Capitolo sesto
Per il momento è un committente senza volto
Fu verso la fine dell’estate che ricevetti una telefonata da parte del mio agente. Era da un sacco di tempo che non mi chiamava nessuno. Le giornate conservavano ancora un poco del calore estivo: ma appena il sole tramontava, l’aria su quei monti diventava molto fredda. Il frinire delle cicale a poco a poco si faceva meno assordante, ma in compenso gli altri insetti levavano cori magnifici. Diversamente da quando vivevo in città, il cambiamento delle stagioni, lí in mezzo alla natura, si prendeva la sua parte senza fare troppi complimenti.
Con il mio agente ci aggiornammo sulle ultime novità. Anche se in realtà non avevamo molto da dirci.
– A proposito, sta dipingendo? Il lavoro procede bene? – mi chiese lui.
– Piano piano, sí, procede, – dissi. Naturalmente non era vero. Erano quattro mesi che mi ero trasferito in quella casa, ma le tele che avevo preparato erano ancora immacolate.
– Mi fa piacere. Spero che mi mostri presto qualcosa. Potrei esserle utile.
– La ringrazio. Lo farò.
A quel punto lui venne al sodo.
– L’ho chiamata perché avrei una proposta da farle. Le andrebbe di fare un ritratto, solo per una volta?
– Gliel’ho detto: i ritratti non mi interessano piú.
– Sí, lo so. Ma in questo caso il compenso sarebbe davvero straordinario.
– Straordinario?
– Sí. Eccezionale.
– Quanto, eccezionale?
Mi disse la cifra. Di riflesso stavo per lasciarmi sfuggire un fischio. Mi trattenni.
– Senta, non sono il solo pittore specializzato in ritratti sulla piazza, mi pare, – dissi in tono distaccato.
– Sí. Alcuni ritrattisti piuttosto bravi ci sono, è vero, ma non sono molti.
– Allora perché non si rivolge a uno di loro? Per quella somma, nessuno rifiuterà.
– Quella persona vuole lei. È la condizione che ha posto. Che a fargli il ritratto sia lei. Non accetta nessun altro.
Spostai la cornetta dalla mano destra alla sinistra, mi grattai dietro l’orecchio.
– Ha visto alcuni dei suoi lavori, e gli sono piaciuti immensamente. Dice che è difficile trovare la stessa forza in altri pittori.
– Ah. C’è qualcosa che non mi torna, però. Prima di tutto, mi pare strano che qualcuno abbia avuto occasione di vedere «alcuni dei miei lavori». Non è che io faccia personali ogni anno in qualche galleria.
– Non ne so molto di piú, – mi disse l’agente, che sembrava un po’ in difficoltà. – Mi limito a ripeterle le parole del cliente. Gli ho detto subito, fin dall’inizio, che lei aveva smesso di fare ritratti. Che era irremovibile nella sua decisione, quindi era inutile chiederle. Lui però non si è dato per vinto. A quel punto ha tirato fuori la somma che era disposto a pagare.
Con il ricevitore in mano, rimuginai su quella proposta. In tutta onestà, quei soldi mi allettavano. E il fatto che qualcuno apprezzasse a tal punto le mie opere mi lusingava. Oltrettutto erano opere che avevo dipinto quasi con la mano sinistra, come si dice. Però avevo promesso a me stesso di non fare piú ritratti su commissione. Sentivo che separarmi da mia moglie costituiva l’opportunità di cominciare una nuova vita. Non potevo tornare sui miei passi soltanto perché qualcuno faceva balenare sotto il mio naso una montagna di soldi.
– Però, scusi, come mai questo cliente può permettersi di essere cosí generoso? – chiesi.
– Oh, in questa società in crisi, c’è anche gente che di soldi ne fa a palate. Gente che gioca in borsa su Internet, imprenditori che investono nell’Information Technology. Pare che ce ne siano parecchi. Il costo di un ritratto, poi, lo possono pure detrarre dalle tasse.
– Detrarre un quadro?
– Nella contabilità di un’azienda, un ritratto può figurare non come opera d’arte, ma come fornitura d’ufficio.
– È una prospettiva piuttosto deprimente…
Gente che giocava in borsa su Internet, investitore dell’It… Per quanti soldi guadagnassero, mi riusciva difficile credere che fossero smaniosi di farsi fare un ritratto, per poi appenderlo alla parete del loro ufficio e inserirlo nelle spese di «fornitura». Per la maggior parte erano dei giovani ben contenti di lavorare in jeans scoloriti, scarpe da ginnastica della Nike, T-shirt lise e giacche Banana Republic, di bere caffè Starbucks in bicchieri di carta. Tradizionali ritratti a olio facevano a pugni con il loro stile di vita. Al mondo però c’è gente di tutti i tipi. Non si può generalizzare. Non era escluso che ci fosse qualcuno felice di farsi ritrarre mentre beveva caffè Starbucks o quello che fosse (naturalmente solo caffè proveniente da «commercio equo e solidale»).
