Capitolo 2
Ho le unghie a pezzi
– il risultato di una settimana passata a strofinare pavimenti e a
lavorare manualmente, oltre a gestire clienti, email e progetti. Il
nuovo appartamento, però, è diventato un nuovo appartamento
brillante. Tutto è al suo posto e ogni
stanza è stata tinteggiata. Tutti i libri sono sugli scaffali nello
studio, il computer e la stampante sono sistemati, e la scrivania è
al suo posto sotto la finestra. Lo adoro alla follia. E ora sono
più che pronta a uscire con le ragazze
per lasciarmi andare.
Il volume dell’iPod è al
massimo e io ballo in camera con solamente l’asciugamano addosso e
la finestra spalancata, mentre bevo del vino e canto a squarciagola
Like a Prayer insieme a Madonna.
Dopo essermi truccata e aver
indossato un vestitino nero e i tacchi neri più alti che ho, e dopo
essermi legata i capelli in uno chignon basso e disordinato, prendo
la borsa e mi dirigo verso la porta, sentendo Lizzy che bussa
mentre mi avvicino.
«Carina». Annuisce con
approvazione quando apro la porta, anche se sembra un po’
distratta.
«Tutto okay?», le chiedo,
uscendo di casa.
«Sì, tutto bene». Ha una
bellezza disinvolta, con i capelli a caschetto mossi e gli occhi
scuri accentuati da un tratto pesante di eyeliner. Il vestito rosa
a metà coscia e il giacchetto di pelle sono assolutamente
provocatori e perfetti per Lizzy. «Anche tu ti sei impegnata»,
osservo mentre la prendo a braccetto e ci incamminiamo insieme per
la via.
«Mi sono messa la prima cosa
che ho trovato», dice, ignorando il complimento. «Nat ci raggiunge
lì. E qualunque cosa tu faccia, dille che i suoi capelli ti
piacciono».
«Perché, che cosa ha fatto?».
Guardo Lizzy orripilata. I capelli sono la cosa di cui Nat va più
orgogliosa. Spessi, biondi, lucidi e lunghi fino al sedere, li
tratta meglio di come la regina tratti i suoi cani.
«Il figlio di John le ha
attaccato una gomma da masticare in testa».
«Oh, merda». Sospiro,
immaginandomi chiaramente la faccia di Nat. È arrabbiata. Molto,
molto arrabbiata. Ha incontrato l’uomo
dei suoi sogni, ma l’uomo dei suoi sogni ha una componente
aggiuntiva: un bambino di sei anni alquanto indisciplinato. O
meglio, molto indisciplinato. Nat non
è esattamente un tipo materno. «Quanto?». Mi preparo alla notizia,
e poi rimango a bocca aperta quando Lizzy fa il gesto di tagliare
all’altezza delle spalle. «Oh, no».
«E io ho lasciato
Jason».
Barcollo e mi fermo.
«Cosa?».
Lei scuote la testa, cercando
di non piangere. «Non voglio parlarne stasera».
Chiudo subito la bocca e,
anche se mi addolora, non insisto. «Okay». Ha bisogno di una serata
tra amiche, e io sono più che disposta a farla divertire. «Aspetta.
Nat lo sa?».
Annuisce e si asciuga
velocemente gli occhi. «Divertiamoci e basta stasera, per
favore».
«Affare fatto». Le afferro un
braccio e ricomincio a camminare, determinata a distrarla per una
sera, mentre con la mente penso a ogni possibilità per capire cosa
sia accaduto.
È difficile, ma riesco a non
strozzarmi quando poso gli occhi sulla trasformazione drammatica e
imprevista di Nat. La chioma lunga non esiste più, e il suo
cipiglio mi dice che non si è ancora rassegnata alla
situazione.
«Dille che sta benissimo»,
mormora Lizzy sottovoce mentre ci avviciniamo a lei.
«Stai benissimo!», strillo,
mettendomi a sedere su uno degli sgabelli. Scende il silenzio,
Lizzy alza gli occhi al cielo e Nat mi ringhia contro. «Che c’è?»,
le chiedo, facendomi più piccola.
«Sembro una cinquantenne»,
borbotta Nat.
«Non è vero», diciamo io e
Lizzy all’unisono, in modo fin troppo esagerato. Sembra davvero più
vecchia. Forse non proprio cinquantenne, ma sicuramente più vecchia
dei suoi trent’anni.
«A me piacciono!», dichiaro,
contenta di sembrare abbastanza sincera, inducendo Nat a portarsi
le mani ai capelli per tastarne il volume ridotto.
«Davvero?», mi chiede,
cercando conforto.
«Sì, ti fanno apparire più
sofisticata».
Sorride grata, e Lizzy mi dà
un colpo sul braccio passandomi accanto: è il suo modo di
congratularsi con me per aver fatto un buon lavoro. «Prendo da
bere», dichiara. «Chi vuole cosa?»
«Vino!», esclamiamo io e
Nat.
Lizzy va verso il bancone e
io colgo l’opportunità per interrogare Nat. «Che cosa è successo
fra Lizzy e Jason?», le domando, piegandomi in avanti sul
tavolo.
«Non lo so». Alza le spalle
con noncuranza, sempre col suo fare compassionevole. «Si rifiuta di
parlarne».
«Ma pensavo stessero bene
insieme».
«Già, anche io. A quanto pare
non è così, eh?»
