Capitolo 25
La mattina seguente
sono nervosissima mentre siedo nella sala d’attesa dell’ufficio di
Jack dopo che la segretaria mi ha avvertito che lui mi sta
aspettando. Non riesco a capire se sono agitata perché Stephanie
potrebbe presentarsi di nuovo, oppure se sono preoccupata perché
dovrò dirgli che sono incinta. Non ho tempo di pensarci a lungo.
Jack esce dal suo ufficio e viene verso di me, abbottonandosi la
giacca. Sembra slavato, completamente sfinito, ma gli si illumina
il volto quando mi vede. Non porta la cravatta oggi – solo una
camicia bianca con il colletto aperto, la giacca e i pantaloni. I
capelli non sono pettinati elegantemente come l’ultima in cui l’ho
incontrato in ufficio. Non c’è da meravigliarsi, a dire il vero.
Penso che la giornata di ieri abbia sfiancato entrambi.
Per contro, i miei jeans
strappati sono consumati, la maglietta è troppo larga e le
infradito sono la cosa meno adatta a un’ipotetica riunione di
lavoro.
Jack fa un cenno con la testa
alla segretaria. Lei gli rivolge un mezzo sorriso, quasi
compassionevole. Ha reso la notizia pubblica? Ha detto alla gente
di aver lasciato Stephanie? Inizio ad agitarmi sulla sedia, con i
nervi a fior di pelle.
«Signorina Ryan», dice Jack
piano, porgendomi la mano.
Accetto la sua offerta.
«Signor Joseph», rispondo, mentre lui mi tira leggermente per
aiutarmi ad alzarmi, come se percepisse il mio bisogno di aiuto.
Avrebbe ragione. Mi sento prosciugata. La scorsa notte non ho
chiuso occhio e mi sono tormentata pensando a come dare a Jack la
notizia. Dovrei alleviare il suo stress, non aumentarlo. «Grazie».
Mi stringe delicatamente la mano prima di lasciarla andare e
indicarmi la strada.
«Il mio ufficio è da questa
parte», mi dice.
È una cosa stupidissima.
Signor Joseph? Signorina Ryan? Il suo ufficio è da quella parte?
Sì, lo so, perché mi ha scopato sulla sua scrivania. E inoltre, la
sua segretaria non si ricorda di quella volta in cui sono venuta
qui per la riunione con la Brawler’s? Mi sento lo sguardo della
donna addosso quando le passo davanti. Sembra sospettosa mentre mi
guarda interessata da sopra gli occhiali. E io non miglioro affatto
la situazione quando arrossisco e tossico, evitando velocemente il
suo sguardo.
«Ci sta guardando strano»,
sussurro mentre camminiamo fianco a fianco verso l’ufficio di Jack.
Ci sfioriamo le braccia a ogni passo, e ciò rende il mio fiato
ancora più corto. Il contatto fisico fra noi mi ha tolto il fiato
fin dal primo incontro. Questo momento non fa eccezione, nonostante
le circostanze orribili.
«Non essere paranoica», mi
risponde con un sussurro, afferrando la maniglia per aprire la
porta. «Dopo di te». Mi fa l’occhiolino, nel tentativo di
tranquillizzarmi. Nascondo il sorriso segreto ed entro
nell’ufficio, girandomi non appena la porta si chiude alle mie
spalle. Mi prende in braccio e mi porta su uno dei divanetti,
sedendosi con me in grembo, il più vicino possibile. «Cristo, mi
sembra di aver aspettato un’eternità per fare questo». In silenzio
dedica un po’ di tempo a darmi dolci baci e a farmi tenere carezze
sul viso, coprendomi di premure come se ne avessi bisogno. «Come
hai dormito?», mi domanda, prendendomi la faccia e strofinando il
naso contro il mio.
«Malissimo», ammetto. «Non
riuscivo a smettere di pensare a Stephanie». Jack annuisce,
comprensivo. «Era in uno stato orribile».
«Lo so, piccola. È terribile
da vedere, ma devo rimanere forte anche se mi fa sembrare spietato.
È meglio così, non solo per noi, ma anche per lei. Non può essere
felice in questo matrimonio senza amore».
Mi abbandono addosso a lui,
desiderando di poter strappare dalla mente ogni pensiero che mi
tormenta e rendermi insensibile a tutto. «Mi sento così in colpa»,
sussurro. Decido qui e ora che domani andrò in chiesa. Non sono
religiosa, ma Dio c’è per tutti, no? Non volge le spalle a nessuna
anima. Confesserò i miei peccati e pregherò per essere perdonata.
