Capitolo 25
La mattina seguente sono nervosissima mentre siedo nella sala d’attesa dell’ufficio di Jack dopo che la segretaria mi ha avvertito che lui mi sta aspettando. Non riesco a capire se sono agitata perché Stephanie potrebbe presentarsi di nuovo, oppure se sono preoccupata perché dovrò dirgli che sono incinta. Non ho tempo di pensarci a lungo. Jack esce dal suo ufficio e viene verso di me, abbottonandosi la giacca. Sembra slavato, completamente sfinito, ma gli si illumina il volto quando mi vede. Non porta la cravatta oggi – solo una camicia bianca con il colletto aperto, la giacca e i pantaloni. I capelli non sono pettinati elegantemente come l’ultima in cui l’ho incontrato in ufficio. Non c’è da meravigliarsi, a dire il vero. Penso che la giornata di ieri abbia sfiancato entrambi.
Per contro, i miei jeans strappati sono consumati, la maglietta è troppo larga e le infradito sono la cosa meno adatta a un’ipotetica riunione di lavoro.
Jack fa un cenno con la testa alla segretaria. Lei gli rivolge un mezzo sorriso, quasi compassionevole. Ha reso la notizia pubblica? Ha detto alla gente di aver lasciato Stephanie? Inizio ad agitarmi sulla sedia, con i nervi a fior di pelle.
«Signorina Ryan», dice Jack piano, porgendomi la mano.
Accetto la sua offerta. «Signor Joseph», rispondo, mentre lui mi tira leggermente per aiutarmi ad alzarmi, come se percepisse il mio bisogno di aiuto. Avrebbe ragione. Mi sento prosciugata. La scorsa notte non ho chiuso occhio e mi sono tormentata pensando a come dare a Jack la notizia. Dovrei alleviare il suo stress, non aumentarlo. «Grazie». Mi stringe delicatamente la mano prima di lasciarla andare e indicarmi la strada.
«Il mio ufficio è da questa parte», mi dice.
È una cosa stupidissima. Signor Joseph? Signorina Ryan? Il suo ufficio è da quella parte? Sì, lo so, perché mi ha scopato sulla sua scrivania. E inoltre, la sua segretaria non si ricorda di quella volta in cui sono venuta qui per la riunione con la Brawler’s? Mi sento lo sguardo della donna addosso quando le passo davanti. Sembra sospettosa mentre mi guarda interessata da sopra gli occhiali. E io non miglioro affatto la situazione quando arrossisco e tossico, evitando velocemente il suo sguardo.
«Ci sta guardando strano», sussurro mentre camminiamo fianco a fianco verso l’ufficio di Jack. Ci sfioriamo le braccia a ogni passo, e ciò rende il mio fiato ancora più corto. Il contatto fisico fra noi mi ha tolto il fiato fin dal primo incontro. Questo momento non fa eccezione, nonostante le circostanze orribili.
«Non essere paranoica», mi risponde con un sussurro, afferrando la maniglia per aprire la porta. «Dopo di te». Mi fa l’occhiolino, nel tentativo di tranquillizzarmi. Nascondo il sorriso segreto ed entro nell’ufficio, girandomi non appena la porta si chiude alle mie spalle. Mi prende in braccio e mi porta su uno dei divanetti, sedendosi con me in grembo, il più vicino possibile. «Cristo, mi sembra di aver aspettato un’eternità per fare questo». In silenzio dedica un po’ di tempo a darmi dolci baci e a farmi tenere carezze sul viso, coprendomi di premure come se ne avessi bisogno. «Come hai dormito?», mi domanda, prendendomi la faccia e strofinando il naso contro il mio.
«Malissimo», ammetto. «Non riuscivo a smettere di pensare a Stephanie». Jack annuisce, comprensivo. «Era in uno stato orribile».
«Lo so, piccola. È terribile da vedere, ma devo rimanere forte anche se mi fa sembrare spietato. È meglio così, non solo per noi, ma anche per lei. Non può essere felice in questo matrimonio senza amore».
Mi abbandono addosso a lui, desiderando di poter strappare dalla mente ogni pensiero che mi tormenta e rendermi insensibile a tutto. «Mi sento così in colpa», sussurro. Decido qui e ora che domani andrò in chiesa. Non sono religiosa, ma Dio c’è per tutti, no? Non volge le spalle a nessuna anima. Confesserò i miei peccati e pregherò per essere perdonata. Spero che mi perdoni. Odio Stephanie per ciò che ha fatto a Jack, ma mi sento comunque in colpa. Questo pensiero mi irrita e conforta allo stesso tempo.
