Capitolo 18
«Eccola qui!», urla Lizzy quando entro nello champagne bar, e li vedo tutti abbarbicati sugli sgabelli intorno a un tavolo. Micky mi fa cenno di avvicinarmi, indicando uno sgabello e un bicchiere di vino sul tavolo. «Ma che bravo, Micky», lo lodo, sedendomi con un tonfo sordo.
«Stai bene?», mi domanda lui, dandomi un’occhiata. Non so quanto sia riuscita a sistemarmi il viso nel taxi, ma immagino che, anche con un trucco perfetto, l’angoscia sia ancora visibile.
«Sto bene», dico, alzando una mano per fermare Lizzy prima che apra bocca. La chiude e mette il broncio mentre mi guarda trangugiare il vino. «Benissimo», ripeto, sbattendo il calice sul tavolo.
Nat, Micky e Lizzy mi guardano tutti con attenzione per un momento. «Bene». Inspiro ed espiro, inspiro ed espiro.
«Sta bene», dice Lizzy lentamente, facendomi un cenno con la testa. «Sei sicura?».
Annuisco. «Solo un tassista stronzo».
Lizzy alza gli occhi al cielo. «Allora partiamo subito con la mia notizia». Si siede con la schiena dritta e noi tutti la guardiamo. Inizia ad agitarsi. «Be’», esordisce, concentrandosi sul suo vino. «Devo dirvi una cosa, ma prima voglio mettere in chiaro che ci ho pensato a lungo e apprezzerei il vostro supporto». 
Ci rilassiamo tutti visibilmente, e io guardo gli altri nel tentativo di capire i loro pensieri. Sembrano intrigati quanto me.
«Sono tornata con Jason», sbotta lei prima di prendere il bicchiere e finire il vino, facendosi piccola piccola sullo sgabello.
Ho un’illuminazione. «Ecco chi dovevi incontrare a cena!», dico. «Jason». Non c’è da stupirsi che fosse così vaga.
Alza le spalle. «Ho accettato di incontrarlo, sì. Non aveva senso dirvelo perché pensavo che gli avrei detto di andare a quel paese e che sarebbe finita lì. Ma rivederlo di nuovo, vedere quanto si sente in colpa… Lo amo». Fa spallucce. «Non ci posso fare niente».
Quando l’atmosfera si fa troppo imbarazzata, io mi allungo sul tavolo per prenderle la mano. «Fa’ quello che più ti rende felice», dico, pensandolo davvero con tutta me stessa.
Le lacrime le riempiono gli occhi e lei stringe le labbra fino a farle diventare bianche. Non riesce a parlare, poverina, quindi annuisce in risposta. Mi sento malissimo per lei. Ho visto quanto era a pezzi quando ha scoperto che Jason la tradiva, e ho maledetto la donna che era entrata nella sua vita senza essere invitata. Una donna come me.
Dando un calcio a Nat di nascosto sotto il tavolo, mi rilasso e la lascio parlare, sebbene la sua mancanza di entusiasmo sia evidente. Il povero Micky, però, rimane a guardare mentre noi amiche facciamo le nostre cose da ragazze. «Magari esco con gli altri», borbotta, alzando gli occhi al cielo.
«Passando ad altro». Nat solleva il bicchiere, con un sorriso perfido, e mi chiedo per un breve momento se ha forse deciso di dare una possibilità a John. Poi mi ricordo dell’incidente con la gomma da masticare e capisco che non è possibile. Manca ancora molto prima che i suoi capelli tornino alla loro lunga e splendente gloria passata. «Mi sono iscritta a un’agenzia di incontri». Ci scambiamo tutti degli sguardi divertiti prima di scoppiare a ridere. «Che c’è?», chiede Nat, contrariata. «Almeno così posso rendere chiaro cosa accetto e cosa no».
«Come i figli?», chiede Lizzy, sbigottita.
«Esattamente, come i figli», conferma Nat. «I padri non verranno presi in considerazione».
«Santo cielo», sospira Micky, esasperato. «Possiamo parlare di calcio prima che mi si ritirino le palle?».
Io rido e gli do un pizzicotto sulla guancia. «Ti innamorerai anche tu un giorno».
Lui sbuffa, disgustato al solo pensiero. «C’è una ragione per cui io e te siamo ancora amici, e non è perché hai le prove fotografiche di quella volta in cui mi mascherai da He-Man con un mattarello al posto della spada».
Giusto. A quanto pare siamo amici perché entrambi siamo allergici alle relazioni. Ovviamente è una sciocchezza. Siamo amici perché ci conosciamo dall’alba dei tempi, ma questa consapevolezza non mi impedisce di deprimermi. Deglutisco e distolgo l’attenzione da lui, ricordandomi all’improvviso del perché considero il calice di vino come un giubbotto di salvataggio. Poi mi accorgo che è vuoto. Prendo la bottiglia dal centro del tavolo. Ubriacati. Affoga i pensieri nell’alcol.