Spero che mi perdoni. Odio Stephanie per ciò che ha fatto a Jack,
ma mi sento comunque in colpa. Questo pensiero mi irrita e conforta
allo stesso tempo.
«Ehi». Jack mi fa alzare la
testa, ha un’espressione triste quando vede che sto piangendo.
Stringe le labbra e mi passa un dito sotto l’occhio, catturando una
lacrima prima che cada. «Piccola, hai pianificato tutto questo?»,
mi chiede seriamente. «Voglio dire, ti sei svegliata una mattina e
hai deciso che saresti andata a un pub e ti saresti innamorata di
un uomo sposato?».
Se la mette così… «No».
«Hai ucciso qualcuno?»
«Jack». Sospiro piano.
«Questo non sistema le cose».
«Non è quello che voglio
dire, Annie. Sto dicendo che non sei una brutta persona. Non sei
cattiva o calcolatrice o manipolatrice. Ti sei innamorata. Se fosse
un crimine, allora saremmo due innamorati all’inferno».
«Lo fai sembrare così
tollerabile».
«Sto cercando di schiarirmi
le idee. Tutto qui». Fa una risata leggera sottovoce, ma è piena di
una tristezza che sta provando in tutti i modi a nascondere. «Ho
lasciato Stephanie perché mi ha reso impossibile amarla. L’ho
lasciata perché se fossi rimasto, non sarebbe rimasto nulla di me.
L’ho lasciata perché voglio essere felice». Mi dà un leggero
pizzicotto sul mento. «Voglio che tu
sia felice. Con me».
«Lo so», ammetto, con un
piccolo sorriso, che però è triste e teso. «Che succederà
ora?»
«Ho una casa vicino Maida
Vale. Sarà occupata da affittuari per un altro paio di settimane.
Tornerà vuota per la fine del mese. Fino ad allora mi rintanerò in
un hotel».
«Potrò vederti?»
«Ti va di venire a vivere da
me?», scherza, ricambiando il mio sorriso. Potrebbe rintanarsi in
una tenda in uno squallido campeggio per quanto mi riguarda.
Nulla mi impedirebbe di stare con lui.
Tuttavia, ho la sensazione che ci sia altro nascosto in quella
domanda, e devo raccogliere le forze per fargli la mia
rivelazione.
«Jack…».
«Ho accettato di incontrarmi
con Stephanie questa sera», annuncia, e la notizia che devo dargli
mi rimane intrappolata in bocca. «Volevo che lo sapessi perché non
pensi che ci sia altro oltre a…».
«Oltre a cosa?». Mi scosto
dal suo corpo, maledicendomi per apparire così ovviamente offesa e
preoccupata.
«Oltre a una discussione tra
adulti che cercano di trovare una soluzione».
«Non avete parlato ieri sera?
Quando l’hai chiamata?»
«Ieri sera l’unica cosa
importante per me era farla uscire da casa tua».
«Quindi hai accettato di
vederla».
«Era l’unico modo. Non posso
rimangiarmi la parola, Annie. Ad ogni modo, ha detto che ora è più
calma e pensa che una pausa ci farebbe bene».
«Una pausa?», gli domando, e
l’idea non mi piace.
Lui fa una scrollata di
spalle. «È un attimo di tregua. Avrà tempo di abituarsi all’idea.
Non ho intenzione di mandare tutta all’aria negandole mezz’ora del
mio tempo se posso ottenere molto di più in cambio. Come
riappropriarmi della mia intera vita. Fidati di me. So cosa sto
facendo».
È un tranello. Deve esserlo.
Ho sentito e visto Stephanie ieri sera. È una donna disperata. Farà
di tutto per tenerselo. Il che mi porta a un altro argomento…
All’improvviso mi sento io
stessa disperata, ma decido di non rivelare nulla e provo a
ragionare. Non posso dirgli che sono incinta adesso. Ha ragione.
Devo confidare che farà la cosa che ritiene più giusta, anche se mi
fa male lasciarglielo fare. Si trova senza dubbio in una posizione
di merda, e io non posso aggiungere altri problemi. Non posso
rendergli le cose più difficili. Devo avere pazienza, e devo essere
ragionevole. Dopotutto, tornerà da me una volta finito tutto. Avrò
il mio lieto fine con l’unico uomo che abbia mai amato. L’unico
uomo con cui abbia avuto un legame così profondo, a ogni livello.
