Capitolo 15
Mi rannicchio sul divano sotto la coperta e fisso il muro. Sono all’inferno e sono in paradiso. Sto volando e sto affogando. Non posso voltargli le spalle. È così semplice, sebbene così orrendamente complicato. Forse il senso di colpa è qualcosa a cui dovrò abituarmi. Per lo meno, è grazie a esso che so di avere una coscienza. È una magra consolazione, e forse è irrilevante, poiché non ho intenzione di ripulirmela. Ciò vorrebbe dire non avere Jack, e questa non è un’opzione contemplabile. Mi sono innamorata intensamente, velocemente e furiosamente. È stato inarrestabile. Mi sono finalmente innamorata di un uomo – un uomo proibito. Un uomo che non mi spetta.
Nel tentativo di impedire alla mia mente di rimuginare su una tale situazione di merda, afferro il portatile e provo a concentrarmi sul lavoro. Mi metto all’opera, iniziando una ricerca sulla zona di Blackfriars dove la Brawler’s ha comprato il terreno e, mentre prendo una montagna di appunti, la mia visione dell’edificio si fa sempre più definita.
Quando sento dei colpi leggeri alla porta controllo l’orario, sorpresa di aver lavorato assiduamente per quasi tre ore. Aprendo, trovo Jack con un’aria nervosa, e sembra visibilmente sollevato nel vedermi.
«Non dovresti essere da qualche altra parte?», gli chiedo tenendo la porta aperta.
«Stai bene?». Non sembra offeso dal fatto che gli ho ricordato di avere un appuntamento romantico a cena con la moglie.
Scuoto la testa e mi trema il labbro. Questa è un’altra cosa che mi sono ripromessa. Mi sono detta che d’ora in poi non avrei più pianto davanti a lui, ma mi sento troppo tesa, disperata ed esausta per combattere. Ero al settimo cielo, adorata da Jack sulla sua scrivania, e poi mi sono ritrovata nell’ultimo girone dell’inferno, chiusa in un ripostiglio nel suo ufficio a fare a pugni con la mia coscienza. Il conflitto mi sta già logorando. Una lacrima solitaria mi scende sulla guancia e mi cade sul braccio. «Scusa», mi lamento debolmente, distogliendo lo sguardo da lui. Sembra abbattuto, tanto esausto e senza speranza quanto me.
«Dio, Annie». Mi viene incontro, chiudendosi la porta alle spalle, e mi avvolge fra le braccia, tirandomi a sé. So che non dovrebbero, ma il suo calore e questa vicinanza mi tranquillizzano, mi fanno sentire al sicuro e intoccabile. Come se valesse la pena affrontare ogni mio trauma se alla fine lui mi tiene stretta così. Mi bacia in testa, odorandomi i capelli. «Dovrei chiederti scusa io. Non avrei mai dovuto metterti in quella situazione».
Forse ha ragione, ma sono stata io a non rifiutarmi di essere trascinata nel suo ufficio. Non ho detto di no né l’ho respinto. Trascorrere con lui ogni tanto, quando possibile, momenti rubati è il modo per portare avanti questa situazione, e quello di prima è stato uno di quei momenti. Un momento fantastico… finché non è arrivata la moglie. «Dov’è Stephanie?», chiedo piano.
«Dai suoi». Si allontana e mi prende per mano, guidandomi in cucina. Dai suoi? E che ne è della cena con il marito?
«Siediti», mi ordina gentilmente Jack, muovendosi in cucina con disinvoltura. Come se questo fosse il suo posto. Accanto a me.
Si siede e mi passa del tè. Sorrido grata e avvolgo le mani intorno alla tazza.
«Parlami», dice piano.
«Che cosa vuoi che dica?»
«Dimmi cosa pensi».
Guardo altrove, cercando di sfuggire alle sue domande, ma lui allunga una mano sul tavolo e mi prende il mento, costringendomi a voltarmi. Quando solleva le sopracciglia in attesa, io scrollo fiaccamente le spalle.
«Annie, capisco che è difficile per te».
«Davvero?», chiedo.
«Certo. Sei una donna bellissima, giovane e single. Stasera potresti uscire e sceglierti un uomo fra mille là fuori».
«Non voglio un uomo fra mille là fuori», ammetto piano, scandendolo forte e chiaro.
«Vuoi me?».
Lo guardo con cautela, chiedendomi dove voglia andare a parare. Mi sta chiedendo di pretendere che lasci sua moglie seduta stante? Non posso farlo. Sarò stupida, ma deve fare quella mossa da solo. «Non capisco dove vuoi arrivare».
«Mi vuoi?»
«Sì». Non esito.
Jack annuisce, sollevato, e mi stringe la mano. «Avevo solo bisogno di sentirtelo dire ancora». Deglutisce, e non mi piace il modo in cui sospira, come per prepararsi mentalmente a dirmi qualcosa. «Non volevo addossarti il peso di ogni dettaglio di merda, Annie, ma ho una paura fottuta che ti convincerai a lasciarmi».
Ogni dettaglio di merda? Non mi piace. E comunque, so abbastanza. «Penso che meno so, meglio è», protesto, nel tentativo disperato di limitare il più possibile il mio contatto con la moglie e con il resto della vita di Jack.
La sua espressione mi implora di lasciarlo parlare. «Ho bisogno che tu capisca, Annie».
Questa volta non protesto, il suo bisogno è chiaro ed evidente.
