Capitolo 6
«Jack», riesco
a malapena a sussurrare, con la bocca secca e la mano che stringe
la maniglia della porta per nascondere il tremore.
«Oh, no!», esclama Stephanie,
comparendo al mio fianco. «Stai bene?». Si china e comincia a
raccogliere i pezzi di vetro. «Oh Dio, c’è vino
dappertutto!».
Io continuo a fissarlo. E
così lui. So che Stephanie sta parlando, ma non sento una parola di
ciò che dice, sento solamente la voce di Jack nei ricordi che in
questo momento mi stanno assalendo, più vividi e reali che
mai.
Sbatto veloce le palpebre,
respirando a stento e rapidamente. Devo riprendermi. Subito.
Distolgo lo sguardo da Jack, mi accovaccio e comincio a raccogliere
pezzi di vetro distrattamente, con la mente nel caos.
È qui? Oh, mio Dio, è qui! Ed
è sposato? Inizio a sudare.
«Mi dispiace», mormoro
rivolta al pavimento, sentendo una fitta di dolore al dito. Lascio
cadere tutti i frammenti che ho accumulato goffamente, ansimo e
guardo con aria assente il sangue che esce dal taglio. Le lacrime
mi riempiono gli occhi, un misto di dolore e disperazione, poi
Stephanie mi afferra un braccio.
«Ti sei tagliata», dice,
tirandomi su in piedi. «Fammi vedere».
Tremo nella sua presa. Deve
sentirlo. «Mi dispiace», mormoro stupidamente, guardandola negli
occhi.
Lei fa altrettanto e io
guardo subito da un’altra parte, temendo che possa leggere qualcosa
nei miei occhi. «Ecco, Jack, accompagna Annie al bagno a darsi una
pulita mentre io sistemo qui».
«No, non fa niente!», sbotto,
strattonando via la mano mentre il panico aumenta. «Davvero, è solo
un taglietto. Devo ripulire».
«Pulisco io», si offre Colin.
«Tu pensa alla ferita».
«Vieni». La voce di Jack mi
investe violenta da un lato, e poi mi afferra il polso.
Scatto come un animale
impaurito, facendo un salto all’indietro di qualche passo. Poi
faccio una cosa davvero stupida. Lo guardo negli occhi, quegli
occhi grigi pieni di preoccupazione.
Piega la testa da un lato,
dicendomi tutto senza pronunciare parola. «Dov’è il bagno?», mi
chiede.
Indico in fondo al corridoio,
avendo perso la facoltà di parlare. Prima che possa anche pensare
di protestare, Jack mi mette una mano sulla schiena e mi spinge
verso la mia camera. La sua mano è come fuoco sulla schiena, che
brucia il tessuto del vestito.
Rimarremo soli. Che dirà? Che
dirò io? È sposato? È qui, a casa mia con la sua cazzo di moglie!
Ed è il costruttore di Colin! Mi si contrae lo stomaco.
Non chiude la porta della
camera dietro di sé, sceglie piuttosto di accostarla. Poi si fa
strada nella stanza, trascinandomi con insistenza. Con uno sguardo
veloce alle spalle, chiude la porta del bagno dietro di noi, e
anche se sono distrutta, riconosco quanto le porte chiuse
potrebbero sembrare sospettose se la moglie venisse a cercarci.
Faccio per aprirla di nuovo, ma Jack mi ferma, bloccandomi il
passaggio con il suo corpo alto e muscoloso. Altri ricordi, in cui,
però, quel corpo è nudo.
Mi rifiuto di guardarlo negli
occhi. Sono uno straccio dentro di me – confusa, ferita e
arrabbiata –, ma una sete e un desiderio che conosco molto bene mi
assalgono. E mi terrorizzano. Non è stato l’alcol quella sera. Non
è stata la mia immaginazione. È stato reale, e in questo momento
sento le stesse sensazioni. Proprio quando non dovrei.