«Okay», mi sforzo di dire. «Andrò da Lizzy». Non posso rimanere a
casa da sola a pensare. Impazzirei.
Lui annuisce. «Come sta, a
proposito? E Micky?»
«Pensano che abbia perso la
testa». Dico le cose come stanno. «Però ci saranno per me».
«Ne sono contento». Jack mi
tira a sé. «Ti amo, Annie». Fa un respiro profondo, stringendomi
forte. «Amo la tua passione, la tua mente, amo la tua espressione
imbronciata quando bevi mentre pensi. Amo quando sei nervosa e non
riesci a stare ferma». Mi bacia sulla nuca, e io sorrido e lo amo
per avermi detto tutto questo. «E amo la tua maglietta degli U2,
specialmente quando non indossi nulla sotto». Liberandomi dalla sua
presa, gli prendo il volto fra le mani, colta dal bisogno disperato
di guardarlo. Sorride, e io gli accarezzo la mascella con il
pollice mentre continua. «Amo anche il modo in cui ti sistemi i
capelli sembrando un ananas. E amo il fatto che alla fine della
giornata il mascara ti si sbava leggermente qui». Mi tocca l’angolo
della palpebra, sorridendo sotto i baffi. «Amo tutto che c’è da
amare di te».
«Io amo il tuo petto», dico
stupidamente, abbandonandomi di nuovo al suo calore, nella speranza
di nascondermi lì per sempre.
Jack ride piano. «Facciamo
passare questa settimana e andiamo a Liverpool. Tre giorni, solo io
e te, okay?».
Annuisco e mi accoccolo
contro di lui, godendomi questo momento rubato. Gli dirò del
bambino durante il fine settimana, quando saremo lontani da Londra,
da soli e rilassati.
Ho chiamato Lizzy non appena
sono uscita dall’ufficio di Jack. Mi è stata a sentire mentre le
raccontavo della notte scorsa e del fatto che Jack si sia accordato
con Stephanie per vedersi stasera. Non ho bisogno di chiederle di
farmi compagnia. Mi ha detto di andare da lei alle sei quando sarà
tornata a casa dal lavoro e mangeremo un curry e guarderemo
Titanic – un film che nessuna delle
due si stanca mai di vedere, anche dopo la millesima volta.
Mi saluta alla porta con
l’abbraccio più grande che mi abbia mai dato. Ne avevo bisogno
prima di andare in ufficio da Jack. E adesso, se non mi lasciasse
andare per tutta la notte, a me andrebbe bene. Prendo il telefono
dalla borsa e glielo porgo. Non devo controllarlo ogni due minuti
per vedere se Jack mi ha scritto. Altrimenti sarei venuta qui per
niente. Lizzy lo prende e se lo infila nella tasca posteriore dei
jeans. Non dice una parola, non mi fa domande né mi incalza: mi
accompagna solamente in cucina.
Sorrido, sinceramente felice,
quando vedo Nat e Micky intorno al tavolo, intenti a chiacchierare
e a ridere. Micky mi fa l’occhiolino e Nat festeggia il mio arrivo.
Io guardo Lizzy, chiedendomi se le abbia detto dei miei guai, ma
lei si limita a scuotere piano la testa, poi prende una bottiglia
di vino dal frigorifero.
Lizzy mi porge un bicchiere,
ma quando faccio per prenderlo mi ricordo all’improvviso che dovrei
evitare questa roba. «Analcolico», sussurra, per poi andare a
riempire i bicchieri degli altri con quello che credo sia vino
vero.
Nat fa un brindisi e mi tira
giù a sedere accanto a lei. «Hai un aspetto di merda».
«Grazie». Rido, unendomi alla
mia amica mentre beve un sorso di vino.
«È vero». Dall’altra parte
del tavolo, Micky mi fa l’occhiolino. Io prendo una nocciolina
dalla ciotola e gliela tiro in testa, ma lui si sposta e la prende
al volo con la bocca, sorridendo. «Brutta giornata al
lavoro?»
«Spossante», rispondo stanca.
«Però ne varrà la pena alla fine».
«Lo spero», interviene Lizzy,
lanciandomi uno sguardo quando si unisce a noi.
«Ho delle notizie
entusiasmanti», annuncia Micky, indifferente e molto poco entusiasta.
«Ne sei sicuro?», gli
chiedo.
«Sì». Si raddrizza e si
schiarisce la gola. «Esco con una tipa».