– C’è solo una condizione, – proseguí il mio agente. – Il cliente chiede di essere dipinto dal vivo, di posare di fronte a lei. Farà in modo di trovare il tempo necessario.
– Già, ma di solito io non lavoro cosí.
– Lo so. Gliel’ho anche detto. Che lei accetta di incontrare i soggetti, ma non ritrae dal vivo. Che questo è il suo metodo di lavoro. Lui però vuole che questa volta faccia un’eccezione. È l’unica condizione che pone.
– E che senso ha, tutto questo?
– Non ne ho idea.
– È una pretesa davvero strana. Perché insiste tanto su questa condizione? Dovrebbe essere contento di non dover stare in posa per ore.
– Sí, in effetti un po’ strano lo è. Riguardo al compenso, però, credo che non ci sia nulla da eccepire.
– Certo, questo è poco ma sicuro.
– Il resto lo deve decidere lei. Non le sto chiedendo di vendersi l’anima. Lei è bravissimo a fare ritratti, ed è sulla sua bravura che si fa affidamento.
– Mi sembra di essere un mafioso che si è ritirato dal giro, a cui venga chiesto di far fuori qualcuno per l’ultima volta.
– Ma non ci sarà spargimento di sangue in questo caso. Allora, accetta?
«Non ci sarà spargimento di sangue», ripetei fra me. Mi tornò in mente L’assassinio del Commendatore.
– Ma il soggetto che dovrei ritrarre che tipo di persona è?
– Ad essere sincero, non ne ho idea.
– Non sa neanche se sia uomo o donna?
– No. Non conosco né il sesso, né l’età, né il nome. Per il momento è un committente senza volto. Non ho parlato direttamente con lui, a telefonarmi è stato un avvocato che lo rappresenta.
– Però è un affare pulito, vero?
– Certo. Non c’è assolutamente nulla di sospetto. L’intermediario è un regolare studio legale, e se la cosa va in porto, faranno subito il bonifico.
Sempre con il telefono in mano, feci un sospiro.
– È una proposta cosí inattesa, che non posso risponderle su due piedi. Mi lasci un po’ di tempo per rifletterci.
– Ma certamente. Ci pensi fino a quando sarà convinto di quello che fa. La persona con cui ho parlato mi ha detto che non è una cosa urgente.
Ringraziai e riagganciai. Poi, non trovando altro da fare, andai nell’atelier, accesi la luce, mi sedetti per terra e rimasi lí a contemplare L’assassinio del Commendatore. A un certo punto mi venne fame, cosí andai in cucina, presi il flacone del ketchup e dei cracker Ritz, misi tutto su un piatto e lo portai nell’atelier. Ripresi a guardare il quadro mangiando i cracker cosparsi di ketchup. Naturalmente non erano buoni. Anzi, a dirla tutta facevano schifo. Ma che importanza poteva avere? Ero affamato, e mi bastava mettere qualcosa nello stomaco, buono o cattivo che fosse.
Ecco fino a che punto mi affascinava quel quadro! Ero avvinto tanto dai dettagli quanto dall’insieme. Ne ero prigioniero. Dopo averlo guardato da una certa distanza per giorni, cominciai ad analizzare da vicino ogni particolare, uno per uno. A suscitare il mio interesse era soprattutto l’espressione sul viso dei cinque personaggi. Feci a matita uno schizzo accurato di ognuno. Il Commendatore, Don Giovanni, Donna Anna, Leporello e Faccialunga. Come un lettore annota con scrupolo, parola per parola, i passaggi di un libro che gli sono piaciuti.
Disegnare con il mio stile dei personaggi dipinti secondo la corrente nihonga per me era un’esperienza nuova, e appena iniziai compresi che era un’impresa di gran lunga piú impegnativa di quanto avessi previsto. Al cuore dello stile nihonga c’è la linea e il modo espressivo tende piú verso la dimensione piana che verso la tridimensionalità. I simboli e le allegorie rivestono piú importanza che non il realismo dell’opera. Riprodurre una scena dipinta con quella tecnica nel modo espressivo della «pittura occidentale» era praticamente impossibile. Tuttavia, dopo molti tentativi, riuscii a ottenere un risultato relativamente accettabile. Non si poteva dire che fosse una vera e propria «rivisitazione», ma quel lavoro aveva comunque richiesto una mia interpretazione, quasi una «traduzione». Per farlo avevo dovuto cogliere il senso profondo della scena originale. In altre parole, comprendere − grosso modo, è ovvio − il punto di vista, diciamo pure la personalità, del pittore Amada Tomohiko. Per usare una metafora, avevo dovuto mettere i piedi nelle sue scarpe.
