1.
1973. Settembre. Terry uscì da Wardour Street, scalò la marcia con un rombo gratificante e infilò l'ammaccata M.G. nel parcheggio. Poi tornò rapidamente indietro a piedi fino al Duke of Wellington, preoccupato del cielo gonfio e grigio, dato che aveva indosso il suo vestito nuovo, con la giacca appena appena stretta in vita, le tasche applicate, i pantaloni leggermente scampanati sul fondo. Erano tutti al bar, ad aspettarlo. Des, Nick, Bobby. "Ciao, ciao, ciao". "Tosto". "Ta-tà, ta-tà". Con un sorriso, che ne metteva in risalto le fossette, Terry sollevò i lembi della giacca e piroettò su se stesso. "Oh. ragazzi," esclamò Bobby vibrando di piacere "i miracoli che fa Cecil Gee". "Col cavolo. Trecento cocuzze m'è costato. Doug Hayward," annunciò Terry "il sarto delle star". Des allungò la mano per toccare il tessuto; poi, con un gesto rapido, la mano piombò sull'inguine di Terry e cominciò ad accarezzarlo con le dita grassocce. "E cos'abbiamo di bello qui?". "Il frutto proibito" disse Terry, scansando via con uno schiaffo la mano di Des e ritraendosi con un balzo. "Vuoi dire già prenotato". "Vedi di toglierti dai coglioni". Prevedendo guai, Nick si infilò in mezzo a loro. "Qualcuno ha visto Mamma Foley?" chiese Terry. "Non ti preoccupare, Terry. Foley arriva. Ti fermi a mangiare qualcosa?". "Stasera no, tesoro, ho mal di testa". Con una mossa astuta Terry tirò indietro una manica e mostrò un orologio nero, magnifico e imponente. Sul quadrante non c'era assolutamente nulla, finché lui non premette un minuscolo pulsante e la scritta 7:31 comparve in cifre luminose da computer. "Ta-tà, ta-tà!". "Dove l'hai rubato?". "Qui non lo vendono ancora. Me l'ha preso Lucy a New York". All'improvviso fra di loro sbucò Foley. Portava un cappello largo da safari da cui uscivano ricci grigi, un maglione a collo alto color vinaccia e un paio di jeans tinti a chiazze. Terry lo seguì in bagno. "Ce l'hai la grana?". ""MaQana", non ti preoccupare". Foley si strofinò pensosamente la mandibola violacea. "Su, smettila, tesoro. Quando mai ti ho tirato un bidone?". Foley gli diede la busta. Terry gli soffiò un bacio e tornò danzando nel bar. "Uno solo e poi me ne vado". "E dov'è che vai stasera?" chiese Des. "Ti prego, diccelo". "Oh, magari da Annabel's: il solito filettino mignon e un po' di Dom P. Oppure Les A., per il vecchio "chemin de fer"". In realtà, lei non l'aveva ancora portato in un posto dove potessero riconoscerla. Una cosa esasperante. "Vergognati, Terry, vendere il tuo bel corpo per questi effimeri piaceri da quattro soldi". Lui andò a riprendersi la M.G., entrò a tutta velocità in Hyde Park, emerse in cima a Sloane Street e tagliò in Belgravia. Sapeva senza aver bisogno di guardare che lei era in attesa dietro la finestra del suo appartamento, fumando una sigaretta dopo l'altra. Così scese dalla macchina con la massima calma. Lucy aprì la porta prima che lui potesse suonare il campanello. Indossava un bolero di seta nera, ma con le maniche lunghe, di necessità. Il pollice della mano destra era rugoso come una noce: tutto ciò che poteva esserci di umido era stato succhiato via. Aveva provato a bendarselo prima di andare a letto, ma non funzionava. Si strappava la benda nel sonno. I grandi occhi neri di Lucy tremavano di angoscia. Non aveva nemmeno quarantun anni, ma sembrava più vecchia, forse perché era così magra. "I soldi sono sul tavolino dell'ingresso" disse. Come se lui fosse il fattorino di John Baily. "Non mi dici niente del vestito?". "Non tormentarmi, Terry. Dammela". "Secondo te i pantaloni sono troppo attillati?". "Diciamo che mettono i tuoi attributi ben in evidenza. Possiamo piantarla qui?". E Lucy scomparve in cucina, sbattendo la porta. Terry si spostò in camera da letto e si mise ad aprire pigramente i cassetti. Nel primo cassetto del comodino di Lucy - senza dubbio un pezzo d'antiquariato di valore inestimabile, con il piano superiore butterato di bruciature di sigaretta - trovò una barra di Toblerone quasi finita. Altri cioccolatini, questa volta di Bendicks, erano nel secondo cassetto, insieme a una gran quantità di fazzoletti di carta usati e anelli. Eventualmente, Terry avrebbe potuto arrischiarsi a dire che era stata la donna di servizio a rubarli. Il terzo cassetto conteneva un flacone di antidepressivo. Altri flaconi. Stimolanti, tranquillanti. E un libro con molte pagine segnate con un'orecchia e diverse sottolineature, "Poesie complete", di Gerard Manley Hopkins. Il libro aveva una dedica, scarabocchiata in caratteri minuti: "12 luglio 1956. Alla mia cara Lucy con amore, Moses". Il primo impulso di Terry fu di strappare la pagina e ridurla a pezzetti, ma il suo istinto di conservazione lo fermò. C'erano dei limiti. "L'hai presa, vero?" disse Lucy uscendo dalla cucina. "Ti stai solo divertendo a tenermi sulle spine". "Mi dispiace, amore". "Versami qualcosa da bere". "Per piacere". "Io non tirerei troppo la corda, se fossi in te". Così lui andò a prenderle uno scotch. "Bevilo tutto. Brava la mia bambina. E adesso andiamo fuori a cena". "Non posso uscire così. Ho bisogno di qualcosa, subito". "Ta-tà" gridò Terry, facendo uri salto indietro mentre sventolava la busta. "Ta-tà, ta-tà!". "Terry, per piacere". "Voglio andare a Les A.". Teneva lontana Lucy e non mollava la presa sulla busta. "Mi porti a cena a Les A.?". "Sì. Perché no?" disse Lucy, sorprendendolo. "Promesso?". "Sì sì sì". "Benone, allora". Con un dito piegato, Terry tirò a sé il bolero di Lucy e le infilò la busta tra i seni. Poi fece un passo indietro con un sorriso sciocco stampato in faccia, ma si vedeva che aveva paura. Lucy, la fronte imperlata di sudore, si ritirò in bagno. Si afferrò fra due dita la piccola vena sul collo - ormai era sempre quella o la lingua, perché le altre vene erano rovinate - e poi prese la siringa. Quando uscì dal bagno i suoi modi erano imperiosi. "Siediti, Terry". Terry si sedette. "Non sei mai stato l'unico pezzo di carne sul bancone, mio caro. Se mi metto a cercare, credo proprio che non farei fatica a trovare un taglio meno caro e più servizievole". Troia. Ma Terry non lo disse. Sapeva per esperienza che si sarebbe calmata presto, che avrebbe avuto ancor più bisogno di lui, e allora sarebbe stata lei a essere servizievole. Così sorrise, offrendole le sue fossette. "Adesso non accetti più neanche uno scherzo?". "Uno scherzo, sì. Te, no". "Non andiamo a cena a Les A.? L'avevi promesso". "Noi due insieme non andiamo più da nessuna parte". Lucy si placò un po' e aggiunse: "Su, Terry. Lo sapevi benissimo che prima o poi doveva finire". Benone, allora. Okay, cocca.