di Liaodong, che i giapponesi avevano ottenuto con il trattato di Shimoneseki nell’aprile del 1895. Ma furono gli stessi eventi a dimostrare la maggiore acutezza della posizione dei banchieri.  57 Nel maggio di quell’anno, l’annuncio che la Cina avrebbe finanziato il pagamento delle indennità di guerra al Giappone con un prestito russo fu un duro colpo per i governi britannico e tedesco. Il prestito, naturalmente, non poteva essere finanziato dalla stessa Russia, già oberata di debiti internazionali; si trattava in realtà di un prestito francese, e i profitti furono equamente divisi tra Russia e Francia, la prima ottenendo il diritto di estendere la ferrovia transiberiana attraverso la Manciuria, la seconda assicurandosi concessioni per la costruzione di ferrovie in Cina. Fu persino fondata una nuova banca russo-cinese, come sempre sostenuta da capitale francese, e nel maggio del 1896 fu stipulata un’alleanza ufficiale tra Russia e Cina.  58 Dopo questo smacco, la proposta di Hansemann su un’unione della Hong Kong & Shanghai Bank con la Deutsch-Asiatische Bank apparve più allettante, e nel luglio del 1895 le due banche firmarono un accordo. Lo scopo principale dell’alleanza era porre fine alla competizione tra le grandi potenze, affidando i prestiti esteri cinesi nelle mani di un unico consorzio multinazionale, come si era già fatto in passato per la Grecia e la Turchia, ma con un implicito predominio anglo-tedesco. Dopo molte manovre diplomatiche, l’obiettivo fu finalmente raggiunto nel 1898, quando venne emesso un secondo prestito alla Cina.

Ma permanevano alcune difficoltà. Salisbury si rifiutò di dare al prestito una garanzia governativa, con il risultato che la quota inglese risultò particolarmente difficile da collocare. Nel novembre del 1897 i tedeschi occuparono Kiao-chow, il porto più importante della provincia dello Shandong, e a ciò seguì una controversia tra la Hong Kong & Shanghai Bank e Hansemann su una concessione ferroviaria nella medesima provincia.  59 Tuttavia, la controversia fu rapidamente dimenticata quando, nel marzo del 1898, la Russia chiese «l’affitto» di Port Arthur, spingendo la Gran Bretagna a richiedere come «premio di consolazione» Weihai (il porto che si trovava di fronte a Port Arthur).  60 In una conferenza di banchieri e politici tenutasi a Londra all’inizio di settembre si decise di spartire la Cina in «sfere di influenza» in modo da poter assegnare le concessioni ferroviarie, lasciando la valle dello Yangtze alle banche britanniche, Shandong alle banche tedesche e suddividendo la tratta Tientsin-Zhenjiang.  61 Le dispute sulle ferrovie continuarono, ma ormai si era consolidato un modello di collaborazione.  62 Quando inviarono un corpo di spedizione in Cina all’indomani della rivolta dei Boxer e dell’occupazione della Manciuria a opera dei russi nel 1900, i tedeschi rassicurarono Londra che «non c’era alcun rischio che i russi scatenassero una guerra»; e in ottobre Gran Bretagna e Germania firmarono un nuovo accordo per mantenere l’integrità dell’Impero cinese e una «porta aperta» al regime degli scambi.  63 Questo fu l’apice della collaborazione politica anglo-tedesca in Cina, ma è importante ricordare che la cooperazione finanziaria continuò ancora per vari anni. Ulteriori disaccordi (suscitati dall’intrusione del cosiddetto «cartello di Pechino» nella regione dello Hwang Ho, il Fiume Giallo) furono risolti con un’altra conferenza di banchieri tenutasi a Berlino nel 1902.  64

A quanto sembra, fu dopo una cena avvenuta al tempo della crisi di Port Arthur che Hatzfeldt ventilò, in presenza di Chamberlain, la possibilità di un’alleanza anglo-tedesca. Come ricorda Arthur Balfour:

Joe è molto impulsivo e il dibattito del consiglio dei ministri nei giorni precedenti [su Port Arthur] lo ha costretto a tenere conto della nostra posizione diplomatica di isolamento e quindi talvolta di notevole difficoltà. Si è certamente spinto molto in là nell’esprimere la sua personale propensione a un’alleanza con i tedeschi; ha rifiutato l’idea che la nostra forma di governo parlamentare rendesse fragile una tale alleanza (idea che sembra tormentare la mente dei tedeschi) e credo che abbia persino espresso qualche vago suggerimento sulla forma che avrebbe potuto assumere un accordo tra i due paesi.

