6.

Moses sapeva che Sam e Molly Birenbaum avrebbero potuto ospitarlo a Georgetown, ma scelse di starsene per conto suo, e andò all'Hotel Madison. Un'ora più tardi prese un taxi per Georgetown. Sam, con gli occhi color caramello che scintillavano, abbracciò Moses. Lo tenne stretto a sé. "Moishe. Moishe Berger. Posso offrirti da bere?". "Sono sotto Antabuse". "Mi fa piacere. Un té, allora?". "Grazie". Per rompere il ghiaccio, Sam si mise a ricordare il tavolo con la tovaglia all'uncinetto nell'appartamento di Jeanne Mance Street. Poi passò a Londra, la loro età dell'oro, e cominciò a raccontare una storia su Lucy Gursky. Gli tornò in mente di lei e Moses, e si fermò di colpo. "Sam, rilassati. Puoi parlare benissimo di Lucy. Adesso raccontami di Philip, e anche degli altri, naturalmente". Sam aveva tre figli. Marty, Ruth e Philip, Ruth stava facendo un anno alla Sorbona. Nessuno dei maschi, toccando ferro, era in Vietnam. Marty era al MIT, e Philip, che per un paio d'anni aveva smesso di studiare e aveva lavorato come barista a San Francisco, era a Harvard. "E' qui adesso. E' venuto a trovarci". "Splendido. Dov'è?". "Fuori". "Ah". "E' gay" disse Sam, gettando il guanto di sfida. Restò in attesa della reazione di Moses, supplicandolo con lo sguardo. "Be', non è mica l'unico". "Potrei essere tollerante e liberale come si deve, se fosse figlio di qualcun altro. Ma è un abominio che mio figlio sia gay". "Capisco". "No, non capisci. Non è che ho dei pregiudizi verso i finocchi, è proprio che non mi piacciono". Sam si versò uno scotch. Abbondante. "Mi ha detto che non tornava a casa per il weekend se non poteva portarsi dietro il suo amichetto del college. Cosa gli dovevo dire? Erano mesi che non lo vedevamo. Ero deciso a comportarmi bene. Non avrei fatto battute sulle fonti di reddito del suo fidanzato o sulla sua camicia di seta nera aperta fino al "pupik" a colazione. Stamattina abbiamo litigato. Non mi sembra necessario che facciano il bagno nudi in piscina. Se Molly guarda fuori dalla finestra le si spezza il cuore". "C'è la piscina?". "Tienti forte. C'è la piscina e la cameriera nera che hai già visto e la cuoca e le stock options e l'appartamento a Vail e un inghippo per abbassare l'imponibile che non ho capito ma che di sicuro un giorno o l'altro mi farà finire in galera. E' così che vanno le cose, Moishe". All'improvviso comparve Molly. "Moses, non è giusto che non rispondi mai a una lettera e poi entri ed esci dalla nostra vita una volta ogni cinque anni". Andarono a cena al Sans Souci, dove senatori e deputati e altri tizi in cerca di visibilità televisiva in prima serata si fermavano al loro tavolo per rendere omaggio, sussurrando all'orecchio di Sam gli ultimi pettegolezzi sul Watergate. "Adesso arriverà l'impeachment. No, si dimette. Non ci sta più con la testa. Henry mi ha detto. Len dice. Kay mi ha garantito". Molly si era accorta che Sam era più preoccupato che compiaciuto di quell'esibizione così tangibile della sua importanza. Aspettava che Moses si pronunciasse. Meno Moses parlava più Sam beveva. L'alcol, come sempre era successo, gli faceva dire sciocchezze. Sam si lasciò scappare che tre editori gli stavano facendo la corte perché scrivesse un libro sul Watergate. Moses annuiva. "Così" disse Sam, depresso "non sono diventato il Tolstoj della mia generazione...". "E tu, Moses?" gli chiese Molly. Moses fece segno di no con la testa. "Scrivi ancora racconti?" domandò lei. "Il Canada non ha bisogno di un altro artista di second'ordine". "Gerald Murphy" disse Molly, cogliendo subito la citazione. "E brava la nostra Molly". "Ehi, l'atmosfera è parecchio surriscaldata stasera" supplicò Sam. "Siamo tutti amici qui. Cos'è che ti porta a Washington? Non ce l'hai ancora detto". Moses spiegò che voleva vedere nastri non montati, tutto quello che avevano negli archivi alla televisione, girati durante le udienze del caso Watergate o durante le conferenze stampa di Nixon. Non gli interessavano i servizi che erano andati in onda, ma gli spezzoni tagliati, soprattutto panoramiche sugli spettatori. "Sto cercando una persona che potrebbe essere stata lì". "Chi?". "Anche se te lo dico non la conosci". Sam chiese a Moses di tornare a casa con