Capitolo 17
Igiorni che precedono l’inaugurazione della galleria di Colin scorrono in modo sorprendentemente veloce, grazie al cielo; passo gran parte delle mie giornate alla galleria a supervisionare l’installazione del tetto e a farlo approvare dal controllo edilizio. È il caos là fuori, con gli arredatori e i giardinieri che lavorano anche di notte per portare tutto a termine. È lo sprint finale, in cui tutti sono all’opera, ma riusciamo a cavarcela giusto in tempo.
Mi fermo al Tesco Express in fondo alla mia via per prendere una bottiglia di vino, organizzando la mia serata mentre il cassiere batte lo scontrino. Un bel bagno caldo. Un bicchiere di vino mentre mi preparo. Ho prenotato un taxi per le otto, perciò ho due ore a disposizione per fare tutto con calma prima di tornare alla galleria per festeggiarne l’apertura. Infilando la bottiglia di vino nella borsa enorme, insieme a uno spumante per Colin, pago e mi incammino, rovistando nella borsa per cercare le chiavi quando arrivo di fronte alla porta di casa.
«Ehi, Annie!».
Aggrotto la fronte e stringo forte le chiavi. Riconosco quella voce. Non vorrei riconoscerla, e per un istante spero di averla immaginata, ma quando guardo lentamente oltre la spalla, la speranza muore. Tendo i muscoli, e il braccialetto che Jack mi ha regalato mi brucia attorno al polso. Guardo in basso, preoccupata, per controllare che la manica dell’impermeabile lo copra.
«Ciao, Stephanie», dico, tirando via la chiave dalla serratura dopo aver aperto la porta, in modo tale da avere una via di fuga una volta finiti i convenevoli. Che diavolo ci fa qui? Nello specifico, fuori da casa mia? Sono consumata dal panico mentre mi volto lentamente, provando a togliere ogni traccia di colpa dalla mia espressione. È immacolata come sempre, le labbra rosso sangue come le unghie lunghe. Quelle cazzo di unghie. Vorrei tagliargliele con una sega.
«Ho parcheggiato poco più giù», dice, indicando in fondo alla via. «La lavanderia di Jack è sulla strada principale, e parcheggiare lì è un inferno». Solleva un porta abiti. «Ero sicura fossi tu».
Faccio un sorriso teso. «Come stai?», le domando, con la mente nel caos.
«Oh, bene. Sbrigo qualche faccenda. A Jack servivano i vestiti per una cosa di lavoro a cui andrà stasera». Alza gli occhi al cielo, e io sorrido solamente, sentendomi un cervo abbagliato dai fari. «Tu hai piani?»
«Solo una bevuta con degli amici», dico d’impulso, iniziando a sudare. Merda, sa che stasera ci sarà l’inaugurazione della galleria di Colin? Avrei dovuto dirle che parteciperò. Perché non gliel’ho detto?
«Non ubriacarti troppo!». Ride isterica. «Io dovrò aspettare domani per rilassarmi un po’. Jack e io usciamo a cena e andiamo a bere qualcosa».
«Fantastico. Spero che passiate una piacevole serata». Mento spudoratamente, beninteso. A dir la verità spero che abbiano una brutta lite e che Stephanie si renda conto che da parte di Jack non c’è amore. E che sia lei a lasciarlo. Problema risolto.
«Oh, senza dubbio». Si sistema la borsa in spalla. «Ehi, dobbiamo andare a pranzo insieme qualche volta!», esclama. «Che ne dici della settimana prossima?».
Faccio un sorriso forzato, allarmata. Ma che cazzo…? «Certamente», mormoro, mentre entro in casa. «Mi farebbe piacere».
«Benissimo». Si incammina lungo la via, salutandomi con una mano. «Mi ha fatto piacere vederti, Annie!».
«Altrettanto», rispondo, poi chiudo la porta e mi ci accascio contro, completamente esausta. Cazzo, ho bisogno di bere qualcosa. Era così dannatamente contenta, e la parte irrazionale del mio cervello si chiede se lei e Jack stiano andando d’accordo all’improvviso. Non posso pensarci. Corro in cucina per versarmi un bicchiere di vino mentre digito il numero di Lizzy, perché ho bisogno di parlare con un’amica per distogliere la mente da… tutto questo, anche se quell’amica non ha la minima idea di cosa stia accadendo nella mia vita. Una distrazione. «Ehi».
«Bonjour!», risponde lei. «Comment allez-vous?»
«Perché parli in francese?»
«Perché oggi ho avuto un cliente francese e, ooh la la, era qualcosa di stupendo».