«He-Man?», si intromette Nat. «Ti sei mascherato da He-Man?». Salta giù dallo sgabello e brandisce una spada immaginaria in aria. «“La grande forza è con me!”», ruggisce, prima di piegarsi a metà in preda alle risate incontrollabili insieme a Lizzy.
Passa un po’ di tempo prima che mi guardino curiose, chiedendosi perché non sto ridendo. Alzo le spalle. Non ho niente da offrire nel reparto umorismo, nonostante la mia vita sia uno scherzo del cazzo.
«Stronze. Tutte quante». Micky scende dallo sgabello, voltandosi verso la porta. «Sono arrivati i ragazzi. Me ne vado a cercare la mia She-Ra». Se ne va con un sorriso, lasciando noi ragazze a fare cose da ragazze, il che al momento vuol dire Nat e Lizzy che si sganasciano dalle risate.
Forse è un’ora dopo, o forse due. Non ne sono sicura. So solo che sono brilla e che la mia mente si annebbia sempre di più a ogni sorso di vino. È un sollievo. Mi giro sullo sgabello e vedo Nat che balla da sola, il bicchiere di vino in aria e la testa abbassata, che dondola al ritmo di Boy from School degli Hot Chip. Tengo gli occhi su di lei mentre con un braccio cerco Lizzy alla cieca per attirare la sua attenzione, la scena è troppo divertente per perdersela. «Guardala».
«Gesù, nessun uomo la prenderebbe in considerazione, con o senza figli», scherza Lizzy, scendendo dallo sgabello. Raggiunge Nat e la persuade gentilmente a tornare al tavolo, aiutandola a camminare quando barcolla e inciampa. Dopo averla fatta sedere, Lizzy si mette sullo sgabello accanto e si avvicina per essere pronta a prenderla se mai dovesse collassare per l’alcol. «Devo chiedertelo», biascica Nat, rivolta a Lizzy con un occhio chiuso. «Come ti è venuto in mente di riprenderti Jason?».
Io mi accascio con un sospiro udibile. «Nat, è una decisione di Lizzy. Dovremmo rispettarla».
«Lo so, ma lo pensiamo tutti». Cerca di sbattere una mano sul tavolo, ma lo manca completamente, costringendo Lizzy ad afferrarla prima che cada. «Che ne è dell’altra donna?»
«Non sono affari nostri», dico alzando la voce, impaziente di bloccare il corso che sta prendendo la conversazione.
«Va bene», mi calma Lizzy. «Dobbiamo chiarire questo punto».
«Già», farfuglia Nat, tastando il tavolo per prendere il calice di vino. Lizzy lo allontana e spinge verso di lei un bicchiere d’acqua, e Nat lo afferra, agitandole il bicchiere contro. «Che razza di donna va a scodinzolare dietro a un uomo sposato? Nemmeno io mi abbasserei a quel livello».
Sento un groppo in gola, che mi lascia in silenzio al tavolo mentre l’argomento che ho temuto per mesi minaccia di rendere ancora peggiore la mia serata.
«Gli uomini pensano con il cazzo!». Nat dondola sullo sgabello. «Hanno il cervello nelle palle!».
Muoio dentro. Una parte di me sa che sarebbe meglio rimanere zitta, ma vorrei far sentire a Nat anche l’altra campana. Eppure non lo faccio. Non posso. Non ho altra scelta che rimanere ad ascoltarle mentre prendono di mira l’altra donna, insultandola a più non posso, evincendo che sia un pezzo di merda e facendola a pezzi in. Brutalmente. Aspramente.
Giustamente.
Mi faccio sempre più piccola e cominciano a farmi male testa e cuore. Sarei una stupida se credessi anche solo per un secondo che qualcuno mi possa capire. Il brandello minuscolo di speranza che riponevo nel supporto dei miei amici è appena morto. Non ce la faccio più. Prendo la borsa, scendo dallo sgabello e corro verso il bagno delle donne, dimenticando di avvertirle, perché ho un bisogno disperato di fuggire dal massacro in corso. Sento le lacrime premere per uscire e non posso permettere che le mie amiche le vedano.
Rimango chiusa in un bagno finché lo stomaco smette di rivoltarsi e la mente finalmente si calma. Non ero pronta a questo. È facile forzare la mia coscienza in una certa direzione, ma non posso controllare ciò che gli altri pensano. Per la prima volta da quando mi sono imbarcata in questa storia clandestina, mi sento così sola. Dov’è Jack? Perché non è qui per abbracciarmi e dirmi che tutto andrà bene? La rabbia mi ribolle dentro, dando nuovamente inizio a una rivoltante nausea. È con la moglie, a scopare nei bagni della galleria. Mi arriva una notifica sul telefono, e nonostante sappia che mi farà arrivare la rabbia alle stelle, apro comunque il suo messaggio.
