TRE
Una cosa Ilaria Guerci l’aveva saputa: Elena era stata ammazzata tra la una e le due di notte, con un robusto ferro da calza conficcato in gola. Glielo aveva detto al cellulare, mentre saliva a piedi verso il castello, l’assistente del dottor Vincenzi, trasgredendo agli ordini del suo capo, che preferiva dire poco e mai presto.
«Morta sul colpo?» aveva chiesto.
«Difficile dirlo senza un esame più approfondito. Ma se ha colpito il bulbo alla base del cervello, paralizzando il centro automatico del respiro, è probabile. C’è voluta molta forza e un po’ di fortuna. Comunque tienitelo per te, altrimenti Vincenzi mi caccia».
«Sì, certo, grazie». Il giovanotto, tale Uberto, le faceva la corte e a lei serviva averlo dalla sua parte, per essere informata senza dipendere totalmente dal commissario.
Ci pensò un attimo. «Segni di lotta, altre ferite?»
«Non pervenute, direi di no. Un colpo solo e sicuro».
«Accidenti!» Sorrise, ma le tremava la mano che sosteneva il cellulare. «Io non sono così precisa neppure quando infilzo una coscia di pollo».
«Ti va di scherzare perché non l’hai vista… ciao, e zitta neh?»
Arrivata davanti al portone chiuso, scuro e scorticato, con i due treillages ai lati a sostenere ciuffi di rose bianche un po’ avvizzite, si accorse del cancello, a lato: lo trovò socchiuso. «Posso entrare? Polizia, vicecommissario Guerci». Il maggiordomo, lo suppose dall’abito scuro con il gilet e la cravatta, ma soprattutto dai capelli grigi ben pettinati, si fece di lato per farla passare.
«Che cosa è successo, se posso chiederlo?»
«Certo, anche se io ho poco da dire. Posso vedere la baronessa?» Si era ricordata che D’Urso le aveva detto, raccontando del matrimonio al quale aveva partecipato da testimone, che le due sorelle si facevano chiamare baronesse, soprattutto la maggiore, Eleonora.
«La baronessa non ha ancora chiamato per la colazione, ma posso chiedere». Guardò l’ora alla pendola dell’office, dove erano entrati, e la controllò con il suo orologio da tasca. In un altro momento Ilaria Guerci avrebbe sorriso: in che mondo vivevano le sorelle Clerici di Garbagna?
«Venga, vicecommissario… la baronessa scende subito. Mi ha chiamato ora per la colazione. Posso servire un tè anche a lei?»
«No, grazie».
«Venga, prego. Mi segua…»
In fondo al corridoio, dopo aver salito una scala dai timbri rosati, sentì una voce che dava ordini a una cameriera. Il maggiordomo aprì e tenne aperta la porta del salotto. «Viene subito, prego».
Un altro mondo.
Eleonora, in vestaglia e pantofole, le venne incontro tendendole la mano. «Buongiorno, mi scusi. Stamattina siamo in ritardo. A che cosa dobbiamo la sua visita, è successo qualcosa? Di domenica?» Si era intanto seduta in una delle poltroncine di velluto verde sbiadito, davanti al tavolo apparecchiato per la colazione. «Lei non prende un tè con me? Io posso?»
«Certo, baronessa. Io sono in servizio».
«Capisco, posso aspettare anch’io».
«No, la prego».
«Non ho troppa voglia neppure io… è successo qualcosa? Ho sentito le macchine salire: c’è stato un incendio? Qui succede abbastanza spesso, i mozziconi di sigaretta degli ubriachi…» Sorrideva gentile, quasi condiscendente verso di lei, che era in divisa e a disagio.
«No, baronessa, stanotte è successa una cosa molto grave… che vi riguarda».
«Un furto?» alzò le mani come se si difendesse. «Hanno tentato altre volte, ma abbiamo allarmi e cani. Però stanotte non ho sentito niente e non ho un sonno così profondo». Alzò gli occhi verso la porta e sorrise. «Ecco mia sorella Elisa… ciao, cara. La signorina è della polizia, mi stava dicendo che stanotte…»
«Che diavolo è successo, che ci sono macchine della polizia davanti ai cancelli di Carlo?» Mentre poneva la domanda si era seduta accanto alla sorella e stava versandosi il tè.