«Sembri preoccupata». Le
lancio uno sguardo deluso, e lei scrolla di nuovo le spalle. Nat
non è proprio un tipo emotivo. È una liquidatrice per una grossa
compagnia di assicurazioni. Una vera dura, e fa fatica a separare
quell’aspetto dalla vita personale. Mette in soggezione la maggior
parte degli uomini. A dire il vero, anche delle donne. Alta, con le
gambe lunghe, bionda e con una specie di handicap emotivo.
«Mi hanno massacrato i
capelli», ribatte, «quindi sono di malumore».
La conversazione è interrotta
– non che stesse andando da qualche parte – quando Lizzy posa un
vassoio sul tavolo, carico non solo di vino, ma anche di shottini.
Guardo Nat, che annuisce in segno di comprensione. Lizzy ha la
chiara intenzione di ubriacarsi. Accettiamo entrambe i bicchierini
e li buttiamo giù come ordinato. Poi mi domando chi delle mie
amiche sia più sconvolta, e quindi più bisognosa della mia
attenzione. Verrebbe da pensare che sia una decisione facile, ma
probabilmente Nat amava i suoi capelli tanto quanto penso che Lizzy
amasse Jason. Sposto lo sguardo fra le due; sono entrambe
distratte. Nat si tocca ancora il nuovo caschetto, e Lizzy è come
incantata mentre fissa il fondo del bicchiere di vino.
Non va bene. Non posso più
trattenermi. «Che è successo?», chiedo a Lizzy, dandole un colpetto
sul ginocchio.
Lei torna in sé e mi guarda,
gli occhi di solito vivaci ora sono spenti. Poi si riempiono di
lacrime e le trema il labbro. «Mi ha tradita!», si lamenta,
scoppiando in lacrime. «E non è neanche la prima volta!».
«Oh, mio Dio!», grido,
scendendo dallo sgabello e abbracciandola. Trema e mi piange
addosso, non riuscendo più a mantenere la calma. «Perché non ci hai
detto niente?»
«Quando è successo prima,
l’ho perdonato», risponde Lizzy tirando su col naso. «Pensavo che
non si sarebbe ripetuto, e sapevo come avreste reagito. Non volevo
che pensaste male di lui, né che fossi uno zerbino».
Guardo Nat oltre la testa di
Lizzy, lanciandole uno sguardo colpevole. Lei ricambia, consapevole
del fatto che ci saremmo comportate esattamente in quel modo.
Bastardo, mimo con le labbra, e lei
annuisce, storcendo la bocca.
Lizzy piange ancora un po’,
facendo sussultare le nostre braccia intrecciate. «Va avanti da
mesi», singhiozza. «Una puttana in ufficio. Lavora sempre fino a
tardi, e ho trovato dei messaggi sul cellulare».
Scambio uno sguardo torvo con
Nat, ma nessuna dice nulla, probabilmente perché nessuna ha idea di
cosa dire, e lasciamo che Lizzy continui a rivelare i dettagli più
sordidi.
«Ha ventun anni!», ulula
contro il mio petto. «Ventuno schifosissimi anni!».
Ahia!
Il volto di Nat è una
maschera d’orrore, e così anche la mia, credo. «Beviamo»,
suggerisco, improvvisamente disposta a sbronzarmi per conto di
Lizzy.
Un’ora dopo… o forse due –
non ne sono sicura – siamo tutte piuttosto brille, ma almeno
nessuna piange, perciò la mancanza di lucidità è una cosa buona. È
arrivato Micky, e Lizzy se ne è accorta. È bellissimo, con i
capelli raccolti alla perfezione. Gli sta addosso come una
sanguisuga, e a Micky non dispiace. Però continua a lanciarmi
sguardi guardinghi, in attesa che lo redarguisca. Non succederà.
Non stasera. E comunque, Lizzy ha bisogno di distrarsi e io sono
troppo brilla per preoccuparmene. Un flirt innocuo non farà male a
nessuno.
Finito un altro bicchiere di
vino, cerco Nat con lo sguardo. La trovo che balla da sola sulle
note di Moby. Le basta un po’ di alcol per iniziare subito a
ballare, non importa dove.
Mi faccio strada verso il
bancone per prendere altri shottini, poiché chiaramente non siamo
abbastanza ubriache. Con un sorriso ordino tre Slippery Nipples, e
ondeggio al ritmo della musica mentre aspetto che il barista li
prepari. Pago con una banconota da venti. «Hai un vassoio?»,
chiedo.
«Finiti», risponde,
allontanandosi con i miei soldi.
Guardo i quattro bicchierini,
riflettendo sul da farsi. C’è una soluzione semplice, ma sono a
metà strada dall’ubriachezza totale, e non riesco a trovarla,
perciò sistemo i bicchieri fra le dita, fiduciosa di poterli tenere
tutti insieme e risparmiarmi un viaggio in più al tavolo… che è a
sei metri da me. «Dannazione», mormoro, rovesciandone uno e
versandomi il liquido appiccicoso sulla mano. Mi lecco le dita per
raccogliere la miscela cremosa, intenta a non sprecarne neanche una
goccia. Poi butto giù quello che rimane nel bicchiere, riducendo il
carico a tre bicchieri. Molto più maneggevoli.
Se si è completamente sobri –
cosa che non sono. Accetto il resto quando il barista me lo porge
sopra il bancone. «Grazie», dico, e faccio per prendere in mano i
tre bicchieri rimanenti. Ne cade un altro, e ancora una volta lecco
il liquore sulla mano.
«Non te la stai passando
bene, non è vero?».