«Ehi». Jack mi fa alzare la testa, ha un’espressione triste quando vede che sto piangendo. Stringe le labbra e mi passa un dito sotto l’occhio, catturando una lacrima prima che cada. «Piccola, hai pianificato tutto questo?», mi chiede seriamente. «Voglio dire, ti sei svegliata una mattina e hai deciso che saresti andata a un pub e ti saresti innamorata di un uomo sposato?».
Se la mette così… «No».
«Hai ucciso qualcuno?»
«Jack». Sospiro piano. «Questo non sistema le cose».
«Non è quello che voglio dire, Annie. Sto dicendo che non sei una brutta persona. Non sei cattiva o calcolatrice o manipolatrice. Ti sei innamorata. Se fosse un crimine, allora saremmo due innamorati all’inferno».
«Lo fai sembrare così tollerabile».
«Sto cercando di schiarirmi le idee. Tutto qui». Fa una risata leggera sottovoce, ma è piena di una tristezza che sta provando in tutti i modi a nascondere. «Ho lasciato Stephanie perché mi ha reso impossibile amarla. L’ho lasciata perché se fossi rimasto, non sarebbe rimasto nulla di me. L’ho lasciata perché voglio essere felice». Mi dà un leggero pizzicotto sul mento. «Voglio che tu sia felice. Con me».
«Lo so», ammetto, con un piccolo sorriso, che però è triste e teso. «Che succederà ora?»
«Ho una casa vicino Maida Vale. Sarà occupata da affittuari per un altro paio di settimane. Tornerà vuota per la fine del mese. Fino ad allora mi rintanerò in un hotel».
«Potrò vederti?»
«Ti va di venire a vivere da me?», scherza, ricambiando il mio sorriso. Potrebbe rintanarsi in una tenda in uno squallido campeggio per quanto mi riguarda. Nulla mi impedirebbe di stare con lui. Tuttavia, ho la sensazione che ci sia altro nascosto in quella domanda, e devo raccogliere le forze per fargli la mia rivelazione.
«Jack…».
«Ho accettato di incontrarmi con Stephanie questa sera», annuncia, e la notizia che devo dargli mi rimane intrappolata in bocca. «Volevo che lo sapessi perché non pensi che ci sia altro oltre a…».
«Oltre a cosa?». Mi scosto dal suo corpo, maledicendomi per apparire così ovviamente offesa e preoccupata.
«Oltre a una discussione tra adulti che cercano di trovare una soluzione».
«Non avete parlato ieri sera? Quando l’hai chiamata?»
«Ieri sera l’unica cosa importante per me era farla uscire da casa tua».
«Quindi hai accettato di vederla».
«Era l’unico modo. Non posso rimangiarmi la parola, Annie. Ad ogni modo, ha detto che ora è più calma e pensa che una pausa ci farebbe bene».
«Una pausa?», gli domando, e l’idea non mi piace.
Lui fa una scrollata di spalle. «È un attimo di tregua. Avrà tempo di abituarsi all’idea. Non ho intenzione di mandare tutta all’aria negandole mezz’ora del mio tempo se posso ottenere molto di più in cambio. Come riappropriarmi della mia intera vita. Fidati di me. So cosa sto facendo».
È un tranello. Deve esserlo. Ho sentito e visto Stephanie ieri sera. È una donna disperata. Farà di tutto per tenerselo. Il che mi porta a un altro argomento…
All’improvviso mi sento io stessa disperata, ma decido di non rivelare nulla e provo a ragionare. Non posso dirgli che sono incinta adesso. Ha ragione. Devo confidare che farà la cosa che ritiene più giusta, anche se mi fa male lasciarglielo fare. Si trova senza dubbio in una posizione di merda, e io non posso aggiungere altri problemi. Non posso rendergli le cose più difficili. Devo avere pazienza, e devo essere ragionevole. Dopotutto, tornerà da me una volta finito tutto. Avrò il mio lieto fine con l’unico uomo che abbia mai amato. L’unico uomo con cui abbia avuto un legame così profondo, a ogni livello. «Okay», mi sforzo di dire. «Andrò da Lizzy». Non posso rimanere a casa da sola a pensare. Impazzirei.