Eleonora si girò a guardare il vicecommissario Guerci con un’espressione improvvisamente diversa e allarmata. «Da Carlo?» domandò.
«Sì, baronessa. Purtroppo devo comunicarle una notizia terribile…»
«È successo qualcosa a Carlo Orsi?» domandò, allontanando la tazza.
«No, a vostra sorella Elena, baronessa».
Si sollevarono in piedi insieme, come se fossero state in qualche modo legate, e insieme si rimisero a sedere. «Elena?» domandarono.
«Sì, mi dispiace. Ma non avrei saputo come darvi questa notizia in modo diverso».
«E che cosa le è capitato? L’ospedale?» domandò Elisa.
«No, Elena Orsi è stata uccisa stanotte…»
«Suo marito?» domandò Elisa.
«No» gridò a mezza voce Eleonora. «No…»
«Suo marito?» insistette Elisa. E non sembrava una domanda.
«No, baronessa. No…» Era più imbarazzata di loro a quell’ipotesi. «È stata uccisa con un robusto ferro da calza che era sul suo comodino». Come se questo bastasse a scagionare il marito.
Eleonora si era portata le mani agli occhi. «Glieli ho dati io quei ferri, se erano in un lavoro a maglia accanto al suo letto. Quando è tornata dall’America voleva fare un collo staccabile, da infilare dalla testa come una sciarpa circolare… Dio mio, mi dica che non è vero… hai sentito, Elisa?»
«Non riesco a crederci… che fosse un matrimonio sballato l’abbiamo sempre detto». Alzò il viso contratto verso Ilaria Guerci. «Niente contro di lui, ma non era del nostro ambiente, non lo conoscevamo neppure… l’abbiamo avvertita, gliel’abbiamo detto…»
«Che cosa?» la interruppe il vicecommissario.
«Che Carlo non era per lei, che era un matrimonio sbagliato. E ora guarda… Dio mio, com’è possibile? Sapete già chi è il colpevole?»
«No, baronessa. Non ci sono effrazioni, non ci sono – almeno per il momento – neppure moventi plausibili. Furto o altro…»
«E lui?» chiese nuovamente Elisa.
Eleonora girò appena la testa. «Ma avanti, smettila. Ce l’hai con Carlo, ma era innamorato…»
«… e con i vantaggi che ha avuto non poteva certo ucciderla. A meno che…»
«A meno che…» la incalzò il vicecommissario Guerci.
«Il movente siano proprio i soldi. Elena aveva deciso di intestargli tutto il suo patrimonio, non trascurabile, come il nostro amministratore potrà testimoniare…»
«Sciocchezze, Elisa. Carlo Orsi lo ha rifiutato».
«Non lo sapevo». Fece una smorfia. «Allora sarà stato geloso, Elena era una donna molto allegra e benvoluta da tutti. Magari un cliente… chissà che cosa passa per la testa di un uomo innamorato che si sente inferiore a sua moglie. E intanto Elena è morta. Possiamo vederla?»
«Non ora, mi dispiace. Trattandosi di un assassinio ora è a disposizione del medico legale che deve darci un referto dettagliato e sicuro. Ogni più piccolo particolare è importante per l’inchiesta».
«E lui, il marito?»
Ilaria Guerci cercò di capire il livore di Elisa verso Carlo Orsi. E la stuzzicò.
«Non è indagato, per il momento».
«Non fatevelo scappare. Se non ci sono i soldi di mezzo, magari la gelosia. Lo leggiamo sui giornali tutti i giorni. Lui era geloso e Elena era una donna molto allegra, disponibile…»
«Ne stai parlando come se fosse una donna…»
«No, non da quel lato. Ma quando andavamo alle feste era sempre la più corteggiata e la più invitata a ballare… sino a quando…»
«Ecco, com’è successo?» Ilaria Guerci capì che stava riferendosi all’incidente.
