Capitolo
3
La serata finisce
senza ulteriori tentennamenti da parte mia, ma molti da parte dei
miei amici. Sono tutti distrutti, ma, avendo bevuto solamente acqua
dopo il mio avvincente incontro con un esemplare perfetto di uomo
diabolicamente irresistibile, sono riuscita a essere solo un po’
brilla. Mi ha colto di sorpresa, e ho impiegato il resto della
serata per riprendermi.
Lizzy mi ha assillato senza
sosta per non essermi portata a letto l’uomo di cui sopra; Micky ha
flirtato apertamente con Lizzy, e altrettanto ha fatto lei; e Nat
ha consumato il pavimento del locale a forza di ballare.
È ora di prendere il
taxi.
«È stata la serata più bella
in assoluto!», intona Nat mentre li raduno come pecore verso i taxi
in sosta. Alza in aria le braccia e scuote i capelli. «E adoro i
miei nuovi capelli, cazzo! A te piacciono?». Guarda Micky, che ora
tiene Lizzy in una presa di sottomissione.
«Adoro i tuoi nuovi capelli,
cazzo», concorda lui, con un singhiozzo.
«Penso che ti fanno sembrare
più vecchia», interviene Lizzy con la voce impastata.
«Sofisticata!», strilla Nat
indignata. «Eh, Annie?»
«Sofisticata», le confermo
con una risata. «Entrate!», ordino, aprendo la porta di un taxi in
attesa e guidandoli dentro uno per uno. Sorprendentemente, nessuno
inciampa sul gradino, ma finiscono tutti sui sedili con un tonfo.
Il tassista mi guarda, poiché per esperienza sa che sono l’unica
con cui può comunicare.
«’Sera», dico mentre mi chino
per entrare, ma quando alzo il piede dal terreno qualcosa
dall’altra parte della strada attira la mia attenzione. Mi
raddrizzo per guardare oltre il tettuccio della macchina e un
calore mi riempie le vene, facendo affluire velocemente il sangue
al cuore come se fosse una gara. Se mai
dovessi posare di nuovo gli occhi su di te, Annie, non posso
prometterti che sarò in grado di fare la scelta giusta e
andarmene.
È dall’altro lato della via,
con le mani nelle tasche dei jeans. E mi sta fissando, con gli
occhi grigi che brillano intensi, anche a questa distanza. Lo
stomaco mi si riempie di farfalle.
«Andiamo, Annie!», urla
Micky, prendendomi la mano appoggiata sulla portiera.
«Entra!».
Le ragazze cominciano a
chiamarmi in coro, e anche loro, forse, mi stanno dicendo di salire
sul taxi, ma non li sento. Né sento il rumore del traffico che mi
passa davanti; le auto che sfrecciano fra me e Jack sono solo
macchie sfocate.
Non so cosa fare. Se montare
in macchina – l’opzione più saggia – o chiudere la portiera e
mandare a casa i miei amici – l’opzione stupida. Non sono stupida.
Non lo sono mai stata.
Sembra una statua, immobile.
Aspetta che io prenda una decisione, senza mai distogliere lo
sguardo dal mio. Poi annuisce, così piano che quasi non me ne
accorgo. Vede quanto sono combattuta. Spera silenziosamente che
rimanga dove sono, perché nonostante ciò che ha detto, potrei
essere io ad andarmene. A prendere
quella decisione per conto di entrambi.
La scelta spetta a me. Che
sia quella giusta per entrambi non è dato sapere. Ma la mia mente
non contempla ciò che è giusto e sbagliato. È troppo consumata da
lui.
Faccio scivolare la mano
sulla portiera, pronta a chiuderla. «Ci vediamo domani, ragazzi»,
dico, senza guardarli.
«Eh?», chiedono tutti
all’unisono, ma li ignoro e mi rivolgo al tassista, elencando i
loro indirizzi. Rimango comunque concentrata su Jack, dall’altra
parte della strada. Chiudo la portiera, sentendo il borbottio
confuso dei miei amici, ma il conducente si allontana prima che
possano protestare ulteriormente. Senza dubbio non mi avrebbero mai
lasciata da sola dopo una serata, ma stasera l’alcol è dalla mia
parte. Guardo il retro del taxi mentre si allontana, e vedo Lizzy
che mi fissa dal lunotto posteriore, evidentemente confusa. Poi
sposta lo sguardo sull’altro lato della via e spalanca la bocca.