lui, dato che non avevano nemmeno cominciato a parlare. Gli avrebbe fatto sentire i suoi dischi di music-hall yiddish: Molly Picon, Aaron Lebedeff, Menasha Skulnik, Mickey Katz. Ma Moses disse di essere esausto e chiese che lo lasciassero al suo hotel. A casa, Sam si versò un Rémy Martin. "Dio sa che non sei uno sbruffone," gli disse Molly "ma stasera non c'era verso di fermarti. Perché senti il bisogno di giustificarti davanti a lui?". "Sai, Moses aveva solo ventun anni e ha trovato un errore sul dizionario Oxford. Una prima Decorrenza. Gli ha scritto e loro gli hanno mandato una lettera in cui lo ringraziavano e gli promettevano che l'avrebbero corretto nell'edizione successiva". "Non hai risposto alla mia domanda". "Ho risposto, ma non te ne sei accorta. Va bene, va bene. Vuoi la verità? "Emes?" E allora la verità è che lo invidio". ""Tu" invidi "lui"? E' un povero alcolizzato, e chissà i tranquillanti che prende: adesso strascica pure le parole. Diciamo le cose come stanno, Sam: lui non è che ha combinato molto". "E io? Oh oh. Sam Burns nato Birenbaum da del tu a Cosell. Quando Mike Wallace mi vede mi fa ciao ciao con la manina". "La verità è che lui è un fallito". "Oh, sì, un fallito completo. Ma il suo è un fallimento gigantesco, una tragica rovina, e io sono un povero stronzo che ha successo in T.V., la faccia che ispira fiducia da infilare tra la pubblicità di una pomata per le emorroidi e quella degli assorbenti". Sam barcollò fino al bagno, urtando nei mobili. Aprì l'armadietto delle medicine, estrasse il flacone di vaselina di Molly e lo esaminò controluce, stringendo gli occhi. "Cosa stai facendo?". "Prima di uscire a cena ho segnato il livello con la matita". "Sam, fai schifo". "Io faccio schifo? Quando se ne vanno, brucia le lenzuola". Sam agitò il pugno verso il soffitto. "E' una "aveyre" quello che stanno facendo di sopra. "Makes", ecco cosa dovrebbero avere! Una "kholyerye" su di loro! "Feygekkh! Mamzeyrim!"". "Per piacere, Sam. Non è colpa di Philip quello che è successo stasera. Abbassa la voce". "Si strappa le sopracciglia. L'ho visto io. Non dovevi prendere l'abitudine di fare il bagno con lui". "Ho smesso che aveva tre anni". "Va bene, va bene". "Di cosa avete parlato tu e Moses quando sono andata in bagno?". "Del più e del meno". "E' il tuo migliore amico. Vi conoscete da quando avevi nove anni. Di che diavolo avete parlato?". "Dei Mets. Moses crede che possono battere Cincinnati nei playoff. Pete Rose. Johnny Bench. Tony Perez. Non sa nemmeno lui di cosa parla". "Nastri non trasmessi. Cos'è che ha in mente?". "Tutto quello che so è che ha quello sguardo da pazzo che gli ho già visto altre volte". E poi Sam, rompendo un antico voto, le raccontò la storia, facendole giurare di non dire mai niente a Moses. "Mi pare che fosse la primavera del '62, stavo prendendo un aperitivo all'Algonquin con George che aveva appena cominciato a lavorare al 'NewYorker', e sono arrivati altri due redattori. Stavano ridendo per una battuta su quella che chiamavano la sindrome di Berger. Che roba è? gli ho chiesto. Be', pare che nei primi anni Cinquanta un tizio che si chiamava Berger, un canadese, gli avesse mandato un racconto che era piaciuto a tutti. Glielo volevano pubblicare, e gli hanno scritto per chiedergli qualche piccolo intervento, e lui gli ha risposto con una lettera pazzesca dove diceva che il 'New Yorker' pubblica un sacco di merda, purché scritta da amici loro, che non saprebbero distinguere Pushkin da Ogden Nash, e che lui rivoleva indietro il suo racconto. Il giorno dopo ho visto Moses per l'aperitivo da Costello's, e sono riuscito a trovare il coraggio di chiedergli se era vero e lui ha detto che no, no, di sicuro non era lui. Ma non diceva la verità. Bastava guardarlo per capirlo. Credevo che mi svenisse tra le braccia". "E perché Moses avrebbe fatto una cosa del genere?". "Perché è pazzo". Seduto su un angolo del letto, esausto, Sam chiese: "Davvero stasera ho fatto lo sbruffone?". "Un po'" disse Molly, piegandosi per aiutarlo a togliersi i calzoni. L'abito di Molly si scostò dal corpo. Sam sbirciò nella scollatura. Era ancora bella, molto bella. "Moses è stato il tuo amante?" le domandò scattando in piedi. "Philip