Capitolo 7
Lunedì mattina arriva fin troppo presto, e mi sento tutt’altro che fresca prima della riunione con Colin e il suo costruttore. Jack.
Ho fatto un po’ di ricerche sulla sua ditta ieri sera e ho scoperto che Jack ha fondato la Joseph Costruzioni nel 2009, quando aveva solo ventotto anni. Ho preso nota mentalmente che quindi ora ne ha trentacinque. Ha svolto lavori manuali per anni come muratore, il che spiegherebbe il fisico mozzafiato – un fisico che chiaramente vuole mantenere – prima di creare la sua ditta di costruzioni che è passata da un successo all’altro. Da ciò che ho letto è chiaro che qualsiasi architetto sarebbe fortunato a lavorare con lui. Io? Ho solo una paura folle.
Il pensiero di come lavorare insieme mi ha provocato un’angoscia costante. Nella mia mente ho lasciato il progetto di Colin una decina di volte, e sono tornata sui miei passi quasi immediatamente. La prospettiva di dire addio a questa opportunità mi fa sentire vuota e debole. Ma non sono debole, e non lascerò che un uomo mi renda tale. Devo andare avanti per la mia carriera. Lo devo a me stessa.
Jack è il costruttore. Solo il costruttore, e non lascerò che le sue bugie e falsità influenzino ciò per cui ho lavorato tanto duramente.
Perciò indosso un vestito grigio chiaro, lasciandomi i capelli sciolti e mossi, poi prendo i progetti per Colin e mi incammino.
Chiamo Lizzy mentre vado alla fermata della metro a piedi, sperando in un discorso d’incoraggiamento. «Fra due minuti inizio una ceretta inguinale», dice appena risponde. «Quindi taglio corto. Come lo tratterai durante la riunione?»
«Ho intenzione di far finta di non averlo mai incontrato prima di sabato sera», le dico, e, grazie alla nuova fermezza che ho trovato, la mia voce non vacilla al solo pensiero. «È un bugiardo e un traditore e, francamente, lo odio. Non dovrebbe essere difficile rimanere su un piano professionale».
«Brava». Dall’altra parte della linea c’è fermento, e Lizzy impreca qualche volta. «Merda! Ho appena rovesciato la cera bollente, devo andare. Buona fortuna!».
Chiudo la chiamata, raddrizzo le spalle e mi dirigo verso la riunione.
Il mio piano era di arrivare presto, prendere un caffè e prendere posto prima che arrivassero gli uomini, e forse cercare di calmare i nervi, ma quando entro nel bistrot li trovo entrambi già seduti al tavolo in fondo al locale.
Stanno parlando, esaminando dei documenti, e quando sono a pochi metri di distanza Jack si gira lentamente verso di me, come se avesse percepito la mia vicinanza. Alla sua vista i polmoni si comprimono, i piedi rallentano e fatico a respirare. La sua espressione piatta non mi dà alcun indizio su che tipo di reazione avrà, e ciò mi rende ancora più nervosa.
Quel petto, che si muove sopra di me, che oscilla mentre lui mi penetra incessantemente.
Mi riprendo di scatto dal ricordo inopportuno, e uno sguardo veloce verso Jack mi conferma che ha notato qualcosa e ha un’espressione incuriosita.
Faccio un respiro profondo e mi costringo ad avanzare.
«Annie. Ecco, siediti». Colin indica la sedia accanto a Jack, ma io scelgo quella dall’altra parte del tavolo. Non troppo vicina.
«’Giorno». Li saluto, sorridendo a Colin mentre poso i progetti sul tavolo. «Jack», dico formalmente senza guardarlo.
«Annie», risponde lui, altrettanto formale, prendendo la tazza di caffè e portandosela alle labbra. Noto un leggero tremore nella mano mentre seguo involontariamente il tragitto della tazza verso la sua bocca. Penso a lui che beve quella Budweiser, il collo teso, che mi implora di leccargli la gola. Lui che mi piega a novanta, le mani grandi sui miei fianchi.
