VENTUNO
Nel corridoio dove erano allineate le loro
camere da letto, incontrò Eleonora avvolta in una lunga vestaglia
rosa.
«Che cosa è successo?»
Gilardi le sorrise. «Niente, cara. Spero di
non averti disturbata. Non avevo sonno e sono andato da
Carlo».
«Vuoi una tisana?»
«No, grazie».
«Come sta quel ragazzo? Non si fa più
vedere, da noi. Sapevi che volevano adottare un bambino
africano?»
Stavano intanto scendendo al piano di sotto,
Gilardi tenendole il braccio. «Sì, Elena l’aveva detto a
Olga».
Davanti alla porta chiusa del salotto,
Eleonora si fermò perplessa. «Una tisana?» domandò di nuovo.
«Va bene, una tisana». Pensò che ne
avrebbero avuto bisogno.
Eleonora premette un campanello, parlò
sottovoce al maggiordomo subito accorso ed entrò in salotto a testa
alta.
«Che cosa succede?» domandò. Come se lo
sapesse.
«Devo parlarti… mi ha telefonato D’Urso,
sarà qui tra poco».
Abbassò il capo. «Non hai fatto
questo…»
«Sì, Eleonora». Lo stupì che fosse così
tranquilla. «Tu sapevi che Elena era la terza sorella, quella non
nata da vostra madre?» Eleonora non rispose, ma fece di sì con il
capo, appena un cenno.
Era intanto arrivato il maggiordomo con la
tisana. Eleonora lasciò che riempisse le tazze, poi gli fece cenno
con la mano di andare. «Faccio io» disse in fretta.
Sorseggiò la tisana, poi abbassò le mani con
la tazza sulle ginocchia. Sembrava la sequenza di un film di cui
non si conosceva il seguito.
«Avevo giurato a nostra madre che non
l’avrei mai detto a nessuno… non so come sia uscita questa storia.
Non dai documenti, nostro padre aveva registrato Elena in modo
corretto. Elena era nostra sorella, io sola sapevo la verità. E io
l’ho tanto amata».
«Questa storia la sanno in parecchi, qui in
paese».
«Lo so, ne ho parlato con il parroco. Non
capisco come sia uscita… Io non l’ho mai detto a nessuno».
«Elisa?»
«Non lo sapeva. Quando Elena è arrivata da
noi, Elisa non era ancora nata. In casa non ne abbiamo mai
parlato».
«Elena lo sapeva?»
«Sinceramente non lo so, comunque se l’ha
saputo, non è stato da noi». Sollevò la testa, come se annusasse
l’aria. «Perché D’Urso?» Non attese risposta, come se fosse
normale, e seguitò a raccontare con un sorriso pallido sulle
labbra. «Comunque è sempre stata trattata da tutti come se fosse
nostra sorella. Non credo che nostro padre gliel’abbia mai detto,
lui ci ha sempre trattate tutte e tre allo stesso modo, con
disinvolta spontaneità».
«Di chi era figlia, Elena? L’avete
saputo?»
«Me l’ha detto mia madre. Era figlia di una
donna svizzera, non del nostro livello sociale…» Si confuse. Forse
persino arrossì.
«Una prostituta?» domandò, volendo scoprire
quanto di quella storia Eleonora conoscesse.
«Sì… mia madre ne era inorridita». Gli
sorrise. «Mio padre amava quella signora e amava Elena più di
quanto amasse noi. Comunque tra noi non ci sono mai state
differenze».
«Infatti, anche per il loro matrimonio Carlo
mi ha detto che avevate assegnato a Elena la sua parte di eredità,
esattamente un terzo…»
«Quello sciocco l’ha rifiutato. Spero che il
nostro amministratore gli faccia cambiare idea. A chi andrà tutta
questa roba?» Alzò la testa come fanno i cani da caccia quando
sentono la preda. «La polizia?» domandò sottovoce.
«Sì, Eleonora, mi dispiace. Ti ho lasciato
parlare per distrarti».
«Perché la polizia? Per Carlo? È stato
lui?»
«Non è stato lui». Si alzò, per farle capire
che ora gli toccava la cosa peggiore. «Avete un avvocato?»
«Tu, no?»
«No, Eleonora. Mi sto occupando di Carlo.
Chiama il vostro avvocato e digli di raggiungerci…»
«Ma è notte, che cosa gli dico?»
«Che io gli chiedo di venire e che ora è
arrivata la polizia. Capirà».
Sentirono voci e passi nel corridoio.
Gilardi si era alzato e ora stava davanti alla porta, aspettando
D’Urso. Quando lo vide arrivare gli andò incontro.
«Questo è lavoro tuo».
«Le presento il vicecommissario Ilaria
Guerci».
«Avrei voluto conoscerla in una situazione
diversa, comunque buonasera, vicecommissario». Con la testa le fece
cenno di entrare in salotto e prese D’Urso per un braccio. «Vieni,
sali un attimo in camera mia».
Sulle scale, mentre salivano, incrociarono
Elisa in vestaglia di broccato rosa. Si portò una mano ai capelli,
consapevole di essere spettinata. «Che cosa succede?» domandò,
senza guardarlo.
Sante D’Urso disse un ‘buonasera’ a fior di
labbra.
«Eleonora è in salotto». Come se volesse
darle un ordine. Come se quella frase significasse: raggiungila,
noi veniamo dopo. Ed Elisa continuò infatti a scendere le scale,
senza fermarsi e senza alzare la testa, seguendo una sceneggiatura
non scritta, ma che tutti conoscevano. Ilaria Guerci era rimasta
sulla porta del salotto.
In camera Gilardi aprì il computer e mostrò
le foto, gli ingrandimenti dei particolari, gli riferì il colloquio
che aveva avuto con Carlo e che corrispondeva con quanto emerso
sino a quel momento. Senza mai accennare alle conclusioni a cui era
giunto, lasciò che ci arrivasse D’Urso, come se fosse cosa
sua.
Infatti si passò una mano sulla fronte. «Dio
mio… Lei è il loro avvocato?»
«No. Penso che stia arrivando, ho detto a
Eleonora di chiamarlo».
«Credo che il loro avvocato sia Giacomo De
Pasquali, era anche al matrimonio di Elena. E la mia ex fidanzata…
si ricorda che c’era la mia ex fidanzata in chiesa? Aveva notato
quell’orologio, era molto speciale… come ho fatto a non
ricordarmene?»
«Capita» e gli sorrise.
«E ora che mi ci fa pensare, ieri a casa mi
ha chiesto che ore erano…»
«È un gioiello importante, di quelli che si
tengono in cassaforte…» Lo guardò, sperando che capisse. «Non è una
prova».
«Lei crede che confesserà?»
«Se è stata lei e se siete convinti… come
vedi non c’è niente di certo».
«Presunta colpevole. Devo tradurla in
questura, intanto. In attesa di un interrogatorio formale alla
presenza del suo avvocato. Non posso lasciarla qui».
«Non è prudente, temo anche per lei stessa.
Sii gentile, considerala malata».
«Un odio coltivato per tanti anni è davvero
una malattia».
«Suppongo che sarà la linea di difesa del
suo avvocato. Andiamo, saranno in salotto e ci aspettano».
Mentre scendevano, sulle scale D’Urso fece
una telefonata. Breve, secca. Incisiva. Disse di sì e guardò
Gilardi. «Ho l’ordine di tradurla in questura,
immediatamente».
«Capisco». Anche se era molto difficile da
capire.