La voce divertita mi fa
voltare, con la lingua ferma fra le dita e gli occhi spalancati
alla vista dell’uomo accanto a me al bancone.
Porca… miseria.
Non mi capita spesso di
rimanere senza parole. Mai, a dire il vero. Questo momento serve a
compensare tutti quelli persi, e non riesco a capire se è per colpa
dell’alcol o dello stupore. È uno strafico. Mi godo la vista, dalle scarpe – che,
occorre sottolineare, sono delle Jeffery West beige molto eleganti
– fino alla testa bellissima. Ho detto bellissima. Non sono sicura che sia abbastanza
lusinghiero. Di una bellezza classica, forse? Da rimanere a bocca
aperta? Mozzafiato? Nessuna di queste descrizioni sembra adeguata.
Ha la barba. Una barba squisita che penso sia il risultato di
almeno cinque giorni senza rasoio, e gli occhi grigi sono
esageratamente scintillanti. Come se delle piccole stelle
brillassero nelle loro profondità. I capelli sono corti, più lunghi
in cima e pettinati da un lato. Abbastanza lunghi da afferrare
e…
Inghiottisco lo stupore.
Quest’uomo sa vestirsi. Informale. Comodo. Una camicia attillata
niente male, con il colletto aperto e le maniche tirate su, i lembi
fuori dagli stretti jeans Armani. Ho già detto che ha delle belle
scarpe?
«Ti serve una mano?», mi
domanda, guardandomi con… cosa ha detto?
Una mano? Dove dovrei
metterla? Inclino la testa, in silente contemplazione, e fisso le
sue. Mani grandi, capaci, una avvolta attorno a una bottiglia di
birra. Sollevo lo sguardo, seguo la bottiglia fino alla sua bocca.
La apre. Intravedo la punta della lingua, poi le labbra avvolte
intorno all’imboccatura, mentre tira indietro la testa. La gola.
Santo cielo, la gola. Come deglutisce. Il respiro silenzioso.
Ho appena sentito
un’esplosione colossale nelle mutande.
Trasalisco e incrocio le
gambe sul posto. Non ho la minima idea di cosa mi stia succedendo,
ma mi ha fatto riprendere da quell’apatia ridicola. «Shottini!»,
esclamo, afferrando i bicchieri. «Ehi, ne ho ordinati quattro»,
dico al barista, guardandolo torva.
L’uomo accanto a me comincia
a ridere, un suono profondo e sensuale.
Altre esplosioni. Oh… Dio.
Diamoci un taglio!
«Quanto sei ubriaca?», mi
chiede, e io alzo lo sguardo e vedo che mi osserva con
attenzione.
«Sono perfettamente sobria,
grazie tante», dico, distogliendo veloce lo sguardo da lui prima
che i miei occhi mi facciano imbarazzare di nuovo. «Ne ho ordinati
quattro».
«E ne hai rovesciati due», mi
fa notare. Abbasso lo sguardo e vedo i due bicchieri vuoti… e poi
mi ricordo. Quanto tempo ho passato a fantasticare? O ad ammirarlo?
O a sbavare?
«Oh».
«Non sei ubriaca?».
Mantengo lo sguardo sul
bancone. Non posso fidarmi dei miei occhi. «Come ho già detto, sono
perfettamente sobria». Raccolgo i bicchieri rimanenti e faccio per
voltarmi, assicurandomi di mantenere l’equilibrio. Non è che sono
testarda o altro. Non sono ubriaca.
«Ti dispiacerebbe provarlo?»,
domanda, facendomi fermare. Una sfida?
Corro il rischio di sbirciare
con la coda dell’occhio e vedo il sorriso più affascinante su un
volto già affascinante di suo. Da dove diavolo è uscito
fuori?
Provarlo? «Come?», chiedo, quando la curiosità ha
la meglio su di me.
«Porta i bicchieri ai tuoi
amici». Li indica con un cenno della testa, e io li guardo seduti
attorno al tavolo: Micky agita le braccia in aria con fare
drammatico e le ragazze ridono. Riesco a notare che questo Mr
Belloccio sa con chi sono venuta. Da quanto è nel locale? Non
esiste proprio che sia riuscito a
sfuggire al radar delle ragazze. «Poi torna qui, se vuoi», aggiunge
piano.
Se
voglio? Voglio? Lo guardo ancora una volta di nascosto. Sta
ancora sorridendo. È un sorriso pericoloso. Molto pericoloso. È
troppo bello per essere innocuo.
Sgattaiolo via, ondeggiando i
fianchi spudoratamente mentre cammino, e resisto al desiderio di
controllare se mi sta guardando. Mi sta guardando. Lo so, e mi fa eccitare.
Lizzy mi assale come una
tigre in agguato quando arrivo al tavolo. «In nome di Dio, chi è
quello?», mi chiede, sbarrando gli occhi dall’entusiasmo mentre
beve lo shottino.
«Non lo so», rispondo,
buttando giù l’ultimo bicchierino invece di darlo ai miei amici, e
intanto sento l’attrazione magnetica dell’uomo dietro di me, e il
mio corpo è teso dallo sforzo di non voltarmi per cercarlo di
nuovo.
«Annie, so che sei
praticamente insensibile agli uomini, ma qui stiamo sfiorando il
ridicolo. Ti sta guardando».
Insensibile? Non direi
insensibile. È solo che non ho mai
avvertito qualcosa di speciale. Allora perché diavolo sono
elettrizzata e tremo come una pazza? Non mi sento così insensibile
in questo momento. «Può continuare a guardare».
Lei mi fissa a bocca aperta.