Lui annuisce. «Come sta, a proposito? E Micky?»
«Pensano che abbia perso la testa». Dico le cose come stanno. «Però ci saranno per me».
«Ne sono contento». Jack mi tira a sé. «Ti amo, Annie». Fa un respiro profondo, stringendomi forte. «Amo la tua passione, la tua mente, amo la tua espressione imbronciata quando bevi mentre pensi. Amo quando sei nervosa e non riesci a stare ferma». Mi bacia sulla nuca, e io sorrido e lo amo per avermi detto tutto questo. «E amo la tua maglietta degli U2, specialmente quando non indossi nulla sotto». Liberandomi dalla sua presa, gli prendo il volto fra le mani, colta dal bisogno disperato di guardarlo. Sorride, e io gli accarezzo la mascella con il pollice mentre continua. «Amo anche il modo in cui ti sistemi i capelli sembrando un ananas. E amo il fatto che alla fine della giornata il mascara ti si sbava leggermente qui». Mi tocca l’angolo della palpebra, sorridendo sotto i baffi. «Amo tutto che c’è da amare di te».
«Io amo il tuo petto», dico stupidamente, abbandonandomi di nuovo al suo calore, nella speranza di nascondermi lì per sempre.
Jack ride piano. «Facciamo passare questa settimana e andiamo a Liverpool. Tre giorni, solo io e te, okay?».
Annuisco e mi accoccolo contro di lui, godendomi questo momento rubato. Gli dirò del bambino durante il fine settimana, quando saremo lontani da Londra, da soli e rilassati.
Ho chiamato Lizzy non appena sono uscita dall’ufficio di Jack. Mi è stata a sentire mentre le raccontavo della notte scorsa e del fatto che Jack si sia accordato con Stephanie per vedersi stasera. Non ho bisogno di chiederle di farmi compagnia. Mi ha detto di andare da lei alle sei quando sarà tornata a casa dal lavoro e mangeremo un curry e guarderemo Titanic – un film che nessuna delle due si stanca mai di vedere, anche dopo la millesima volta.
Mi saluta alla porta con l’abbraccio più grande che mi abbia mai dato. Ne avevo bisogno prima di andare in ufficio da Jack. E adesso, se non mi lasciasse andare per tutta la notte, a me andrebbe bene. Prendo il telefono dalla borsa e glielo porgo. Non devo controllarlo ogni due minuti per vedere se Jack mi ha scritto. Altrimenti sarei venuta qui per niente. Lizzy lo prende e se lo infila nella tasca posteriore dei jeans. Non dice una parola, non mi fa domande né mi incalza: mi accompagna solamente in cucina.
Sorrido, sinceramente felice, quando vedo Nat e Micky intorno al tavolo, intenti a chiacchierare e a ridere. Micky mi fa l’occhiolino e Nat festeggia il mio arrivo. Io guardo Lizzy, chiedendomi se le abbia detto dei miei guai, ma lei si limita a scuotere piano la testa, poi prende una bottiglia di vino dal frigorifero.
Lizzy mi porge un bicchiere, ma quando faccio per prenderlo mi ricordo all’improvviso che dovrei evitare questa roba. «Analcolico», sussurra, per poi andare a riempire i bicchieri degli altri con quello che credo sia vino vero.
Nat fa un brindisi e mi tira giù a sedere accanto a lei. «Hai un aspetto di merda».
«Grazie». Rido, unendomi alla mia amica mentre beve un sorso di vino.
«È vero». Dall’altra parte del tavolo, Micky mi fa l’occhiolino. Io prendo una nocciolina dalla ciotola e gliela tiro in testa, ma lui si sposta e la prende al volo con la bocca, sorridendo. «Brutta giornata al lavoro?»
«Spossante», rispondo stanca. «Però ne varrà la pena alla fine».
«Lo spero», interviene Lizzy, lanciandomi uno sguardo quando si unisce a noi.
«Ho delle notizie entusiasmanti», annuncia Micky, indifferente e molto poco entusiasta.
«Ne sei sicuro?», gli chiedo.
«Sì». Si raddrizza e si schiarisce la gola. «Esco con una tipa».