è suo figlio. Adesso lo sai. Finalmente ho rivelato il mio terribile segreto". Sconsolato, con gli occhi umidi, Sam disse: "Voglio la verità". "Ti ricordi quando lavoravi alla 'Gazette' e non avevamo abbastanza soldi e io ho detto che potevo dare lezioni di francese?". "Sì". "Altro che lezioni di francese. Io e Moses facevamo film porno insieme. Adesso possiamo andare a dormire?". Ma lui non riusciva a dormire. Aveva sete. Aveva le vertigini. Il batticuore. Gli brontolava la pancia. "Possono portarsi via tutto. Tutto quello che vogliono. Mi sarebbe bastato scrivere "I morti". Non "Guerra e pace" o "I fratelli Karamazov". Chiedo troppo? No di sicuro. Solo "I morti" di Samuel Burns nato Birenbaum". "'Buon viso a cattivo gioco è quello che facciamo tutti'" recitò Molly, sperando di ricordare bene la battuta. "'... eccetto i santi naturalmente'". "Non stavo scherzando, a proposito delle lenzuola. Voglio che siano bruciate. Voglio che sia disinfettata la stanza". "Sam, è nostro figlio. Dobbiamo giocare con le carte che ci troviamo in mano". "Molly, Molly," chiese Sam, disteso sul suo seno, in lacrime "dov'è finito tutto il divertimento?". Senza essere stata invitata, piena di collera, Molly si presentò la mattina presto al Madison. Obbligò Moses a seguirla nella sala ristorante e sbattè la borsa con il marchio della P.B.S. su un tavolo. "E' da quando gli hai telefonato per dirgli che venivi che è tutto agitato. Ragazzi, voi due eravate quelli che dovevano abbagliare la città. Ha fatto passare tutti i nostri libri per essere sicuro che non ci fosse qualche best seller compromettente in bella vista sugli scaffali. Ha nascosto in un cassetto le foto autografate di lui con Kennedy. Le lauree "ad honorem" incorniciate sono finite in una credenza. Ha buttato giù almeno otto elenchi di invitati per un party e li ha cancellati tutti, dicendo no, no, Moses non approverebbe. Ha preso una cassa di Macallan. Il frigo è pieno di salmone affumicato. Poi arrivi tu e lo punzecchi perché ha la piscina. Moses, un amico su cui si può sempre contare. Non gli dici neanche una volta - chissà cosa ti costava - quanto è bravo e onesto in T.V. O che dovrebbe scriverlo, quel libro sul Watergate, muore dalla voglia, ma ha una paura tremenda. Philip con quel ragazzo in camera sua gli spezza il cuore. Io lo trovo a piangere in bagno, ma tu non hai niente di rassicurante da dirgli. Avrei voglia di tirarti il collo, figlio di puttana egoista che non sei altro. Poi ieri sera si ubriaca, sempre per far piacere a Moses, e alla fine mi chiede perfino se io e te siamo stati amanti. E' così puro di cuore che non sa nemmeno di essere un uomo molto migliore di te. Cosa sono quei tagli sulle mani?". "Certa gente digrigna i denti quando dorme. Io stringo i pugni. E' una brutta abitudine". "Leggi il tuo giornale e non guardarmi. Fra un minuto andrà tutto bene". Moses ordinò altro caffè per tutti e due, e mise cinque cucchiaini di zucchero nella sua tazza. "Perché ti riduci così?". "Adesso ho una voglia pazzesca di roba dolce. Non ne ho mai abbastanza. Per piacere non metterti a piangere". "Non piango. Non piango". "L'ultima volta che sono stato in clinica c'era una bella ragazza che non riesco a togliermi dalla mente. Voglio dire veramente bella. Con i capelli fulvi. Avrà avuto diciannove anni. Si infilava in camera mia, si liberava di quella tremenda camicia da notte inamidata, e faceva "un'arabesque", una "pirouette", un "tour en l'air". Non saltava, si librava. Poi mi sorrideva come una bambina cattiva, si accucciava, e cagava sul pavimento della mia stanza. Non ti preoccupare, le dicevo, non ha importanza. Per una settimana è venuta tutti i giorni a danzare e a cagare in camera mia e poi se n'è andata. I coltelli ce li vietavano, ma in un modo o nell'altro lei ha messo le mani su una forchetta e quella le è bastata per fare quello che ha fatto. Non so perché ti racconto questa storia. Se c'era una ragione me la sono scordata". "Hai provato con gli Alcolisti Anonimi?". "Sì". "L'Antabuse non ti servirà a niente. Non ce la fai a smettere quando ne hai voglia?". "E brava la nostra Molly". "Quando Marty è in città porta a casa i suoi amici, ragazzi veramente brillanti, e Sam adora bere