La risposta di Bülow, allora ministro degli Esteri tedesco, fu, come ricorda ancora Balfour, «immediata»:

La sua telegrafica risposta menzionava ancora una volta le difficoltà parlamentari, ma esprimeva con felice franchezza l’opinione tedesca sulla posizione dell’Inghilterra nel sistema europeo. A quanto sembra, i tedeschi ritengono che noi siamo nettamente superiori alla Francia da sola, ma non più a una Francia alleata con la Russia. L’esito di un tale conflitto sarebbe alquanto dubbio. Non possono permettersi di vederci soccombere, non perché ci amino ma perché sanno perfettamente che sarebbero le vittime successive – e via discorrendo. Il tenore generale della conversazione (così come mi è stata riferita) era in favore di un’unione più stretta tra i due paesi.  65

In aprile si svolsero ulteriori colloqui tra Chamberlain e il barone Hermann von Eckardstein, primo segretario d’ambasciata, al quale il Kaiser aveva ordinato di «mantenere il sentimento ufficiale dell’Inghilterra favorevole a noi e aperto alla speranza». Eckardstein propose quindi, a nome del Kaiser, «una possibile alleanza tra Inghilterra e Germania ... la base della quale sarebbe stata una garanzia da parte di entrambe le potenze sui reciproci possedimenti». Come parte del pacchetto, offriva alla Gran Bretagna «mano libera in Egitto e nel Transvaal» e alludeva al fatto che «in seguito avrebbe potuto stipularsi ... un’alleanza difensiva diretta». «Un tale trattato», come scriveva lo stesso Chamberlain a Salisbury, «sarebbe utile alla pace e potrebbe essere negoziato immediatamente».  66 L’idea riapparve in forma analoga nel 1901.  67

Perché allora l’ipotesi di un’intesa anglo-tedesca alla fine naufragò? Una risposta piuttosto semplicistica si basa sulla natura delle personalità coinvolte. Si menziona talvolta la francofilia di Edoardo VII o la sostanziale mancanza di serietà di Eckardstein.  68 Senza dubbio, Bülow e Holstein esagerarono la debolezza del potere contrattuale della Gran Bretagna.  69 Ma un ostacolo politico più grave (come avevano intuito i tedeschi) era rappresentato probabilmente dall’evidente mancanza di entusiasmo di Salisbury.  70 Anche Chamberlain contribuì al fallimento del suo stesso progetto. In privato parlava di un limitato «accordo o trattato fra Germania e Gran Bretagna per un certo periodo di anni ... con un carattere difensivo e basato su un reciproco consenso circa la politica da seguire in Cina e altrove».  71 In pubblico, invece, pronunciava discorsi altisonanti su una «nuova triplice alleanza della razza teutonica e dei due grandi rami della razza anglosassone», e, del tutto irrealisticamente, si aspettava che i tedeschi esprimessero lo stesso entusiasmo. Quando Bülow, in un discorso pronunciato al Reichstag l’11 dicembre 1899, dichiarò la sua disponibilità «sulla base di un completa reciprocità e un comune intento di vivere in pace e armonia con l’Inghilterra», Chamberlain lo liquidò bruscamente definendolo «freddo e scortese».  72 Non appena sorsero concrete difficoltà, Chamberlain perse la pazienza: «Se hanno una visione così limitata», si lamentò, «e non riescono a capire che si tratta della nascita di una nuova costellazione nel mondo, non si può far nulla per aiutarli».  73