Intravedo solamente le labbra strette prima che il taxi giri
l’angolo.
Due secondi dopo mi squilla
il cellulare. Non rispondo, ma le mando un messaggio,
rassicurandola che va tutto bene e che so cosa sto facendo. È una
bugia. Non ho la minima idea di cosa sto facendo.
Guardo Jack di sottecchi. A
separarci c’è una strada – lui è in piedi su un marciapiede, io
sull’altro, e le auto sfrecciano fra noi. E quando inizia a
camminare, controllando velocemente prima di attraversare, io
comincio a indietreggiare mentre lui si avvicina, fino a ritrovarmi
con la schiena contro un muro di mattoni. Respiro velocemente e
tremo come una fiamma nel vento.
Quando mi raggiunge, posa
entrambe le mani sul muro ai lati della mia testa. Gli fisso il
collo, non riuscendo a sollevare lo sguardo sul suo volto ora che è
così vicino. «Perché non ho continuato a camminare verso casa?»,
chiede, la frustrazione chiara e forte. «Perché cazzo non ho
continuato a camminare?».
Perché
l’hai sentito anche tu, grido mentalmente, stordita dal suo
profumo inebriante – è così vicino, sento il suo inguine sfiorarmi
leggermente il vestito.
Lo sguardo duro scava
profondamente nei miei occhi quando avvicina lentamente il volto al
mio. Trattengo il respiro e lascio che le sue labbra sfiorino le
mie, con gli occhi ancora aperti. Ho il fiato corto, come lui. Poi
si allontana di qualche centimetro, passandosi la lingua sul labbro
inferiore, come per assaporare ciò che già ha preso. Respira
profondamente, e così facendo spinge il petto contro il mio. «Dimmi
di andarmene», sussurra, e l’ordine è un brivido che mi corre lungo
la spina dorsale. «Dimmelo».
«Vattene».
«Col cazzo». Si butta in
picchiata e mi prende la bocca come se gli appartenesse –
profondamente, con passione e con una convinzione incomprensibile.
Sono annebbiata immediatamente da desiderio e lussuria quando lui
si strofina contro di me. Le lingue duellano, i corpi sono premuti
l’uno contro l’altro, ed è ben oltre qualsiasi piacere abbia mai
creduto possibile.
Sollevo le braccia per
abbracciargli il collo, tenendolo fermo mentre ci baciamo come se
non avessimo mai più un’altra opportunità. Mi fa scivolare una mano
grande lungo il retro della coscia e la tira su, portandomi la
gamba all’altezza della vita. Inalo i suoi grugniti, li
inghiottisco nelle parti più profonde di me, gemendo ogni volta che
muove i fianchi contro i miei, spingendomi sempre di più contro il
muro.
Merda, sono perduta.
«Ho bisogno di qualcosa di
più», dice con urgenza, portandomi le labbra all’orecchio per
leccarne lentamente il lobo, ansimando forte. «Devo vederti nuda.
Devo entrarti dentro. Ho bisogno di te in questo cazzo di istante.
Dove vivi?».
La domanda mi fa esitare. Lo
voglio disperatamente quanto lui, ma da qualche parte dentro di me
ho ancora un brandello di razionalità. Non mi sogno neanche di
portarlo a casa mia. Devo essere comunque prudente.
Non è da me. Non sono
avventata, ma in questo momento interromperci è impossibile. Forse
è per la spontaneità; forse è per il senso di proibito; forse è per
i brividi, il pericolo e il mistero. O forse è solamente per
qualcosa di semplice come l’intesa inebriante. Non lo so, ma ne
voglio ancora.
«A casa tua», controbatto,
strofinandogli il naso sul collo, e lo sento scuotere la
testa.
«Non posso aspettare così
tanto». Si allontana da me, e io rimango lì tremante e sorretta dal
muro. «Hotel».
