3.
Un pomeriggio del 1942 L.B. disse a Moses che erano invitati a casa di Bernard Gursky. Moses ricevette l'ordine di tagliarsi i capelli e indossò scarpe e vestito nuovi. Gli spiegò L.B.: "E' la festa di compleanno del figlio maggiore, Lionel, che compie tredici anni, e Mister Bernard mi ha raccomandato di portare anche te. Giocherai con i figli più piccoli, Anita e Nathan. Ripeti". "Anita e Nathan". "Quando ti presenterò a Mistress Gursky, la ringrazierai per l'invito alla festa. Lei ha il terrore dei microbi. Polio, tifo, scarlattina. Perciò, se devi andare in bagno, chiedi a me e ti faccio vedere dov'è il bagno degli ospiti". "Vuoi dire che neanche tu" chiese Moses, il volto in fiamme "hai il permesso di andare nel loro bagno?", "Tu e quel caratterino che ti ritrovi. Non so da chi hai preso". I tre fratelli Gursky si erano costruiti tre ville vicine in pietra viva, sulla collina di Montreal. Mister Bernard aveva tre figli. Mister Morrie due, Barney e Charna. E dopo la morte di Solomon, la vedova continuava a vivere nella villa del marito con i bambini, Henry e Lucy. Al benessere di tutti i piccoli Gursky, protetti dagli alti muri di pietra che circondavano la proprietà, si provvedeva con munificenza. Una volta superati i cancelli in ferro battuto, Moses - intimidito, per nulla preparato da suo padre - si trovò di fronte a uno splendore inimmaginabile. C'era un'enorme piscina. Tra i rami di un albero era stata costruita una capanna su vari livelli, disegnata da un architetto, arredata da un decoratore d'interni e fornita di riscaldamento. C'era una ferrovia in miniatura. Una pista da hockey con i bordi imbottiti. Un negozio di caramelle con un vero bancone dove serviva un nero che rideva per qualsiasi cosa. C'erano una giostra con la musica (questa in realtà affittata per la festa) e una pista per biciclette che correva lungo il perimetro della proprietà. La ferrovia, il negozio di caramelle, la pista da hockey e quella per le biciclette erano stati tutti costruiti poco dopo il rapimento del figlio di Lindbergh. Contemporaneamente, gli autisti che accompagnavano tutti i piccoli Gursky (tranne Henry e Lucy) alle loro scuole private avevano preso a uscire armati. Una ventina di bambini, in massima parte pietrificati come Moses, erano stati invitati alla festa di compleanno di Lionel ed erano in fila per fargli gli auguri. "E tu come ti chiami?" chiese Lionel. "Moses Berger". "Ah, sì, tuo padre lavora per noi". La festa era animata da un gruppo di clown che girava per il prato con una vecchia automobile da circo. La macchina, che emetteva frequenti fiammate esplosive dal tubo di scappamento, aveva un clacson gigantesco che suonava le prime battute della "Quinta" di Beethoven (cosa che a quell'epoca significava anche "V come vittoria" nell'alfabeto Morse). C'erano suonatori ambulanti di fisarmonica ed eleganti violinisti francocanadesi vestiti come "voyageurs" dei tempi antichi. C'erano giocolieri. Comparve un cantante - allora in scena al Tic-Toc - ed eseguì "Over the Rainbow". Quattro nani di mezza età, vestiti come bambini di sei anni, cantarono "The Lollipop Kids". Un mago era venuto apposta in aereo da New York. Un indiano della riserva Caughnawaga, naturalmente in costume, fece una danza di guerra e poi offrì a Lionel un copricapo tribale, proclamandolo capo. Mistress Gursky sequestrò all'istante il copricapo e ricordò a Lionel di lavarsi la testa prima di andare a letto. Poi arrivò la torta di compleanno, grande come la ruota di un camion, e la copertura di marzapane riproduceva una copertina di "Time" che nominava Lionel Gursky Ragazzo dell'Anno. Moses seguì le frecce fino ai SERVIZI PER GLI OSPITI