Non parla, lascia che il
silenzio si riempia di parole taciute e si permei di una voglia
potente. Sapevo che avrei dovuto stargli lontano! Ho percepito che c’era una ragione per cui dovevo
stargli lontano. Oh, mio Dio, è sposato! Quella sera ho controllato
che non avesse l’anello. Non indossava l’anello!
«Devo andare». Lo spingo via,
ma lui mi afferra e mi tiene ferma, con il respiro agitato e
affannato.
«Sei l’architetta di Colin?»,
domanda, con voce piena e calma, sebbene sia ragionevolmente
preoccupato.
«Sì», rispondo, breve e
concisa, senza iniziare con tutte le domande che dovrei sputargli
addosso.
Devo far finta di non
conoscerlo. Devo far finta di non aver mai posato gli occhi su di
lui. È l’unica soluzione. «Perché non mi hai detto di essere
sposato?». Non riesco a trattenere questa domanda.
Mi stringe la spalla. «Non
potevo», dice semplicemente. «Non riuscivo a pronunciare
fisicamente le parole, perché in quel momento, Annie, speravo di
non essere sposato, più di quanto abbia mai sperato prima».
Prima? Scuoto la testa, non voglio che questa
domanda mi trattenga qui più a lungo. «Devo proprio andare».
«No», dice a denti stretti,
scuotendomi un poco.
L’ansia sale alle stelle.
Posso far finta che fra noi non sia successo niente solo se me lo
permette lui, e il suo comportamento ora mi dice che non è pronto.
O forse è preoccupato che dirò qualcosa alla moglie. La
moglie! La moglie che in questo
momento sta raccogliendo pezzi di vetro in corridoio!
La rabbia mi assale, e oso
guardarlo negli occhi. Il volto attraente è come un pugno in
pancia. Ho la nausea. «Non dirò niente se è questo che ti
preoccupa».
«Te ne sei andata», sussurra,
prendendomi un braccio e tirandomi verso il lavandino.
Apre il rubinetto e mi spinge
la mano sotto l’acqua corrente. Non sento dolore. Non sento un bel
niente a causa dello shock.
«Mi sono svegliato e te n’eri
andata», dice. «Perché?».
Questa audacia mi
sbalordisce. Come se dovessi giustificare le mie azioni! «È più che
irrilevante ora, non pensi?». Fremo di rabbia, strappando la mano
dal lavabo e avvolgendola in un asciugamano.
Sono così stupida! Scommetto
che esce ogni weekend per attirare le donne in hotel con questo
aspetto così peccaminoso, le parole giuste, gli occhi brillanti e
un po’ di chiacchiere seducenti. Chiaramente l’ha anche fatta
franca, perché è ovvio che la moglie si fida. Non ci ha pensato due
volte prima di mandarmi da sola con lui in un’altra stanza. Che
pezzo di merda! All’improvviso sono così infuriata con me stessa
per aver sprecato una settimana intera ad analizzare ogni minimo
dettaglio del nostro incontro, sezionandolo per cercare di capirci
qualcosa. Quante donne ha preso alla sprovvista?
Si avvicina e si china un
poco, e il suo profumo mi investe. Trattengo il respiro per
evitarlo. Per non concedermi di assaporarlo.
«Non c’è nulla di irrilevante
riguardo a quella notte, Annie. Non ho pensato ad altro». Solleva
la mano e mi accarezza la guancia, disegnandomi lievemente dei
cerchi sulla pelle con il pollice.
Mi rilasso completamente, la
sensazione del suo tocco così tenero spezza la rabbia, e riprendo a
respirare, colpita da un’ondata del suo profumo mascolino. Rimango
intontita.
«C’era qualcosa fra noi»,
sussurra. «Porca puttana, qualcosa che si è impossessato di me. Non
riesco a smettere di pensarti, Annie. Sono tornato in quel pub ogni
cazzo di sera per cercarti». Avvicina il volto, riscaldandomi le
guance col suo respiro quando chiudo gli occhi e cado in trance.
«L’hai sentito anche tu, non è vero? Non è stato solo sesso. Dimmi
che anche tu l’hai sentito». Mi sfiora la guancia con la barba e io
gemo, mio malgrado, catapultata all’improvviso in quella stanza
d’hotel. «Pensavo che non ti avrei mai più rivista».