Annuisco, e penso che sia la
scelta migliore. È uno spazio neutro. Non perde tempo, infila una
mano fra il muro e la mia schiena e spinge. Riesco a staccarmi dai
mattoni con il suo supporto, ma le gambe mi tremano ancora fuori
controllo mentre camminiamo svelti lungo la via. Lo guardo di
nascosto con la coda dell’occhio e vedo che è concentrato sulla
strada davanti a sé, la mascella tesa. E sento chiaramente che sta
tremando come me. Siamo entrambi tesi come molle pronte a scattare,
e moriamo dalla voglia di lasciarci andare. È una sensazione nuova
per me – strana ed eccitante.
Il tragitto fino all’hotel
più vicino è atrocemente lungo. Jack si avvicina al banco della
reception e chiede una camera, e quando la signora mi lancia uno
sguardo d’intesa, io non arrossisco nemmeno.
Lui prende la chiave della
stanza, mi porta fino all’ascensore e praticamente mi ci lancia
dentro. Non aspetta neanche che le porte si chiudano. Mi è di nuovo
addosso, mi bacia brutalmente, bloccandomi contro la parete e
assicurandosi che io senta cosa tiene nascosto dietro la cerniera
dei jeans. Inverte le nostre posizioni, e ora è lui con la schiena contro la parete, e le nostre
bocche si muovono come quelle di leoni affamati. Lo spazio
ristretto è saturo di gemiti, grugniti, lamenti e mugolii di
passione.
Quando si aprono le porte
quasi finiamo per terra, le labbra sono ancora incollate mentre mi
spinge a ritroso lungo il corridoio, controllando rapidamente il
numero di stanza giusto prima di tirare fuori la carta e aprire la
porta con un calcio. Interrompe il bacio e mi spinge dentro.
Inciampo, confusa, disorientata… con una voglia mai
sperimentata.
Comincia a sbottonarsi la
camicia muovendosi famelico verso di me, e una volta finito di
aprirla, la scrolla di dosso.
E io cerco di mandare giù la
meraviglia mentre osservo la superficie liscia del suo torace, e la
perfezione di questo corpo mi fa girare la testa. Non può essere
vero. È vero? Sono davvero qui?
Il modo in cui mi guarda… la
fame, la determinazione. Non mi sono mai sentita così desiderata e,
stranamente, indispensabile. È una rivelazione gratificante. C’è
anche una sensazione per niente familiare, però, a cui
probabilmente dovrei dedicare più tempo per analizzarla. Cioè
quanto abbia bisogno di lui in questo
momento. Un estraneo.
Sposta le mani sul bottone
della patta e si ferma davanti a me, a un paio di metri. L’elastico
dei boxer spunta fuori dai jeans, il tessuto teso su un addome
tonico. Fisso gli occhi sulle sue dita mentre pigramente si scopre
sempre di più, torturandomi, ha il respiro corto come me. Perché ha
rallentato? Perché la sta tirando per le lunghe? Lo guardo
disperata e vedo che mi sta osservando attentamente. Poi lascia
cadere i jeans a terra. Seguiti dai boxer.
I muscoli delle gambe
minacciano di cedere mentre lo fisso fermo qui davanti,
completamente nudo e più che stupendo. Questa non sono io. Non mi
piego alla volontà di un uomo, ma questo in particolare mi ha avuta
in pugno non appena mi ha incontrata al pub. Non so se odiare o
adorare l’idea. Quello di cui sono sicura, però, è che non posso
farci niente. Né voglio farci niente. Probabilmente mi aspetta una
notte di scopate selvagge e dure, a giudicare da quello che
promettono i suoi occhi grigi, e mi ci butto a capofitto.
Se solo riuscissi a sentirmi
le gambe.
Calciando via le scarpe, i
jeans e i boxer, mi prende per mano delicatamente, come se avesse
percepito che ho bisogno di un momento di tenerezza e di
conforto.
«Pronta, Annie?», mi domanda
piano. «Perché io lo sono al cento per cento».
Non aspetta una mia risposta.
Deve aver visto la certezza nei miei occhi. Avvicinandosi a me e
premendomi contro la finestra alle mie spalle, con la guancia
barbuta appoggiata alla mia, mi afferra l’orlo del vestito e lo
tira su. Alzo le braccia mentre cerco disperatamente un minimo di
disinvoltura, o qualsiasi altra reazione adatta ai suoi gesti calmi
e misurati. Non trovo nulla.