«Ooh, francese, eh?». Bevo un sorso di vino mentre entro in bagno per aprire l’acqua nella vasca.
«Un figo pazzesco».
«Hai reso nota la tua attrazione?»
«È sposato. Zona vietata».
Mando giù il vino sonoramente, ringraziando il cielo che questa conversazione con Lizzy non sia faccia a faccia. Devo essere diventata paonazza e sprigiono rimorso da tutti i pori. Poso il vino sul bordo della vasca e apro i rubinetti. «Che peccato».
«Non per sua moglie». Ride, e anch’io mi sforzo di imitarla. Giuro che il telefono si sta surriscaldando come me. Mi brucia l’orecchio.
«Ehi, hai più visto il tuo nuovo uomo?», domando. A quanto pare, il loro primo appuntamento è andato bene, e ci sono stati altri due incontri da allora, sebbene stia facendo la vaga riguardo ai dettagli.
«Te lo racconto stasera».
«Potrei non farcela stasera. Ho l’apertura della galleria, ricordi? Dimmelo ora. Non mi hai neanche detto come si chiama».
«Non puoi venire via prima?»
«Non voglio essere scortese, Lizzy». Verso un po’ di sapone nella vasca, spingendo via il senso di colpa per averle mentito. Mentire. Sto diventando troppo brava, e non è una qualità di cui vado fiera. «Se posso, ti chiamo».
«Okay», cede lei con un sospiro lungo. «Divertiti stasera all’apertura della tua galleria di lusso».
«Sarà fatto», confermo, la colpa ora spodestata dall’euforia. Potrò passare un po’ di tempo con Jack dopo l’inaugurazione. Devo solo resistere mentre siamo nella galleria. Ma una volta fuori, le cose si faranno serie. E più scottanti.
Chiudo la chiamata, poso il cellulare e inizio a spogliarmi, aggrottando la fronte quando mi rendo conto che Lizzy ha ignorato la mia domanda sul nome del suo nuovo uomo. Mi faccio un promemoria mentale per chiamarla domani e farmelo dire.
Mi immergo nell’acqua ma non riesco a mettermi comoda. La durezza della vasca contro la schiena quando mi sdraio mi dà fastidio. Mi sposto di qua e di là, in cerca di una posizione comoda, chiedendomi che sta succedendo. Quando uno dei diamanti sul braccialetto cattura la luce di un faretto sopra di me e brilla luminoso, capisco cosa c’è che non va. Sospiro, toccando i ciondoli sovrappensiero, mentre mi muovo e mi dimeno nella vasca. Non va bene. Non c’è Jack su cui posso appoggiarmi. I bagni non saranno mai più gli stessi. Rinuncio al bagno rilassante e mi faccio una doccia.
Sono in piedi in fondo al vialetto che porta alla nuova galleria di Colin a fissare la mia nuova creazione, e mi sento immensamente orgogliosa. È praticamente perfetta, e sebbene sia nuova di zecca dopo il restauro, non risalta all’occhio come le autorità locali avevano temuto in diverse occasioni.
Risalgo il vialetto, armata di una bottiglia di spumante, ed entro nella porta aperta. L’imponente atrio è pieno di opere d’arte in mostra.
«Annie!». Colin appare e mi stringe mentre rido.
«Ciao!». Lascio che mi abbracci prima di dargli lo champagne.
«Non avresti dovuto». Mi trascina verso l’immensa parte ampliata sul retro. «Guardalo», dice estasiato, alzando lo sguardo verso il tetto. «Non è la cosa più spettacolare che abbia mai visto?»
«È magnifico», ammetto, assorbendone la vista per qualche momento prima di spostare lo sguardo sulle persone presenti riunite in piccoli gruppi; alcune ammirano le opere, alcune l’edificio, e altre scambiano due chiacchiere bevendo le bollicine. Non vedo Jack, ma noto Richard. Anche lui mi vede e solleva il bicchiere.
«Tieni». Colin prende un calice dal vassoio di un cameriere di passaggio e me lo mette in mano. «Bevi, socializza, e ascolta mentre tutti cantiamo le tue lodi». Indica lo spazio esterno attraverso le doppie porte a soffietto. «Ci sono tantissime persone in attesa di incontrare la donna che ha progettato la nuova casa dei miei capolavori».
Arrossisco un po’, uscendo nel giardino minimalista, dove gruppi di persone sono raccolte a bere e a chiacchierare. Ma ancora niente Jack. Vedo tre delle teche di vetro da lui proposte, appese orgogliose al muro di mattoni, contenenti tre straordinarie opere di Colin. «Hai fame?», mi chiede lui, indicando un tavolo enorme da buffet. «Serviti pure».