Deglutisco, nel tentativo di
non essere travolta dalla conferma dei suoi sentimenti. È
irrilevante ora. Ma il suo tocco… È come fuoco, spinge i ricordi in
cima ai miei pensieri, facendomeli rivivere uno ad uno senza
sosta.
«Quella notte», sussurra.
«Con te accoccolata accanto, non avevo più preoccupazioni. Né
problemi. Non sentivo nulla oltre te, ed è stato perfetto,
Annie».
Deglutisco ancora e stringo
gli occhi. «Perfetto, finché non ho scoperto che sei sposato». Le
parole fanno male, e, sebbene mi stia sforzando di fare un passo
indietro, di interrompere il contatto perché so che non dovrei
amare questa sensazione, non faccio nulla. Rimango dove sono, senza
volere e senza essere in grado di privarmi delle emozioni
fantastiche che ho sognato di provare di nuovo.
«L’hai tenuto», dice Jack
piano, facendomi aprire gli occhi. Prende il tappo di bottiglia
dalla mensola sopra al lavandino e ci gioca per qualche secondo,
studiandolo mentre lo muove fra le dita. Non dico nulla, lo guardo
e intanto lui torna con lo sguardo su di me. «Neanche tu sei
riuscita a dimenticare».
Ci fissiamo negli occhi per
qualche istante quando posa il tappo alla cieca. Poi si avvicina,
spingendo il corpo contro il mio. Esplosioni. Unisce le nostre
labbra quasi pigramente. Nella mia testa sto urlando, ordinando a
me stessa di spingerlo via. Ma il cuore mi batte forte e il corpo
sta riprendendo vita. Le sue labbra. Le mani. La voce. Il viso. I
suoi baci. Baci teneri che diventano appassionati. Un altro di quei
baci logoranti. Un altro. Per favore, un
altro. Mi sfiora dolcemente le labbra con le sue e io mi
rilasso contro di lui.
«Jack!».
Vengo interrotta da questo
comportamento avventato quando la voce di lei arriva fino al bagno,
e faccio un salto all’indietro, e anche Jack, proprio quando la
porta si apre ed entra sua moglie. «È grave?», mi chiede,
avvicinandosi.
La sua presenza risveglia il
buonsenso in me in un batter d’occhio. «Non è niente», la rassicuro
con un sorriso tirato. «Ho un cerotto in cucina».
«Forse è meglio metterci
prima una crema antisettica», dice Jack piano, e alzando lo sguardo
trovo i suoi occhi profondi che mi fissano.
Stephanie ride e gli posa una
mano delicata sull’avambraccio scoperto. Lui si irrigidisce
visibilmente. «Sempre così saggio», dice lei con aria sognante
mentre mi cade lo sguardo sulla mano poggiata sul braccio.
Braccia forti a entrambi i
lati della mia testa mentre lui si spingeva dentro di me.
No!
Scuoto la testa per scacciare
i ricordi e conquisto un po’ di stabilità dal nulla. «Che bel modo
di iniziare la serata». Rido, osservando Jack tirare via il braccio
dalla presa della moglie mentre le lancia sguardi nervosi.
Quelli di lei non lo sono.
Sono socchiusi. Altra tensione.
«Torniamo alla festa». Indico
la porta, sollevata quando Stephanie si stampa un sorriso in faccia
e si avvia, con Jack al seguito.
Li seguo fuori. Loro due.
Stephanie e Jack. Una coppia sposata.
Lui ha le spalle tese, e a
intervalli di pochi secondi vedo il suo profilo quando si gira per
guardarmi. Ogni volta io distolgo lo sguardo, morendo dentro,
bombardata da così tante emozioni. Non so cosa farmene di nessuna
di esse. Il senso di colpa: è l’emozione più potente di tutte. E
poi un’altra dose di panico quando vedo Lizzy arrivare dal
giardino.