Va piano, ora, assaporando
ogni secondo, ogni movimento, ogni suono. Il vestito è andato, e io
sono ancora premuta contro di lui, con le sue mani dietro la
schiena. Sento il gancetto del reggiseno aprirsi e poi lui si
allontana, tirando giù le bretelle lungo le braccia, mentre con gli
occhi viaggia sul mio corpo.
Deglutisce.
Sonoramente.
Batte le palpebre.
Lentamente.
Grugnisce piano.
Quindi lascia cadere a terra
il reggiseno e abbassa lo sguardo sulle mie mutandine nere
striminzite. La vista del suo corpo imponente e nudo mi distrae da
qualsiasi timidezza. Il potere della sua presenza mi distrae da
qualsiasi tentativo di cercare un po’ di moderazione.
Con le dita trovo l’elastico
delle mutandine e le abbasso lungo le cosce, mostrandogli tutta me
stessa.
E aspetto.
E aspetto.
Aspetto così a lungo che
faccia una mossa, chiedendomi dove sia finita la mia mente. È
persa, caduta in un pozzo di avventatezza. Non posso far altro che
ammirare ciò che ho davanti.
«Ti è mai capitata una cosa
simile?», mi chiede piano. «L’intesa, il desiderio?»
«No». La risposta è facile ed
è la verità.
«Neanche a me». Fa un passo
in avanti e mi intrappola contro la finestra, riprendendo il bacio
folle e appassionato iniziato per strada e continuato
nell’ascensore. La mia mente è in un mare di piacere.
È nudo. Io sono nuda. Ci
tocchiamo ovunque si possono toccare due persone, la sua erezione
incastrata contro la mia pancia pulsa al ritmo del mio corpo. Geme
contro le mie labbra, facendo scivolare le mani lungo il sedere e
sulle cosce, stringendomi continuamente. Circondo le spalle larghe
con le braccia e lascio fare a lui.
Con un rapido strattone mi
solleva fino alla vita, ed è pronto a penetrarmi. Il vetro alle mie
spalle è diventato scivoloso, e con la schiena scivolo lungo la
superficie liscia a causa della mia pelle umida.
«Apriti a me», mi ordina,
sentendo la tensione nelle cosce.
Senza pensarci un momento mi
rilasso, lasciando che mi sostenga contro la finestra con il suo
corpo. «Preservativo», gli sussurro contro la bocca, riuscendo a
trovare un brandello di razionalità pur essendo famelica.
«Non ce l’ho». Continua a
baciarmi, e ho un tuffo al cuore. «Cristo, questo non faceva parte
dei miei piani per stasera, Annie», dichiara. «Tu?».
Gli lecco la lingua,
affondando le unghie nelle spalle. «No. Dovremmo fermarci».
«Prendi la pillola?»
«Sì, ma non è questo il
punto». Continuo a baciarlo, parlandogli in bocca. «Dovremmo
fermarci».
«Lo so». Mi prende le mani
posate sulle sue spalle e le spinge sul vetro, lasciandomi andare
brevemente la bocca per mordermi il labbro prima di riaffondare la
lingua, esplorando in lungo e in largo. «Dobbiamo fermarci».
«Già», confermo nel piacere,
lasciandolo intrecciare le nostre dita sopra la testa, mentre mi
lascia una scia di baci dalla guancia al collo.
«Dimmi di smetterla», ordina
debolmente e senza alcuna convinzione, succhiando e mordendomi la
pelle.
«Oh Dio!». Sospiro, sbattendo
la testa contro il vetro, e stringo ancora le cosce intorno alla
sua vita. «Jack, devi smetterla».
«Okay. Vuoi che la
smetta?»
«No!».
Ruota i fianchi e mi penetra
con un grido mozzato di soddisfazione, i denti serrati lievemente
sul mio collo. Tutto il mio mondo esplode in una nebbia di
incontenibile piacere mentre urlo al soffitto, un urlo lungo,
disperato e soddisfatto. Si ferma, ma respira in modo irregolare;
il pene lungo e spesso è completamente dentro di me. Questa
pienezza mi distorce la mente, il calore mi riempie le vene e fa
ribollire il sangue, e la sensazione che tutto vada come deve
andare mi impedisce di cacciarlo via. La presa sulle mie mani sopra
la testa è solida e ho avvolto le gambe attorno a lui come un
rampicante.