Cala il silenzio e tutte ci
guardiamo come se davanti a noi fosse successa la cosa più strana
di sempre. Penserei di non aver sentito bene, ma tutte le altre
sembrano stupite quanto me.
«Puoi ripetere?», gli chiede
Nat, con la bocca spalancata.
«Esco con una», ripete,
facendo ruotare la bottiglia di birra sul tavolo mentre la osserva
con il broncio.
Nat scoppia a ridere, seguita
da me e Lizzy. È troppo divertente! «Non dire cazzate, Micky»,
ridacchia Nat.
«Cosa?», domanda lui,
offeso.
«Tu?», rido io.
«Ti vedi con una donna?».
Lizzy si regge al tavolo.
«La tizia che stai
allenando!». Salto in piedi. «Charlie! Lei non te la dà, quindi ti
sei abbassato a chiederle di
uscire!».
«’Fanculo!», scatta Micky
seriamente. «Potrei averla così!». Fa schioccare le dita.
«Oh, mio Dio!». Nat posa il
bicchiere sul tavolo per evitare di rovesciarlo perché sta ridendo
a crepapelle. «Non posso… è la… tu non… cazzo, è la cosa più
divertente che abbia mai sentito!».
La cucina si riempie di
risate, tutte noi stese dall’“appuntamento” di Micky. Pensa forse
che non lo conosciamo? Per l’amor del cielo! «Micky, mi fai
morire!», ululo, afferrando il vino finto e bevendone un sorso con
una risata. «Dove la porti?»
«Ah, ecco». Lui si china in
avanti. «Volevo parlarvi di questo». La vera ragione per cui ci ha
detto di questo appuntamento è improvvisamente chiarissima, e causa
un’altra ondata di risate. «Dài, ragazze», si lamenta.
«Aiutatemi».
«Non la conosciamo», gli
faccio notare. «Le piace l’arte, la cultura, il cibo?»
«Adora quando mi tocco i
capelli». Mi guarda speranzoso. Dio, è troppo adorabile.
«Adora quando ti tocchi i
capelli?», chiede Nat seriamente. «Magnifico. Portala con te la
prossima volta che vai dal barbiere».
Trattengo una risata questa
volta, intenerita dal mio amico di una vita. Non può fare a meno di
fare l’idiota quando si tratta di uscire con qualche donna.
«Hakkasan è sempre un bel posto», gli propongo.
«Davvero?», chiede Micky. «È
abbastanza caro, però, vero?». Si ritrae, le mani sollevate per
difendersi quando lo guardiamo tutte a bocca aperta.
«Burger King», sospira Nat.
«Portala da Burger King. Però so per certo che per dessert non ti danno nulla. Se la
porti da Hakkasan, sarà lei a dartela per dessert». Solleva il
bicchiere per brindare.
Io ridacchio, e così anche
Lizzy, ma Micky alza gli occhi al cielo. Li adoro. Avevo
dimenticato quanto. Non mi importa che il mio calice sia pieno di
finto vino. Ho i miei amici intorno, ed è esattamente la cosa di
cui ho bisogno in questo momento. Li guardo tutti a turno,
prendendomi del tempo per pensare a quanto sia fortunata ad
averli.
Lizzy ordina cibo indiano, e
ci buttiamo tutti in salone per guardare Titanic. Nessuno si oppone, neanche Micky. «Sta’
attento». Nat gli dà un calcio sulla schiena quando lui si siede
sul pavimento di fronte a lei. «Potresti prendere qualche appunto
sul corteggiamento».
Lui si volta e la guarda con
un’espressione stanca. «Tappati la bocca, donna di ghiaccio».
«Ahi!».
«Sshh!», li zittisce Lizzy,
puntando il telecomando verso la tv
per alzare il volume. «Guardate o fuori dalle palle».
Nat le lancia uno sguardo
indignato, ma rimane in silenzio con l’aiuto della mia mano posta
sulla sua gamba per calmarla. Nessuno si muove, e gli unici rumori
sono i vari sospiri e mormorii mentre ci sistemiamo e guardiamo
Kate e Leonardo innamorarsi. Io arrivo fino alla scena in cui lui
la ritrae. Dopodiché, il film è solo una macchia sfocata di parole,
e le parole di Jack sono chiare come il sole e mi riempiono la
testa.
Andrà tutto bene. Fidati di
me.
«Annie?». Lizzy mi scuote
leggermente, svegliandomi. «Annie, ha chiamato Jack».
