4.

Ephraim mostrò a Lady Jane le lettere che lodavano le capacità e la pietà cristiana di Isaac Grant. "Il chirurgo di cui sto parlando è anche un naturalista di una certa fama" disse porgendole un'altra lettera, questa a firma di Charles Robert Darwin. "Mister Grant ammira da molto tempo Sir John e sarebbe disposto a sopportare qualunque privazione pur di partire insieme a lui in questa intrepida avventura. E io, che sono sempre in debito con lei, venerata signora, considererei mio dovere servire Sir John e mettermi a sua completa disposizione". Lady Jane, felice di vedere di nuovo Ephraim ormai redento, sarebbe stata ben lieta di intercedere per lui, ma spiegò che era troppo tardi. "A meno che" aggiunse, accalorandosi all'idea "non andiate direttamente a Stromness". "Era giustappunto mia intenzione. E sarei lieto di attendere," proseguì Ephraim "se avesse la bontà di indirizzare una lettera a Sir John". Con la lettera in mano, Ephraim si precipitò a Whitechapel, dove si nascondeva Izzy, disperato. "Partiamo per le Orcadi" annunciò. "Non ho il coraggio di uscire di qui. Ci cercano dappertutto". "Staranno sorvegliando i porti. Si aspettano che cerchiamo di scappare in Irlanda o nel continente". "Anche se arriviamo sani e salvi, come possiamo sperare di farci ammettere nell'equipaggio delle navi?". Ephraim stava già aprendo con il vapore la lettera di Lady Jane. Stabilì subito che sarebbe stato abbastanza facile riprodurre lo stesso inchiostro. Nella tasca della giacca aveva il pennino usato da lei. Si allenò per più di un'ora a imitare quella grafia sottilissima prima di azzardarsi ad aggiungere un poscritto che implorava Sir John di accettare nell'equipaggio della nave Ephraim, il loro trovatello della Terra di Van Diemen, e Mister Isaac Grant, ammirevole per la sua devozione. I colpi sulla porta fecero sobbalzare Izzy. "Non ti preoccupare" disse Ephraim. "Saranno le sorelle Sullivan. Dorothy e Rate vengono con noi". Una volta a Stromness, non ebbero difficoltà a trovare il tetro pub affacciato sul porto dove si radunavano i marinai. Molti di loro temevano che non sarebbero mai più tornati a casa. Usando le sorelle Sullivan come esca e pagando da bere con liberalità, Ephraim riuscì ben presto a ingraziarseli. Sceglieva istintivamente quelli che gli apparivano più inquieti, e li intratteneva con le storie del suo defunto genitore, che aveva partecipato con Franklin alla spedizione via terra fino alle coste del Mar Glaciale Artico nel 1819. "Ehi, c'è stato un momento," raccontava "durante il terzo anno nella tundra, in cui sono stati costretti a mangiare le ossa imputridite di un cervo, già rosicchiate dai feroci lupi artici e dai corvi neri. Mio padre, si badi bene, fu uno dei pochi sopravvissuti, anche se al ritorno la mia povera mamma quasi non lo riconosceva. Tutti i denti caduti per lo scorbuto e le dita dei piedi amputate. Non poteva più esserle di grande utilità, e questo probabilmente spiega come mai è scappata con Mister Feeney". La notte prima della partenza, il capitano Crozier del "Terror" vietò saggiamente ai marinai di scendere a terra in libera uscita, temendo che qualcuno tagliasse la corda. Ma il capitano Fitzjames dell'"Erebus" concesse all'equipaggio la consueta libertà. Tutti furono di ritorno per l'ora stabilita, ma il lascivo assistente chirurgo si impadronì di una scialuppa e si fece riportare a terra da un marinaio scelto, un tizio tanto fortunato da conquistarsi le grazie di Kate. I due furono raggiunti dalle sorelle Sullivan: l'appuntamento era stato fissato in tutta fretta, mentre Ephraim era occupato altrove. Secondo i registri ufficiali, i due furfanti tornarono a bordo dell'"Erebus" alle tre del mattino. Il terzo ufficiale, di guardia in quel momento, quasi non li riconobbe, ma era una notte nera, la luna e le stelle erano oscurate dalle nubi, e in più lui aveva bevuto troppo. Il marinaio scelto, che esibiva un cilindro di seta, borbottava qualcosa in una sconosciuta lingua gutturale, rivolto all'assistente