Oh Gesù, ero così presa dal
mio stato di shock da dimenticare che gli amici che sono qui
stasera erano al pub anche quella
sera. La guardo con orrore fermarsi lentamente, ignorando Stephanie
in favore di Jack, e il suo sorriso svanisce. Sorpasso Jack,
dandogli una gomitata al braccio, e raggiungo Lizzy, costringendola
a tornare indietro.
«Non lo conosci», le sussurro
all’orecchio mentre mi giro, piantandomi un sorriso in faccia.
«Questa è Lizzy!», dichiaro, presentandola. «Lizzy, questo è Jack,
il costruttore del mio cliente, e questa è sua moglie, Stephanie». Non intendo sottolineare con
rancore quella parola, ma nell’eventualità che Lizzy non capisca,
devo scandire per bene, forte e chiaro, la situazione di merda in
cui mi ritrovo.
Lizzy stringe la mano a
entrambi, con un sorriso vivace. Ha azzeccato la maschera
disinvolta e indifferente più di me. «Che piacere conoscervi»,
intona, voltandosi verso di me dopo averli salutati. Ha gli occhi
scuri spalancati. Quasi fuori dalle orbite. È normale. «Vado a
cambiare canzone».
Mi lancia un segnale
silenzioso con un cenno del capo. Leggo i suoi pensieri come se
fossero scritti in un copione. Si accerterà che Nat e Micky non mi
mettano nella merda. Cazzo, spero che non riconoscano Jack; erano
entrambi ubriachi fradici, ma non posso rischiare. «Penso che solo
Micky lo riconoscerà», sussurra Lizzy quando mi passa
davanti.
Dio, lo spero. Colin appare
sulla soglia. «Stai bene?»
«Non è nulla», lo rassicuro.
«Hai preso da bere?»
«Sì». Solleva un bicchiere di
vino rosso. «Stavo versando anche quelli di Jack e Stephanie, ma il
tuo amico Micky mi ha distratto. È un personal trainer, proprio
quello che mi serve!». Colin flette i bicipiti inesistenti e torna
in giardino. «Prendete da bere e unitevi a noi».
«Cosa prendi?», domando a
Stephanie, aprendo la dispensa per prendere la cassetta di primo
soccorso.
«Del vino va benissimo,
grazie. Bianco, per favore».
«Jack?», chiedo, odiando
sentire il suono del suo nome uscire dalle mie labbra. Dietro di me
sento il rumore di un respiro profondo.
«Una birra, per favore»,
dice, mentre mi sbrigo a mettere un cerotto sul taglietto.
«Budweiser, se ce l’hai».
Rimango paralizzata.
Budweiser. Lo rivedo bere dalla bottiglia e vedo me stessa, rapita
alla vista della sua gola tesa. E il tappo di bottiglia. Qualcosa
per ricordarmi di lui. «Ce l’ho». Infilo la cassetta di primo
soccorso nella credenza e mi giro, incrociando i suoi occhi.
«Grazie». Distoglie lo
sguardo, dandomi la forza di agire.
Preparo i loro drink di
fretta, ma non troppo velocemente, per dare tempo a Lizzy di
scovare il resto dei miei amici. Quando la vedo sulla soglia, che
annuisce lievemente, rischio di sciogliermi in una pozzanghera sul
pavimento.
«Andiamo in giardino?».
Faccio strada e presento Jack e la moglie agli altri, sentendo lo
sguardo di lui fisso su di me per tutto il tempo.
Nat non ha idea di chi sia
Jack, ma l’atteggiamento di Micky cambia non appena posa gli occhi
su di lui. Fisso il mio più vecchio amico finché non sposta lo
sguardo su di me, poi lo guardo con un’espressione implorante,
sperando che veda la mia supplica silenziosa. Scuote la testa,
tanto disturbato dalla situazione quanto me, prima di riportare
l’attenzione su Colin.
Solo un morto non si
accorgerebbe della tensione che opprime il giardino. Sono certa che
la sentano tutti, eppure quando mi guardo intorno tutti
chiacchierano normalmente, ignari. Lascio Stephanie e Jack con Nat
e corro in cucina per prendere altro vino, sapendo che troverò
compagnia…
«Che cazzo succede?», sibila
Lizzy, unendosi a me davanti al ripiano dove sto versando il vino
con mani tremanti.