È come se mi avesse lanciato
una granata. Mi alzo dalla poltrona alla velocità di una saetta.
«Dove sono andati gli altri?». Il salotto è vuoto.
«Il film è finito un’ora fa.
Non volevo svegliarti. Ho pensato che un po’ di riposo ti avrebbe
fatto bene».
Quello che intende dire è che
ha pensato che mi avrebbe fatto bene smettere di pensare per un
po’. Non posso che ringraziarla, ma ora sono sveglia e la mia mente
sta andando allo sbando. «Dov’è il mio telefono?». Le sfreccio
davanti mentre lo cerco.
«Sul tavolo!», mi urla dietro
mentre entro in cucina.
Lo vedo e lo prendo,
digitando il numero di Jack, ma lei me lo toglie di mano prima che
possa far partire la chiamata. «Che stai facendo?», le chiedo,
provando a riprendermelo.
«Sta venendo qui», mi calma,
tenendolo fuori dalla mia portata. «Gli ho dato il mio indirizzo.
Dovrebbe arrivare fra qualche minuto».
Non capisco cosa mi sta
dicendo finché non sento un colpo leggero. Sussulto ed esco dalla
cucina come un’indemoniata, spalancando la porta col fiato corto.
Vederlo qui, non importa quanto distrutto – completamente
annientato, esausto e prosciugato – ancora una volta riassesta il
mio mondo fuori asse. Fa un passo avanti e io mi tuffo fra le sue
braccia, premendo la faccia contro il suo collo. Lo stringo così
forte che potrei spremere quella poca vita che gli rimane.
«Annie», sospira. Sento i
miei piedi staccarsi dal pavimento mentre lui entra, stringendomi a
sé con un braccio mentre chiude la porta con la mano libera. Mi
rifiuto di lasciarlo andare. Per sempre.
«Vi lascio soli», dice Lizzy.
«Sono in camera mia se avete bisogno di qualcosa. Usate pure la
cucina».
«Grazie», dice Jack piano,
continuando a camminare con me avvinghiata come un rampicante. So
che siamo arrivati in cucina perché il suono dei suoi passi cambia
sul pavimento diverso, ma rimango aggrappata a lui. «Piccola,
siediti». Scuoto la testa e lo sento sospirare mentre mi stringe
prima di allontanarmi gentilmente da lui, spostando una sedia per
farmi accomodare. Io lo guardo inespressiva girare intorno al
tavolo, ed è evidente che fatica a stare in piedi.
«Jack, che cosa è successo?».
Non mi piace il suo sconforto. Sta annebbiando il sollievo che
provo per la sua presenza.
Sposta la propria sedia e io
lo guardo in silenzio mettersi a sedere, con i gomiti
immediatamente sul tavolo e la testa sorretta da una mano. «Devo
dirti una cosa».
Per tutta risposta, mi
irrigidisco. Non voglio fare domande, perché sono sicurissima che
odierò qualunque cosa mi dirà. Non mi piace nemmeno la distanza che
ha posto intenzionalmente fra di noi. Nella mia testa sto urlando
la domanda che mi rifiuto di fare ad alta voce. Che cosa può averlo
reso così abbattuto? Forse lei si è di nuovo fatta male? Si è
infiltrata nella sua coscienza e ha tirato fuori il senso di
colpa?
«È incinta, Annie».
Io sobbalzo, come se qualcosa
di punto in bianco mi avesse materialmente colpito. Il cuore
comincia a battere dolorosamente.
«È da un po’ che vomita»,
dice Jack piano. «Ha fatto un test». Chiude gli occhi. «Era
positivo». Neanche lui vuole crederci.
«No», sussurro, spingendo la
sedia all’indietro mentre la cucina comincia a ruotare. Il battito
del mio cuore rallenta ogni secondo che passa, e inizio a non
sentire più gli arti. È incinta. Jack sarà sempre legato a lei. E
lei farà sempre da sfondo alle nostre vite. Alle nostre vite?
Guardo Jack, abbattuto, dall’altra parte del tavolo. Le nostre
vite. «Non hai intenzione di lasciarla, non è così?».
La testa pesante di Jack si
solleva gradualmente finché gli occhi grigi non incontrano i miei.
Sono completamente privi di vita. Sono vuoti. «Non posso lasciare
mio figlio, Annie».
Mi si chiude la gola. Mi
sento morire lentamente. Sono talmente disperata che vorrei fare la
mia confessione, dirgli che anche io sono incinta. Jack, però,
continua prima che io possa concentrarmi e pronunciare anche solo
una parola. «Non riesco a credere che stia succedendo. Sa che non
voglio figli».