chirurgo, ed entrambi stavano portando a bordo sacchi di provviste personali. Di certo era contro il regolamento, ma furono abbastanza premurosi da ricordarsi di offrire una bottiglia di rum al terzo ufficiale. Franklin non ebbe fortuna. Non poteva sapere che stava facendo rotta verso l'Artide all'inizio di quello che si sarebbe rivelato uno dei periodi più freddi degli ultimi mille anni. Prese il mare con ottomila latte di carne in scatola, acquistate presso un certo Stephen Goldner, il fornitore più a buon mercato, che deteneva il "Brevetto Goldner" per un nuovo metodo di inscatolamento. La carne era repellente. Alcune latte ritrovate centoventicinque anni dopo sull'isola Beechey presentavano giunture mal sigillate e rigonfiamenti, indizio certo di putrefazione, e rafforzarono la teoria del perspicace antropologo che le aveva scoperte: i membri della spedizione avevano contratto un avvelenamento da piombo, che può avere tra i suoi effetti affaticamento, spossatezza, anoressia e paranoia. Ma Ephraim e Izzy, grazie alle scorte segrete di cibi "kosher", non ne furono colpiti come il resto dell'equipaggio. Certo, il grosso delle loro provviste fu consumato entro il primo anno, ma le aringhe, un lusso che Izzy aveva limitato allo "Shabbat", durarono fino al secondo inoltrato. E anche allora l'ingegnoso Izzy, che ormai era diventato amico intimo del cuoco, riusciva ad alleggerire le loro dosi di carne avvelenata con delizie abilmente messe da parte. Così di venerdì sera loro due potevano rimpinzarsi di "kashe" fritta in grasso di pollo o, in alternativa, di riso cucinato allo stesso modo. Cercando di ricostruire gli interminabili inverni di Ephraim nell'Artide, con il sole sprofondato per quattro mesi sotto la linea dell'orizzonte, Moses doveva affidarsi a congetture o ai resoconti di altri esploratori del diciannovesimo secolo. Poi c'erano i frammenti dei diari di Solomon, con le storie narrate da Ephraim sulle coste di un lago glaciale, mentre il vecchio e il ragazzo si scaldavano a un fuoco da campo sotto il mutevole arco dell'aurora boreale. Nell'arcipelago artico, la navigazione era limitata a otto settimane l'anno. Poi, di fronte alla malinconica prospettiva di un altro inverno, gli uomini si aprirono a forza la strada per condurre la nave in un porto sicuro, dove sarebbero rimasti ostaggio del pack per dieci mesi. Tagliarono blocchi di ghiaccio per procurarsi l'acqua, costruirono un muro di ghiaccio attorno alla nave, ammucchiarono la neve attorno alla chiglia per migliorare l'isolamento ed eressero padiglioni di tela sui ponti. Gli ufficiali, impegnati a tenere alto il morale dell'equipaggio, distraevano gli uomini con gare di corsa sulla banchisa, partite di cricket, corsi scolastici e rappresentazioni teatrali, con la temperatura sul palcoscenico che scendeva sotto zero per la pantomima di Natale. "Non è uno scherzo" lamentava lo sfrontato tenente Norton "indossare una sottoveste con questo freddo". I mozzi e i più aggraziati tra i marinai e i marinai scelti cominciavano ad avanzare pretese esorbitanti per concedere i loro favori agli ufficiali innamorati. Solomon annotò sul diario che Ephraim aveva seguito un corso di astronomia, acquisendo una notevole abilità nell'esame della volta celeste, e non si era perso una lezione di Mister Stanley, il chirurgo dell'"Erebus". "La scienza medica è giunta a una tale perfezione in Inghilterra" spiegava Mister Stanley "che abbiamo quasi scordato i rozzi inizi dai quali si sono evolute le conoscenze attuali. Ma, dall'apice della nostra sapienza, è interessante osservare le tenebre in virtù delle quali i selvaggi eschimesi ancora tollerano una classe di uomini di medicina le cui pretese di compiere ogni genere di miracoli sono della più stravagante natura. Questi sciamani sostengono di essere in grado di farsi grandi o piccoli a piacimento, o di tramutarsi in animali, o di entrare nel legno e nella pietra; di saper camminare sull'acqua e volare nell'aria; ma sempre a una condizione