«Be’, se non ci parli tu, lo farò io, dato che ora sono single».
Spingendomi di lato, sorride e si dirige verso il bancone, verso il
mio uomo.
Non ho idea di cosa mi
prenda, ma nel giro di pochi secondi afferro il polso di Lizzy e la
strattono, facendola fermare. Strizzo gli occhi, arrabbiata con me
stessa. «Aspetta un attimo». Respiro profondamente e mi volto verso
di lei. «Una scopata di ripicca con un estraneo non è la soluzione
giusta».
Lei trattiene un sorriso che
probabilmente le occuperà tutta la faccia quando le sfuggirà. Mi ha
scoperta. Per la prima volta – forse in assoluto – un uomo ha attirato la mia attenzione.
Non dovrei pensarci troppo. Probabilmente quest’uomo ha attirato
l’attenzione di ogni donna, da maledetto e attraente figlio di
puttana qual è.
Avvicinandosi a me, Lizzy mi
parla all’orecchio, proprio quando poso di nuovo lo sguardo su di
lui. «Sembra uno che scopa forte», sussurra, ridacchiando mentre si
allontana, e mi lancia uno sguardo da finta tonta. «Fai un favore a
tutte le donne e fatti una scopata». Lo indica con un cenno della
testa. «Con lui».
«Voglio solo parlargli»,
protesto, lasciandomi alle spalle la mia amica e arrendendomi
all’attrazione che mi conduce di nuovo da lui. Con un respiro
profondo, mi avvio con passo deciso, lasciando andare il labbro
inferiore quando mi accorgo che lo sto mordendo.
Lui mantiene un’espressione
seria, e mi guarda appoggiandosi con noncuranza al bancone. «Credo
di averti visto barcollare un po’», dice, sollevando le
sopracciglia.
Cazzo, è troppo bello per il
suo bene. E, senza dubbio, anche per il mio bene. «Sobria», mimo
con la bocca, appoggiandomi al bancone accanto a lui.
Con lo sguardo fisso su di
me, chiama il barista. «Due tequila, per favore».
«Tequila», ripeto,
guardandomi alle spalle quando arrivano sale e limone. «È una
sfida?»
«Vuoi ritirarti?», mi
stuzzica, e dalla tasca tira fuori delle banconote.
«Mai». Sbuffo, voltandomi
verso il bancone. Non so a che gioco stia giocando, ma voglio
continuare. Con lui. «Mi stai chiedendo di provare che sono sobria
bevendo uno shottino?». Lo guardo stringendo gli occhi, scherzando.
«Oppure il tuo piano è di farmi ubriacare e approfittarti di
me?».
Sorride fra sé e sé e paga il
barista. «Non sembri il tipo di cui ci si può approfittare».
«Che tipo di donna sembro,
allora?», lo sfido con calma.
Si volta verso di me,
osservandomi per un momento. «Non lo so, ma credo che mi piacerebbe
scoprirlo».
Sostengo il suo sguardo per
qualche secondo, non riuscendo a immaginare una replica. Credo di
volere anch’io che lo scopra, almeno tanto quanto voglio scoprire
che tipo di uomo è lui. Il mio sguardo
scivola dagli occhi grigi brillanti lungo la sua figura alta e
magra, fino ai piedi.
Oh… merda…
«Giochiamo», dice,
avvicinandosi e tirando a sé uno dei bicchieri. Senza volerlo,
allontano di scatto il braccio quando mi sfiora, sorpresa dalle
minuscole pugnalate di piacere che mi picchiettano la pelle. Quel
contatto così sfuggente promette bene, e – dammi la forza – ha un
odore divino, virile e corposo che fa venire dannatamente voglia di
mangiarlo.
L’improvvisa immobilità e il
silenzio fra di noi diventano quasi imbarazzanti. Sento il suo
sguardo su di me.
«Che cosa devo fare?», chiedo
piano di nuovo, quasi sottovoce.
Lui si schiarisce la gola.
«Non sei ubriaca?»
«Neanche un po’». Alzo il
naso in aria.
«Bene. Allora vincerai questa
sfida al primo tentativo». Posa un dito sull’orlo di uno dei
bicchierini. «Appoggia le mani sul bordo del bancone», mi ordina,
calmo ma con fermezza. Lo guardo, e vedo un’espressione seria.
«Dài».
Aggrottando la fronte, metto
le mani sul bordo del bancone. «Okay?».
Mi prende i fianchi. Mi
prende i fianchi, cazzo! Mi immobilizzo dalla testa ai piedi e
deglutisco sonoramente, in attesa. Le viscere mi si contorcono
veloci, la mente è nel caos. «Indietreggia un po’», dice, tirandomi
appena per i fianchi finché non faccio un passo indietro.
Oh, Cristo. Sono in fiamme.
Un estraneo mi sta piegando sul bancone in pubblico e io, Annie
“insensibile agli uomini” Ryan, non mi sto opponendo. È come se mi
avesse lanciato un incantesimo. Che sta succedendo? Non oso
guardarmi alle spalle. Non sono così stupida da pensare che Lizzy
non mi stia osservando mentre un uomo manipola il mio corpo
spostandolo dove vuole.
«Sembri tesa», osserva lui,
lasciando la presa e rimettendosi accanto a me.
Non lo nego; non lo confermo
nemmeno. Stavo bene con quelle mani grandi sui fianchi, così bene
che devo resistere ed evitare di prenderle e rimetterle dove
stavano. «E ora?», chiedo, respirando evidentemente a fatica,
maledizione.