Sospira, crollando sulla sedia. «Le cose andavano bene mentre la ditta cresceva. Il padre di Stephanie è stato uno dei miei primi clienti, e ho incontrato lei durante il progetto». Scrolla le spalle. «Era abbastanza carina. Suo padre tentò inesorabilmente di farci mettere insieme. Era un cliente importante con un ego enorme. Stephanie e io cominciammo a frequentarci e poco dopo lei iniziò a fare pressione perché ci sposassimo. La ditta era la scusa perfetta per rimandare. Le dissi che volevo consolidarla, raggiungere il punto di pareggio. Speravo di prendere tempo, perché non sapevo cosa volevo. Non ero sicuro che fosse la donna giusta per me. Poi il padre mi offrì dei contanti per degli investimenti e…». Scuote la testa. «Be’, problema risolto. Ora capisco che rammollito sono stato. Sarei arrivato dove mi trovo ora anche senza i soldi del padre di Stephanie. Mi è tutto sfuggito di mano». Sorride, ma con un accenno di tristezza. Mi spezza il cuore, per l’unica ragione che è pieno di rimpianti. Non posso fare a meno di sentirmi come la sua ancora di salvezza in un certo senso, per quanto sia strano e assurdo.
«Quindi l’hai sposata».
Deglutisce e guarda il fondo della tazza. «L’ho sposata. Partecipai ai preparativi, cercando di convincermi che era la cosa giusta. Seppi di aver fatto uno sbaglio solo qualche mese dopo. Restituii al padre i soldi che mi aveva prestato, ma era troppo tardi per restituirgli la figlia. Il suo caratteraccio, l’atteggiamento dispotico, le abitudini costose. La ditta è diventata un modo per fuggire. Fuggire dall’oppressione, dal controllo e…». Si interrompe e fa un respiro profondo. «E da mia moglie. Non c’è una giusta via di mezzo con lei. Non esistono mezze misure sopportabili. Ha provato…».
«Ha provato a fare cosa?», lo sprono, e detesto la battaglia interiore che sta affrontando per rivelarmelo. «Dimmelo, Jack. Cosa ha provato a fare?».
Lui guarda altrove, raccogliendo le forze da qualche parte. Sembra affranto. «Non volevo raccontarti i dettagli sporchi». Torna a guardarmi negli occhi, e nei suoi vedo un milione di problemi. Un milione di dolori. So che odierò ciò che sto per sentire.
Deve avermi letto le domande negli occhi, perché continua spontaneamente. «L’ho lasciata una volta».
Rimango a bocca aperta. «E poi sei tornato con lei?»
«Sì, dopo essere andato a prenderla all’ospedale».
Aggrotto la fronte, non capendo.
«Si è tagliata le vene».
«Oh, mio Dio!», esclamo, sussultando. «È un ricatto emotivo, Jack!».
«Forse. Non amo quella donna, ma non le auguro nessun male». Si affloscia sulla sedia, strofinandosi il viso stanco con le mani. «Non volevo dirtelo perché so che ti devasterà la coscienza. Sarebbe solo un’altra ragione per lasciarmi».
Devastare la mia coscienza? Fa sul serio? Perché, non è già devastata? Mi si spezza il cuore. «Sei intrappolato», mormoro. Siamo intrappolati. Non c’è via d’uscita. Stephanie lo controlla e lui non può lasciarla per quello che potrebbe fare a se stessa. E io non vorrei mai che lo facesse. Mi renderebbe inumana, e nonostante tutto ciò che ho fatto, nonostante tutti i miei sbagli, non sono una persona cattiva. Neanch’io le auguro del male. Non potrei vivere con me stessa.
Jack mi guarda, e io vedo il tormento nei suoi occhi. E il senso di colpa. È ancora lì. Colpevole di provare queste cose. Colpevole di non amare sua moglie. Mi afferra con forza la mano, stringendo i denti. «Tu mi rendi felice», sibila. «Così felice, cazzo!». Si sta innervosendo, ed è terribile vedere quanto è frustrato. Quanto si sente disperato. La moglie sa esattamente cosa fare per tenerselo. Perché ha funzionato già una volta.
Trattengo le emozioni come meglio posso. La mia situazione non è cambiata. È rimasta la stessa, ma la posta in gioco è aumentata. Non riesco a immaginare cosa farebbe Stephanie se scoprisse di noi due… il che significa che devo assicurarmi che non lo venga a sapere.
Sento lacrime di disperazione premere per uscire e uso ogni brandello di forza in me per tenerle a bada. Non gli volterò le spalle. Non l’ho fatto prima, e certamente non lo farò ora.
La sera in cui ho incontrato Jack, lui mi ha promesso che non mi avrebbe lasciata andare di nuovo se il destino mi avesse portato ancora da lui. Be’, l’ha fatto, e per una ragione. Non posso controllare quello che provo per lui. Non posso smettere. Dovrebbe essere mio. Ho bisogno di liberarlo da questo incubo, non per ragioni egoistiche, ma perché non se lo merita. Dovrebbe avere tutto ciò che vuole, e se quel tutto sono io, allora devo aiutarlo ad avermi.
«Staremo insieme, Annie», promette. «A ogni costo».
Mi alzo dalla sedia e giro intorno al tavolo per raggiungerlo, gli siedo in braccio per mostrargli dove sono. Accanto a lui. Sempre accanto a lui. E gli credo. Staremo insieme. A che prezzo, però?