Annuisco e mi porto il
bicchiere alle labbra, buttando giù metà del vino.
«Dimmi che non lo
sapevi».
«Non lo sapevo», rispondo con
calma, per niente insultata dalla richiesta di Lizzy mentre bevo e
mi volto, appoggiando il sedere contro il ripiano.
Micky entra in cucina con gli
occhi spalancati e preoccupati. «Annie, stai bene?».
Annuisco ancora e bevo un
altro sorso. «È sposato», mormoro distrattamente, fissando il fondo
del bicchiere. «L’uomo della scappatella meravigliosa è sposato, è
a casa mia con la sua maledetta moglie, ed è il costruttore del mio
cliente». Alzo lo sguardo sui miei amici. «Devo lavorare con lui».
Rido. «Pare una cazzo di barzelletta!».
«Che figlio di puttana»,
sputa Micky, sbattendo il bicchiere sul tavolo.
«Nat era troppo impegnata a
ballare e a riempirsi di shottini per accorgersi di lui al pub»,
dice Lizzy, guardando fuori, senza dubbio per controllare che la
via sia libera.
«Non riesco a crederci»,
farfuglio. «Tutto quel tempo perso a pensare a lui».
«Tieni». Lizzy mi versa altro
vino e Micky si avvicina, abbracciandomi.
«Sono un’idiota».
«No», esclamano
all’unisono.
«Lo sono. Sono caduta ai suoi
piedi, e ora devo guardare la moglie negli occhi sapendo di essermi
scopata il marito». Il solo pensiero scatena un’altra ondata di
panico e inizio a tremare, rischiando di rovesciare il vino dal
bicchiere.
«Non è colpa tua». Lizzy
pronuncia le parole digrignando i denti, arrabbiata. «Guardami», mi
ordina, e io alzo lo sguardo. «Calmati. Sopravvivi a stasera e poi
ne riparleremo domani mattina».
«Che devo fare?», le chiedo.
«Non posso lavorare con lui!». Dovrò rinunciare al progetto di
Colin. È il progetto che sogno da una vita, e dovrò
abbandonarlo!».
«Per ora, non lascerai che ti
rovini la serata. Domani penseremo a…».
In cucina cala il silenzio
quando ci accorgiamo di un’altra presenza, e tutti e tre guardiamo
verso la porta. Jack è sulla soglia, bersaglio delle occhiatacce
infuocate lanciate contro di lui. «Ho bisogno di parlare con
Annie», afferma con disinvoltura.
«Cosa?», si intromette Micky,
quasi divertito dalla sfacciataggine della sua dichiarazione.
«Arrivi qui come se nulla fosse, con la tua cazzo di
moglie…».
«Devo delle spiegazioni solo
a una persona», dice Jack con calma. «Cinque minuti, Annie, per
favore». Mi fissa con uno sguardo pieno di disperazione. Mi
costringo a ignorare la sua apparente angoscia e mi ripeto che ho
diritto a una spiegazione. Perché è vero.
«Cinque minuti», confermo,
lanciando uno sguardo a Micky e Lizzy, consapevole di essere la
pazza che pensano che sia. Ma ho bisogno di sentire cosa ha da
dire. Ho bisogno di chiudere la faccenda. «Va tutto bene».
Escono entrambi, chiaramente
riluttanti, e una volta rimasti soli, quell’energia fra me e Jack –
l’energia che mi spaventa – torna a farsi sentire. È così potente
che sono costretta ad attraversare di fretta la cucina per mettere
più distanza possibile fra noi e, forse, per far sembrare la
situazione il più normale possibile se qualcuno dovesse entrare.
Siamo solo due persone che chiacchierano di affari. «Sentiamo,
Jack. Spiegati», dico, tagliando corto.
È chiaramente titubante.
«Prima che cominci a spiegare, devi sapere che non ho mai tradito
mia moglie. Mai, Annie. Sei stata la prima».