del seminterrato, dove arrivò giusto in tempo per scontrarsi con Barney Gursky che, rosso in viso, usciva dal bagno. Subito dopo, Moses superò la piscina e si diresse verso il lato più lontano della proprietà, e lì si imbatté in due bambini seduti su un'altalena. Il maschio sembrava della sua età. La bambina, più piccola di un paio d'anni, si succhiava il pollice. Lo estrasse dalla bocca con uno schiocco e disse: "Perché non te ne torni alla festa dagli altri?". Henry presentò se stesso e la sorella Lucy. "Io mi chiamo Moses Berger". Lucy scrollò le spalle, come per dire "e allora?", scese dall'altalena e si avviò lentamente verso casa sua. "A che scuola vai?" chiese Moses. "N-n-non ci vado" disse Henry. "Non mi ci fanno andare". "Ma tutti devono andare a scuola". "Ho un'insegnante c-c-che viene qui. Miss Bradshaw. Viene d-d-dall'Inghilterra". Per non essere da meno, Moses disse: "Mio padre è L.B. Berger. Sai, il poeta. Tuo padre cosa fa?". "Mio p-p-padre è morto. Vuoi venire a vedere la mia camera?". "Certo". Non appena Henry saltò giù dall'altalena, una signora con i capelli neri arruffati e striati di grigio uscì strascicando i piedi attraverso la portafinestra della villa. Era a piedi nudi e indossava solo una camicia da notte celeste. La sostenevano da una parte una donna robusta con un'uniforme bianca inamidata e dall'altra un giovane servitore in livrea. "Chi è?" chiese Moses. "Mia m-m-madre. Non sta bene". Poi, con grande sorpresa di Moses, Henry gli prese la mano e la tenne stretta mentre lo guidava nella casa. Il salotto, il più grande che Moses avesse mai visto, era stipato di quadri illuminati dall'alto, molti in pesanti cornici dorate. Moses vide un Matisse e un Braque. Li riconobbe perché l'insegnante della Folkschule, Miss Levy, usava il notiziario del Club del Libro del Mese come sussidio didattico e in quel periodo le copertine presentavano opere di artisti famosi. Ma ciò che attrasse la sua attenzione fu uno spazio vuoto sulla tappezzeria, con un bordo nettamente profilato. Di certo lo spazio era stato occupato da un quadro enorme. C'erano ancora i fili penduli dell'impianto d'illuminazione. Qualche mese più tardi, Lucy gli avrebbe detto che lo spazio vuoto una volta era occupato dal ritratto di una giovane signora, molto bella. Se la si guardava da vicino, si notava che aveva un occhio azzurro e l'altro castano. Il pittore doveva essere ubriaco mentre lavorava al quadro, oppure era matto fin dal principio. Lucy aveva una sua teoria. "Credo che la signora non voleva pagargli il quadro e allora lui per andare in pari le ha dipinto gli occhi di due colori diversi". Comunque, poco dopo la morte di suo padre il quadro era stato rubato. Tutti si erano fatti delle gran risate e avevano detto che i ladri dovevano essere dei veri idioti. Non avevano toccato un Matisse, un Braque, un Léger, tanto per dirne alcuni, ed erano scappati con un quadro che non valeva niente, fatto da un artista del posto. Enormi orsacchiotti riempivano ogni angolo dell'immensa camera di Henry. Il letto era disfatto e Moses riuscì a distinguere il profilo di un lenzuolo di tela cerata sotto quello di lino. Poi vide i soldatini di piombo di antiquariato disposti a file ordinate sul pavimento. Granatieri inglesi da una parte, dragoni francesi dall'altra. "Quanti anni hai?" chiese Moses. "T-t-tredici". "E giochi ancora con i soldatini?". "Non sei obbligato, se non ti va". In realtà, a Moses andava eccome, e si sistemarono entrambi sul pavimento, Moses dietro i dragoni francesi. "Hanno perso" disse Henry, offrendogli i granatieri inglesi. "Cosa?". "W-W-Waterloo". Con il procedere della battaglia, e l'entrata in campo di nuovi