imprescindibile: che nessuno li veda". Gli ufficiali risero compiaciuti. "Ahimè," continuò Mister Stanley "la questione è seria. Gli sciamani, per fare un solo esempio, non hanno la minima nozione della vera natura del delirio. Quando un paziente delira, come accade a chi è preda di una grave febbre, lo considerano pazzo, come se fosse posseduto da un insano desiderio di cannibalismo". Franklin, del quale era stata predetta la morte, fu sepolto l'11 giugno 1847, avvolto nella bandiera britannica che Lady Jane aveva ricamato per lui. E quando finalmente apparve l'estate agognata, il debole calore del sole non fu sufficiente a liberare le navi dai banchi di ghiaccio. Gli uomini, coi denti che nuotavano nelle bocche insanguinate, ricevettero razioni ancora ridotte. Stando al racconto che Ephraim fece a Solomon, e che questi poi annotò sul diario, lo scorbuto ne uccise venti nell'inverno del 1848. E allora l'"Erebus" divenne davvero il luogo di tenebre fra la terra e l'Ade. Gli uomini si strappavano gli occhi a vicenda per conquistare un boccone di carne marcia e perpetravano le azioni più ripugnanti in cambio di una razione di tè o di tabacco. Gli ufficiali piangevano calde lacrime scrivendo lettere d'addio. Il capitano del castello di prua si metteva all'organo per ore, suonando salmi e inni, e invocando la liberazione da quel mare ghiacciato e senza sole. Philip Norton, reso folle dalla febbre, con una parrucca in testa, le guance imbellettate, il rossetto sulle labbra, sfilava sottocoperta vestito per il ballo, davanti agli ammiratori, fermandosi per pizzicare le guance a Izzy Garber o accarezzare le natiche a Ephraim, e riflettendo ad alta voce su quale dei due sarebbe risultato più tenero in pentola. Una mattina si fece condurre a forza Ephraim nella cabina dove, nonostante il gelo, era sdraiato sulla branda con indosso solo giarrettiere nere e calze di seta, e cantava sottovoce mentre si pettinava il pelo pubico con uno spazzolino da denti. "E' giunto il momento, mio caro, di rivelare dove tu e Grant tenete le vostre provviste". I membri dell'equipaggio, ormai in balìa di allucinazioni, temendo di essere macellati non andavano da nessuna parte senza un'arma in mano. Coloro che da tempo avevano sputato gli ultimi denti ed erano troppo deboli per muoversi, tossivano catarro e sangue e giacevano con la pelle ulcerata sulle amache, immersi nella loro diarrea. Coloro che invece ancora si reggevano in piedi ma avevano le gengive livide e una bocca che sapeva di morte, si divisero in bande rivali, ciascuna delle quali sospettava che l'altra avesse accumulato il cibo in nascondigli segreti. Armati, in cerca di preda, organizzavano fulminee spedizioni di caccia. Gli ufficiali venivano apertamente scherniti. Preoccupati, Crozier e Fitzjames si incontrarono nel quadrato degli ufficiali sull'"Erebus", mentre due fanti di marina stavano di guardia sulla porta. Moses Berger, la cui biblioteca annotata su Franklin era quasi al completo, scoprì che più di un secolo dopo gli studiosi ancora si arrovellavano per capire perché gli uomini della spedizione, malati e male equipaggiati com'erano, quando si decisero ad abbandonare le navi, scelsero di puntare, lungo il fiume Fish, su Fort Reliance, a milletrecento chilometri di distanza. "Solo qualche grave fattore o combinazione di circostanze" scriveva sul "Beaver" (1937) William Gibson, commissionario della Hudson's Bay Company e membro della Royal Geographic Society "può essere stato all'origine di una decisione tanto avventata e rischiosa". Il grave fattore, secondo Ephraim, era la convinzione di Crozier che l'ammutinamento fosse ormai prossimo. Gli studiosi si dimostravano ancora più sconcertati dalla sorprendente varietà di oggetti disseminati attorno alla scialuppa scoperta da Hobson nei pressi di Victory Point. Fazzoletti di seta, saponette profumate, spugne, pantofole, spazzolini da denti e pettini. Più o meno il necessario, cioè, per la toilette del folle "Dolly" Norton e della sua cerchia. E