Cala il silenzio e tutte ci guardiamo come se davanti a noi fosse successa la cosa più strana di sempre. Penserei di non aver sentito bene, ma tutte le altre sembrano stupite quanto me.
«Puoi ripetere?», gli chiede Nat, con la bocca spalancata.
«Esco con una», ripete, facendo ruotare la bottiglia di birra sul tavolo mentre la osserva con il broncio.
Nat scoppia a ridere, seguita da me e Lizzy. È troppo divertente! «Non dire cazzate, Micky», ridacchia Nat.
«Cosa?», domanda lui, offeso.
«Tu?», rido io.
«Ti vedi con una donna?». Lizzy si regge al tavolo.
«La tizia che stai allenando!». Salto in piedi. «Charlie! Lei non te la dà, quindi ti sei abbassato a chiederle di uscire!».
«’Fanculo!», scatta Micky seriamente. «Potrei averla così!». Fa schioccare le dita.
«Oh, mio Dio!». Nat posa il bicchiere sul tavolo per evitare di rovesciarlo perché sta ridendo a crepapelle. «Non posso… è la… tu non… cazzo, è la cosa più divertente che abbia mai sentito!».
La cucina si riempie di risate, tutte noi stese dall’“appuntamento” di Micky. Pensa forse che non lo conosciamo? Per l’amor del cielo! «Micky, mi fai morire!», ululo, afferrando il vino finto e bevendone un sorso con una risata. «Dove la porti?»
«Ah, ecco». Lui si china in avanti. «Volevo parlarvi di questo». La vera ragione per cui ci ha detto di questo appuntamento è improvvisamente chiarissima, e causa un’altra ondata di risate. «Dài, ragazze», si lamenta. «Aiutatemi».
«Non la conosciamo», gli faccio notare. «Le piace l’arte, la cultura, il cibo?»
«Adora quando mi tocco i capelli». Mi guarda speranzoso. Dio, è troppo adorabile.
«Adora quando ti tocchi i capelli?», chiede Nat seriamente. «Magnifico. Portala con te la prossima volta che vai dal barbiere».
Trattengo una risata questa volta, intenerita dal mio amico di una vita. Non può fare a meno di fare l’idiota quando si tratta di uscire con qualche donna. «Hakkasan è sempre un bel posto», gli propongo.
«Davvero?», chiede Micky. «È abbastanza caro, però, vero?». Si ritrae, le mani sollevate per difendersi quando lo guardiamo tutte a bocca aperta.
«Burger King», sospira Nat. «Portala da Burger King. Però so per certo che per dessert non ti danno nulla. Se la porti da Hakkasan, sarà lei a dartela per dessert». Solleva il bicchiere per brindare.
Io ridacchio, e così anche Lizzy, ma Micky alza gli occhi al cielo. Li adoro. Avevo dimenticato quanto. Non mi importa che il mio calice sia pieno di finto vino. Ho i miei amici intorno, ed è esattamente la cosa di cui ho bisogno in questo momento. Li guardo tutti a turno, prendendomi del tempo per pensare a quanto sia fortunata ad averli.
Lizzy ordina cibo indiano, e ci buttiamo tutti in salone per guardare Titanic. Nessuno si oppone, neanche Micky. «Sta’ attento». Nat gli dà un calcio sulla schiena quando lui si siede sul pavimento di fronte a lei. «Potresti prendere qualche appunto sul corteggiamento».
Lui si volta e la guarda con un’espressione stanca. «Tappati la bocca, donna di ghiaccio».
«Ahi!».
«Sshh!», li zittisce Lizzy, puntando il telecomando verso la tv per alzare il volume. «Guardate o fuori dalle palle».
Nat le lancia uno sguardo indignato, ma rimane in silenzio con l’aiuto della mia mano posta sulla sua gamba per calmarla. Nessuno si muove, e gli unici rumori sono i vari sospiri e mormorii mentre ci sistemiamo e guardiamo Kate e Leonardo innamorarsi. Io arrivo fino alla scena in cui lui la ritrae. Dopodiché, il film è solo una macchia sfocata di parole, e le parole di Jack sono chiare come il sole e mi riempiono la testa.
Andrà tutto bene. Fidati di me.
«Annie?». Lizzy mi scuote leggermente, svegliandomi. «Annie, ha chiamato Jack».