Dove sei finita? Mi manchi.
Curvo le labbra disgustata mentre cancello le sue parole inutili dallo schermo. Non mi è sembrato che gli mancassi. Esco dal bagno e vado dritta al bancone per ordinare altro alcol. Stavolta il telefono squilla, e io mi preparo mentalmente per rispondere. «Pronto».
«Dove sei?», mi chiede lui con un sussurro che fatico a sentire sopra la musica. Ha trovato un posto nascosto da dove chiamarmi, lontano da lei. «Annie?»
«Sono occupata». Attacco, ma prima di prendere da bere, squilla di nuovo. «Che c’è?», sbotto per tutta risposta.
«Che ti è successo?»
«Niente. Torna da tua moglie, Jack», sbotto, chiudendo la chiamata e ignorando i suoi tre tentativi successivi mentre prendo il vino e lo porto al tavolo. Con un cenno attiro l’attenzione di Nat e Lizzy sulla pista da ballo, ed entrambe mi alzano il pollice quando vedono la bottiglia che ho in mano.
«Sei Annie Ryan?», chiede una voce maschile alle mie spalle, facendomi voltare, e vedo un uomo robusto con un sorriso carino appoggiato a un tavolo vicino. E vedo delle cosce. Delle cosce sode, da giocatore di rugby.
«Tom», dico, cercando di non farla sembrare una domanda. È l’ultimo uomo con cui sono andata a letto prima di Jack. L’amico di un amico di Jason.
«Ben fatto», scherza. «Come va?»
«Bene, grazie. Tu?»
«Non mi lamento». Indica il mio bicchiere vuoto. «Vuoi da bere?».
La mia furia cieca viene messa da parte dal potenziale inaspettato dell’opportunità che mi si è appena presentata. Pensavo che l’alcol potesse essere la mia unica occasione di fuga. Forse mi sbagliavo. Ignoro la bottiglia piena che ho appena posato sul tavolo. «Perché no?», dico con un sorriso. «Un Sauvignon, per favore».
«Piccolo? Grande?»
«Grande».
Tom va al bar e ordina da bere mentre io combatto la parte stupida della mia mente incasinata che mi dice di non fare niente di cui possa pentirmi. Non è poi così difficile ignorarla. L’unico mio rimpianto ora è quello di vivere una storia clandestina. Ricordo a me stessa che tecnicamente sono ancora single. Tecnicamente, sono libera come l’aria di fare quello che voglio, quando voglio. Non sono io quella sposata. Se a Jack è permesso avere la botte piena e la moglie ubriaca, allora lo è anche per me. Guardo verso la pista da ballo, dove Lizzy e Nat si stanno dimenando come le pazze ubriache che sono, e incrocio i loro sguardi. Quando Lizzy sorride e Nat mi mostra i pollici alzati, so che hanno individuato Tom. Pensano che negli ultimi quattro mesi sia stata in astinenza. Metteranno Tom nel mio letto di persona se costrette.
Prendo il mio bicchiere con un sorriso di ringraziamento e riprendo confidenza con Tom. È bello ma rude. Gli hanno chiaramente rotto il naso qualche volta, e ha una cicatrice sul sopracciglio. Tiene i capelli corti ma in ordine, e ha un collo taurino. «Come va?», gli chiedo, iniziando la conversazione mentre lui sale sullo sgabello di Lizzy.
«Benissimo, a dire il vero. Sono stato in Scozia nell’ultimo anno in un’accademia di allenamento per bambini».
«Sembra bello. Però sei tornato».
«Era un corso di un anno in una delle squadre di campionato. Ne faremo uno qui a Twickenham il mese prossimo».
Annuisco. «Quindi giochi a rugby?».
Lui ride. «Da cosa l’hai capito?».
Faccio spallucce e poso il bicchiere sul tavolo. «Forse dalle orecchie a cavolfiore».
«Ehi!». Allunga una mano e mi dà un pugno leggero sulla mascella. «Indosso un casco».
Sorrido timidamente. «Ti sto prendendo in giro. Sembra un bel lavoro».
«Lo è. Tu che fai, Annie?». Beve un sorso dalla sua pinta, sorridendo. «L’ultima volta che ci siamo visti non abbiamo parlato molto».
Ricambio il sorriso, ricordando bene quella notte. C’era di mezzo un sacco di alcol e risate, ed è finita con del sesso decisamente da ubriachi. «No, ma abbiamo fatto molto altro».
«Ho provato a chiamarti dopo». Mi osserva attentamente. «Perché mi hai dato il tuo numero se non avevi intenzione di rispondere alle mie chiamate?»
«Il lavoro ha praticamente fagocitato la mia vita».
«Pensavo che fossi impegnata con qualcuno».
«No!».
«E ora?».
Deglutisco e faccio un respiro profondo. «No», dico chiaramente, con disinvoltura, e convinta al cento per cento.