«Festa bellissima!», cinguetta Colin, riportandomi nel bistrot. Jack mi osserva mentre io osservo lui.
Ritorno con la mente al presente, ordinando a me stessa di concentrarmi, di non lasciare che mi distragga. «Già. Grazie per essere venuto». Sorrido, e mi rendo conto di non voler mai più pensare a quella sera.
Si avvicina il cameriere e ordino un latte macchiato grande, rifiutando l’offerta di una brioche. Non la digerirei comunque; il mio stomaco sta facendo le capriole, e io comincio a essere stufa di non riuscire a controllarlo.
Colin guarda l’orologio. «Ho un’asta fra trenta minuti, quindi vediamo di concordare sulla tabella di marcia». Indica i miei fogli. «Hai portato i disegni aggiornati per Jack?»
«Sì». Li tiro fuori e li passo a Jack, evitando il contatto visivo, il che è difficile quando percepisco il suo sguardo su di me. È così strano. Ho passato una notte in hotel con quest’uomo, la notte più straordinaria della mia vita, e ora mi comporto come se non lo avessi mai visto, tanto meno nudo.
Tutta questa formalità, questa distanza, non mi riesce naturale. Essere consumata da Jack era così normale e facile – guardarlo, ammirarlo, parlargli, ascoltarlo. Sembrava tutto così naturale. «Ci sono anche i dati dei costruttori francesi del tetto».
«Grazie», dice Jack, distendendo il primo disegno e osservandolo. «Gli darò un’occhiata in ufficio con Richard. A proposito, è il direttore dei lavori».
«Buono a sapersi». Prendo nota mentalmente del nome di Richard.
«Diversi macchinari arriveranno domani così possiamo iniziare a sgomberare l’edificio». Jack inizia a piegare il disegno e lo posa sul tavolo insieme agli altri, incrociando il mio sguardo. «Prevediamo che ci vorrà qualche settimana per spogliarlo completamente e lasciare solo l’ossatura».
Spogliare. Ossatura. L’improvviso calore mi fa pizzicare la pelle, e distolgo lo sguardo da lui, prendendo appunti sul mio taccuino. «Okay. Quindi l’edificio sarà pronto per il mio progetto nella…».
«Terza settimana». Jack finisce la frase, attirando la mia attenzione. Sorride, e io devo fare un respiro profondo e costringermi a concentrarmi di nuovo sul taccuino.
Vado avanti. «E per la quarta settimana, avrete…».
«Scavato le fondamenta».
La mia penna vacilla sulla carta. «Bene», dico piano. «E la lastra di cemento per il pavimento dovrebbe essere completata entro la…».
«Quinta settimana», mormora Jack.
Chiudo gli occhi per un istante e spero con tutta me stessa che la smetta di essere così competente. Quando c’è di mezzo un progetto, lo scenario perfetto vede l’architetto e il costruttore perfettamente d’accordo, ma ora, l’intesa che c’è fra Jack e me non mi aiuta a odiarlo.
«Era quello che pensavi, no?», domanda, quasi meditabondo.
Faccio un sorriso tirato. «Sì».
«Bene». Jack tira fuori un’agenda dalla valigetta e la apre a un calendario, mostrandolo a me e a Colin. Da qui prende il controllo, descrivendoci dettagliatamente le fasi dei lavori a partire dalla quinta settimana, coprendo tutti i mesi seguenti fino al completamento. Odio il fatto che ogni tappa, ogni minuscolo dettaglio che ha scritto, sia ciò che ho in mente per questo progetto. Ogni volta che esita, sono io a finire le sue frasi, e già prendiamo in considerazione delle modifiche minime per rendere il progetto ancora più notevole. Siamo in perfetta sincronia.