C’erano però altri fattori che contavano assai più delle antipatie personali. Un’obiezione ben nota è che le dispute coloniali non favorivano in alcun modo un riavvicinamento anglo-tedesco. Si citano spesso le parole di un articolo pubblicato nel 1899 dallo storico Hans Delbrück: «Possiamo perseguire una politica coloniale con o senza l’Inghilterra. Con l’Inghilterra in modo pacifico; contro l’Inghilterra attraverso una guerra».  74 Ma la realtà era che la Germania riuscì ad attuare la sua politica coloniale in larga misura con l’Inghilterra (e le parole di Delbrück, correttamente interpretate, lasciavano intendere che l’Inghilterra sarebbe stata comunque costretta a tale scelta). Perciò le protratte controversie con il Portogallo sul futuro delle sue colonie africane (in particolare a proposito della baia di Delagoa, in Mozambico) sfociarono infine, nel 1898, in un accordo in virtù del quale Gran Bretagna e Germania avrebbero prestato congiuntamente denaro al Portogallo, con la garanzia dei suoi possessi coloniali, ma con una clausola segreta che suddivideva i territori portoghesi in sfere d’influenza.  75 Non si ebbero conflitti d’interesse neppure in Africa occidentale.  76 Nel Pacifico, la crisi di Samoa, scoppiata nell’aprile del 1899, fu risolta entro la fine dell’anno.  77 Nel 1902 Germania e Gran Bretagna riuscirono addirittura a cooperare (nonostante le veementi proteste della stampa britannica) per risolvere la questione del debito del Venezuela.  78

Un altro paese di grande importanza strategica in cui una collaborazione anglo-tedesca sembrava possibile era l’Impero ottomano, una regione di crescente interesse per gli uomini d’affari tedeschi già prima che il Kaiser facesse visita a Costantinopoli nel 1899. Fintantoché la Russia sembrava minacciare lo stretto dei Dardanelli, la prospettiva di una qualche forma di collaborazione anglo-tedesca nella regione rimaneva alquanto probabile. Così, i due paesi lavorarono fianco a fianco dopo la sconfitta militare subita dalla Grecia a opera della Turchia nel 1897, definendo i dettagli di un nuovo controllo finanziario su Atene. Una meglio nota opportunità di cooperazione si presentò nel 1899 – un anno dopo la visita del Kaiser a Costantinopoli – allorché il sultano accettò la proposta di una ferrovia imperiale ottomana fino a Baghdad, progetto ideato da Georg von Siemens, della Deutsche Bank (donde il nome di «Ferrovia Berlino-Baghdad»). Siemens e il suo successore Arthur von Gwinner avevano sempre avuto l’intenzione di assicurare la partecipazione dei britannici e dei francesi a quest’impresa. Il problema era tuttavia la mancanza di interesse da parte della City, che aveva ormai perso ogni fiducia nel futuro dell’Impero ottomano.  79 Nel marzo del 1903 fu preparato un accordo per l’estensione della linea ferroviaria fino a Bassora, in base al quale il 25 per cento delle quote sarebbe stato concesso ai membri britannici di un consorzio guidato da Sir Ernest Cassel e Lord Revelstoke; ma il fatto che gli investitori tedeschi si sarebbero accaparrati il 35 per cento scatenò una valanga di critiche su giornali di destra come lo «Spectator» e la «National Review» e Balfour – ora primo ministro – decise di fare un passo indietro.  80