«Grazie, Colin». Ignoro il cibo a favore dello champagne. «Prenderò qualcosa fra un po’».
«Come desideri». Colin mi porta verso un gruppo di persone in piedi intorno a un tavolo alto.
«Salve», dico, stringendo a tutti la mano.
«Annie, questo è Rick». Colin mi presenta un uomo tarchiato con i capelli grigi e dei baffi impressionanti. «So che in teoria stasera non si lavora, ma vorrebbe parlarti di una proprietà che pensa di comprare».
Rick mi fa un sorriso luminoso. «Annie, piacere di conoscerla». Ha una stretta forte; i salsicciotti che ha al posto delle dita mi avvolgono completamente la mano.
«Piacere, Rick. Mi dica di questa proprietà».
«È un edificio storico. Protetto». Per poco non brontola, chiaramente poco entusiasta. «Nei pressi di Grosvenor Square. Cosa potrei farci?».
Rido. «Non molto. È fatiscente?»
«Del tutto».
«Degli interventi di restauro sarebbero opportuni, ma l’English Heritage terrà tutto sott’occhio come un falco. Darà le specifiche dei materiali, non permetterà alcuna demolizione, e bisognerà affidarsi ad artigiani specializzati».
«Che cosa intende?», domanda Rick, con l’aria piuttosto contrariata.
«Intendo dire che le costerà un occhio della testa. Tuttavia potrebbe beneficiare di una sovvenzione da parte dell’English Heritage che allevierebbe il fardello delle enormi spese. Vale la pena indagare».
Lui ride a gran voce, bevendo un sorso di scotch. «Forse ci ripenserò. Sembra stressante. Allora, mi dica, dove ha preso l’ispirazione per questo posto?». Indica il giardino e il tetto. Devo dire che è dannatamente stupendo, proprio come speravo.
Sorrido e mi lascio trasportare dalla conversazione sul lavoro. È una tregua gradita dalla mia mente troppo indaffarata. Dov’è Jack?
Richard mi viene incontro quando sono dentro a rifocillarmi, e io indico i suoi vestiti. «È un bel cambiamento», dico, sorridendo alla sua giacca e cravatta.
Lui ride e prende un altro bicchiere. «È stato un lavoro faticoso, ma ne è valsa la pena, e credo che tu sia d’accordo». Guarda il tetto, e io lo imito.
«È stato il progetto migliore e peggiore che abbia mai fatto». Questo tetto mi ha causato più stress di molti altri lavori nel loro complesso.
«Jack si fidava di te», riflette lui, tornando a fissarmi.
Bevo lo spumante, senza sapere cosa dovrei rispondere. Perciò sorrido goffamente, guardandomi intorno nella sala. «Non è qui?». Provo a sembrare disinvolta, ma so che non ci sono riuscita quando Richard scuote leggermente la testa.
«È stato trattenuto», risponde piano.
Io lo guardo, sforzandomi di rimanere calma. Trattenuto? Non mi piace la consapevolezza nell’espressione di Richard. È come se stesse cercando di dirmi qualcosa senza però farlo ad alta voce. Perché è stato trattenuto? Che cosa è successo? Contemplo l’idea di correre al bagno per inviargli un messaggio o un’email, ma so che sarebbe da stupidi. Stephanie sembrava allegra oggi durante quel terribile incontro. Quella, però, è la facciata che mostra al mondo. So che a porte chiuse non è tutto così perfetto.
Improvvisamente agitata, svuoto il bicchiere con un solo sorso e ne afferro un altro. «Spero che riesca a venire», mormoro debolmente, facendo un passo indietro. «Scusami, devo andare in bagno». Mi giro ma non faccio un passo. Le mani iniziano subito a tremarmi. Ho gli occhi fissi sull’ingresso della galleria, dove si trova Jack.
Con la moglie.
«Annie!», intona Stephanie, contenta di vedermi, come se fossi la sua migliore amica. Prende un bicchiere di vino dal cameriere e se lo svuota subito in gola prima di prenderne un altro. «Non mi avevi detto che saresti uscita con le tue amiche?». Mi raggiunge e mi stampa un bacio sulla guancia, e mi si accappona letteralmente la pelle.
Rischio uno sguardo veloce verso Jack. Ha un’espressione seria, senza il luccichio negli occhi.
«Non rimarrò a lungo», mormoro. «Le incontro in centro fra poco». La serata che ho atteso con ansia per tutta la settimana svanisce davanti ai miei occhi. Sono completamente devastata.