birra e divertirsi con loro. Ma loro non sanno chi era Henry Wallace o Jack Benny o Hank Greenberg. I dischi di music-hall yiddish di Sam a loro non dicono niente. E' una cosa che lo fa ammattire. Fra un po' avrà cinquantanni. Ha il doppio mento. Mangia troppo. E' la tensione, lo sai, tutti quei viaggi. Il suo nuovo produttore ha solo trentadue anni, va in discoteca, metà del tempo è fatto di coca. Vuole che Sam si faccia un lifting. Ha fatto sondaggi tra gli spettatori, studi demografici, che possa marcire all'inferno. Sam gli ha detto: quando ero al 'New York Times' sono stato nominato per il Pulitzer per i miei articoli dalla Corea. Baciami il culo, bambino. Ma corre voce che stiano provando facce più giovani, e non credo che gli rinnoveranno il contratto". "Dovrebbe scrivere il libro sul Watergate". "Sam fa ancora collezione di settantotto giri. Non hai idea di cosa ha portato a casa l'altra sera". Molly si mise a canticchiare: "Chickery-chick-cha-la-cha-la, Chick-a-laro-mey in a banan-i-ka". "Molly, lui è un uomo fortunato. Tu sei una brava donna". "Brava cattiva. Gli voglio bene". "Anch'io". "Ehi," disse lei illuminandosi, con un lampo dell'antica spensieratezza e della sua logica surreale "se le cose stanno così allora forse dovremmo avere una storia". "Teniamola da parte per quando saremo rimbambiti". "Vieni a cena da noi" disse Molly mentre scappava via, perché sapeva che stava per rimettersi a piangere. Sam fece di tutto per arrivare a casa presto dall'ufficio, si cambiò in fretta e si precipitò in piscina. Trovò Philip e il suo fidanzato che prendevano il sole nel portico sul retro, sorseggiando champagne. Il suo champagne. "State festeggiando qualcosa, ragazzi?". "Sei veramente "quelque chose", papà" disse Philip, offrendogli un bicchiere. Subito pentendosene, ma incapace di trattenersi, Sam replicò: ""Gay" era una parola che andava benissimo prima che ve ne appropriaste voi. I nostri cuori erano giovani e "gai". Il "gaio" ussaro. Eccetera. "Gay" significa 'allegro', 'felice', 'brioso'. Il contrario è 'triste', 'mesto', 'afflitto'. Chi vi ha dato il diritto di attribuire questo giudizio di valore all'amore eterosessuale? Superbia, arroganza, "khutspe", ecco come la chiamo io". "Ah, papà, a proposito degli ussari. Nell'impero austro-ungarico, era in vigore una legge per cui nessun ufficiale al di sotto del grado di colonnello aveva il permesso di truccarsi". "La tua famiglia come tratta questa faccenda, Steve?". "Non la tratta proprio". I quattro giorni successivi Moses li passò chiuso in una piccola e soffocante sala di montaggio a guardare riprese delle udienze del caso Watergate. Tracciava cerchi attorno ad alcuni fotogrammi e li faceva ingrandire dal laboratorio, senza nessun risultato. Poi, al quinto giorno, eccolo lì, seduto appena dietro Maureen Dean - moglie di John, uno dei consiglieri di Nixon -, con il suo solito sorriso stampato sul volto, e un bastone di malacca col manico d'oro stretto fra le ginocchia. Moses scappò in bagno e si spruzzò acqua fredda sulla faccia. Andò a fare un giro. Si fermò a mangiare un hamburger. Poi tornò nella sala di montaggio e fissò per quasi un'ora il fotogramma, gocciolando di sudore. Rientrato in albergo, Moses abbassò la veneziana e crollò sul letto, fumando una sigaretta dopo l'altra per il resto del pomeriggio. "Una volta per aria", ricordò, "e una volta per acqua". Si lavò il sangue che aveva sui palmi, e aveva già cominciato a fare la valigia quando suonò il telefono. Era la reception. "Lei parte oggi, Mister Berger?". "Sì". Il vicedirettore aveva una lettera per lui. "L'ha lasciata un signore molto distinto che ha detto che prima o poi lei si sarebbe presentato qui". "Perché non me l'avete data prima?". "Le sue istruzioni erano categoriche. Non dovevamo consegnargliela fino al giorno della sua partenza". Moses aprì la lettera al bar. "Se la Chiesa cattolica è potuta sopravvivere a papà Innocenzo Quarto, agli autodafé, a Savonarola, perché il marxismo non dovrebbe sopravvivere allo studente di teologia georgiano e ai suoi accoliti? Per la cronaca, non sono stato io a cancellare il nastro". Quando il cameriere si avvicinò al suo tavolo, Moses ordinò un Macallan. Doppio. Liscio.