È come se mi avesse lanciato una granata. Mi alzo dalla poltrona alla velocità di una saetta. «Dove sono andati gli altri?». Il salotto è vuoto.
«Il film è finito un’ora fa. Non volevo svegliarti. Ho pensato che un po’ di riposo ti avrebbe fatto bene».
Quello che intende dire è che ha pensato che mi avrebbe fatto bene smettere di pensare per un po’. Non posso che ringraziarla, ma ora sono sveglia e la mia mente sta andando allo sbando. «Dov’è il mio telefono?». Le sfreccio davanti mentre lo cerco.
«Sul tavolo!», mi urla dietro mentre entro in cucina.
Lo vedo e lo prendo, digitando il numero di Jack, ma lei me lo toglie di mano prima che possa far partire la chiamata. «Che stai facendo?», le chiedo, provando a riprendermelo.
«Sta venendo qui», mi calma, tenendolo fuori dalla mia portata. «Gli ho dato il mio indirizzo. Dovrebbe arrivare fra qualche minuto».
Non capisco cosa mi sta dicendo finché non sento un colpo leggero. Sussulto ed esco dalla cucina come un’indemoniata, spalancando la porta col fiato corto. Vederlo qui, non importa quanto distrutto – completamente annientato, esausto e prosciugato – ancora una volta riassesta il mio mondo fuori asse. Fa un passo avanti e io mi tuffo fra le sue braccia, premendo la faccia contro il suo collo. Lo stringo così forte che potrei spremere quella poca vita che gli rimane.
«Annie», sospira. Sento i miei piedi staccarsi dal pavimento mentre lui entra, stringendomi a sé con un braccio mentre chiude la porta con la mano libera. Mi rifiuto di lasciarlo andare. Per sempre.
«Vi lascio soli», dice Lizzy. «Sono in camera mia se avete bisogno di qualcosa. Usate pure la cucina».
«Grazie», dice Jack piano, continuando a camminare con me avvinghiata come un rampicante. So che siamo arrivati in cucina perché il suono dei suoi passi cambia sul pavimento diverso, ma rimango aggrappata a lui. «Piccola, siediti». Scuoto la testa e lo sento sospirare mentre mi stringe prima di allontanarmi gentilmente da lui, spostando una sedia per farmi accomodare. Io lo guardo inespressiva girare intorno al tavolo, ed è evidente che fatica a stare in piedi.
«Jack, che cosa è successo?». Non mi piace il suo sconforto. Sta annebbiando il sollievo che provo per la sua presenza.
Sposta la propria sedia e io lo guardo in silenzio mettersi a sedere, con i gomiti immediatamente sul tavolo e la testa sorretta da una mano. «Devo dirti una cosa».
Per tutta risposta, mi irrigidisco. Non voglio fare domande, perché sono sicurissima che odierò qualunque cosa mi dirà. Non mi piace nemmeno la distanza che ha posto intenzionalmente fra di noi. Nella mia testa sto urlando la domanda che mi rifiuto di fare ad alta voce. Che cosa può averlo reso così abbattuto? Forse lei si è di nuovo fatta male? Si è infiltrata nella sua coscienza e ha tirato fuori il senso di colpa?
«È incinta, Annie».
Io sobbalzo, come se qualcosa di punto in bianco mi avesse materialmente colpito. Il cuore comincia a battere dolorosamente.
«È da un po’ che vomita», dice Jack piano. «Ha fatto un test». Chiude gli occhi. «Era positivo». Neanche lui vuole crederci.
«No», sussurro, spingendo la sedia all’indietro mentre la cucina comincia a ruotare. Il battito del mio cuore rallenta ogni secondo che passa, e inizio a non sentire più gli arti. È incinta. Jack sarà sempre legato a lei. E lei farà sempre da sfondo alle nostre vite. Alle nostre vite? Guardo Jack, abbattuto, dall’altra parte del tavolo. Le nostre vite. «Non hai intenzione di lasciarla, non è così?».
La testa pesante di Jack si solleva gradualmente finché gli occhi grigi non incontrano i miei. Sono completamente privi di vita. Sono vuoti. «Non posso lasciare mio figlio, Annie».
Mi si chiude la gola. Mi sento morire lentamente. Sono talmente disperata che vorrei fare la mia confessione, dirgli che anche io sono incinta. Jack, però, continua prima che io possa concentrarmi e pronunciare anche solo una parola. «Non riesco a credere che stia succedendo. Sa che non voglio figli».