«Che bello». Stephanie mi lascia andare e si rivolge a Richard, il quale guarda Jack con tutta la preoccupazione che merita. «Ciao, Richard».
«Stephanie», la saluta lui con un cenno della testa, sorridendo teso. «Sei bellissima come sempre».
Lei gli mette una mano sul petto, sporgendo le labbra rosse. «Sei troppo gentile».
Sì, è vero. È un disastro, vestita di tutto punto, il corpo avvolto in un vestito lungo di seta adatto per andare all’opera, non all’inaugurazione di una galleria. Jack si avvicina, deglutendo sonoramente. «Annie». Mi fa un cenno formale con il capo e sorride leggermente a Richard, prendendo un bicchiere, cosa di cui probabilmente ha molto bisogno. Vorrei chiedergli cosa è accaduto. Perché lei è qui? Che diavolo sta succedendo?
«Non è magnifico?», esclama Stephanie, fermando un altro cameriere per scambiare il bicchiere vuoto con uno pieno. «Voglio dire, davvero magnifico». Alza il bicchiere e fa un brindisi. «A mio marito».
È una situazione del cazzo. «A Jack». Richard fa tintinnare il bicchiere col suo e io lo seguo, pianificando mentalmente la mia fuga.
«E ad Annie», interviene Jack, facendomi spalancare gli occhi. «Abbiamo costruito solo ciò che lei ci ha detto di costruire».
Sento la mia schiena irrigidirsi. «Grazie». Deglutisco e mi rituffo nel mio champagne. È l’unica cosa che mi sostiene in questo momento.
«Ovvio». Stephanie posa la mano curatissima sul braccio di Jack, e io abbasso involontariamente lo sguardo su di essa, gridandole in silenzio di non toccarlo. «Annie, Jack è rimasto molto colpito da te».
Lancio uno sguardo scioccato a Jack. Le ha parlato di me? È stupido? «È solo un lavoro», minimizzo il più possibile.
«Annie e io ci siamo accordate per andare a pranzo insieme!», dice Stephanie, chiaramente entusiasta. Io, invece, sono tutto fuorché entusiasta, e Jack sembra semplicemente orripilato.
Devo andarmene. Guardo oltre il viso allegro di Stephanie, fingendomi sorpresa. «Oh, ecco Gerrard». Mi invento un nome su due piedi e indico in giardino. «Scusatemi; devo andare a salutarlo».
Scappo via in meno di un secondo ed esco fuori per trovare un gruppo di persone fra cui nascondermi. Le voci delle conversazioni sono indistinte e rumorose. Provo a intervenire, ad ascoltare, anche solo per impedire alla mia mente di cedere al panico e agli occhi di muoversi continuamente, ma non importa quanto cerchi di concentrarmi, la mia testa ha altre intenzioni. Mi guardo dietro le spalle con disinvoltura e vedo che altri si sono uniti a Jack, Richard e Stephanie, tutti presi dalla conversazione. Jack è lì, ma non è presente, con Stephanie che, avvinghiata a lui, gli accarezza il braccio e gli sorride ogni tanto, mentre butta giù bicchieri su bicchieri di vino. Non lo sopporto.
Staccandomi dal gruppo, prendo il telefonino e scrivo a Lizzy, chiedendole dove sono.
«Non sono riuscito a mollarla». La voce di Jack mi colpisce alla base della schiena e risale verso l’alto, facendomi rabbrividire. Non nel solito modo, però, cioè quando mi vengono i brividi e devo respirare con calma per trattenere il bisogno di divorarlo. Mi gira intorno e mi si pianta davanti, incrociando il mio sguardo. «Mi dispiace».
«Che è successo?», domando.
«Ha insistito per venire. Che altro potevo fare?».
Scuoto la testa e mi scosto da lui, vigile e attenta a chi ci circonda. «Non lo so», ammetto. «Jack, devi convincerla a non venire a pranzo con me».
Lui fa una risata bassa e sarcastica. «Come diamine pensi che possa riuscirci?».
Mi abbatto quando mi rendo conto che non può, ed è assurdo da parte mia aspettarmelo. «Non vedevo l’ora di incontrarti stasera». Mi pento all’istante di aver dato voce ai miei pensieri. Non è colpa sua. Non dovrei farlo sentire in colpa.
«Lo so, Annie. Lo so. Mi ha detto che vi siete incontrate per caso».