Mi tornano in mente i nostri corpi sudati, in piena sintonia, i cuori che battono all’unisono. Sobbalzo e stringo i denti sul tappo della penna. In perfetta sincronia. In ogni occasione. Mi concentro su ciò che Jack sta dicendo e non sul suono della sua voce, e mi sforzo di non lasciarmi influenzare dal suo timbro profondo. Non devo permettere alla mia mente di trasformare ciò che dice in altre parole – parole pronunciate quella notte. Non ci riesco molto bene – troppi ricordi, ora potenti e vividi, mi vorticano in testa. Anche evitare di guardargli le mani, mentre gesticola, mi distrugge. Completamente. Quelle mani hanno esplorato ogni parte del mio corpo. Proprio come la sua bocca.
Smettila! «Posso averne una copia?», gli chiedo con voce tremante mentre indico il calendario nell’agenda.
«Certamente». Jack mi guarda, inclinando di poco la testa. «Più tardi ti manderò una scansione. Mi serve solo il tuo indirizzo email».
Mordendomi un labbro, tiro fuori dalla borsa un biglietto da visita e lo faccio scivolare sul tavolo, provando a non pensare al fatto che gli ho appena consegnato ogni dettaglio per contattarmi.
«Allora siamo d’accordo?», domanda Colin, alzandosi.
«Siamo d’accordo», conferma Jack. Lo guardo dall’altra parte del tavolo, leggendo fra le righe. «Non è così?», chiede, deglutendo. «Almeno, io so cosa devo fare».
Sa cosa deve fare. Ho recepito il suo messaggio forte e chiaro. «D’accordo», confermo con un sospiro, sollevata, mentre lo ringrazio in silenzio per non aver complicato le cose più del dovuto.
Lui annuisce deliberatamente, chiudendo l’agenda.
«Perfetto!». Colin raccoglie una cartella enorme di disegni. «Lo so che siete la coppia perfetta!». Esce tutto tranquillo dal bistrot mentre io gli fisso la schiena completamente scioccata, e Jack tossisce nel suo caffè.
Mi guarda, il volto inespressivo. «La coppia perfetta».
Non mi concedo di cadere nelle profondità di quegli occhi brillanti. «Dal punto di vista professionale, forse», dico, prendendo la borsa dallo schienale della sedia e resistendo al bisogno di fargli notare che tecnicamente non possiamo essere la coppia perfetta… dato che lui è sposato. Il pensiero mi fa rivoltare lo stomaco mentre apro la borsa di pelle morbida per prendere il portafogli.
Jack tira fuori il suo dalla tasca interna della giacca. «Metti via i soldi. Ci penso io». Allunga una mano e mi ferma, e sussulto così tanto da smuovere anche la sedia. Jack ritrae la mano, sorpreso. «Scusa; non intendevo spaventarti». Sembra sincero, e mi sento una stupida. Ma la sua mano. Oh Dio, la sua mano.
«Grazie per il caffè», dico, alzandomi in piedi, ma con gli occhi sempre sul tavolo.
«Non c’è di che. Vuoi uno strappo?».
Rido addirittura. «No, ma grazie dell’offerta».
«Che c’è di divertente?». Si alza, torreggiando, e come risultato sono assalita da un’altra ondata di ricordi. È nudo e incombe su di me, chiedendomi se sono pronta per lui.
Scaccio via questi pensieri e faccio un respiro profondo. «Niente». Gli porgo i disegni mantenendo lo sguardo lontano, lontanissimo dal suo. «Non dimenticarti questi».
Lentamente, fin troppo lentamente, solleva la mano e li prende. «Prometto che rimarrà una relazione professionale, Annie», mi dice con sincerità.
«Bene». La voce mi trema in modo terribile, l’adrenalina mi scorre nelle vene e fa battere il cuore all’impazzata. Sento che mi fissa, e per quanto so che sarà difficile, dico a me stessa di non guardarlo mai. Almeno non negli occhi. Gli passo accanto ed esco in fretta dal bistrot, sentendo il suo sguardo sulla schiena per tutto il tragitto. Mi ha promesso che sarà una relazione professionale, ma ciò non toglie che la mia reazione rimarrà uguale. E non cancella neanche i ricordi.