«Mi batte fortissimo il
cuore», confessa, mentre i fianchi gli tremano per lo sforzo di
rimanere fermo. «Batte così dannatamente forte, e mi sento da dio,
cazzo. Da dove sei venuta, Annie?».
Gli farei la stessa domanda
se non fossi impossibilitata a parlare. Perciò spingo il volto
contro il suo, chiudendo gli occhi e assaporando la sensazione dei
nostri corpi uniti stretti.
Sconosciuti.
Due completi sconosciuti. Il
fatto che la nostra unione possa essere così eccitante va contro
qualsiasi ragione. Questa intera situazione non è da me. Posando il mento sulla spalla, mi guardo alle
spalle, fuori dalla finestra. La città sotto di noi è viva e
luminosa, la gente continua a vivere la sua vita. E io sono qui
sopra a tutti, inchiodata alla finestra con il cazzo di uno
sconosciuto dentro di me.
«Tutto bene?». La domanda mi
spinge a chiedermi la stessa cosa, perché penso che la ragione che
ho perso sia andata perduta per sempre.
E a me sta benissimo
così.
Per tutta risposta mi spingo
giù, facendolo scattare con un gemito. Allora ripeto il movimento,
accrescendo l’attrito più che posso senza che Jack si muova.
«Gesù», borbotta, alzando la
testa dal mio collo.
Posa gli occhi grigi su di
me. Scoppiano scintille. Vengo travolta da un’altra ondata di
desiderio. Il mondo inizia a ruotare fuori controllo. Lui mi guarda
mentre si ritira, lentamente, con sicurezza e attenzione, e quando
si ferma, con solo la punta del cazzo dentro di me, faccio un
respiro profondo e lo trattengo, preparandomi.
Spinge in avanti, e io urlo.
Jack grugnisce e prende il ritmo – nessun’altra attesa, nessuna
coscienza, nessun dubbio. Spinge forte, colpendomi ancora e ancora,
e aggiunge qui e lì una mossa inaspettata per non lasciarmi
prevedere cosa viene dopo. Urlo continuamente dal piacere, il
nostro sudore si mescola, e le sue mani stringono forte le mie,
tendendomi le braccia sopra la testa. È una roba da matti. È una
scopata pazzesca, rude, selvaggia, e mi porta a chiedermi fra le
varie sensazioni inebrianti se una notte di questa passione e di
queste emozioni possa bastare. Mi sto trattenendo fermamente, per
nulla disposta a far finire tutto ciò. Spero solo che Jack provi lo
stesso.
«Cazzo!», grida, lasciandomi
le mani e afferrandomi il culo, prima di staccarmi dalla finestra e
voltarsi. Mi porta dall’altra parte della stanza e mi tiene con un
braccio sotto il sedere mentre con l’altro butta via tutti gli
oggetti dal ripiano della scrivania, poi mi appoggia sul legno
duro, abbassandosi insieme a me per non interrompere il contatto.
Strillo, agitandomi sul legno lucido mentre lui mi tira a sé e si
raddrizza in piedi, afferrandomi le cosce. Io sollevo le mani sulla
testa e stringo il bordo del tavolo.
Stringe i denti quando si
ritrae, gettando la testa all’indietro, ma con gli occhi sempre
fissi sui miei. Mi strattona su e giù sulla scrivania al rumore di
schiaffi della nostra pelle sudata, urla e grida di piacere
risuonano forti e caotiche.
E tuttavia trattengo ancora
l’orgasmo che minaccia di scuotermi.
La scrivania scricchiola
sotto tanta veemenza, e proprio quando penso che stia per cedere a
causa dello sforzo, lui mi tira su con un braccio dietro la
schiena. I nostri torsi si uniscono, e io grido forte. Mi aggrappo
a lui quando indietreggia e si lascia cadere supino sul letto con
me a cavalcioni. «Scopami, Annie», comanda, con la voce roca, piena
di brama e sesso. «Scopami forte».