Sbuffo, non riuscendo a
trattenermi. «E questo dovrebbe giustificarti?»
«Non ho detto che mi
giustifica. Voglio solo che tu sappia che non ho l’abitudine di
tradire mia moglie». Fa qualche passo verso di me e io alzo una
mano, impedendogli in silenzio di avvicinarsi ancora mentre do una
veloce occhiata in giardino. La moglie sta chiacchierando con
Lizzy. La mia amica la sta tenendo occupata mentre il marito è qui
con me. Faccio una smorfia, inghiottendo il senso di colpa
crescente. «Hai pensato a me?», mi chiede lui.
Torno a fissarlo negli occhi.
«No». Ammetterlo sarebbe da stupidi.
«Non mentirmi», mi avverte,
completamente serio. «Non far finta di non aver provato la stessa
cosa».
«Che diavolo importa ora?»,
sibilo. «Mi hai mentito. Dov’era l’anello?».
Alza le mani, mostrandomi
l’anulare. Niente anello. «Non lo porto. Mi sono rotto un dito
mentre lavoravo con degli attrezzi e non sono più riuscito a
metterlo».
«Allora avresti dovuto
dirmelo!». Immagino che molte donne si lancino ai suoi piedi.
Dovrebbe avere un cartello in testa o una cosa simile, qualche
avviso ben visibile di non avvicinarsi a lui.
«Dirtelo?». Quasi scoppia a
ridere. «Te l’ho già spiegato, Annie. Non potevo. Non potevo
nemmeno pensare le parole per dirtelo.
Non vedevo niente a parte te. Non
pensavo a nulla a parte quanto volessi te. Tutto il resto era nulla in confronto. Vedo
solo i tuoi occhi verdi che mi fissano. Sento solo la tua pelle
contro la mia. Il tuo respiro nelle orecchie».
«Smettila!», gli ordino,
ignorando il fatto che la mia reazione è stata simile. Ma io sono
single. Mi è permesso provare queste cose. Non a lui. Non se è
sposato!
«No». Si avvicina a me, e io
mi ritrovo a guardarmi velocemente alle spalle, nervosa, prima di
rivolgermi a lui. È troppo vicino. È pericoloso per una serie di
ragioni oltre al fatto che la moglie potrebbe entrare in cucina.
«Non riesco a smettere, Annie».
Scuoto la testa e mi
allontano, aprendo un mobiletto per tirare fuori una busta di
salatini: qualsiasi cosa pur di apparire indaffarata e disinvolta.
«Sei sposato. Finisce qui», dico piattamente e con fermezza, senza
permettere alle sue parole di sgretolare la mia risolutezza.
«Tu vuoi che finisca?», mi
chiede, prendendomi in contropiede.
Non rispondo velocemente come
dovrei, distratta dal versare i salatini in una ciotola. «Mi stai
proponendo una tresca?»
«Ti sto chiedendo se sei
curiosa riguardo a noi due».
«Non esiste “noi due”»,
sussurro in un sibilo, guardandomi di nuovo intorno.
«E se invece dovesse
esistere?».
Indietreggio, sbalordita.
«Cosa?»
«È tutta la settimana che
combatto con la mia coscienza, Annie. Mi sono detto che non è il
modo giusto per porre fine al mio matrimonio. Ci ho provato, ho
provato così tanto a smettere di pensare a te, cazzo, e poi
capitano problemi con Stephanie e io mi ritrovo al punto di
partenza, ossessionato da te e dal modo in cui mi fai sentire. Come
mi hai fatto sorridere. Quello che mi hai fatto provare. Hai
annebbiato tutto il resto».
Problemi con Stephanie? Mi
chiedo quali possano essere e mi odio per questo. Non posso
chiederglielo. Non dovrei chiederglielo.
«Stai lontano da me». Mi giro
ed esco dalla cucina prima che Jack possa ribattere e scalfire la
mia determinazione, mi stampo un sorriso in faccia e mi dirigo
verso il giardino.