«Ora». Prende la birra e
sorride. «Ora posso vantarmi del fatto di averti piegata a novanta
nel giro di cinque minuti dopo averti incontrata». Beve un sorso,
sempre sorridendo, e sento il ruggito di un uomo lungo il bancone
che ride a crepapelle.
Oh, che stronzo! Una parte di
me lo ammira. Un’altra vuole prenderlo a schiaffi; non importa
quanto sia bello. E un’altra ancora vuole strappargli i vestiti e
saltare addosso a questo subdolo bastardo.
Non posso credere che ci sia cascata! A quante donne ha
fatto questo giochino? Abbasso la testa, scuotendola.
Sapevo che quel sorriso
avrebbe portato guai. Un uomo che può piegare una donna al suo
volere così facilmente e così presto
non può essere altro che letale. E per avermi incastrata con quel
gioco malefico, tanto di cappello. Non posso negarglielo, e poiché
in questo momento ho perso ogni dignità, decido di non
schiaffeggiarlo. E non gli verserò nemmeno un cocktail in testa, né
gli urlerò contro una sfilza di insulti.
Farò ciò che non si
aspetta.
Mi raddrizzo e mi volto,
senza riuscire a sorridere davanti al suo sogghigno. Con lo sguardo
fisso su di lui, mi lecco lentamente il dorso della mano, prendo
alla cieca il sale dal bancone, me ne spargo un po’ sopra e prendo
uno degli shot di tequila. Ma mentre porto la mano alla bocca per
leccare il sale, lui mi afferra il polso e prende il bicchiere
dall’altra mano. Ho il battito accelerato, gli occhi fissi sui suoi
mentre si avvicina a me e si porta la mia mano alla bocca. Lo
guardo, rapita, intento a leccare pigramente il dorso della mano,
gli occhi nei miei, e poi beve la tequila alla goccia. Uccidetemi ora e morirò da donna felice. La sua
lingua sulla pelle. Gli occhi inchiodati ai miei. La sua presa sul
polso. Devo sembrare una statua – incapace di parlare, muovermi o
pensare con lucidità.
«C’è un’altra tequila», dice,
indicando il bancone con la testa, ma con lo sguardo sempre fisso
su di me. «Ed è tua».
Oh, santo cielo. Il cuore mi
batte sempre più velocemente mentre lo guardo leccarsi il dorso
della mano e versare un po’ di sale. Me lo offre. Gli fisso la
mano, e poi alzo lentamente lo sguardo. Potrei perdermi in quegli
occhi grigi e scintillanti.
«Ho un buon sapore»,
sussurra.
Non ne dubito. Devo fare
appello a tutta me stessa per prendergli la mano e portarla alla
bocca, e quando allungo la lingua, chiudo gli occhi e mi preparo.
Non sento il sapore del sale. Sento il suo sapore. E potrebbe benissimo essere quello più
inebriante che abbia mai provato. Inghiottisco, continuando a
tenergli la mano mentre prendo la tequila e la bevo, senza battere
ciglio quando mi brucia la gola.
Lui annuisce con
approvazione. «Te l’ho detto», mormora, tirando via la mano.
Cerco di tornare in vita,
distogliendo lo sguardo da lui prima di prendere fuoco da sola. «È
stato bello giocare con te», sospiro, voltandogli le spalle. Ho
bisogno del bagno. Subito.
«Ehi!». Mi circonda il polso
con la mano e mi ferma. Mi irrigidisco all’istante. Dopo aver avuto
un assaggio del suo patetico giochino da macho per avermi piegata a
novanta, tutte le irritanti reazioni del mio corpo suscitate da
quest’uomo dovrebbero essere bloccate immediatamente. Ma poi mi ha
leccato. E io ho leccato lui. I brividi che mi travolgono sono così
intensi che non voglio reprimerli. «Non te ne andare via subito»,
dice delicatamente.
Lo guardo negli occhi,
inclinando la testa, nel tentativo di tirare fuori un po’ di
lucidità dalla nube di lussuria. È da molto, molto tempo che non vado con un uomo. Quasi un
anno, due mesi e una settimana, per essere precisi. L’amico di un
amico di Jason.
«E cosa hai intenzione di
fare con me se rimango?», gli domando, controllandogli velocemente
la mano in cerca di un anello, per sicurezza. Niente anello. Non
riesco a capire come possa essere possibile che nessuna donna
l’abbia ancora reclamato per sé.
«Ho intenzione di parlare con
te», dice piano, osservandomi con un accenno di curiosità.
«Invece di leccarmi?»
«Non ti è piaciuto il mio
gioco?», mi chiede seriamente, e c’è qualcosa di nascosto dietro i
suoi occhi. Qualcosa di seducente. Qualcosa che mi rende un po’…
cauta. E molto eccitata.
La presa attorno al mio polso
mi fa esitare per un momento. Il calore della nostra pelle a
contatto non deve essere ignorato. Lui mi intriga, per la sola
ragione che ha attirato la mia attenzione ed è riuscito a
mantenerla su di sé, anche dopo quell’episodio da furbastro.
Parlare. Vuole parlare.
Tiro via il braccio con
delicatezza e lui mi lascia lentamente, senza mai distogliere lo
sguardo dal mio. Poi prende alla cieca uno sgabello e mi indica di
sedermi. «Da bere? O ne hai avuto abbastanza?».