Non indugio. Ho i miei
ordini. Muovo i fianchi avanti e indietro, reggendomi con le mani
sul suo petto. Mi affonda le dita nelle cosce, il volto teso. «Oh,
merda», geme, e inizia a sollevare i fianchi per assecondare il
ritmo.
Vederlo così, l’effetto che
ho su di lui, è come una droga. Sono stanca, ma ho ancora energia,
il mio corpo agisce senza che debba pensare. Poi mi muovo di nuovo.
Lui contrae i muscoli della pancia mentre si tira su a sedere,
spostandoci verso il bordo del letto con me sempre in braccio. Mi
guida le gambe dietro la schiena e le avvolgo intorno a lui, posa
le mani sui miei fianchi, sollevandomi e poi riabbassandomi
nell’arco perfetto di un respiro mozzato.
Grido, perché la nuova
posizione lo fa arrivare ancora più a fondo. Getto la testa
all’indietro, ma mi rifiuto di perdere il suo sguardo mentre mi
guida ferocemente, sbattendomi senza sosta sul suo grembo. Non so
quanto a lungo potrò rimandare l’orgasmo. È una sfida enorme.
«Jack», ansimo, lasciando cadere in avanti la testa, e le nostre
fronti si incontrano.
Percepisce il mio sforzo e mi
gira, mettendomi supina e penetrandomi di nuovo velocemente. Urlo.
Lui ruggisce. Sono a pezzi, quasi spaventata dalla violenza
dell’orgasmo che mi colpirà. Sarà potente. Lui si appoggia sui
gomiti, io gli stringo le cosce attorno alla vita, e ci guida lungo
il tratto finale verso l’esplosione.
Annuisce, e io ricambio il
gesto. Sembra provare dolore durante le ultime spinte, ha il volto
contorto, come certamente lo è il mio. Sul collo risaltano le vene
e gli si gonfia il cazzo, e io, portata oltre il limite, grido
quando i nervi del clitoride esplodono.
Il mondo sparisce, il corpo
si rilassa e Jack mi crolla addosso, bloccandomi sul materasso
mentre entrambi farfugliamo e ansimiamo alla ricerca di aria. E,
come d’istinto, avvolgo le braccia attorno alla sua schiena e lo
tengo stretto, tirandolo a me mentre cavalchiamo le onde di piacere
che colpiscono i nostri corpi. Il suo petto si solleva sul mio e
sento la sua pelle umida sulla schiena.
Aprendo gli occhi, guardo il
soffitto della camera d’hotel, con l’udito ancora confuso dal
nostro affanno. Jack mozza il fiato sotto tutti i punti di
vista.
Il silenzio è confortevole;
nessuno di noi due ha fretta di romperlo, e inizio a chiedermi se
lui stia facendo ciò che sto facendo io in questo momento. Sta
tentando di comprendere che cosa è successo? Sta provando in
silenzio a farsi una ragione della pazzia estrema del momento
incredibile che abbiamo appena condiviso? I pensieri mi ronzano in
testa mentre disegno distrattamente dei cerchi sulla sua
schiena.
Vengo interrotta quando
ridacchia piano, tremando sopra di me. Mio malgrado, sorrido.
«Soffri il solletico?».
Solleva il torace con un
brivido e mi guarda. Gli occhi. Dio, i suoi occhi brillano
all’inverosimile. «Non di solito. Ma sembra che il tuo tocco
provochi qualcosa in me».
Mi trattengo dal rivelargli
che la cosa è reciproca, sebbene percepisca che lo vede nei miei
occhi quando porta una mano al mio volto e traccia una linea
perfetta dalla guancia al mento, sorridendo. Sembra pensieroso, e
io ho una voglia matta di sapere a cosa sta pensando. «Annie
l’architetta», mormora, tornando a guardarmi negli occhi. «Sono
contento di non aver continuato a camminare verso casa». Si abbassa
e mi bacia dolcemente sulle labbra, togliendomi ancora una volta il
respiro. «Sei stata una piacevole distrazione dalla vita
reale».
Mi perdo nel ritmo del bacio,
e anche io lo lascio distrarmi volentieri dalla vita che
conosco.
Solo per questa notte.