Ho solo bisogno che la serata
finisca così posso dare inizio al crollo che sicuramente mi metterà
k.o. L’ha sentita, proprio come me –
la connessione, l’intesa travolgente. Era solo libidine, però,
risvegliata e resa più potente dall’alcol. E dalla spontaneità.
Devo continuare a ripetermelo. È il modo più sicuro. Non avrei mai
pensato di rivederlo, piuttosto sarebbe rimasto un ricordo
bellissimo seppure frustrante nella mia testa. Un punto di
riferimento a cui paragonare tutti gli uomini a venire. Dubito che
proverò quell’attrazione schiacciante con qualcun altro. Sono stata
stregata, ho provato qualcosa di incredibile, per poi scoprire che
non posso più riaverla. Che non avrei dovuto a prescindere. Negare
qualcosa a se stessi è un conto. Ma che situazioni fuori dal
proprio controllo ci neghino quel qualcosa è tutto un altro paio di
maniche. Fa solo sì che il desiderio cresca.
Guardo Stephanie che parla
con Colin, e Jack è al suo fianco in silenzio, chiaramente
distratto. Per quanto mi sforzi, non posso fare a meno di
guardarlo. Ogni volta che incrocio il suo sguardo, distolgo
immediatamente il mio, cercando di calmarmi appena sento il cuore
in gola. Cerco di prestare attenzione alle conversazioni, ma sono
troppo disattenta, vedo le bocche muoversi, ma non sento le parole
che pronunciano. Ho la testa piena di ricordi. Di cose che mi ha
detto Jack. Dei modi in cui mi ha toccata e in cui ha fatto l’amore
con me.
Lancio un altro sguardo
nascosto verso di lui, ma questa volta la sua attenzione è rivolta
alla moglie che gli parla. Colin alza le mani, come in segno di
resa, e si allontana cautamente dalla coppia, facendosi strada
verso di me. Stephanie sembra irritata, e sebbene io faccia del mio
meglio per leggere il labiale, non riesco a capire cosa sta dicendo
al marito. Il marito. Jack. Il marito di Stephanie.
«Stanno degenerando laggiù»,
scherza Colin, un po’ brillo, mentre si avvicina.
«Chi?», domando, facendo la
gnorri, con un occhio su di lui e uno su Jack.
«Jack è un uomo bravissimo,
ma sembra che le voci siano vere».
«Che voci?», chiedo,
aggrottando le sopracciglia mentre guardo Stephanie avvicinarsi a
Jack mentre lui indietreggia un poco, scuotendo la testa con gli
occhi chiusi. Sta raccogliendo la pazienza.
«Be’», esordisce Colin. «Ho
incontrato Stephanie solo stasera, ma capisco cosa intendono gli
altri. È un po’… difficile da gestire».
Difficile da gestire? Non
riesco a distogliere lo sguardo. Jack sta chiaramente cercando di
mantenere un profilo basso per non far seccare Stephanie,
chinandosi un poco per parlarle e poggiandole una mano sul braccio
per confortarla. Rimango a fissare quella mano, la sento che mi
tocca ancora. Qual è il suo problema? Sospetta qualcosa? Ha
percepito l’attrito fra Jack e me?
Sposto lo sguardo tra loro,
nel tentativo disperato di capire cosa stia accadendo. Jack
incrocia il mio sguardo e fa un respiro profondo quando Stephanie
se lo scrolla di dosso e si scola il vino con un ghigno. Si
allontana per riempire di nuovo il bicchiere, e io mi ritrovo
bloccata, con la voglia di andarmene, ma senza poterci riuscire.
Inizio a tremare, temendo ogni volta che si tratta di Jack di
perdere il controllo del mio corpo. E, ancora peggio, della mia
mente.
«Meglio tenersi alla larga
dalle liti domestiche», dice Colin, indicando il mio bicchiere
vuoto. «Vuoi ancora da bere?».
Mi sforzo di sorridere. «Devo
andare in bagno». Costringo le gambe tremanti a portarmi dentro
casa e poi al bagno. Chiudo la porta e mi accascio contro il legno,
provando a respirare profondamente per calmarmi.