Quando rientro nel mio studio accendo il portatile, prendo un caffè e procedo con l’inviare una richiesta di concessione edilizia e scrivo al controllo edilizio prima di passare al vaglio pile e pile di email per liberare la casella di posta in arrivo. Bevo il caffè e scrivo appunti nell’agenda, confermando degli appuntamenti con qualche potenziale cliente. Le settimane di fronte a me sono piene, e mi sento sollevata. Devo tenermi occupata.
Con l’avvicinarsi della mezzanotte, gli occhi cominciano a vedere sfocato. Invio l’ultima email e trascino il cursore nell’angolo in alto a destra per chiudere il programma, ma il suono di una notifica mi fa indugiare e l’icona di un nuovo messaggio appare sul fondo dello schermo. Il mio battito si riduce a un pulsare fastidioso quando leggo il nome del mittente:
jack.joseph@josephcostruzioni.co.uk
Mi allontano lentamente dal computer, posando la tazza sulla scrivania e mettendomi le mani in grembo, nel tentativo di racimolare le forze per aprirla. È solo una maledetta email, sono solo parole. Apro il messaggio con un click.
Annie,
in allegato troverai il calendario dei lavori che illustra le quattro fasi del progetto di Colin. Se hai domande, scrivimi. Richard e io abbiamo controllato i disegni aggiornati. Ha qualche domanda da farti. Sei libera per incontrarlo al cantiere domani in modo da rivederli?
Saluti,
Jack.
ad, Jack Joseph Costruzioni
Mi rilasso sulla sedia, rileggendo l’email. È quasi mezzanotte. Mi chiedo perché stia lavorando ancora finché non ricordo che anch’io sto lavorando. È un’email formale. Proprio come dovrebbe essere, e allora perché il cuore mi batte nervosamente?
Mi tremano le dita quando inizio a scrivere una risposta, perciò spingo continuamente i tasti sbagliati. «Dannazione», impreco, tirando via le mani e facendo qualche respiro per calmarmi. Che situazione stupida.
Jack,
grazie mille per il calendario. Sono disponibile alle 10 se per voi va bene.
Cordiali saluti,
Annie
A.R. Architetto
“Saluti”? “Cordiali saluti”? Stiamo sfiorando il ridicolo se consideriamo quello che io e Jack abbiamo fatto insieme. Abbiamo esplorato ogni centimetro dei nostri corpi, abbiamo condiviso le nostre parti più intime, ed eccoci qui a comportarci come se non fosse mai accaduto. Di nuovo una notifica.
Annie,
ti chiederei perché stai lavorando a quest’ora, ma non sarebbe una domanda da relazione professionale, no? Domani alle dieci va bene. In questo momento sto dando un’occhiata ai progetti dei giardinieri per l’area verde. Ho trovato delle teche di vetro giganti online (link in allegato) e ho pensato che alcune potrebbero stare bene appese al muro di mattoni adiacente alla zona ampliata, e si integrerebbero perfettamente con il tuo tetto. Fammi sapere cosa ne pensi prima che lo proponga a Colin.
Saluti,
Jack
ad, Jack Joseph Costruzioni
Alzo un sopracciglio beffardo al suo giochetto e clicco l’allegato per aprirlo, immediatamente sorpresa dall’elegante semplicità delle teche di vetro pensili con le rifiniture in alluminio. «Wow», mormoro, leggendo i dettagli e le dimensioni.
Jack,
hai ragione.
Per quanto riguarda le teche di vetro, le adoro, e sono certa che anche a Colin piaceranno. Bella idea. Mi vedrò con Richard in cantiere domani.
Cordiali saluti,
Annie
A.R. Architetto
Chiudo il portatile e mi metto a letto, contenta di essere sopravvissuta alla giornata e di essere riuscita a mantenere un’apparenza professionale. Ma per quanto possa comportarmi professionalmente, dentro di me regna ancora il caos per colpa di Jack Joseph.