i ricercatori non riuscivano nemmeno a spiegarsi perché la scialuppa puntasse nella direzione delle navi abbandonate. Ephraim raccontò a Solomon: "Crozier e Fitzjames erano partiti con gli uomini che giudicavano fidati o almeno sani di mente. Convinsero Norton e la sua banda a separarsi dalla spedizione principale, corrompendoli con casse di tè e cioccolato, e consentendo loro di portarsi dietro anche me e Izzy. Prigionieri pronti per la pentola. Ma come Dio all'ultimo istante salvò Isacco dal coltello, facendo apparire un montone al suo posto, così noi fummo risparmiati grazie all'orso bianco che uccisero sul ghiaccio. Norton e i suoi sgherri si ingozzarono subito di fegato crudo, senza lasciarci nemmeno una fettina, e fu la loro fine". L'ipervitaminosi, una reazione tossica a una dose eccessiva di vitamina A (aggravata dall'assenza delle vitamine C ed E), è una malattia che colpisce chi mangia il fegato crudo di un orso bianco o di una foca. E' tanto rara da non essere neppure menzionata in alcuni manuali di medicina. I sintomi, annotò Moses sulla sua scheda, sono i seguenti: emicrania, vomito, diarrea, che compaiono tutti molto rapidamente. Poi, nel giro di una settimana, desquamazione e lacerazioni della pelle, caduta dei capelli, screpolature attorno alla bocca, al naso e agli occhi. A ciò fanno seguito irritabilità, inappetenza, vertigini, sonnolenza, dolori articolari, perdita di peso e disturbi legati al gonfiore di fegato e milza, tra i quali violenta dissenteria. E, nei casi gravi, convulsioni, delirio ed emorragia endocranica, fino alla morte. Ephraim raccontò a Solomon: "Gli eschimesi che si erano fermati con noi quattro giorni ci avevano lasciati, e noi eravamo ancora accampati a un centinaio di chilometri dalle navi, senza poter andare né avanti né indietro, con gli uomini che vomitavano e se la facevano addosso, dando la colpa alla foca che avevano diviso con gli eschimesi. Izzy aveva la febbre. E Norton, che nella tenda riscaldata da un debole fuoco indossava l'abito da ballo, giurò che mi avrebbe avuto come efebo. Quando cominciai a insultarlo, ordinò ai seguaci di farmi mettere in ginocchio, con le braccia strette dietro la schiena. Mi si gettò addosso, alzò la gonna e abbassò le mutande di seta, e fu allora che vide peli e frammenti di pelle cadere sulla neve. Le sue parti intime erano arrossate e dolenti. Srotolò freneticamente le calze, singhiozzando alla vista della pelle che si staccava dalle gambe. Gli altri uomini cominciarono a esaminarsi il corpo e mi lasciarono andare. Oh, in quella tenda si levò un gran lamento, e furono pronunciate minacce di morte rivolte a me e a Izzy, che non eravamo stati colpiti dal male. Con immensa difficoltà, litigando fra loro, cadendo a terra, gli uomini riuscirono a far ruotare la scialuppa sui pattini, con l'idea di tornare alle navi e fermarsi lì fino alla guarigione, macellando me e Izzy per sfamarsi. Ma ormai erano talmente indeboliti dalla dissenteria che non mi ci volle molto per prendere Norton alle spalle, gettarlo a terra, tagliargli la gola e, insieme a Izzy, allontanarmi nella direzione presa dai cacciatori eschimesi, trascinando le nostre cose su una slitta improvvisata". C'era una lacuna nei diari di Solomon, e quando questi riprendeva la storia di Ephraim era per raccontare l'episodio della contesa tra il nonno e lo sciamano, nell'accampamento dei cacciatori eschimesi. I cacciatori erano Netsilik. Uno di loro, Kukiaut, aveva trascorso due anni a bordo di una baleniera americana ed era in grado sia di fare da interprete a Ephraim sia di insegnargli l'inuktituk. La contesa aveva per oggetto un bambino malato. Le donne gli danzavano intorno nell'igloo, levando il lamento funebre e gridando ""Hi-ya, hi-ya, hi-ya"". Si era spezzato uno strato sottile di ghiaccio e il bambino era caduto nell'acqua gelata. Gli scottavano le guance, delirava, ma Ephraim immaginò che si trattasse semplicemente di una brutta infreddatura, e si offrì di curarlo con le medicine contenute