Poso il sedere sullo sgabello
e gli lancio uno sguardo stanco, ma penso davvero che non dovrei
bere. Specialmente non ora, quando sarebbe meglio tenere gli occhi
ben aperti. «Vorrei un bicchiere d’acqua, per favore».
Fa un cenno al barista e
ordina l’acqua e un’altra birra. Io guardo i miei amici e vedo che
nessuno è voltato da questa parte. Tranne Micky. Inclina la testa
come per chiedermi se tutto va bene, e io lo rassicuro con un cenno
del capo. Sto bene. Va tutto bene.
L’uomo senza nome si siede su
uno sgabello davanti a me, con un piede sul pavimento e l’altro
sulla barra poggiapiedi, e un gomito appoggiato sul bancone. La
camicia è un po’ stropicciata intorno alla cintola. Il tessuto
bianco e fresco potrebbe benissimo nascondere gli addominali. E
quel braccio piegato allude a dei bicipiti piuttosto
scolpiti.
«Come ti chiami?», mi chiede,
facendomi spostare lo sguardo sul suo volto. È ancora serio, in
chiaro contrasto con il sorriso impudente che aveva stampato in
faccia quando ho posato per la prima volta gli occhi su di
lui.
«Annie», rispondo.
«Tu?»
«Jack». Mi porge la mano,
osservandomi ancora mentre decido se toccarlo di nuovo. Sicuramente
non è una buona idea. Al contrario, dovrei battere in ritirata,
allontanarmi, forse anche andarmene in questo preciso istante. Il
suo sguardo è pieno di intenzioni che posso leggere chiaramente;
intenzioni che dovrebbero spaventarmi – perciò non riesco a
comprendere il motivo per cui allungo una mano e la poso
delicatamente nella sua. Sono rapita. Ammaliata. È una rivelazione,
e mi piace parecchio.
Non appena entriamo in
contatto, pelle contro pelle, mi afferra veloce, cogliendomi di
sorpresa. Incontro immediatamente il suo sguardo, aspettandomi un
sorriso sfacciato, ma mi guarda ancora con un’espressione seria.
«Presa», mormora, stringendo la mano enorme attorno alla mia. Mi
manca il respiro. Il cuore mi batte forte. Ho la pelle in fiamme.
Santo cielo, mi ha presa davvero.
Comincia a muovere la mano su
e giù, prendendosi il suo tempo. Deglutisco ripetutamente, con la
gola asciutta come il deserto, mentre lui controlla i miei
movimenti.
Presa?
Incurva leggermente le
labbra, come se conoscesse i miei pensieri, e mi trovo di nuovo di
fronte a quel sorriso e a quegli occhi brillanti. «L’ho leccata,
quindi è mia», dice, sorridendo ancora.
La dichiarazione mi fa
scuotere la testa meravigliata quando lui porta le nostre mani
sulla mia gamba scoperta, approfittando della sua posizione per
sfiorarmi la coscia quando ritira la mano. Sobbalzo sullo sgabello
e afferro il bicchiere d’acqua.
«Lecchi molte donne?»,
domando, e mi prendo subito a calci mentalmente. Non sono affari
miei, e sinceramente non voglio saperlo.
Torna serio all’improvviso.
«Di solito non lecco le donne nei locali».
«Piuttosto le fai piegare a
novanta?».
Ha l’ombra di un sorriso
sulle labbra, come se mi stesse leggendo nel pensiero. «Non so cosa
mi è successo», ammette con una risata debole, accarezzandosi la
barba sul mento. Ne sono felice, perché neanche io so cosa mi sia
successo. «Che lavoro fai, Annie?»
«Sono un’architetta»,
rispondo rapidamente. Parla. Parla e
basta. «Più che altro realizzo progetti d’interni, ma mi sto
lentamente spostando nel settore commerciale».
«Hai un tuo studio?», mi
chiede, e io annuisco. «È notevole per qualcuno che ha solo…». Jack
si interrompe, inclinando la testa curioso.
Sorrido al suo adorabile
stratagemma per estorcermi l’età. «Ho ventinove anni».
«Wow, è davvero notevole.
Congratulazioni. Mi piace conoscere gente di successo».
«Grazie».
«Sei spos…»
«No». Rido.
«Impegnata?».
Questa volta non rispondo
tanto velocemente. Non so perché. Forse perché la risposta aprirà
la strada a… cosa? «No».
Vedo il sollievo nel suo
sguardo. È decisamente sollevato. «Ti piace spassartela?», mi
chiede, con un tono leggermente allusivo.
«Be’, di solito non mi faccio
piegare a novanta né leccare da estranei, se è questo che
intendi».
«Sono onorato». Jack sorride,
soddisfatto. «Quindi che cosa fai di solito per divertirti? Voglio
dire, quando non ci sono io a piegarti su un bancone e
leccarti».
Ricambio il sorriso e bevo un
sorso d’acqua per dare sollievo alla bocca sempre più secca.
«Lavoro sodo. Ho degli ottimi amici. Mi diverto con loro».
«Per scelta o a causa di una
brutta esperienza?»
«Stiamo andando molto sul
personale, non credi?». Gli lancio uno sguardo interrogativo, e lui
sorride con un’alzata di spalle.
«Cerco solo di
inquadrarti».
Mi sfiora il ginocchio con il
suo coperto dai jeans, e io tiro via di scatto la gamba quando il
mio cuore patetico salta un battito. Non dovrà inquadrarmi per
niente. Sono felice di rivelarglielo. «In questo periodo gli uomini
non mi interessano». Non so perché, ma mi ritrovo a mordermi il
labbro e a osservare attentamente la sua reazione.