pezzi, incredibilmente precisi nei particolari, Moses cominciò a divertirsi davvero. Poi, all'improvviso, scattò in piedi. "Gesù. E' meglio se vado. Mio padre sarà preoccupato". "Adesso sei mio prigioniero" disse Henry correndo alla porta della camera e bloccandola con le braccia spalancate. "Su, dai. Non fare lo scemo". Henry, trattenendo a fatica le lacrime, lasciò cadere le braccia. "Torni ancora a g-g-giocare con me?". "Offrigli dei soldi" disse Lucy, sulla soglia. Sorrideva. Aveva la mano serrata a pugno contro la bocca e le guance cave per lo sforzo di succhiare il pollice. "Verrò ancora". Moses tornò di corsa alla festa e arrivò trafelato, in tempo per la cerimonia di chiusura. Tutti i ragazzi erano riuniti in cerchio vicino al cancello e i genitori, raggianti, aspettavano di riportarli a casa. Un ragazzo grassoccio e rosso di capelli, Harvey Schwartz, che indossava una camicetta pieghettata e calzoni di velluto cremisi, si fece avanti e offrì un mazzo di rose rosse a Mistress Gursky. "Per la nostra gentile ospite," disse baciando la guancia di Mistress Gursky, che si era chinata su di lui "tanto buona da invitarci qui per una giornata che non dimenticheremo mai". "Sei un angelo" disse Mistress Gursky, asciugandosi la guancia con un fazzoletto di carta. "Auguriamo al festeggiato la salute e il successo in ogni sua futura impresa" continuò Harvey. "E adesso, tre urrà per Lionel Gursky!". Mentre tutti tranne Barney Gursky gridavano per tre volte urrà, la madre di Harvey Schwartz piombò su Mistress Gursky. "Harvey è il primo della classe al "Talmud Torah". Ha già guadagnato un anno. Spero che possa venire ancora". Moses scorse L.B. che camminava avanti e indietro, evidentemente furioso. "Dove diavolo eri?" chiese, mentre un sorridente Mister Bernard li raggiungeva. "Là dietro. Con Henry e Lucy". L.B., allibito, lanciò un'occhiata implorante a Mister Bernard. "Chiedo scusa" disse. "Non si preoccupi. Come faceva a saperlo?". "Che cos'ha la loro madre?". "Maledizione" bisbigliò L.B. Ma Mister Bernard stava ridacchiando. Si puntò un dito tozzo contro la fronte e prese a girarlo come un cacciavite. "E' matta come un cavallo" disse. Li raggiunse Mistress Gursky, agitatissima. Spingeva avanti il piccolo Harvey Schwartz. "Diglielo" fece. "Mi dispiace, Mister Bernard, ma qualcuno ha scritto delle brutte parole su Lionel nel bagno degli ospiti". "Di che cosa stai parlando?". Mentre scendevano dalla collina, Moses disse a L.B. che Henry lo aveva invitato a tornare a giocare. "E' una cosa assolutamente fuori questione. E' il figlio di Solomon". "E allora?". "E' molto complicato. Storie di famiglia. Vecchi litigi. Non abbiamo nessuna intenzione di immischiarci". "Perché?". "Te lo spiegherò quando sarai più grande". "Più grande quanto?". "Potresti finirla, per piacere? Ne ho abbastanza per oggi". Continuarono a camminare in silenzio giù per la discesa ripida e tortuosa. "Solomon era un "bulvan"" disse L.B. "Una persona tremenda. Una volta è venuto a una delle mie letture ed è stato il primo ad alzare la mano al momento delle domande. 'Il poeta potrebbe dirmi' mi fa 'se usa o no un rimario?'. Avrei dovuto tirargli un cazzotto". "Sì" disse Moses, e si mise a ridacchiare mentre cercava di immaginarsi la scena; poi prese la mano di suo padre. "Andiamo da Horn's a berci un caffè". "Oggi non posso. Anzi, devi andare a casa da solo". "Dove vai?". L.B. sospirò, esasperato. "Se proprio ci tieni a saperlo, devo posare per una scultura e sono già in ritardo". "Ehi, grandioso! E come si chiama lo scultore?". L.B. arrossì. "Domande, domande, sempre domande. Non la smetti mai? Una persona che ho conosciuto a un party. Ti basta?".