nel baule di Izzy. Ma Inaksak, lo sciamano vecchio e astuto, accusò l'usurpatore di essere un intruso assetato di sangue, che avrebbe portato tempeste e morte sull'accampamento. Il vecchio schernì Ephraim, gli girò intorno con aria tracotante, ringhiando e agitando con ostentazione gli amuleti che portava appesi alla cintura: file di denti di foca e d'orso, la testa di una rondine di mare incisa nella steatite, il pene di un tricheco. Il bambino, proclamò, era posseduto da uno spirito maligno, ma il potente Inaksak, con l'aiuto dell'anima di Kaormik, l'avrebbe scacciato, guarendolo. ""Gotenyu"," disse Izzy "pure qui ci sono i "dibbukim"?". Inaksak si accucciò, si coprì con una pelle di caribù e cadde in trance. Quindi avanzò verso il bambino, roteò gli occhi, gemette, fece lampeggiare il coltello da neve. Izzy, riconoscendo un collega, diede di gomito a Ephraim. "Attento, vecchio mio. Ci sa fare, il bastardo". Lo sciamano appoggiò le labbra sul ventre del bambino febbricitante, prese a succhiare e barcollò all'indietro quando lo spirito maligno lo colpì. Brancolando per l'igloo, Inaksak si dibatteva, affondava con il coltello, lottava con lo spirito. Alla fine, mentre un rivolo di sangue gli scendeva dalla bocca sul mento, sputò una pietra ai piedi di Ephraim, dichiarò che il bambino era stato liberato, e piombò a terra svenuto. Ma nel giro di poche ore il malato stava peggio di prima, e Inaksak, afflitto, annunciò che era posseduto da troppi spiriti maligni per i suoi poteri: gli spiriti erano venuti con i "kublana". Ordinò ai cacciatori di costruire un piccolo igloo e abbandonarvi il bambino e gli intrusi fino alla morte per congelamento, altrimenti l'influsso malefico si sarebbe abbattuto su tutto l'accampamento. Non appena l'interprete ebbe tradotto la sentenza, Ephraim e gli altri dovettero trattenere a forza Izzy, indignato, per impedirgli di saltare addosso allo sciamano. Izzy si rivolse a Ephraim: "Spiega a questi poveri coglioni che il vecchio stronzo il sangue se l'è cavato di bocca tagliandosi le gengive con il sasso". Ephraim invece disse che lui e Izzy sarebbero stati felici di tenere compagnia al bambino nell'igloo, a patto che avessero a disposizione una lampada di steatite, combustibile e cibo per una settimana; e in quel lasso di tempo Ephraim avrebbe guarito il piccolo, dimostrando che la sua magia era più potente di quella di Inaksak. Ephraim raccontò a Solomon: "Le cose non potevano andar peggio. Il giorno stabilito, il bambino si reggeva in piedi a fatica, ma era chiaramente sulla via della guarigione; subito dopo il nostro ritorno, però, si scatenò una tempesta di neve. Quel furbo bastardo di Inaksak ballava come un matto, dicendo che la mia magia era cattiva. Avevo provocato l'ira di Narssuk, dio del vento, della pioggia e della neve". Il padre di Narssuk, un enorme mostro con una doppia fila di denti, era stato sgozzato in battaglia da un altro gigante. Anche la madre era rimasta uccisa. Appena nato, Narssuk era già così grosso che sul suo membro potevano sedersi quattro donne. Volò in cielo e divenne uno spirito maligno che odiava il genere umano e che solo le cinghie che fermavano le sue pelli di caribù trattenevano dal compiere misfatti. Tuttavia, se le donne tacevano a proposito dei loro cicli o venivano infranti altri tabù, le cinghie di Narssuk si allentavano, lui era libero di muoversi, e poteva così tormentare gli uomini con le tempeste di neve. "Adesso, a causa dei "kublana", io dovrò volarmene in cielo," spiegò Inaksak "e lottare con Narssuk e stringergli le cinghie; altrimenti non ci sarà bel tempo per la caccia e moriremo tutti di fame". Ma non appena i cacciatori, le donne e i bambini si radunarono all'aperto, apparve chiaro che il volo di Inaksak non era più necessario. La tempesta si placò all'improvviso così com'era cominciata. Ephraim notò allora la posizione della luna che spuntava sull'orizzonte. Sperando con tutto il cuore e contro ogni logica che i suoi calcoli fossero giusti, dichiarò: "Io sono più potente di questo stupido vecchio, e perfino di Narssuk, e per dimostrarcelo leverò le braccia e guiderò la luna, mia serva, tra voi e il sole, portando l'oscurità nella stagione della luce, e poi mi trasformerò in corvo e vi caverò gli occhi a uno a uno, a meno che non obbediate a ogni mio capriccio". Quando Kukiaut ebbe tradotto il discorso, gli eschimesi, enormemente divertiti all'idea di avere un tale spaccone fra loro, si sedettero, in attesa. Ephraim scomparve nel suo igloo e ne riemerse indossando il cilindro di seta e il "tallit". Cantò: "Uno chi lo sa? Uno io lo so, uno è Dio in Cielo e in Terra. "Due chi lo sa? Due io lo so, due sono le Tavole del Patto, uno è Dio in Cielo e in Terra". Si rotolò sulla neve, simulando un attacco di convulsioni, con bollicine di schiuma che gli sgorgavano dalle labbra. Poi si alzò in piedi, e al sorgere della luna levò le braccia e l'eclissi ebbe inizio. Gli eschimesi, stupefatti, urlarono, caddero in ginocchio, supplicarono Ephraim di non trasformarsi in corvo e di non cavare loro gli occhi. Ed Ephraim disse loro: "Io sono Ephraim, il Signore, tuo Dio. Non avere altri dèi di fronte a me. "Non ti prostrare davanti a Narssuk, a cui ho avvizzito il membro, o a qualunque altro dio, razza di povero stronzo ignorante. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, punisco l'iniquità dei padri sopra i figli, fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano". Ingiunse loro di non rubare e non uccidere, a meno che non fosse lui stesso a chiederglielo, e ordinò di non nominare il suo nome invano. "Caccerai sei giorni, fornendo carne a me e a Izzy, ma la sera del sesto giorno laverai le tue donne e le porterai a me, come offerta...". Izzy batté il piede sulla neve. "... e al mio sacerdote qui presente. E il settimo giorno, che è il mio "Shabbat", ti riposerai". Nei giorni che seguirono, con le donne sdraiate con lui sotto le pelli di caribù e gli uomini radunati intorno, Ephraim disse loro: "In principio creai il cielo e la terra". Ephraim li incantò con le storie del diluvio, di Giuseppe e della sua tunica a colori, e - la preferita dai cacciatori - con quella delle dieci piaghe. Ephraim aggiustava le ossa, curava i malati, e quando nasceva una femmina proibiva loro di strangolarla e poi mangiarla, e quando nasceva un maschio mostrava loro come circonciderlo. Ephraim promise che il loro seme sarebbe stato abbondante come le stelle in cielo. Disse che un giorno avrebbe dovuto lasciarli, ma, se avessero continuato a comportarsi bene, in una futura generazione avrebbe inviato un Messia. Il Messia, discendente di Ephraim, avrebbe riportato presso di loro gli antenati e reso tanto numerosi i caribù e le foche che nessuno avrebbe mai più patito la fame. Ephraim concesse anche ai suoi seguaci una versione dello ""Yom Kippur", spiegando che era il più sacro dei suoi sacri giorni, e che dal momento in cui il sole tramontava fino a quando non sorgeva e tramontava di nuovo, tutti i membri del suo gregge dai tredici anni in su non dovevano né fottere né toccare cibo, ma pregare per il perdono dei peccati. Promulgò questa legge in un momento di distrazione, senza considerare che la sua fede contemplava tutte le eventualità, tranne quelle in cui si sarebbe venuto a trovare un accolito delle terre artiche. Negli anni a venire, alcuni seguaci di Ephraim, che in ottobre si erano spinti troppo a nord a caccia di foche, scoprirono ben presto di trovarsi in gravissima difficoltà. Il sole scese sotto l'orizzonte, e in virtù del precetto erano obbligati a rimanere casti e digiuni finché non fosse riapparso, vari mesi più tardi, per poi non riabbassarsi per molti altri mesi. Di conseguenza, alcuni peccarono contro Ephraim, gli uomini rubando fuori dall'accampamento per mangiare, le donne cercando soddisfazione tra gli impuri. Ma in maggioranza si mantennero fedeli alla regola, morendo di fame, finché Henry, quel buon pastore, non li ritrovò e li ricondusse a sud, verso il sole e la liberazione.