Annuisce lentamente. «Questo
potrebbe cambiare», riflette – di punto in bianco, cogliendomi di
sorpresa.
Raddrizzo la schiena, e per
un momento ho il fiato corto. «Che intendi?», chiedo piano,
cercando di dare un tono interessato alle parole. Ci provo. L’unica
cosa che riesco a trasmettere con ogni parola che rivolgo a
quest’uomo è fascino. E desiderio.
«Voglio dire…», esordisce,
chinandosi un poco in avanti, «chiaramente non sei mai stata
consumata da un uomo». Fa una pausa, concedendomi un momento per
concordare, ma non lo faccio. Lo guardo fisso. «Ma un giorno verrà
un uomo e ti inghiottirà, Annie. Ti prenderà alla sprovvista». Le
sue parole alludono a qualcosa e non riesco a limitare la mia
curiosità. E continuo ancora a fissarlo.
Sento il sangue che mi pulsa
nelle orecchie quando lui si raddrizza e si volta di nuovo verso il
bancone, chiamando il barista. Non sento cosa ordina. Il locale
intorno a me è una macchia sfocata in movimento, la confusione del
bar è ridotta a un distante rumore bianco. Jack ha un fascino
magnetico – non è solo il suo aspetto, ma la personalità, la voce…
le parole.
«Tieni». Mi prende la mano
floscia e toglie il bicchiere d’acqua, porgendomi un bicchierino da
shot. Il contatto mi strappa dalla mia trance e mi guardo in giro,
vedendo che il mondo va ancora avanti attorno a me. Fa quel sorriso
incantevole, facendo tintinnare i bicchieri – il sorriso che mi ha
stregato non appena l’ho visto. «Un brindisi all’essere presi alla
sprovvista», dice, sollevando lo shot.
Si scola il liquore, poi
sbatte il bicchiere sulla superficie del bancone e si pulisce la
bocca con il dorso della mano. Seguo con lo sguardo ogni singolo
movimento e cerco di leggere fra le righe, di comprendere veramente
le sue parole e ricavarne un senso. Ovviamente, un senso ce
l’hanno, ma qualcosa mi dice che c’è dell’altro. Potrebbe essere la
leggera durezza del suo tono. Potrebbe essere il modo in cui mi
guarda.
«Bevi». Posa un dito sul
fondo del mio bicchiere, me lo spinge fino alle labbra, e mi guarda
mentre verso lentamente il liquido in bocca, intrappolata in un
conflitto enorme.
Lo voglio.
Per la prima volta nella mia
vita, voglio veramente, veramente un
uomo. Sento… qualcosa.
«Che lavoro fai tu, Jack?», gli domando, seguendo il mio istinto
per scoprire di più sul conto di quest’uomo che mi fa
eccitare.
«Ho molti talenti».
Trattengo un sorriso. «Ad
esempio?»
«Oh, è una lista infinita.
Quanto tempo hai a disposizione?».
Infinito! Rimetto immediatamente in riga la mia
mente. Davvero, Annie? Datti una
calmata! «Che carino», scherzo, e poi rabbrividisco alla
pessima scelta di parole. Jack non è solo carino; è un bel pezzo
d’uomo, alto, bello, ben piantato.
Jack distoglie lo sguardo per
un breve momento, ridendo fra sé e sé. «Anche tu sei carina». Posa
di nuovo i suoi occhi, che brillano in modo pazzesco, su di me.
«Come fai a essere single?».
Dovrei rivolgergli la stessa
domanda. «Perché voglio essere single. Perché le relazioni
richiedono un duro lavoro. Preferisco investire in altre
cose».
Jack annuisce, fissandomi
negli occhi. «Investire in te stessa?»
«Sì», rispondo onestamente,
anche se mi fa sembrare egoista. Forse un giorno cambierò idea,
quando arriverà l’uomo giusto. Chissà. A questo punto della mia
vita, però, non ci sono uomini, e io sono contenta così. «Mi sono
fatta delle promesse e intendo mantenerle».
Lui fa un respiro profondo,
giocherellando con l’etichetta della bottiglia di birra. «Ti
ammiro. La tua felicità è importante, ed è chiaro che sei
felice».
Mi rilasso un poco, valutando
il suo umore. «Non sei felice?»
«In questo momento sono fuori
di me dalla felicità».
Sorrido e Jack ricambia,
sfacciato, allungando una mano e posandomela sul ginocchio, con una
stretta leggera. Smetto immediatamente di sorridere e il mio
sguardo sfreccia sulla sua mano a contatto con la mia pelle nuda.
Un calore si espande in me come le crepe di un vetro rotto, e
l’acqua nel bicchiere si increspa lungo i bordi. Tremo così forte
che sono costretta a posare il bicchiere sul ripiano e a
irrigidirmi nel tentativo di nascondere il tremore.
Alzo lo sguardo e incrocio
quello di Jack, e vedo che ha smesso di sorridere e non ha più
quell’espressione divertita. Lentamente, solleva la mano dalla mia
gamba. Oh, Signore. Ho perso il controllo del mio mondo mentre mi
toccava. In quei pochi secondi beati ho dimenticato il mio nome, il
mio lavoro e le mie ambizioni. All’improvviso l’unica mia
motivazione è stata Jack – toccarlo, parlargli, ascoltarlo. Questo
estraneo mi ha allontanato dalla mia vita reale e mi ha portato in
un altro luogo. Un luogo che mi distrae. Un luogo che mi
consuma.