«La gamba?» intervenne Eleonora. «Nostra sorella cavalcava, era una campionessa. Faceva gare, e le vinceva. Ha partecipato alle Olimpiadi e ha vinto una medaglia. Era brava. Qualche anno dopo, una maledetta caduta… hanno dovuto amputarle la gamba» e con le mani fece il gesto, «… aveva una protesi, un’operazione perfetta eseguita in un istituto a New York, con lei c’era nostro padre. Caparbia com’era, era riuscita non soltanto a camminare benissimo, ma cavalcava, ballava… insomma, era assolutamente normale. Di notte toglieva la protesi, questo mi diceva. Almeno con noi non si è mai lamentata». E guardò la sorella che fece di no, con la testa. «Ed era vero, Elena era la più allegra e la più spigliata. Era anche, di noi, quella che aveva viaggiato, che era stata più tempo con nostro padre. L’unica di noi che sia andata all’università, noi abbiamo soltanto terminato il liceo e io il pianoforte. Elisa…» e si girò a guardarla per invitarla a proseguire, ma invece aggiunse in fretta: «Elisa ha studiato pittura, è brava».
Ora il vicecommissario Ilaria Guerci aveva un quadro abbastanza preciso della famiglia Clerici di Garbagna. Diede di sfuggita un’occhiata all’orologio: poteva ancora fare una domanda.
«I vostri genitori sono morti» disse. In modo asciutto perché capissero che si era informata. «Lei ha detto che Elena era stata molto tempo con vostro padre, voleva dire che era la sua preferita?»
L’aveva impostata male, ma ora aspettava la risposta.
Toccò ancora a Eleonora. «Non c’erano preferenze, ma nostro padre seguiva Elena per le gare e in America era con lei per l’operazione. Nostro padre è morto in un incidente, nostra madre è mancata a seguito di una malattia».
E guardò Elisa, che restò muta. Con la testa bassa. Ilaria Guerci dedusse che non fosse d’accordo su tutto.
Si alzò. «Mi dispiace, purtroppo è un compito che non vorrei mai affrontare. Non credo che avrei potuto darvi questa tragica notizia in altro modo o meglio di come ho fatto. Sono verità che nel mio lavoro incontro spesso. Condoglianze sincere e scusatemi, ma ora devo andare, il commissario D’Urso mi aspetta».
«C’è anche lui?» domandò Elisa.
«Sì, il caso è di sua competenza. È un ottimo commissario, di quelli che non mollano facilmente. Se c’è un colpevole, lui lo trova».
«Triste consolazione» mormorò Eleonora. «Conosciamo il commissario D’Urso, era testimone di nozze di Carlo Orsi…»
«Neppure per un attimo dovete pensare che sarebbe indulgente, perché amico. Non lo conoscete. Oltretutto Orsi sarà interrogato dal giudice istruttore, noi abbiamo terminato qui».
«Grazie per la sua delicatezza, l’abbiamo molto apprezzata».
«Grazie. Io ho apprezzato la vostra forza d’animo e la vostra disponibilità. Condoglianze».
Girò le spalle e uscì. Soltanto quando fu in strada le sembrò di aver ripreso a respirare normalmente. Giudicò le due sorelle con un certo imbarazzo: non una lacrima, non un lamento, come se non volessero mortificarla, ma aiutarla a scoprire il colpevole.
‘Forse le baronesse hanno quel carattere perché educate sin da piccole a trattenere le proprie emozioni’ pensò.
Mentre scendeva verso la casa di Carlo Orsi dovette appiattirsi contro un muro per lasciare la strada alla piccola processione dei ragazzini che avevano ricevuto la cresima e salivano composti, nei loro vestiti nuovi, verso la cappella della Vergine, oltre il castello. Ilaria Guerci salutò con un frettoloso segno della croce, colpita dalla bizzarria degli abiti di madri e parenti del seguito: in queste occasioni un paese dà il peggio di sé.