C’era però una regione che avrebbe potuto suscitare un conflitto anglo-tedesco: il Sudafrica. Il telegramma con il quale Guglielmo II, dopo il fallito raid di Jameson, si congratulava con il presidente Kruger per avere respinto gli invasori, fece certamente infuriare parecchie persone a Londra; e le espressioni di simpatia dei tedeschi nei confronti dei boeri durante la guerra scoppiata con la repubblica del Transvaal nel 1899 furono un’ulteriore causa di tensioni tra Londra e Berlino. Scopo dell’accordo stipulato nel 1898 con la Germania sul Mozambico portoghese era anche quello di scoraggiare i tedeschi dallo schierarsi con Kruger, ma lo scoppio della guerra sembrò metterlo a rischio. Le rinnovate voci tedesche a proposito di una «lega continentale» contro la Gran Bretagna alla fine del 1899 e l’intercettazione di navi postali tedesche nelle acque sudafricane nel gennaio del 1900 non contribuirono certo a migliorare la situazione. Eppure, la guerra contro i boeri non danneggiò i rapporti anglo-tedeschi nella misura in cui alcuni avevano temuto. Subito dopo la fine del conflitto, le banche tedesche non si fecero scrupoli a richiedere una quota del prestito britannico al Transvaal. Cosa probabilmente molto più importante, la guerra, pur incrinando la fiducia in se stessi dei britannici, rafforzò la posizione di quanti sostenevano la necessità di porre fine all’isolamento diplomatico. La retorica dell’«efficienza nazionale» e gli sforzi delle «leghe» militariste non erano in grado di compensare le ansie che la guerra aveva suscitato riguardo ai costi imposti del mantenimento del vasto Impero britannico d’oltremare, ansie che trovarono eco in questa iperbolica affermazione di Balfour: «Sotto ogni punto di vista, al momento attuale noi siamo solo una potenza di terz’ordine».  81 Dalla sempre più complessa struttura istituzionale all’interno della quale veniva decisa la strategia imperiale (e che il nuovo Comitato di difesa imperiale e lo stato maggiore imperiale non si impegnarono certo a snellire),  82 emerse un consenso. Poiché dal punto di vista strategico e finanziario sembrava impossibile per il Regno Unito difendere contemporaneamente se stesso e il proprio impero, non ci si poteva più permettere l’isolamento; era quindi necessario stabilire accordi diplomatici con almeno uno o più rivali imperiali della Gran Bretagna. In effetti, fu proprio durante la guerra anglo-boera – nei primi mesi del 1901 – che venne compiuto un altro tentativo di mettere in contatto i rappresentanti tedeschi con Chamberlain e il nuovo ministro degli Esteri, Lord Lansdowne, con l’obiettivo specifico (per citare le parole dello stesso Chamberlain) di «collaborare con la Germania e aderire alla Triplice alleanza».  83

Il territorio messo ora seriamente in discussione (Chamberlain aveva sollevato il tema per la prima volta nel 1899) era il Marocco. Sulla scorta degli eventi successivi, è facile sostenere che i disaccordi tra Gran Bretagna e Germania sul Marocco fossero in qualche modo inevitabili; ma nel 1901 la cosa non sembrava affatto verosimile. Anzi, i progetti francesi in tutta l’area dell’Africa nordoccidentale (ulteriormente alimentati da un accordo segreto con l’Italia nel 1900) sembravano favorire concretamente qualche tipo di azione congiunta. La Gran Bretagna era già preoccupata dalle fortificazioni spagnole ad Algeciras, che sembravano minacciare Gibilterra, fondamentale baluardo del Mediterraneo. La possibilità di una «liquidazione» congiunta franco-spagnola del Marocco era più che reale. L’alternativa più ovvia era dividere il Marocco in sfere d’influenza britanniche e tedesche: la Gran Bretagna si sarebbe presa Tangeri e la Germania la costa atlantica. Era questa la sostanza di una bozza d’accordo discussa a maggio e poi nuovamente a dicembre. In realtà, fu la mancanza di interesse della Germania per il Marocco – espressa a chiare lettere da Bülow e dal Kaiser all’inizio del 1903 – a impedire la concretizzazione di questo accordo.  84

La logica dell’«appeasement»

La vera spiegazione del fallimento del progetto di alleanza anglo-tedesca non va cercata nella forza della Germania, bensì nella sua debolezza. Dopotutto, erano stati i britannici ad abbandonare l’idea di un’alleanza, almeno nella stessa misura dei tedeschi.  85 E lo avevano fatto non perché la Germania iniziasse a costituire una minaccia per la Gran Bretagna, ma, al contrario, proprio perché avevano capito che non costituiva una minaccia.