Dopo essermi dedicato per diversi giorni a quel lavoro, tutt’a un tratto mi resi conto che per la prima volta, dopo tanto tempo, ritrovavo il desiderio di fare un ritratto. Perché no, in fondo? Era sempre meglio che restare inattivo. Visto che non avevo la minima idea in testa, che non ero invogliato da nessun soggetto, non era meglio muovere comunque le mani su una tela, quand’anche in un lavoro privo di significato per me, che non fare nulla? Continuando a passare giornate del tutto improduttive, una dopo l’altra, alla fine non sarei davvero riuscito a dipingere piú nulla. Forse nemmeno ritratti. Naturalmente pure la somma di denaro che mi era stata offerta mi allettava. Era vero che conducevo una vita molto frugale, ma il compenso che ricevevo per le lezioni di disegno non copriva nemmeno le mie poche spese quotidiane. Avevo fatto un lungo viaggio, comprato una nuova auto, e a poco a poco i miei risparmi andavano riducendosi. La prospettiva di ricevere una somma sostanziosa mi tentava, mi tentava molto.
Chiamai il mio agente e gli dissi che per quell’unica volta lo autorizzavo ad accettare il lavoro. Lui ovviamente ne fu felice.
– Per incontrare il cliente e dipingerlo dal vivo, devo per forza venire lí?
– No, stia tranquillo. Ha detto che verrà lui a casa sua, a Odawara.
– A Odawara?
– Esatto.
– Cioè, quella persona sa dove vivo?
– Sí, dice che abita vicino a lei. È anche al corrente del fatto che lei sta nella casa di Amada Tomohiko.
Rimasi senza parole.
– Strano, – dissi dopo un po’. – Quasi nessuno sa che abito qui. Tanto meno che la casa è quella di Amada.
– Non lo sapevo neanch’io, – ammise il mio agente.
– Allora come fa a saperlo questa persona?
– Lo ignoro. Ma ormai basta cercare su Internet per trovare tutto quello che si vuole. Per una persona esperta, praticamente non esistono segreti.
– È solo un caso, che sia un mio vicino? Oppure è uno dei motivi per cui ha scelto proprio me?
– Non so neanche questo. Quando lo incontrerà, gli potrà chiedere tutto quello che vuole.
– Allora quando possiamo incominciare? – domandai.
– Quando lo desidera, – rispose il mio agente. – Riferisco all’intermediario la sua risposta, e la richiamo per definire tutti i dettagli.
Dopo aver messo giú il ricevitore, andai a sdraiarmi in terrazza e mi misi a riflettere sulla piega che aveva preso la situazione. In realtà, piú ci pensavo, piú i miei dubbi aumentavano. Tanto per cominciare, mi preoccupava il fatto che la persona in questione sapesse che io abitavo in quella casa. Avevo l’impressione che ogni mio gesto fosse di continuo osservato e controllato da qualcuno. Ma da chi? Quale persona, e per quale ragione poi, poteva nutrire tanto interesse per me? Inoltre tutta quella storia mi pareva un po’ troppo ben confezionata. I miei ritratti avevano delle buone quotazioni, questo era vero. Io stesso avevo una certa stima nelle mie capacità. Però di ritrattisti del mio livello ce n’erano anche altri. I miei ritratti non si potevano considerare opere d’arte, da nessun punto di vista. Inoltre non ero certo famoso. Ad alcune persone i miei quadri erano piaciuti molto, d’accordo (da parte mia, non avevo mai preso troppo sul serio i loro complimenti), ma non potevano valere somme tanto generose.
Che il committente fosse il marito della donna con cui avevo al momento una relazione? Quel sospetto mi si insinuò all’improvviso nella testa. Era un’idea senza fondamento, ma piú ci pensavo piú mi convincevo che non era impossibile. Fra tutti gli sconosciuti che vivevano nella zona, non mi veniva in mente nessun altro che potesse nutrire un interesse per me. Ma perché mai avrebbe dovuto sborsare tutti quei quattrini per farsi fare il ritratto dall’uomo con cui sua moglie lo tradiva? Non aveva senso. A meno che non si trattasse di un pervertito.
Alla fine mi diedi per vinto. Tanto valeva farsi portare dalla corrente che mi passava davanti in quel momento. Se quel tale aveva qualche piano nascosto, be’, avrei deciso in seguito come comportarmi. Forse era piú sensato che continuare a vivere fra quei monti cosí, senza agire, senza muovere un dito. E poi ero curioso. Con che genere di persona avrei avuto a che fare? Cosa voleva da me, se era pronta a darmi in cambio una tale somma? Morivo dalla voglia di saperlo.
Una volta presa la decisione, mi sentii piú tranquillo. Quella sera, per la prima volta dopo tanto tempo, non pensai a nulla e caddi subito in un sonno profondo. Durante la notte mi parve di sentire il rumore dei passi del gufo che gironzolava. Ma forse lo stavo soltanto sognando.