«Fuori da casa mia», confermo. «Era andata a prendere il tuo completo in tintoria». Indico con il bicchiere di vino l’abito a tre pezzi grigio. «A proposito, è bello».
Lui sorride lievemente. «Sei bellissima e non posso nemmeno toccarti». Il suo sguardo brucia nel mio, offuscato da tanto desiderio. «Ho bisogno di vederti più tardi. Dimmi che possiamo vederci più tardi».
«Come?», chiedo. «Sei con tua moglie». Non ho intenzione di sembrare amareggiata, ma la verità è che lo sono.
«Troverò un modo», promette.
«Non è questo il momento adatto per essere imprudenti, Jack», lo avverto. «Richard lo sa, e se non stiamo attenti, anche tua moglie lo capirà presto».
«Devo vederti», ripete, sfidandomi a contraddirlo con uno sguardo duro. «Rispondi al telefono quando ti chiamo». Fa un passo indietro, piantandosi un sorriso in faccia.
«Eccovi!», canticchia Stephanie, infilando un braccio sotto a quello di Jack quando ci raggiunge. «Sempre a parlare di cose noiose di lavoro?»
«Sempre», conferma Jack, guardando il bicchiere di lei. È di nuovo vuoto.
«Va bene, basta così». Si gira verso di lui con tutto il corpo e avvicina la bocca alla sua guancia. Per poco non vomito mentre lo stomaco mi si rivolta. «Devi far divertire tua moglie».
Mi arriva una notifica sul telefono e io allontano lo sguardo dalla vista insopportabile di un’altra donna addosso all’uomo che amo. «Scusatemi», mormoro, tornando nella galleria mentre leggo il messaggio di Lizzy. Ho intenzione di ubriacarmi tantissimo.
Individuo Colin, lo ringrazio e gli porgo le mie scuse, ma non lascerò che la sua delusione evidente mi faccia sentire troppo in colpa. Mi blocca, tentandomi con un altro po’ di spumante, ma sono determinata a non trattenermi oltre. Non c’è niente che possa convincermi a rimanere.
Vado in bagno per riapplicare il rossetto, e quando entro la prima cosa che vedo è il mio riflesso allo specchio. Ho un aspetto terribile. Pallida e sconvolta. Con le mani appoggiate al bordo del lavandino in pietra, faccio un respiro profondo, nel tentativo di fare a me stessa un discorso d’incoraggiamento.
Bang!
Di scatto alzo gli occhi sulle porte dei bagni dietro di me riflesse nello specchio, spostando lo sguardo da un lato all’altro, rimanendo in ascolto. Che cosa è stato?
Bang!
Da dietro l’ultima porta provengono dei rumori sordi e dei sussurri, e mi costringo a rimanere immobile, o quantomeno ci provo. Il mio cuore non ubbidisce al comando di calmarsi.
Poi i mormorii sommessi diventano gemiti bassi. Mi si raggela il sangue mentre quei suoni mi entrano nella testa e mettono le radici, in modo tale che non potrò mai più dimenticarli.
I gemiti di Stephanie.
Gemiti di estasi e piacere. «Toglimi il vestito», ansima. «Toglimelo, Jack».
Il mio stomaco si contorce e mi piego a metà sul lavandino, in preda ai conati. Poi iniziano le urla. «Oh, Jack! Sì. Prendimi qui. Prendimi ora».
«Stephanie», ringhia Jack.
Corro fuori dal bagno, e i conati e il tremore dovuto a un pianto disperato mi fanno incespicare per tutto il tragitto. Mi sento come se dovessi vomitare. In preda al panico e consapevole di non poter tornare nel bagno delle donne, corro nel bagno dei disabili e chiudo la porta a chiave, reggendomi con le mani sul gabinetto mentre provo a controllare il respiro. Mi sento stordita e mi gira la testa. Mi sento male e tradita.
Emetto un lamento disperato e mi afferro la testa per tentare di zittire il suono che mi tormenta. «No», singhiozzo, cadendo a pezzi, con il corpo sconvolto da emozioni devastanti. Devo andarmene. Ora.
Apro la porta con violenza e corro fuori dalla galleria, e non mi fermo finché non raggiungo la fine della strada. Fermo il primo taxi che vedo e mi ci tuffo dentro. Vado dalle ragazze e berrò fino a stordirmi. Spero che basti a farmi dimenticare questo incubo. Non ci avevo mai pensato. Non me l’ero mai permesso, ma quando succede dietro una porta proprio davanti a te, è difficile ignorarlo. Mi sento ferita. Completamente devastata. E la rabbia sta bruciando la mia sensibilità. Non posso impedirglielo.