La principale preoccupazione britannica era stata, naturalmente, non quella di aumentare bensì di ridurre la possibilità di costosi conflitti oltremare. Nonostante la paranoia tedesca, era molto più probabile che tali conflitti scoppiassero con potenze che già possedevano grandi imperi anziché con potenze che ancora aspiravano a possederne uno. Proprio per questo non sorprende che alla fine si avviarono iniziative diplomatiche ben più fruttuose con la Francia e con la Russia. Come disse Francis Bertie, assistente del sottosegretario agli Esteri, nel novembre del 1901, il miglior argomento a sfavore di un’alleanza anglo-tedesca era che, qualora se ne fosse conclusa una, «noi non saremmo mai in buoni rapporti né con la Francia, la nostra vicina in Europa e in molte altre parti del mondo, né con la Russia, le cui frontiere coincidono praticamente con le nostre in gran parte dell’Asia».  86 Salisbury e Selborne avevano un’opinione molto simile sui meriti relativi della Francia e della Germania. La riluttanza dei tedeschi ad appoggiare la politica britannica in Cina nel 1901 per timore di inimicarsi la Russia non faceva che confermare il giudizio inglese: malgrado tutte le sue spacconate, la Germania era debole.  87

Viceversa, la Francia poteva offrire una lista ben più rilevante di questioni imperiali sulle quali si poteva raggiungere un accordo.  88 Per fare solo un esempio, i francesi potevano offrire alla Gran Bretagna una concessione molto più grande e vantaggiosa rispetto a quanto era in grado di offrire la Germania: la definitiva accettazione della posizione inglese in Egitto. Dopo oltre vent’anni di tensioni ricorrenti, tale concessione costituiva un decisivo passo indietro diplomatico di Delcassé, e si comprende facilmente perché Lansdowne si affrettò a farla mettere nero su bianco. Il prezzo dell’accordo era che la Francia avrebbe ottenuto il diritto di «mantenere l’ordine in Marocco e di fornire assistenza per la realizzazione di tutte le riforme amministrative, economiche, finanziarie e militari che le circostanze avrebbero potuto richiedere», una concessione che garantiva ai francesi la stessa posizione di potere de facto in Marocco di cui i britannici avevano goduto in Egitto fin dal 1882. Nelle successive controversie sul Marocco, i tedeschi si trovarono spesso dalla parte della ragione; ma il punto era che la Gran Bretagna aveva optato per la Francia ed era quindi vincolata a sostenere le rivendicazioni di Parigi anche quando si spingevano oltre lo status quo di diritto.

L’Entente cordiale anglo-francese, stipulata l’8 aprile 1904, equivaleva quindi a un baratto coloniale (fu risolta anche la questione del Siam),  89 ma ebbe due inaspettate conseguenze di ben più ampia portata. In primo luogo, riduceva l’importanza per la Gran Bretagna di buoni rapporti con la Germania, come risultò chiaro durante la primi crisi marocchina, quando il Kaiser sbarcò a Tangeri il 31 marzo 1905 e richiese la convocazione di una conferenza internazionale per riaffermare l’indipendenza del Marocco. Tutt’altro che disposto a sostenere le argomentazioni tedesche a favore di una «porta aperta» in Marocco, Lansdowne temeva che la crisi potesse portare alla caduta di Delcassé e concludersi con una ritirata francese.  90

In secondo luogo, in virtù degli stretti legami fra Parigi e San Pietroburgo, l’intesa anglo-francese implicava un miglioramento dei rapporti anglo-russi.  91 In rapida successione, la Gran Bretagna manifestò la sua disponibilità ad accontentare la Russia sulla Manciuria e sul Tibet e a evitare inutili attriti sugli Stretti del mar Nero, la Persia e addirittura (con grande sgomento del viceré dell’India, Lord Curzon) l’Afghanistan.  92 È probabile che questo impegno per lo sviluppo di buoni rapporti avrebbe presto portato a un accordo formale, com’era avvenuto nel caso della Francia, se la Russia non fosse stata sconfitta dal Giappone. (D’altra parte, se la Gran Bretagna avesse continuato a sentirsi minacciata dalla Russia in Oriente – se per esempio la Russia avesse sconfitto il Giappone nel 1904 – è altrettanto possibile che avrebbero riguadagnato terreno le argomentazioni a favore di un’intesa anglo-tedesca.) Ma l’affermazione del Giappone come efficace contrappeso alle ambizioni russe in Manciuria introdusse una nuova variabile nell’equazione. Il governo tedesco si era sempre sentito a disagio nei confronti della prospettiva di un accordo con l’Inghilterra che avrebbe potuto comportare uno scontro con la Russia in Europa in nome degli interessi britannici in Cina: questo spiega le assicurazioni date nel 1901 da Bülow e dal Kaiser sulla neutralità della Germania nel caso di un conflitto anglo-russo in Estremo Oriente. Il Giappone, invece, aveva moltissime ragioni per cercarsi un alleato europeo. Quando il governo russo si rifiutò di scendere a compromessi sulla Manciuria, Tokyo si rivolse immediatamente a Londra e nel gennaio del 1902 fu stipulata un’alleanza difensiva. Il fatto che questa alleanza finì per essere considerata prioritaria rispetto a qualsiasi accordo coloniale con la Russia illustra perfettamente il principio di fondo della politica britannica: placare il più forte.  93