Mi consuma. Niente mi ha mai
consumato, a parte il lavoro. Ho passato solo qualche minuto con
Jack e mi sento già assuefatta all’intensità che emana. È una
sensazione aliena… e spaventosa. Mi ha colta completamente alla
sprovvista.
Il mio cuore ricomincia a
battere e mi scuoto per tornare in vita. Alla mia vita. Alla mia vita reale. «È stato bello parlare con te, Jack. Ora
devo proprio andare», sussurro, scendendo dallo sgabello. Devo
scappare da lui, perché la mia mente è sottosopra e ho paura di
come sto reagendo. Scelgo di fare la cosa più gentile e gli porgo
la mano.
Lui annuisce, lentamente e
con comprensione. «È senza alcun dubbio la decisione più saggia per
entrambi».
Mi prende la mano e, giuro,
esplode tutto. Come in una di quelle scene nei libri che fanno
alzare gli occhi al cielo perché è così ridicolo pensare che due
persone possano avere un legame così potente. Presa alla
sprovvista.
«Tieni». Mi apre le dita e
posa qualcosa sul palmo. «Per ricordarti di me».
Abbasso lo sguardo e vedo il
tappo di una Budweiser. «Perché dovrei ricordarmi di te?», gli
chiedo, guardandolo negli occhi.
«Perché questa serata passerà
alla storia». Sorride e mi chiude la mano a pugno, serrando il
tappo di bottiglia nella mia presa.
Ha ragione. Sarà impossibile
per me dimenticare questo incontro con Jack. «E tu cosa hai per
ricordarti di me?».
Allunga una mano e mi sfiora
la guancia con un dito, privandomi di ogni funzione cognitiva. «Ho
questo», mormora, portandosi la mano alla tempia e battendola piano
con un dito. «Tutto conservato qui dentro».
Ho le ginocchia deboli e il
sangue che ribolle. Non ho bisogno di un tappo perché anche io ho
memorizzato il suo volto nella mente. Jack si avvicina e mi posa le
mani sulle spalle, tenendomi ferma. Quando con il petto tocca il
mio, le gambe mi cedono completamente e gemo, appoggiandogli la
fronte sulla spalla. Oh, mio Dio, chi è quest’uomo?
Con le labbra vicino al mio
orecchio, si prende qualche secondo incredibile per respirarci
contro prima di parlare. «Se mai dovessi posare di nuovo gli occhi
su di te, Annie, non posso prometterti che sarò in grado di fare la
scelta giusta e andarmene».
Si allontana e se ne va,
facendo un cenno a un suo amico, un uomo dai capelli chiari, che lo
segue. Mi lancia uno sguardo curioso quando passa davanti a me,
osservando la condizione ovvia in cui mi ritrovo. Che sarebbe?
Colpita da un fulmine. È l’unico modo per descriverla. Mi sento
come se fossi stata placcata senza preavviso, facendomi rimanere
senza fiato.
Mi bruciano i polmoni, e mi
rendo conto che sto trattenendo il fiato. Espiro all’improvviso,
tanto velocemente e a lungo che perdo l’equilibrio e afferro il
bancone.
«Ehi, stai bene?». Lizzy
appare al mio fianco, spostando lo sguardo fra me e Jack che sta
uscendo dal locale.
«Sì», squittisco, e poi
comincio a tremare, una conseguenza dell’incontro con l’uomo più
bello e intenso che abbia mai conosciuto.
«Be’, era il più gran figo
che abbia mai visto», dice Lizzy, sorridendomi, prima di passare
lentamente dalla sua solita espressione allegra a un cipiglio
preoccupato. «Ehi, sicura di stare bene?».
Gesù, devo riprendermi. «Sì,
sto bene». Scuoto la testa per tornare lucida e prendo il bicchiere
d’acqua, buttandola giù a una velocità epica.
«E dov’è andato?», mi domanda
Lizzy.
«Era un coglione
presuntuoso», borbotto indignata, mentendo spudoratamente. È
l’unico modo. Rivelare a Lizzy che il mio corpo era incendiato dal
desiderio, non solo ogni volta che Jack mi toccava, ma anche per
ogni parola che pronunciava, sarebbe uno sbaglio.
«Avrebbe potuto essere la
scopata di ripicca che mi merito», sospira Lizzy, delusa.
«Non lo pensi davvero».
«Sì, invece. Che spreco. Te
ne pentirai».
«Forse», rifletto, lanciando
uno sguardo all’entrata del locale, ma di lui non c’è ombra. Se ne
è andato, e non capisco perché al pensiero sento un peso allo
stomaco. «Comunque, stai bene?», la distraggo, con una mossa
consapevole. Devo dimenticare ciò che è successo nella mezz’ora
appena passata. La decisione migliore che abbia mai preso? Cosa,
lasciarmelo alle spalle? E che intendeva con “entrambi”?
«Sto benissimo», dice Lizzy,
prendendomi a braccetto e accompagnandomi al tavolo.
La guardo. «Micky è
precisamente l’ultima persona da
considerare per la tua scopata di ripicca».
«Stiamo solo
flirtando».
Noto lo sguardo che si
scambiano mentre ci avviciniamo, ma sono troppo distratta per
preoccuparmi della loro situazione, e ho ancora i brividi da capo a
piedi. Guardo di nuovo la porta, mentre le sue ultime parole mi
risuonano incessanti nella mente.
Se mai dovessi posare di
nuovo gli occhi su di te, Annie, non posso prometterti che sarò in
grado di fare la scelta giusta e andarmene.