L’annuncio che volevo fare mi muore in gola e lì marcisce. Non vuole un figlio. Divento sempre più apatica col passare dei secondi.
«Che situazione di merda». Sbatte un pugno sul tavolo. Di merda. Ha ragione, è così. Tutto quanto. Non voglio che lui rimanga con me solo per pietà come farà con Stephanie. Non voglio scendere al livello di Stephanie e influenzare la sua decisione di rimanere con me. Lo sta manipolando. Questa è solo un’altra forma della sua fottuta manipolazione. Un altro sintomo del suo modo di pensare sconclusionato. Mi rifiuto di costringerlo a stare con me. Non posso fare questo né a Jack né a me stessa. Non lo implorerò. Non mi inginocchierò. Ho già perso la mia integrità. Non posso chiedergli di abbandonare suo figlio – il figlio di Stephanie – più di quanto possa chiedergli di lasciare la moglie per me.
Tutto qui.
Fatto.
Sono da sola.
E all’improvviso sono furiosa. Con lui, per essere stato così dannatamente imprudente, per averle dato l’opportunità di intrappolarlo. «Sei andato a letto con lei». Lo guardo negli occhi.
Il volto di Jack è distrutto. «Non più da mesi, Annie. E prendeva la pillola».
«Allora come?».
Abbassa la testa, imbarazzato, confuso, dispiaciuto. «Ha dimenticato di prendere una pillola ogni tanto. Basta così poco. Deve aver superato i quattro mesi ora, perché è stata quella l’ultima volta che…».
«Non ho bisogno che tu me lo dica, Jack». Non importa di quanti mesi è o come sia accaduto. È accaduto. Niente può cambiarlo. «Vai via».
Mi sto sforzando di non esplodere. Mi sento delusa, e non ho nessun diritto di sentirmi così. E ora sto maledicendo anche me stessa per essere stata così imprudente. «Vattene, Jack». Parlo con calma. Il mio tono è lontano anni luce da come mi sento dentro, tuttavia il mio obiettivo è di abbattere la devastazione. Mi sento come prosciugata. Mi sento vuota.
Jack scuote lievemente la testa. «Annie…». Fa per prendere la mia mano sul tavolo ma io la ritiro, posandola insieme all’altra in grembo con lo sguardo abbassato.
«Non rendere le cose più difficili di quanto non siano già». Mantenere il respiro regolare richiede più forza di quanta ne abbia. «Per favore», aggiungo, chiudendo gli occhi e deglutendo. Questa sarà la sfida della mia vita. Almeno, però, non dovrò passare il resto dei miei giorni con qualcuno che non amo. Almeno il senso di colpa non determinerà il mio futuro. Quello sta a Jack.
Mi alzo dalla sedia, assicurandomi di non guardarlo. Distacco. Chiuditi a riccio, spegniti. È finita. «Dovresti andare».
«Annie, per favore, ascol…».
«Cambierà qualcosa?», gli chiedo, e, mio malgrado, lo guardo. Il suo volto è invaso da pura tristezza e disperazione. Sussulto e distolgo lo sguardo. «Se dovessi ascoltarti, cambierebbe qualcosa?»
«Devo esserci per mio figlio». Pronuncia le parole a denti stretti. «Non posso abbandonarlo».
L’ironia della situazione non mi sfugge. È quello che mi merito. È il karma. C’è un altro bambino, uno di cui lui non sa niente. E di cui non saprà niente. In questo momento, lo odio. Ma odio di più me stessa. «Vattene», pretendo.
«Annie…».
«Vattene!», grido, perdendo la testa. «Vattene via!».
C’è un breve momento di silenzio che precede il rumore della sedia che struscia sul pavimento. «Ti amerò per sempre, Annie».
«Non dirlo», sussurro, non potendo sopportare di stargli vicino un momento di più. «Non ho bisogno di sentirtelo dire». Mi alzo e mi allontano da lui in un vortice di rovina e dolore, con gli occhi pieni di lacrime furiose. Lui mi guarda andare via. Sento il suo sguardo sulla schiena a ogni passo che faccio. Ma non mi guardo indietro. Non lo faccio ora. Non lo farò poi, mai.