C’era infine un’altra potenza aggressiva che rappresentava una minaccia diretta per la Gran Bretagna nell’Atlantico e nel Pacifico: gli Stati Uniti, che condividevano un confine di circa 4800 chilometri con uno dei territori più ricchi dell’impero.

Benché Gran Bretagna e Stati Uniti non si fossero più scontrati fin dal 1812, si dimentica troppo facilmente quanti motivi di contrasto avessero negli anni Novanta del XIX secolo. Gli americani erano in disaccordo con gli inglesi sul problema dei confini tra il Venezuela e la Guyana britannica, controversia che rimase irrisolta fino al 1899; inoltre, erano entrati in guerra contro la Spagna per Cuba, e nel frattempo avevano acquisito le Filippine, Portorico e Guam nel 1898; in quello stesso anno avevano annesso le Hawaii, avevano combattuto una cruenta guerra coloniale nelle Filippine tra il 1899 e il 1902, avevano acquisito alcune delle isole Samoa nel 1899 e avevano preso voracemente parte alla spartizione economica della Cina. Il passo successivo dell’espansione imperiale americana era stata la costruzione di un canale attraverso l’istmo centro-americano. In confronto agli Stati Uniti, la Germania era una potenza pacifica. Ancora una volta la Gran Bretagna decise di accontentare il più forte. Il trattato di Hay-Pauncefote del 1901 sanciva la non opposizione della Gran Bretagna alla fortificazione e al controllo americano del previsto canale di Panama; Londra permise al presidente Theodore Roosevelt di ignorare le obiezioni della Colombia appoggiando una rivolta panamense nella zona scelta per la costruzione del canale. Nel 1901-1902 Selborne decise di ridurre lo spiegamento della flotta militare britannica nei Caraibi e nell’Atlantico in vista di un eventuale conflitto con gli Stati Uniti.  94 Questa politica di appeasement ebbe i risultati previsti. Nel 1904 gli americani stabilirono un controllo finanziario sulla Repubblica Dominicana; lo stesso avvenne in Nicaragua nel 1909 (con appoggio militare nel 1912). Woodrow Wilson proclamava di deplorare la «diplomazia del dollaro» e del «bastone», ma fu lui a inviare i marine per impadronirsi di Haiti nel 1915 e della Repubblica Dominicana nel 1916, e fu ancora lui ad autorizzare l’intervento militare in Messico, una prima volta nel 1914 per rovesciarne il governo e poi, nel marzo del 1916, per punire Pancho Villa, colpevole di avere compiuto un’incursione nel New Mexico.  95 Ma in Gran Bretagna nessuno protestò. L’America era potente, per cui non potevano esserci antagonismi anglo-americani.

La politica estera britannica tra il 1900 e il 1906 cercava quindi di accontentare quelle potenze che potevano costituire una grave minaccia alla sua posizione, persino a costo di incrinare i buoni rapporti con potenze di minore importanza. Il punto essenziale è che la Germania era collocata in questa seconda categoria; la Francia, la Russia e gli Stati Uniti nella prima.

Il grido dei morti: La prima guerra mondiale: il più atroce conflitto di ogni tempo
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