L’annuncio che volevo fare mi
muore in gola e lì marcisce. Non vuole un figlio. Divento sempre
più apatica col passare dei secondi.
«Che situazione di merda».
Sbatte un pugno sul tavolo. Di merda. Ha ragione, è così. Tutto
quanto. Non voglio che lui rimanga con me solo per pietà come farà
con Stephanie. Non voglio scendere al livello di Stephanie e
influenzare la sua decisione di rimanere con me. Lo sta
manipolando. Questa è solo un’altra forma della sua fottuta
manipolazione. Un altro sintomo del suo modo di pensare
sconclusionato. Mi rifiuto di costringerlo a stare con me. Non
posso fare questo né a Jack né a me stessa. Non lo implorerò. Non
mi inginocchierò. Ho già perso la mia integrità. Non posso
chiedergli di abbandonare suo figlio – il figlio di Stephanie – più
di quanto possa chiedergli di lasciare la moglie per me.
Tutto qui.
Fatto.
Sono da sola.
E all’improvviso sono
furiosa. Con lui, per essere stato così dannatamente imprudente,
per averle dato l’opportunità di intrappolarlo. «Sei andato a letto
con lei». Lo guardo negli occhi.
Il volto di Jack è distrutto.
«Non più da mesi, Annie. E prendeva la pillola».
«Allora come?».
Abbassa la testa,
imbarazzato, confuso, dispiaciuto. «Ha dimenticato di prendere una
pillola ogni tanto. Basta così poco. Deve aver superato i quattro
mesi ora, perché è stata quella l’ultima volta che…».
«Non ho bisogno che tu me lo
dica, Jack». Non importa di quanti mesi è o come sia accaduto. È
accaduto. Niente può cambiarlo. «Vai via».
Mi sto sforzando di non
esplodere. Mi sento delusa, e non ho nessun diritto di sentirmi
così. E ora sto maledicendo anche me stessa per essere stata così
imprudente. «Vattene, Jack». Parlo con calma. Il mio tono è lontano
anni luce da come mi sento dentro, tuttavia il mio obiettivo è di
abbattere la devastazione. Mi sento come prosciugata. Mi sento
vuota.
Jack scuote lievemente la
testa. «Annie…». Fa per prendere la mia mano sul tavolo ma io la
ritiro, posandola insieme all’altra in grembo con lo sguardo
abbassato.
«Non rendere le cose più
difficili di quanto non siano già». Mantenere il respiro regolare
richiede più forza di quanta ne abbia. «Per favore», aggiungo,
chiudendo gli occhi e deglutendo. Questa sarà la sfida della mia
vita. Almeno, però, non dovrò passare il resto dei miei giorni con
qualcuno che non amo. Almeno il senso di colpa non determinerà il
mio futuro. Quello sta a Jack.
Mi alzo dalla sedia,
assicurandomi di non guardarlo. Distacco.
Chiuditi a riccio, spegniti. È finita. «Dovresti
andare».
«Annie, per favore,
ascol…».
«Cambierà qualcosa?», gli
chiedo, e, mio malgrado, lo guardo. Il suo volto è invaso da pura
tristezza e disperazione. Sussulto e distolgo lo sguardo. «Se
dovessi ascoltarti, cambierebbe qualcosa?»
«Devo esserci per mio
figlio». Pronuncia le parole a denti stretti. «Non posso
abbandonarlo».
L’ironia della situazione non
mi sfugge. È quello che mi merito. È il karma. C’è un altro
bambino, uno di cui lui non sa niente. E di cui non saprà niente.
In questo momento, lo odio. Ma odio di più me stessa. «Vattene»,
pretendo.
«Annie…».
«Vattene!», grido, perdendo
la testa. «Vattene via!».
C’è un breve momento di
silenzio che precede il rumore della sedia che struscia sul
pavimento. «Ti amerò per sempre, Annie».
«Non dirlo», sussurro, non
potendo sopportare di stargli vicino un momento di più. «Non ho
bisogno di sentirtelo dire». Mi alzo e mi allontano da lui in un
vortice di rovina e dolore, con gli occhi pieni di lacrime furiose.
Lui mi guarda andare via. Sento il suo sguardo sulla schiena a ogni
passo che faccio. Ma non mi guardo indietro. Non lo faccio ora. Non
lo farò poi, mai.