Mi sento come se stessi per
spezzarmi sotto la pressione della presenza di Jack, la mente
sovraccarica, e mi chiedo se la tensione fra noi sia ovvia. Mi
chiedo perché la moglie sia arrabbiata. Non sono un tipo paranoico.
Non sono irrazionale. Eppure in questo momento mi sento come se
avessi un cartello sulla schiena che elenca ogni mio peccato.
«Annie?». Un colpo alla porta
dietro di me, poi la voce preoccupata di Lizzy mi raggiunge in
bagno. «Tutto bene?»
«Sto bene». Corro verso il
lavandino e mi strofino le guance arrossate, poi noto il tappo di
bottiglia sulla mensola. Non guarderò più le Budweiser nello stesso
modo. Con la mascella serrata, afferro il tappo e lo butto nel
cestino della spazzatura. «Arrivo».
«Se ne sono andati», dice lei
piano attraverso la porta.
Mi giro di scatto, tirando un
sospiro di sollievo. «Davvero?»
«Sì, sono appena andati via.
La moglie sembrava un po’ ubriaca».
Apro la porta e affronto le
labbra contratte della mia amica, nel tentativo di sorridere.
Completamente fallito. «Un po’?»
«Okay. È totalmente andata».
Lizzy mi osserva attentamente. «Ad essere sincera, stava bevendo
vino come fosse acqua».
Faccio una smorfia. «Penso
che stessero litigando. E se lei lo sapesse?». Inizio nuovamente a
tremare.
«Non lo sa, Annie.
Calmati».
Provo a respirare
regolarmente, e Lizzy mi prende un braccio. «Andiamo». Mi fa uscire
dal bagno, dove pensavo beatamente di nascondermi per il resto
della mia vita. «Micky ha preparato gli shottini, e penso che a te
ne servano una decina».
Passo il resto della serata a
far finta di ascoltare le conversazioni mentre mi chiedo
costantemente cosa stia pensando Jack, cosa stia facendo, e cosa
stia dicendo alla moglie.
Micky e Lizzy si inventano
delle scuse per rimanere quando tutti se ne vanno, tuttavia la
consapevolezza di un interrogatorio imminente non mi riempie di
terrore come forse dovrebbe. Ho bisogno del loro supporto, e
inoltre Lizzy ha passato gran parte della serata a parlare con
Stephanie. Che cosa ha scoperto? Ho bisogno di saperlo? O, ancora
meglio, voglio sapere di loro due?
Perché sono loro due. Una coppia.
Sposati.
Chiudo la porta dietro gli
ultimi ospiti, poi mi giro e trovo Micky e Lizzy in piedi in
corridoio, entrambi sobri, entrambi in attesa di… non so cosa.
Quindi faccio spallucce, e la serata mi cade addosso e mi
opprime.
«Non ci posso credere», dice
Lizzy, scuotendo la testa.
«Tanti auguri a me per la
nuova casa», mormoro, dirigendomi verso di loro. Mi lasciano
passare e vado in salone, dove raccolgo dei cuscini e li tiro sul
divano mentre vado in cucina. Mi verso un cicchetto sotto forma di
bicchiere di vino, e bevo un lungo sorso guardando fuori dalla
finestra. «È stato divertente», dico seriamente.
Lizzy si schiarisce la gola e
viene al mio fianco, Micky all’altro, come se percepissero il mio
bisogno di supporto. Li guardo a turno e faccio un piccolo sorriso
disperato.
«Stai bene, dolcezza?». Micky
mi accarezza una spalla, stringendomela.
«Sì», dico con risolutezza.
«Davvero». Scuoto la testa fra me e me e finisco il vino, sperando
che mi metterà k.o. e porrà fine alla
mia miseria.
Entrambi mi osservano
dubbiosi, e ne hanno ogni diritto. Non sto bene. Si sente dalla mia
voce, e sono certa si veda anche dal mio aspetto. La mia esistenza
stabile e controllata è stata scossa fino al midollo, e ho paura.
Più di quanta ne abbia avuta per la connessione devastante fra
noi.
Perché tutti vogliono ciò che
non possono avere.